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Autore: Anne Elliot    30/12/2016    1 recensioni
Capita che sfiori la vita di qualcuno, ti innamori e decidi che la cosa più importante è toccarlo, viverlo,
convivere le malinconie e le inquietudini... e cosa importa se per avere tutto questo devi aspettare cinquantatré anni sette mesi e undici giorni notti comprese? (Marquez) - Una storia senza pretese per augurarvi buon anno e buon Sherlock! ^^
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cosa importa

Note autore: Salve a tutte/i!
Ricompaio dopo mesi con una storiella, nata come sempre per caso grazie anche ai video rilassanti di ASMR Rooms, che è senza alcuna pretesa di bellezza e logicità ma accompagnata dall’intento di volervi augurare buon anno.
Come sempre, a voi l’ardua sentenza.
A presto,
Anne ^^
 
 
 
Capita che sfiori la vita di qualcuno,
ti innamori
e decidi che la cosa più importante è toccarlo, viverlo,
convivere le malinconie e le inquietudini,
arrivare a riconoscersi nello sguardo dell'altro,
sentire che non ne puoi più fare a meno...
e cosa importa se per avere tutto questo devi aspettare
cinquantatré anni sette  mesi e undici giorni notti comprese?
 
Gabriel García Márquez
 
 
 
Cosa Importa
 
 
Avanzava a passo spedito, il naso nascosto dietro la sciarpa pesante e le mani infilate nelle tasche del cappotto, ma nonostante ciò sentiva il vento freddo ulularle intorno ed entrarle nelle ossa. Il lamentoso scricchiolare della neve che, ormai ghiacciata schiacciata, veniva schiacciata dai suoi stivaletti bassi era l’unico rumore percepibile. Non sapeva perché si sentisse così agitata; non era la prima volta che tornava a casa da sola dopo un turno di notte e non era la prima volta che la strada da lei percorsa fosse deserta. Tuttavia questa volta aveva la netta sensazione che qualcosa non andava. Era quasi convinta  di non essere seguita, se ne sarebbe accorta dalla neve e dal suo lamentio, ma quel vento gelido e rumoroso che rendeva il suo udito ovattato la faceva dubitare. Si fermò un’istante tendendo l’orecchio e facendo vagare lo sguardo. Al di là dell’ululare del vento proveniente da nord non si sentiva nient’altro; quella piccola via della vecchia Londra, con le vetrine dei negozi bombate, le insegne cigolanti e i lampioni dalla luce calda era completamente vuota.
Mosse un passo per proseguire, certa che non ci fosse nessun altro, quando un tonfo sordo la fece sobbalzare per lo spavento. Era solo un gatto, un povero micio alla ricerca di un posto dove poter trovare riparo. Sorrise e gli si avvicinò lentamente, una mano protesa verso di lui; il soffio minaccioso dell’animale e il suo aspetto tutt’altro che curato la convinsero a ritrarla. Con lo sguardo lo seguì saltare da un muro all’altro sino a scomparire.
Un brivido la fece rinsavire e convincendola a voltarsi per tornare sulla propria strada.
“Aiuto…”
Era stato un sussurro, quasi come se a pronunciare quella supplica fosse stato il vento.
Si voltò verso il vicolo da cui aveva sentito uscire quel richiamo. Il buio era imperante ma vide chiaramente la sagoma di un uomo, seduto con le spalle appoggiate al muro e il volto rivolto verso di lei.
“Mi aiuti, la prego.”
Fece un passo verso di lui. Vide la mano appoggiata sul ventre, le gambe scomposte ma non riusciva ancora a vederne il volto.
Fece un altro passo, gli occhi si stavano lentamente abituando a quell’oscurità e cercavano disperatamente di decifrare il volto di quell’uomo.
“Per favore…”
La voce era bassa, roca e strozzata dal dolore. Riusciva a percepire il respiro irregolare.
Era ormai vicina abbastanza da poterlo toccare. Allungò una mano verso di lui quando lo stridere dei freni di una macchina e l’apertura di una portiera stimolarono i suoi sensi.
“Molly!”
La patologa si voltò di scatto, la figura severa di Sherlock attirò le sue attenzioni.
“Sherlock, presto, c’è…”
Si voltò nuovamente verso il moribondo ma il suolo dove prima giaceva era ormai vuoto.
Sentì i passi rapidi del consulente avvicinarsi per poi percepire la sua presenza al suo fianco, gli occhi di lui scrutavano il buio senza sapere bene cosa cercare.
Molly percepì la sua tacita domanda e si riscosse.
“C’era un uomo qui. Mi ha chiesto aiuto. Era ferito.”
Il detective fece alcuni passi dentro al vicolo cieco, l’attenzione rivolta prima al suolo e poi lungo le pareti di mattonato scuro.
Si voltò e la osservò tornandole vicino con passi decisi. Lei ingoiò a vuoto.
“Ti assicuro, era qui.”
Lui annuì osservando il punto da lei indicato. La neve non era uniforme e il fango era intriso di una innaturale colorazione rossastra.
“Andiamo via.”
Molly avrebbe voluto obbiettare ma capì dalla mano che lui aveva posato sulla sua schiena che non era il caso.
Entrarono nella berlina nera e la macchina partì.
 
Prese un respiro profondo prima di uscire dall’auto e precipitarsi dietro di lui. Non le bastarono che un paio di passi per arrivare al portone ma furono sufficienti a renderla completamente zuppa. Un ennesimo tuono le rimbombò nelle orecchie mentre era in attesa che Sherlock aprisse il portone; la neve sciolta la rendevano ancor più instabile sulle proprie gambe.
Lui spalancò il portone e lo tenne aperto facendola entrare per prima per poi seguirla e richiuderlo alle proprie spalle. Entrambi si passarono le mani fra i capelli per togliere l’acqua in eccesso per poi appendere i cappotti nell’ingresso. Mrs Hudson li avrebbe guardati con il suo miglior sguardo di disapprovazione se le avessero reso le scale una pozzanghera informe.
Fosse stato qualche anno addietro, Molly avrebbe chiesto del perché fossero a Baker Street e del perché non l’avesse fatta portare a casa ma ormai il tempo era passato e lei aveva imparato a muoversi in maniera più o meno naturale, nel mondo di Sherlcok. Seguì dunque l’uomo senza proferir parola.
 
Il suono della pioggia che batteva sulle ampie finestre e il tenue scoppiettare del camino riempirono i successivi minuti. Non appena entrata nel salotto, la donna era andata ad accendere il bollitore per poi sedersi sulla poltrona di John mentre Sherlock, dopo aver tolto la giacca e infilato la sua vestaglia blu, era tornato da lei con una coperta di pile pesante che le aveva posato sulle spalle con distaccata familiarità prima di sedersi di fronte a lei. Passarono alcuni minuti in cui entrambi si trovarono rinchiusi nei propri pensieri poi, il fischio del bollitore attirò l’attenzione della patologa che, tolta la coperta dalle spalle, si diresse in cucina. Tornata in salotto, mise la tazza di Sherlock sulla mensola del caminetto e si riaccucciò in poltrona coprendosi nuovamente; lo sguardo al camino e le labbra a soffiare sul bordo bianco della tazza.
Passarono ancora innumerevoli minuti prima che il consulente si alzasse per prendere la tazza e sorseggiarla con disattenzione.
“Era grave?”
La voce di Sherlcok era stata quasi impercettibile ed il tono non chiaramente indagatore ma Molly aveva sentito ed aveva capito. Continuò a fissare il fuoco.
“Sicuramente non aveva alcun organo interno lesionato ma la quantità di sangue persa era considerevole.”
L’uomo annuì lievemente e schiuse le labbra per parlare quando la voce di lei infranse nuovamente il silenzio.
“Non andrò da nessuna parte. Devo lavorare.”
I muscoli della mascella dell’uomo si contrassero.
“Per quanto il tuo lavoro si svolga in un obitorio, dubito tu possa trarre alcun beneficio dal renderti parte della maggioranza della sua popolazione.”
L’accenno di un sorriso incurvò le labbra di lei ed il suo sguardo passò dal fuoco alla tazza ormai vuota.
“Sarebbe sicuramente ironico. Mi domando chi si occuperebbe dell’autopsia. Probabilmente Michael, è il più promettente fra gli specializzandi.”
Il volto impassibile dell’uomo fu attraversato da un’ombra di odio misto a terrore prima di tornare imperscrutabile. Gli occhi vitrei fissi su di lei.
“Non c’è niente di divertente, Molly.”
Il modo in cui aveva pronunciato il suo nome la fece innervosire.
“Ne sono perfettamente consapevole, Sherlock!”
Lui deglutì.
I loro occhi si sfidarono per qualche istante prima che lui cedesse posando la tazza sulla mensola e andando a sedersi sul tavolino che separava le due poltrone, lo sguardo fisso su di lei.
Molly lo ricambiò per qualche istante prima di sorridere, posare la tazza sul tavolino in legno e protendersi verso di lui. Insinuò le dita fra quelle intrecciate di lui.
“Andrà bene.”
Lui respirò pesantemente osservando le loro dita intrecciate.
“Resta”
Lei sorrise.
“Lo sai che non si può.”
Poggiò la fronte su quella di lei prima di annuire ed alzarsi aiutandola nel fare lo stesso.
Un suono proveniente dal suo telefonò segnò il via libera e la fine di quella parentesi casalinga.
La accompagnò giù per le scale fino al pianerottolo di quella casa ormai piena della sua solitudine. Lei rinfilò il capotto e un brivido le pervase la schiena al contatto con la stoffa bagnata.
Prima di aprire il portone si voltò verso di lui.
“Veramente, andrà bene.”
Lui accennò quel mezzo sorriso che rivolgeva solo e soltanto a lei.
“Non ne vale la pena.”
Molly strinse le labbra guardandolo di sottecchi prima di alzare il mento con fare deciso.
“Cosa importa se ho aspettato 7 anni 2 mesi e 27 giorni, notti comprese? Adesso, cosa importa?”
 
 
Note autore:
Vi avevo avvisati, è una storiella molto sciocca ma la voglio dedicare a voi, anzi a noi, a tutti noi che abbiamo aspettato Sherlock per anni e che ormai, a pochi giorni dalla fine di questa lunga attesa, possiamo dire: adesso, cosa importa?
Buon anno e buona nuova serie di Sherlock, nella speranza che quest’ultima ispiri tutti noi!
A presto,
Anne^^
 
 
  
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