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Autore: CottonCandyGlob    30/12/2016    1 recensioni
Questo è il surrogato di una storia d'amore. Non è esattamente un'epopea amorosa, perché tutti gli ingredienti che di solito ne infarciscono una, qui sono stati mescolati alla cieca. Risultato? Si trovano sottili tracce di assurdo e un retrogusto di ectoplasma. Tutto sommato è così che si vorrebbe raccontare le origini dei due amici tra i più inseparabili ed insaziabili dei cartoni animati.
Ma voi, al piccolo Norville, questa storia gliela raccontereste mai?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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-Qui le mie orecchie possono finalmente riposare, ah-strinse il bicchiere sull’orlo delle labbra, già incurvate in un compiaciuto sorriso.
-C-c’è così confusione lì dentro-fece lei, sospirando in modo evidentemente falso. Poi giustificò il silenzio con una lunga sorsata del liquido giallastro che le era stato versato. La gola iniziò a bruciarle come se ci fosse passato un fiume di lava: finì per tossicchiare miseramente alcune volte, prima che l’altro iniziasse a parlare.
A mano a mano che anche le sue guance parevano surriscaldarsi, Paula elaborava la situazione. Era da sola, appena dieci passi fuori da una porta finestra che si era quasi tirata in testa, appoggiata ad un muro in finti mattoni, il tutto in compagnia di un ragazzo la cui faccia dannatamente divertita le era rimasta sepolta e dimenticata per settimane. Talia, un’altra delle sue conoscenze temporanee, le aveva confidato che una situazione del genere era la tipica strategia da rimorchio dei ragazzi. E le era pure saltato in testa per un attimo, ma poi (la gioia?) si era subito spenta, perché in fondo lei era Paula Stuart, e questo le veniva ricordato spesso nelle sue giornate, specialmente le grigie.
-Dunque, non mi sbaglio, tu sei Paula Stuart, vero?
Appunto, che vi dicevo.
-Sì, in carne e ossa.
“In carne e ossa? Sul serio? Ma potresti pensare a cose più furbe, stupido cervello?”
-Scusami, non volevo beccarmi tua sorella gemella e farmi una figuraccia-rise.
-Certo che no-gli restituì la risata.
“Ma stiamo scherzando?”.
-Forse tu non ti ricordi, ma ci siamo già presentati.
-Sì, mi ricordo, mi ricordo bene. E’ stato un po’ di tempo fa, però.
“Vai così, ragazza mia!”
-Sei un amico di Tyler, vero?
-Te lo ricordi, eh?-si rabbuiò grattandosi la fronte.
-Ogni tanto mi capita di avere una buona memoria.
Colton (perché quel nome non se lo era scordato) lasciò passare due secondi in cui raschiò con le suole per terra. Stava elaborando nella sua testa come costruire un discorso decente. Ma il tempo fu così lungo, che la ragazza riuscì a preoccuparsi delle sue vere intenzioni (più che altro conversazioni) e scolò l’intero bicchiere rimastole in mano. Non sentì neanche bruciare, tutta presa in quel “Scusami, devo tornare dentro”.
Lui cadde subito nel tranello, capì volesse rientrare per riempirsi da bere, e prontamente le sporse il suo.
-Tieni.
-No, tranquillo, faccio da me.
Gli occhi di Paula, delusi della scusa fallita, continuavano a vedere il bicchiere teso in avanti che fluttuava desideroso di essere preso.
-No, davvero faccio da me-stava per voltarsi.
-Beh, allora me lo tieni solo per un attimo, se non ti dispiace?-sogghignò, consegnandoglielo.
Era caldissimo, come se fosse stato sul fuoco. Certo, era pur sempre piena estate, però era inevitabile che Paula si mettese a confrontare i due bicchieri. Quello del ragazzo che le stava di fronte era decisamente caldo, d’altronde le sue mani erano più grandi delle sue, dei suoi pugni piccoli. Ma magari c’era dietro anche il fatto che in materia di drink lui ne capisse e lo tenesse in mano con una confidenza e quasi un affetto tale da entrarne in simbiosi. Fissò il ridicolo modo che le proprie dita avevano di sorreggere il bicchiere, tutte ammucchiate sul fondo, pericolosamente indicate per farlo schiantare a terra.
Corresse il suo errore spostando lo sguardo su Colton, che nel frattempo era riuscito a tirare fuori una sigaretta e a tenersela fra i denti.
-Prendi.
-No, grazie tante, non sono una tipa da sigarette.
-Immaginavo fossi la tipa da sigari-disse a denti stretti, facendo scattare l’accendino.
-No, no, io non fumo proprio.
-Lo so, stavo scherzando-la guardò.
Paula percepì una sorta di pietà nella sua voce, quella a cui era abituata dopo una dimostrazione di stupidità e zero senso dell’umorismo. Era confortante sapere che in quel momento rimaneva la solita ragazza verso cui portare pazienza nelle conversazioni, confortante sapere che non stesse facendo la parte di un’altra, e che il tipo che aveva di fronte conoscesse la compassione.
-Boh, neanche io fumavo, mesi fa. Ma sai, per stare in compagnia…
-Già, si fa di tutto…
-Sicura di non volerne una?-gliele sporse di nuovo.
Era perché non sapeva adeguarsi? Tutto qui il mistero dei pochi amici? No, c’era di mezzo anche una buona dose di iella per inventare infiniti modi di farli fuggire in capo al mondo dopo pochi giorni. Avrebbe fatto di tutto per un po’ di compagnia sincera, e quell’astuccio argentato all’altezza del suo gomito iniziava a tentarla parecchio. La incantava quasi il pensiero di scivolare via da quella situazione in una nuvoletta bianca del fumo che lasciava lentamente le labbra di Colton. Però si accorse del suo respiro, affannato ma limpido nel suo scorrere, e quello vinse i nervi tesi. No, non avrebbe ceduto. C’erano altri modi per avere compagnia, e lei lo sapeva, perché ne aveva provata un’intera collezione.
-Davvero, sei gentile, no grazie.
-Ah, se avessi risposto così mesi fa al mio amico, ora non avrei questo ingombro da portarmi sempre in tasca.
-Io non ho neanche le tasche!
Wow, stava seriamente cercando di essere simpatica? Almeno lui le aveva sorriso.
-Visto che non posso tenerti con una sigaretta, rimarresti lo stesso qualche minuto qui con me?
-Direi proprio di non essere occupata al momento. Diciamo per tutta la sera.
Diamine, quella poteva essere la frase più equivoca dell’universo, se non si fosse trattato di lei. Nel frangente in cui noi potremmo ragionare sulle mille aspettative che un ragazzo può ottenere da una risposta simile, Colton non se le sognò nemmeno, ma superò Paula e si sporse dall’angolo della casa.
-Sei gentile a darmi tutta la serata, ma dubito che ce ne staremo tranquilli neanche per cinque minuti, qui.
-Che c’è?
-Non è un posto isolato, arriverà qualcuno, qui, stanne certa. Vieni!-la tirò per un braccio.
Lei emise un urletto silenzioso che andò perso nel buio tra il frusciare della siepe dietro cui andarono a finire. Erano piombati in un punto indistinto del giardino, si scorgeva di lontano un lastricato di pietre sagomate, bagnate da una recente lavata. Anche le scarpe di Paula erano recentemente bagnate dal prato, ma era estate, e non c’era neanche da temere un’influenza, anzi, l’acqua che le aveva inumidito le calze dava ancor più secchezza alle dita di Colton, sempre a presa salda poco sopra il suo polso.
-Arrivava qualcuno?
-No, ma ora spero di aver tempo per parlarti…anche se, non siamo abbastanza lontani dal portico.
-Ma non c’è nessuno, tranquillo.
Non mi rimane ancora molto chiaro come la diffidenza di Paula si era trasformata in complicità. Il passaggio fu così veloce che penso nessuno dei due se ne accorse. Per uno era normale che una ragazza gli desse retta e per l’altra era normale sfruttare una passeggera simpatia rivoltale da qualcuno.
-Non c’è nessuno, lo so. C’è che non mi piace quel posto. Ad una festa Tyler una volta mi ha pizzicato con la sua ragazza e mi ha fatto le feste.
-Oh, ma io non sono…
-…la sua ragazza, so anche questo, non ti preoccupare.
-E allora perché…
Colton le fece segno di abbassare la voce. Tipico, era un suo vizio parlare ai quattro venti, quando era sotto stress.
-A dire il vero non sapevo neanche fossi una cameriera, all’inizio-rise-ma sai, questo Tyler non l’ha mai saputo. Tutto quello che lui sa e che ha sempre saputo è che io credo che tu sia la sua ragazza. Per cui sai com’è, pizzicarmi un’altra volta con una ragazza che in teoria dovrebbe essere sua, sarebbe l’ennesima mia scorrettezza nei suoi confronti, e mi dispiacerebbe…poi lui si arrabbierebbe comunque, sai com’è fatto, anche se potrei difendermi con la storia che lui ti ha lasciata.
Abbassò lentamente gli occhi. Silenzio.
-Forse ora è un po’ tardi per chiederti scusa per quel giorno, sai, quello del ristorante e tutto il resto.
-Oh, non fa nulla, sono passati mesi ormai-scandì con una gran voglia di fare la magnanima.
-Sì, suppongo sia tardi in quel senso, ma…beh, non credevo potessi trovare il modo di evitare l’argomento da dieci minuti che ci parliamo. Prima o poi questo momento doveva arrivare, non credi?
Annuì.
-Il bello è che ora non so proprio cosa fare per difendermi al momento, non posso fare altro che scusarmi semplicemente.
-Davvero, fa nulla.
-Nessun rancore?-le tese la mano.
Aveva rifiutato un bicchiere e una sigaretta, cose totalmente inutili per lei, cose che potevano scivolarle maldestramente per terra. Non ci pensò nemmeno un minuto di evitare quella stretta, anche se nel momento esatto del contatto le venne un flashback sulla mano che aveva offerto a Tyler quel maledetto giorno. Era la solita scema, la scioglievano con nulla, vendeva fiducia a chiunque capitasse.
-Nessuno-gli sorrise.
-Bene, direi che la macchina è salva-si disse fra sé.
-La macchina?
-Scusa, sono stato messo in guardia su di te a proposito della macchina con cui a volte giro…il proprietario era un po’ spaventato.
-Quella nera?
Colton sbarrò gli occhi-Sai qual è?
-Certo, l’ho vista di recente-fece lei imbarazzata.
-Ed era…intera, giusto?
-Intera? La preferiresti senza qualche pezzo?-scherzò.
-No, no, è perfetta così!-portò le mani avanti- Chi hai visto con quella macchina?
-Te…tempo fa, è stato persin prima del ristorante. Chi altri, scusa?
-Pensavo.
Colton piroettò su sé stesso e sbirciò al lato della siepe.
-Nessuno in zona-e tirò fuori daccapo l’astuccio metallico.
-Non potrebbero chiamare i pompieri se vedessero una siepe che fa fumo?-obiettò Paula.
Lui si bloccò-Ehi, che è, cominci già a farmi da coscienza?
Paula era lì lì per scuotere la testa.
-Nah, va bene, hai ragione tu. Meglio andare a prendere qualcosa da mettere sotto i denti. Ho bisogno di forze per parlarti di due cose importanti… vado e torno.
Paula elaborò qualche pellicola mentale mentre lui era via. C’era la possibilità che un giorno si pentisse di non essere fuggita da quella siepe prima di combinare un disastro. Oppure, avesse deciso così, avrebbe preferito starsene lì ad ascoltarlo piuttosto che trovarselo ad aspettarla davanti a casa ogni giorno. E se la cosa era solo uno scherzo? Un’altra scommessa a cui era stata tenuta all’oscuro?
Purtroppo c’era sempre il “fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio”. Perché allora lei sceglieva il bene e non il meglio?
Colton tornò e se la trovò rannicchiata per terra che si teneva in equilibrio per non toccare la terra bagnata.
-Rieccomi, ho trovato coda al tavolo-le sventolò due fagotti rossi con spesse righe bianche ricamate sopra.
Lei si alzò in piedi massaggiandosi le ginocchia.
-Scusa se non ho portato tavolo e sedie, ma sarei stato leggermente visibile. Purtroppo non ho nemmeno il quarto braccio e ho dovuto lasciare il mio bicchiere di là.-e porse invece una brocca riempita fino a metà di quella che sembrava, e fortunatamente era, acqua naturale.
-Usiamo il mio.
-Ah-sorrise morbido-allora non ti fa schifo bere dallo stesso bicchiere! Ti ho giudicata male prima…va bene, mi fiderò del tuo bicchiere. Dai, apri, qui ci sono due sandwich.
-Carino, questo pacchetto-commentò lei, convinta, fino ad un attimo prima, che quella roba fosse solo per lui.
-Non essere troppo buona, questo servizio è pessimo, non fingere!
-Che?-fece lei a bocca piena.
-Sto porgendo un orribile pacchetto ad una cameriera professionista. Questa cosa mi mette terribilmente in imbarazzo-girò gli occhi.
-Se ti può confortare, sono già due le volte che servo una zuppa senza piatto-rise lei.
-Ah sì?-corrugò la fronte.
-Sai, il piatto resta sul vassoio e la zuppa…viene servita-tentò quasi un occhiolino.
-Bene, allora non sono poi così male-ricambiò il sorriso-Ho visto Tyler, sai? Non si è manco accorto di quello che stavo facendo, sono tutti o presi o fuori di testa là dentro.
-Già…
-Non penso si siano accorti che manchiamo.
-Non ti succede mai?-scherzò amara.
-Di solito è il contrario, non si accorgono che ci sono-rispose lui, prendendole il bicchiere di mano-il che mi porta a pensare cosa io ci faccia qui…
-Idem.
-Credevo fosse per mangiare gratis-piegò la testa.
Paula scrollò le spalle, aprendo con cautela il fagotto che aveva ricevuto in mano.
-No, dimmi, seriamente, che ci fai qui?
-Ho deciso di venire ad una festa…per una volta. Non è normale per una ragazza impossibile, però…
-Tyler e gli altri mi hanno detto che eri una cameriera e non ci ho creduto, mi hanno anche detto che sei una tipa asociale e sono a pronto a non crederci di nuovo.
-Perché non crederci?
-Perché ero convinto mi volessero fare fesso e spillarmi mille dollari. Ti ho incontrato un po’ di volte prima del ristorante, questa cosa mi sapeva di imbroglio. Sembrava mi volessero far credere che eri vera.
-Ma io sono vera-si pizzicò la guancia.
-Lo vedremo-accennò una faccia scrutatrice-Vuoi sapere cosa ci faccio io qui?
-Alla festa, o qui dietro?-azzardò, per togliersi gli ultimi dubbi.
-Non fa molta differenza. Il motivo solo e unico è che dovevo incontrarti, Paula Stuart.
Suonava strano quel verbo “dovere”, con il suo nome, più un sorriso complice e non canzonatorio.
-Non voglio che tu ti senta a disagio nel sapere questo, ma c’è una persona che ti ha tenuto d’occhio e mi ha mandato qui da te.
-Una persona? Chi?
-Vorrei essere sicuro di potermi fidare di te.
Curioso, un momento prima era lei ad avere problemi sulla fiducia.
-Sì, certo, purchè tu non mi faccia firmare nulla sulla carta- tossì lei-mi mette ansia.
-Nessuna carta, mi basta la tua parola. Questa persona ritiene sia abbastanza.
-Allora certamente.
Colton deglutì l’ultimo boccone e le puntò un dito contro.
-Sono amico di Tyler Philips dalle scuole medie, e nonostante l’abbia perso di vista dopo che si è fatto bocciare al primo anno di liceo, sono sempre rimasto uno a cui lui ha rivelato tutti i segreti più intimi. Poi è successo il casino con la sua ragazza e per quel tiro Tyler me l’ha mandata brutta per parecchio tempo. Quella persona che ti dicevo è entrata nella mia vita proprio quando c’è stato questo disastro. Abbiamo deciso che avrei dovuto recuperare il rapporto con Tyler per ritornare ad essere suo amico. Ho deciso di dargli retta.
-Gli? Un uomo? Chi è?
-Si chiama Samuel Chastain-abbozzò uno sguardo misterioso-non è una persona molto aperta di solito, ma direi che modestamente ha fiuto per le persone giuste. Mi ha scelto affinchè mi riprendessi il mio vecchio posto, quello di Dirk, ma purtroppo ormai pare impossibile. Ha deciso così di coinvolgere anche te.
-Me? Ma di cosa si occupa questo…signore?
-E’ un poliziotto, sottocopertura.
-Un poliziotto? Lo sai che i poliziotti…
Si bloccò. Aveva promesso di non fiatare. Così era la fiducia di Minta che andava in fumo. Ci mancava soltanto che qualcos’altro di Minta finisse in cenere. Ma la persona che le stava davanti era ben informata.
-Se ci fosse vera legge, qui, la polizia si chiuderebbe in carcere da sola…Samuel la pensa così.
-E cosa ci fa un poliziotto con te…e con me?
-Non l’hai capito?
Scosse la testa.
-Vuole le persone il più vicine possibili a Tyler Philips, ai Philips, insomma. Vuole dei complici.
-Dei complici per cosa?
-Per distruggere Tyler e tutta la sua famiglia! Tutti quegli sporchi soldi strappati alla gente, capisci?-aveva alzato la mano come un generale in battaglia.
-M-ma io non sono la sua ragazza!
-Infatti sono io ad occuparmi di lei-sorrise malizioso-ma non ci ha dato molte informazioni. Per questo ha deciso che ci serve sì una ragazza, ma che ci faccia da complice. E ci sei capitata tu fra le mani.
-Io? Una ragazza qualunque?
-Tu, già, la ragazza qualunque il cui padre era amico di Vynil Philips, tu, la cameriera che lavorava in un ristorante sfrattato da quella gente. Tu, che l’hai convinto di essere la ragazza più ingenua e stupida di questo universo e nonostante tutto gli hai piantato un mestolo nel fianco! Tu che sei nella casa dove i Philips brucerebbero all’Inferno giorno e notte e dove tutti quelli che vanno e vengono si possono lamentare senza che nessuno vada a fare la spia!
Rimase immobile: non aveva mai pensato a quei “tu” che c’erano nella sua persona. Non spuntavano mai nell’elenco.
-Tu sei la miglior complice sottocopertura che lui può avere, perché tu stessa sei la tua copertura!
-M-ma io, cosa dovrei fare?
-Devi aiutarci, Paula, aiutarci a trovare uno straccio di prova che possa incastrarli. Trovare un errore che hanno fatto prima che lo cancellino. E so che tu conosci tanta gente che è finita sotto di loro. Scommetto che è nelle cose semplici che hanno nascosto le prove. Devi aiutarci, non posso trovare nessun altro.
“Nessun altro”. Non stavano giocando a palla pazza e lei era l’ultima scelta. No, lei era l’unica e sola scelta. Contro i Philips? Suo padre ne sarebbe stato orgoglioso.
Paula gonfiò i polmoni-Quando si comincia?
Colton le sorrise con gli occhi sgranati-Ci stai?
-Se ne avete bisogno, penserei di accettare.
-Vorrei esserne totalmente felice, ma devo ricordarti che potrebbe essere molto pericoloso. Non so se arrivino all’estremo, ma i Philips non scherzano, uno sbaglio e siamo spacciati.
-Ma Samuel Chastain è un poliziotto, ci può proteggere, no?
-Preferisco non contarci troppo. Saremmo noi due gli unici a pagarla. Ma, riguardo a questo, abbiamo deciso che tu devi essere il meno esposta possibile, perciò se vorrai parlare con Samuel dovrai scrivergli una lettera che io consegnerò a lui, e viceversa.
-Non c’è molto da fidarsi, però. Insomma, come faccio a sapere che lui esiste davvero?
-Solo dopo averci lavorato per un po’, fidati, te ne accorgerai.
-E quindi lui come lavorerebbe?-fece lei dubbiosa.
-Che so, mi dice che “va a caccia” e poi lascia il grosso a me.
Colton abbassò lo sguardo sull’ultimo sandwich rimasto.
-Beh, adesso ce lo dovremmo dividere, questo grosso.
-Non se ne accorgeranno subito che nascondiamo qualcosa? Insomma, ci dovremmo inviare anche noi delle lettere?
-Gironzoleremo per Borderlake, io lì non sono molto conosciuto. Torno a malapena qui a Southbay. E poi ormai Samuel mi ha addestrato bene, signorina.
-Ho paura di non…
Un tonfo le evitò di finire la frase.
I due ragazzi, ancora infervorati da una conversazione che per loro pareva reggere il destino del mondo, si piegarono all’angolo della siepe l’una alle spalle dell’altro. Per terra, nel prato, era arrivata una scarpa rossa di vernice con il tacco ormai sporco di parecchi fili d’erba bagnata. Delle voci, dal lato della casa, parevano in qualche modo reclamarla.
-Diamine, proprio qui? Razza di ubriachi! Non sono nemmeno le undici!-sussurrò Colton.-Ok, non abbiamo neanche il tempo per un brindisi…
-Veramente non abbiamo neanche un bicchiere-aggiunse lei, mentre vedeva che il ragazzo si contorceva affannato dentro la camicia.
-Prendi, leggi e distruggila quando hai finito-le sorrise-ma fai che riciclare la busta se ti riesce.
Paula strinse con la punta delle dita la strana busta consumata. Non era un genio, ma capì di chi poteva essere.
-Sempre che tu sia sicura di volerla-cercò i suoi occhi.
-Penso di volerla-contenne tutta la sua avida curiosità.
-Bene, allora quando sarà il momento, ci rivedremo. E’ stato un piacere rivederti- e indietreggiò con un saluto militare.
Lei scosse per qualche secondo la mano, ritirandosi non appena una spettinata, furiosa e zoppicante Valerie Grant comparve nella sua visuale.
-Stupidi idioti! La prossima volta la scarpa ve la ficco io…argh, ma quest’erba è un lago! Dio che…Collie? Che ci fai qui?
Sentì arrivare fra le foglie una voce un po’ più brilla di quella con cui aveva discusso fino a un attimo prima.
-C’era coda, Val, ai bagni…sai…
-Ah, voi uomini! Aiutami a mettermi la scarpa!
-Certo…ecco qui, Cenerentola.
Quando la via fu pulita, Paula sgattaiolò fuori da quell’angolo segreto per ributtarsi nella mischia. Aveva seguito l’esempio di Colton, si era ficcata la busta sotto il vestito, e si era fatta dare un’ispirazione sul come trascorrere il resto della serata, prima che a mezzanotte suo fratello le desse un passaggio a casa.
Cara signorina Paula Stuart,
è evidente che questa lettera è finita nelle sue mani perché, con metodi sicuramente molto grossolani, il mio amico Colton le ha spiegato quale sia il mio intento sia l’uso del suo e del vostro aiuto. Se sta leggendo questo messaggio è perché lei ha accettato di partecipare a questa missione. La gente del mio distretto ne sarebbe molto orgogliosa, come pure tutta la cittadinanza. Ma lei non mi pare avida di applausi per impegnarsi a fondo in questa faccenda, forse è proprio per questo che è la persona più indicata ad assisterci. C’era bisogno di un tocco femminile a questo gruppo.
Un giorno me ne sono arrivato a Borderlake e ho scoperto che una signorina era riuscita ad accalappiare Tyler Philips, e, ancor più importante, suo padre conosceva il signor Philips come le sue tasche. Poi sono venuto a sapere che questo non era altro che un effetto di una banale scommessa di un certo ragazzo per riconquistarsi una fiducia persa. Capirà che io vi dovevo avere nella mia squadra, in un modo o nell’altro. Sarete la mia squadra d’ora in poi, farete la differenza in questa storia.
Le farò sapere tramite il nostro socio quando avrò bisogno di lei. Per ora la invito a non preoccuparsi per la sua sicurezza, perché finchè terrà il segreto, nessuno potrà toccarla. Le chiedo scusa, a questo proposito, se non potrò esserle visibile, ma di questo io e Colton abbiamo discusso abbastanza. E’ meglio per lei.
Spero che Colton sia scusato con lei per l’incidente sfortunato in cui vi siete conosciuti: non voglio sia motivo di problemi fra voi. Ripeto le scuse anche da parte sua, assicurandole che un trattamento così non le doveva essere riservato.
Le auguro una buona serata.
A presto,
Samuel Chastain
P.s. La prego di distruggere questa lettera e di conservarne almeno la busta, se non l’ha già gettata via.
Paula raddrizzò il collo. Aveva seguito emozionata quella grafia leggermente inclinata a sinistra, dimenticandosi di essere seduta su un gabinetto. L’avrebbe distrutta così, non vedeva modo più semplice. Bruciarla era ottimo, ma non sapeva dove trovare un accendino in quel bagno. Sola in quella stanza sentiva che il segreto era al sicuro. Non aveva neanche il dubbio di aver disubbidito a Minta.
L’orologino sul bordo del mobiletto segnava le undici e trentasette.
Ancora più di venti minuti per rileggersela una terza volta.






A.A.
Questo è il capitolo più breve che abbia mai scritto in mezzo ad una storia. Ci sta proprio a malapena il racconto di qualche ora, e una valanga di dialoghi. Però era un episodio importante e volevo metterlo un po’ isolato. Diciamo che non è una vera fanfiction di Scooby Doo se non c’è del mistero e dell’indagine. Ma la via per i fantasmi, ahimè, è ancora lunga… o forse no? Che ne dite del signor Chastain?
Al prossimo capitolo, se avrete la voglia di aspettare
CCG
  
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