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Autore: Kokky    25/05/2009    2 recensioni
[A Liza per i 18 <3] [Positive Blood - JackLogan]
Una one shot incentrata su due personaggi della mia long fic e il loro rapporto. Due soldati, che combattono i vampiri con l'esercito, lasciano spazio ai loro sentimenti solamente quando sono soli.
Non voleva del fango su se stesso e su Jack, non voleva lasciare quella vita fatta di battaglie e di alchimia.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Positive Blood'
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A Liz,

per i suoi preziosissimi diciotto anni.

 

Ti voglio un mare un monte un

mondo di bene, shore.

Auguri! Goditi la tua giornata al meglio...

e goditi questa shot tutta per te,

bella piena di baci solo per te xD.

Sorridi dolcemente e ne sarò felice,

tua shori Kokky.

 

 

 



I  r e m e m b e r  you

I swear you’ll never be lonely

 

 

Jack e Logan riposavano all’ombra di un abete. L’alchimista giocherellava con il proprio cappello azzurro, stiracchiandosi nella divisa un po’ larga, e il gigante, con la giacca celeste sbottonata che lasciava intravedere una canottiera bianca, fissava la chioma dell’albero dagli aghi appuntiti sempreverdi.

«Ehi, Jackie», sussurrò Logan, muovendo il capo verso il gigante, per vederlo meglio.

«Cosa?», domandò lui.

«È proprio una bella giornata primaverile», sentenziò l’alchimista semplicemente, allungando un braccio su quello di Jack. Gli afferrò la mano grande, calda e dalla tonalità scura quasi come la notte.

Jack strinse la presa, artigliando le dita dell’alchimista come se stesse soffrendo. Il dolore più grande aleggiava su di lui.

«La primavera non mi piace», mormorò solamente il gigante.

Logan lo guardò con interesse: scrutò il profilo tondo del naso grande, gli occhi neri socchiusi, le labbra scure strette in una smorfia, la cicatrice a mezzaluna che falciava il viso a metà. Il corpo muscoloso e mastodontico si muoveva col respiro regolare, che faceva alzare e scendere la cassa toracica, ritmato.

«Jackie... come mai? Perché?», chiese Logan, con tono curioso e comprensivo. I capelli troppo lunghi gli solleticavano il viso e l’erba premeva sulla sua pelle ambrata.

Jack lo fissò con mezzo sorriso sulle labbra, che faceva piegare la cicatrice sulla guancia, allungandola.

Il gigante non amava parlare, lo faceva solo se necessario: per difendere qualcuno, per portare una notizia a Logan, per ribadire le sue idee quando sentiva di doverle enunciarle. Eppure sentiva che quello era giusto da fare – che doveva parlare, per se stesso e per Logan, che aspettava di conoscere.

Era come aprire una scatola sigillata da molti anni; era come voler spiegare quel dolore per comprenderlo meglio, per attenuarlo, poiché l’alchimista lo avrebbe aiutato a ricordare e saper farlo con un sorriso. Jack, parlandone, avrebbe potuto confidarsi e intanto allontanarsi da quel dolore attanagliante, dal ricordo che lo tormentava, nonostante tutti i suoi sforzi.

«Ecco... era primavera. Nel mio paese i fiori colorati sbocciavano sugli alberi, tingendo quella zona arida non lontano da Kramty, nella zona centrale dei Paesi del Sud. Quell’anno c’era molto caldo, il fiume era più secco del solito e il pozzo del villaggio regalava acqua mischiata alla terra, troppo poca per noi tutti. Il cibo scarseggiava, non si trovavano mandrie da cacciare. La mia casa era... era costruita con mura di fango, con il tetto di paglia. Mi piaceva provare a cacciare, in quei giorni aridi, anche se ero ancora un po’ troppo piccolo.

La mamma diceva che saremmo morti di fame, così tanti e con così poco cibo. C’era un mercato, al villaggio, fatto dai nomadi che girovagavano nel deserto; avremmo potuto comprare qualcosa, con del denaro, ma...».

«Non avevate soldi», concluse Logan al suo posto, stringendo con veemenza la mano di Jack nella sua, per confortarlo e allo stesso tempo per scacciare il dolore che sentiva nell’aria; la sofferenza che lui aveva provato, quando ancora non si conoscevano.

«Sì, non avevamo neppure un soldo.

Mia sorella Zina aveva la pancia gonfia, ricordo, un pallone teso sotto le sue manine scure, e mio fratello Amir pure, e aveva gli occhi cisposi, col moccio giallognolo. Erano spenti, come tutti gli altri. La primavera era una stagione come un’altra, in cui morire spegnendosi. Mio fratello Ferdinand, dall’animo forte, provava a cacciare con l’arco e le frecce, ma ciò che portava a casa non bastava.

Si doveva fare qualcosa».

Jack guardò negli occhi Logan, lo fissò con la sua onice bruciata – uno sguardo che raccontava la sofferenza quotidiana, che strappava dall’infanzia i bambini e li metteva sulla via della desolazione.

«Cosa? Cosa si doveva fare?», domandò angoscioso Logan, serrando la mascella quadrata. Il suo compagno da ormai tre anni... Jack, il gigante buono, adesso gli stava raccontando il dolore che racchiudeva dentro di sé, e non poteva sopportare la tristezza che vedeva sul suo viso.

Carezzò con la mano libera il viso di Jack rivolto verso di lui.

«C’era una miniera, a una ventina di chilometri dal villaggio. Sulla strada vidi tanti bei fiori di piante grasse, sbocciati per la primavera, e mio padre e mia madre mi tenevano per mano.

Mi avevano salutato tutti, Zina e Marie, Ferdinand, il cacciatore di famiglia che serviva per la sopravvivenza, Therese, che si stava per sposare, Alan, minuscolo nei suoi tre anni.

Solo io avrei potuto lavorare, lì alla miniera, e così mi vendettero», disse Jack mestamente.

Logan corrucciò le sopracciglia e lo bacio con tormento sulla bocca, sulla guancia, sul naso, sulle ciglia socchiuse, sulla cicatrice. A urlargli silenziosamente di smetterla con quelle parole.

Egoisticamente, si sentiva male al solo pensiero, all’idea che gli si era delineata nella mente: Jack con l’espressione infantile sul viso, piccolo in quella cava polverosa che odorava di tristezza e di una non vita.

Ma quello era un ordine che Jack non poteva rispettare, per una volta, e soffocò quella pretesa in un abbraccio.

«Mi vendettero e io non guardai mai indietro, non cercai di scorgere se mia madre piangesse e se mio padre la sorreggesse. Andai al mio posto, pronto a lavorare».

«Jackie, Jackie, io...», sussurrò Logan sul suo petto, sfiorandogli con le labbra la clavicola sinistra. Lui era stato viziato nel lusso, aveva vissuto in una villa per quattordici anni, finché non aveva deciso di andarsene da casa e iniziare a lavorare con l’esercito come alchimista. Lui cosa poteva dire, a uno che aveva sofferto così tanto la povertà e le conseguenze che ne seguivano?

«Lo’, avevo dei sogni», disse con semplicità e rassegnazione il gigante.

Aumentò la forza dell’abbraccio.

Sentire l’alchimista respirare sul proprio petto, come se lui fosse l’ossigeno di cui nutrirsi, era unico. Percepiva quasi il battito veloce del suo cuore, il panico di sbagliare e di lasciarsi sfuggire le cose.

Logan che era un comandante giusto.

«Però non importa, perché poi sono entrato a far parte dell’esercito e...».

Ho incontrato te.

Logan, che solitamente era il chiacchierone della situazione, annuì flebilmente, travolto da tutte le sensazioni e le emozioni che Jack gli aveva trasmesso; trasportato dalla corrente del racconto del gigante, in un fiume di parole che non era solitamente suo.

«Mi chiedo come tu riesca ad avere tutta questa fiducia, ora», disse l’alchimista, cercando di guardare il suo volto, ma senza risultati: era bloccato nell’abbraccio.

«Adesso è una nuova vita. Io sono Jack, il gigante buono, e tu sei il mio compagno. L’esercito è la mia casa».

Ci sarebbero state altre mille parole da dire, però Jack aveva parlato fin troppo, quel giorno, e il suo silenzio rivelava verità che Logan riusciva a conoscere con facilità.

Il gigante si fidava di lui, questo contava.

Sotto l’abete verde, nell’ombra piacevole creata dalla sua chioma, un giorno di primavera, Logan ordinò infantilmente: «Voglio uno stimolo interessante per potermi rialzare da qui, dove si sta troppo bene. Sicuramente al campo si chiederanno dove siamo finiti... promettimi qualcosa che mi faccia muovere da qui». Promettimi il tuo sguardo nel mio, e l’amore che, virilmente, non pronunciamo quasi mai.

«Lo’...», celiò allora Jack, baciandolo con passione e passando poi la lingua sulle labbra schiuse dell’alchimista, soddisfatto e sorpreso.

«Ma così non mi farai mai alzare!», ribatté Logan.

«E chi vuole farlo», sussurrò al suo orecchio Jack, sovrastandolo con la sua mole e sistemandosi su di lui. Gli sbottonò i primi bottoni della divisa azzurra e passò una mano sul petto bruno dell’alchimista, dai riflessi ambrati e dorati della pelle.

«Io non ne ho proprio voglia», sentenziò infine il gigante sul collo di Logan.

Nessuna obiezione fu pronunciata.

 

Weve had our share of hard times
But that
s the price we paid
And through it all we kept the promise that we made
I swear you
ll never be lonely

 

Jack crollò stremato sulla brandina nella tenda da campo dove riposavano lui e Logan, in qualità di soldato-alchimista. Il sudore stillava dalla sua pelle, scivolando sui muscoli scattanti che adesso pulsavano e bruciavano per lo sforzo.

Era stata una battaglia assurda: la pretesa di combattere contro tutti quei vampiri, una ventina circa, e la riuscita di quest’ultima avevano qualcosa di stupefacente.

“Meglio così”, pensava Jack, immobile sulla brandina. Cercava di riposare, pur con la confusione che gli affollava la mente.

Logan era stato molto bravo a spazzare via tre vampiri con una sola alchimia, era migliorato e ne era orgoglioso.

«Jackie, hai visto cosa ho fatto?», gli aveva chiesto subito dopo, con un sorriso gagliardo sulle labbra e gli occhi accessi di bambinesca gioia.

Il gigante aveva annuito e gli aveva dato una pacca sulla schiena – non un gesto in più, sul campo di battaglia –, e poi aveva detto: «Sei stato davvero bravo, Lo’».

«Sì, ottimo, ottimo», aveva ripetuto Logan, facendo così scuotere le spalle a Jack, che tratteneva una risata gutturale.

«Vado a vantarmi con Frank», aveva riso poi l’alchimista, allontanandosi.

Jack scacciò via quel ricordo recentissimo e smosse un po’ la testa sul cuscino, cercando di stare comodo. Il sudore si stava seccando sulla sua pelle scura.

«Jackie...», lo chiamò Logan qualche minuto dopo, entrando nella loro tenda. Il gigante non spostò il volto per guardarlo spogliarsi dalla divisa sudicia e sudaticcia della battaglia, e mettersi degli altri pantaloni azzurri e una maglietta grigia.

«Ho visto che un vampiro ti ha tagliato il braccio destro, il bicipite. Ti sei fatto medicare da un’infermiere?», domandò l’alchimista.

Il silenzio che ne seguì probabilmente era d’assenso, ma Logan non ne era certo e si avvicinò al gigante, guardò il braccio, disteso sopra la brandina, con un taglio profondo e un fazzoletto legato che bloccava l’emorragia, e notò che il viso di Jack era calmo, dormiente.

Una risatina infantile percorse il corpo dell’alchimista, un’onda di felicità che gli fece tremare le mani mentre tracciava un cerchio alchemico sul braccio, provando a non svegliare Jack, per guarire il gigante buono.

 

Jack si svegliò a notte inoltrata, controllò il suo braccio – se n’era dimenticato, preso dalla battaglia – e vide che era stato ricucito con l’alchimia. Lanciò un’occhiata alla brandina di Logan, vuota, e dedusse che lui fosse fuori, a girovagare per il campo.

Il gigante aveva fame, così si alzò dal suo giaciglio, si cambiò gli abiti, lavandosi con l’acqua della bacinella che avevano in tenda, e uscì all’aperto. Una leggera brezza rincuorava dal caldo della primavera inoltrata. Il campo era percorso da voci divertite che festeggiavano per la vittoria; Jack poteva vedere i fuochi accesi in varie parti dell’accampamento, e la zona centrale dove c’era la mensa. Si diresse lì, dove c’era un bel falò acceso, con le lingue di fiamme che solcavano il buio della notte.

Dei soldati stavano mangiando della carne, intenti a raccontarsi le loro imprese sul campo di battaglia. Jack si avvicinò e uno di loro, gentilmente, gli offrì un pezzo di arrosto, che il gigante addentò con piacere.

Dopo aver finito il loro pasto, Jack chiese se avevano visto l’alchimista Mckay, e l’uomo che gli aveva offerto la carne disse di sì, lo aveva visto allontanarsi con Frank, nella zona est dell’accampamento.

Il gigante gli fu grato e si diresse verso la direzione che l’uomo gli aveva indicato. Voleva ringraziare Logan per quello che aveva fatto.

Camminò un po’, cercando l’alchimista al falò acceso in quella zona, ma lì non si era visto e così neanche Frank. Per nulla spazientito, il gigante girò fra le tende, finché non lo sentì e si immobilizzò.

Frank stava parlando, con Logan valutò Jack, ridendo leggermente, con la tipica risata di chi ha bevuto un po’ troppo: «Lo sai... lo sai che ho notato come guardi il tuo compagno, eh, fratello alchimista?... come se fossi una donna innamorata», ridacchiava lui.

«Cosa stai cercando di insinuare?», ribatté Logan con una calma che gli era solita solo nelle questioni importanti. Quando doveva proteggere qualcosa, o assegnare dei compiti a qualcuno. Eppure la sua voce portava l’eco dell’alcol.

Jack sapeva che Logan, per essere sempre al pieno delle sue facoltà, beveva senza eccezione pochissimo, un goccio solo per rincuorarsi. Jack sapeva che Frank l’aveva fatto ubriacare apposta, riempiendogli il bicchiere fino all’orlo.

«Ma niente, niente d’importante, dolcezza. Solamente... perché quello sguardo al tuo compagno e non a me? Sono sicuro che sono mille volte meglio di quello straniero», sogghignò Frank.

Il gigante percepì Logan muoversi all’indietro, verso una tenda, e sbirciò dalla sua postazione la scena. Sentì la rabbia montare, però aspettò per vedere dove voleva andare a parare quel subdolo commilitone.

«Non fare l’idiota, io non ho nessuno sguardo con nessuno», borbottò Logan, perdendo la calma di prima.

Frank alzò un braccio e gli carezzò il volto viscidamente, afferrandogli un fianco con una mano. «Lo sai come sono viste le relazioni fra soldati, Mckay? Relazioni omosessuali che la gente altolocata e bigotta non può sopportare», sussurrò sulla pelle ambrata di Logan, il quale ebbe un fremito poco virile.

Lo sapeva benissimo, purtroppo. Non voleva del fango su se stesso e su Jack, non voleva lasciare quella vita fatta di battaglie e di alchimia.

«Chi tace acconsente. Bene, vorrà dire che per il mio silenzio pagherai in natura», sibilò mellifluo Frank, a un soffio dalla bocca di Logan. L’alchimista cercò di spingerlo via con le braccia, debole poiché il suo lavoro era tracciare cerchi alchemici e leggere libri, ma non riuscì a fermarlo. Sentì le labbra umidicce del soldato sulle sue e poi un tonfo.

Un tonfo...?

Vide Jack con il pugno ancora teso verso Frank, e quest’ultimo accovacciato a terra, sbalzato via da quel colpo.

Il gigante, buono per molti motivi, si arrabbiava difficilmente, solitamente solo per i soprusi della gente e per l’atteggiamento dei vampiri, ma adesso stava ribollendo d’ira e, con un’espressione che nessuno mai si sarebbe aspettato da lui, disse: «Credo che tu sia inciampato, troppo ubriaco, e che sia caduto sbattendo la faccia. Credo che tu sia troppo brillo per stare in piedi a quest’ora, e sarebbe meglio mettersi a letto, per la tua salute. Credo anche che tu sia abbastanza furbo da smettere di darci fastidio».

Una minaccia che risuonava nell’aria incredula di se stessa.

Frank non se lo fece ripetere due volte, si mise una mano sul punto colpito, si alzò malamente da terra e corse via nella notte.

Jack si voltò verso Logan e lo abbracciò di slancio. «Pensi che parlerà con qualcuno di questo?», domandò, calmandosi appena aspirato l’odore dell’alchimista.

Logan ridacchiò con sentimento, stringendo le braccia al suo torace. «No, ci farebbe la figura dell’idiota, dovrebbe anche spiegare perché l’hai colpito, finendo così a dover parlare delle sue tendenze, e questo non sarebbe il massimo per la sua carriera».

Jack annuì flebilmente, abbassandosi sul viso di Logan, che lo guardò con un po’ di monelleria bambinesca: «Comunque avrei potuto cavarmela da solo, eh. Sicuramente gli avrei fatto qualche alchimia, anche se... mi sento un po’ brillo e non ricordo bene le formule, e non ho nemmeno le pietre con me... ma nonostante questo, lo avrei battuto sicuramente», disse con enfasi.

«, certo, certo. La prossima volta allora porta quei dannati gessi e bloccalo, io starò a guardare con amabilità», ghignò il gigante, baciandolo con passione.

Logan si scostò dal bacio con lo sguardo acceso. «Beh, se sarò in difficoltà verrai ad aiutarmi, uomo dai muscoli di ferro». E rise giovale, carezzandogli i capelli corvini corti.

Jack lo baciò di nuovo, stringendo le ciocche dell’alchimista fra le dita, e poi sussurrò sinceramente: «Di sicuro. Avevo paura che...», e non concluse la frase.

Logan gli afferrò il viso fra le mani, squadrandolo bene nella quasi totale oscurità del campo. «So che è vergognoso dirlo, e non potrò sopportare di guardarti per i due giorni seguenti, però bando alle ciance e agli uomini d’acciaio. Io ti ho promesso il mio cuore e tu il tuo. Ognuno di noi ha la chiave dell’altro, conservata sul petto. E io, io non ti abbandonerò mai, finché vivrò tu non sarai mai solo. Nessuno ti lascerà più, nessuno ti venderà per avere qualcosa in cambio – qualunque siano le ragioni, anche le più importanti del mondo, anche se la tua vendita dovesse salvare l’Imperatore – e nessuno, ripeto, nessuno potrà liquidare i tuoi sentimenti, perché essi saranno impressi nella mia memoria. Ti giuro che non sarai mai solo. Ecco, vedi? Sono un chiacchierone di prima categoria e-».

Ma le sue parole furono bloccate da un bacio appassionato, pieno dell’anima di Jack.

 

 

L’estate era definitivamente arrivata, con le sue afose giornate insopportabili e con i raggi del sole che battevano forte. Alcuni soldati, fra cui Jack e Logan, chiesero un periodo di congedo, per riposare le propria membra. Non erano in guerra, non c’era il bisogno impellente di loro.

Logan aveva proposto a Jack di andare nella sua villa nell’entroterra, usata da suo padre di inverno. E, ovviamente, trovarono il signor Mckay nella residenza invernale, sistemato nelle proprie stanze con una malattia che lo costringeva al letto.

Era un uomo forte, autoritario; era rimasto un Colonnello, seppure fosse in pensione da già cinque anni. I capelli brizzolati avevano il taglio regolare dell’esercito, i baffi erano ordinati, lo sguardo torvo era dello stesso colore di Logan, castano scuro. La sua pelle bruna era segnata da leggere rughe.

Accolse suo figlio senza sentimento, squadrò per qualche istante Jack, studiandone compiaciuto la costituzione e i suoi muscoli, poi si lamentò di voler riposare e li cacciò via dalle proprie stanze. La cameriera che gli badava sembrava scusarsi al suo posto.

«Non è niente, ci sono abituato, signora Emily», disse Logan, facendo un sorriso leggero alla donna.

Jack non si pronunciò, seguì l’alchimista nella sua casa, si fece mostrare tutte le stanze, abbastanza semplici come arredamento poiché il signor Mckay aveva gusti spartani, ammirò la biblioteca di Logan, immensa e piena dell’odore cartaceo che Lo’ adorava tanto.

«Mi dispiace per mio padre... è sempre così brusco, è nella sua natura. Non farci caso, davvero», mormorò Logan nella penombra della biblioteca, poggiato a uno scaffale traboccante di libri.

Jack annuì. Non gli importava più di tanto e comunque l’alchimista gli aveva sempre raccontato del suo brutale padre, della sua ambizione di far diventare Logan il Generale dell’esercito, un giorno. Ricordava le parole che gridava a Logan.

 

«Diventerai come me! Ce l’abbiamo nel sangue, il comando. Ordiniamo e qualcuno al di sotto di noi svolge i suoi compiti, è sempre stato così. Un giorno capirai... devi mantenere una certa posizione, Logan! Il prestigio dei Mckay, dalla discendenza di nobili guerrieri che affrontarono i draghi! Non puoi dirmi che farai l’alchimista e che te non ti importerà niente della nostra tradizione... ascoltami, non puoi.

Non te ne andrai di casa in questo modo, non disonorerai la nostra famiglia così! Ti accoglierò in casa, ma non ti tratterò mai più come un figlio, se andrai via».

«E quando mai l’hai fatto? Io sono stato il tuo modello da plasmare e basta», aveva urlato Logan in risposta.

 

Per questo, non si aspettava nulla di nulla.

Fissò Logan, intento a leggere un suo vecchio tomo sulla geografia di Aiedail, e lo attirò a sé, scostandogli la lettura dagli occhi. Aveva voglia di riscaldarlo fino a bruciare, lui e Logan, e basta.

Di trasgredire, come aveva fatto l’alchimista da giovane, fuggendo via da quella prigione.

 

Logan, Jack e il signor Mckay mangiarono in silenzio, su una tavola lunghissima imbandita con pietanze gustose, alcune sconosciute al gigante.

«E così sei il compagno del mio erede», biascicò il signor Mckay, pallido per la fatica di sedere a tavola.

«Sissignore», rispose Jack educatamente.

Il signore fece una smorfia infastidita e guardò Logan con disprezzo. «E l’hai invitato alla nostra tavola, come se fosse un tuo amico. Senza offesa, Jack, ma le persone giuste da frequentare per Logan sono i rampolli dei nobili, per esempio Jonathan Ballantyne o Mark Nash», sbuffò brutalmente l’uomo. «Ti ho sempre ripetuto di trattare i tuoi commilitoni senza sentimento, sono dei colleghi di lavoro a cui non affezionarsi».

La mano di Logan tremò, facendo sfuggire alla forchetta un pezzo di carne. Lanciò uno sguardo verso Jack che, umilmente e bonariamente, lo guardava incerto. Sapeva cosa stava pensando, all’inadeguatezza che provava, lui dalla povertà nel sangue.

Come se contasse a formare l’animo di una persona.

«E, padre, quando mai io ho obbedito ai tuoi ordini? Di grazia, dimmelo», sputò Logan con ira e arroganza. Poi si alzò da tavola, sentenziando che non aveva più fame, e Jack lo seguì celermente.

Il signor Mckay si ritrovò solo, escluso il maggiordomo che stava ritto in un angolo della sala, e continuò a mangiare la sua carne con audacia.

 

«Quell’uomo è assurdo e odioso», sbottò Logan.

«È tuo padre, Lo’, e magari ha ragione... forse i tuoi amici... insomma, non lo so», disse Jack.

«Ed erano i tuoi genitori, quelli che ti hanno lasciato alla miniera!», sbraitò Logan, pentendosene subito dopo. Vide la faccia di Jack rabbuiarsi a quelle parole.

«Io... scusa, sono un idiota, tale padre tale figlio», mormorò l’alchimista, camminando nervosamente in tondo.

Il gigante ghignò: «Si, devo dire che anche il signor Mckay è un bell’uomo. Anzi, ha il fascino dell’uomo maturo che a te manca».

Logan gli lanciò un improperio e gli diede un pugno sulla spalla. «E, Jackie, lasciamelo dire, smettila con i complessi da gigante buono. Ti ho visto, feroce combattente, stendere Frank Irwin a terra, quella notte».

«Avevo qualcosa da difendere», borbottò Jack.

«Come sempre. E secondo mio padre dovrei trattarti con freddezza, con la glacialità che lo contraddistingue. Ma... ma come potrei farlo?», sussurrò l’alchimista. «Insomma, mi salti continuamente addosso!».

Jack ridacchiò. «Beh, se vuoi smetterò fin da ora».

Logan gli afferrò i fianchi e poggiò la testa sul petto del gigante. «Sarei ancora più idiota di mio padre, se lo desiderassi. Non finire mai, mai. Hai promesso», e la sua voce aveva improvvisamente un tocco infantile, una sincerità disarmante.

Jack lo fece poggiare al muro e lo intrappolò nel suo amore.

 

 

 

La pioggia scroscia incessante, lava via quella Piana di Fuoco come una catarsi. Il sangue ha macchiato la lava di quel luogo, scorrendo veloce dalle mani degli umani.

La guerra non è ancora terminata, ci sarà un’altra battaglia dove tutti si impegneranno al massimo. Per la vittoria e la vita.

E Logan ricorda, guardando dalla sua tenda – dalla loro  la pioggia cadere, ricorda ogni istante vissuto con Jack, ogni prezioso minuto passato ad abbracciarlo, a baciarlo, a fare l’amore con lui. Sente il sentimento traboccare nel suo corpo, denso.

Lo ama, ora più che mai. Stavolta combatterà non solo per migliorare con l’alchimia, combatterà perché lui sarà in campo e Logan proverà a difenderlo con le sue formule alchemiche. Combatterà per proteggere ciò che ha di più caro.

Quell’uomo e quell’amore e quella vita.

 

Woke up to the sound of pouring rain
Washed away a dream of
you
But nothing else could ever take you away
cause you
ll always be my dream come true
Oh my darling, I love you.

 

fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

N/A:

Scritta ascoltando a ripetizione solo ed esclusivamente I remember you degli Skid Row (di cui sono le citazioni nella shot). Sì, con la musica sono un tipo ossessivo XD.

Lo so che è enormemente lunga, ma è andata così .

La shot è ambientata nel periodo in cui Jack e Logan combattono nel Nord di Aiedail, poi si trasferiscono a casa di Logan per una breve pausa. L’ultimo pezzo, quello col tempo presente, è ambientato più o meno nell’ultima parte di Positive Blood, una scena ancora inedita ma già annunciata, per altro xD.

E sì, l’amore per me, in quella long long fic, è quello fra Jack e Logan. Capita .

 

Kò, la shore di Liz in festa u_ù

   
 
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