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Autore: cosmopolitans xo    25/05/2009    5 recensioni
I fulmini non colpiscono uno stesso punto due volte, ma possono colpire due volte il cuore di una persona, e per ragioni diverse da quelle che qualcuno potrebbe presumere.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gabriella Montez, Troy Bolton
Note: Traduzione, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Break my heart

Break my heart

 

Genere: Oneshot (scritta a mezzanotte)

 

Disclaimer: sarei ricca se avessi questi diritti. E le persone ricche non stanno a scrivere storie al computer alle undici e mezza della notte.

 

Ambientazione: Futuro, Albuquerque.

 

A/N: Ho avuto questa impellente voglia di scrivere – ispirata da due personaggi nel più bel libro di sempre chiamato My Sister’s Keeper. Lo raccomando caldamente.

 

Nel quale troviamo

 

Due sconosciuti

 

Che pensano che l’altro ha un viso davvero familiare

 

Gabriella.

 

Il bar sta invecchiando, lo noto dalla dilapidazione di ogni dato aspetto. Io siedo ad un capo, lui all’altro. Il mio drink, un fruttato Margarita rocks con sale, è appena toccato, l’anello del rossetto pallido sul bordo. Mi fa sorridere, in un modo sfortunato, irrazionale. Il mio fantasticare ad occhi aperti è interrotto quando il barista, un uomo brizzolato sui sessanta con un viso duro e leggermente pallido, si mette a pulire il bancone con uno straccio: “Posso portarti qualcos’altro?” chiede, muovendo il braccio in cerchio con il pezzo di stoffa “Siamo quasi pronti a chiudere, con il weekend di vacanza e tutto.”

 

Stringendo il mio bicchiere tra i palmi, sorrido vacua: “Oh no, grazie. Sto bene. Potrei restare solo un po’ di più? Non penso di essere esattamente pronta per affrontare una casa vuota. Non ancora.”

 

La sua espressione ferma si addolcisce, e il barista annuisce, mi da un colpetto sulla mano: “Nessuno di noi lo è,” dice comprensivo, come se conoscesse il dolore che pulsa ogni giorno attraverso le mie vene. “Prenditi il tuo tempo, dolcezza.”

 

Mi chiedo a cosa stia pensando l’uomo all’altro capo del bar. Mi chiedo se sta anche pensando a cosa io sto pensando, come eravamo soliti fare a scuola. Il tempismo è finito, e mentre io rubo un’ennesima occhiata, la sua testa si gira e i nostri occhi si uniscono. Dannazione. Speravo di non dover più fissare quelle pozze acquamarina di blu. Ma lui mi offre un sorriso, e io faccio altrettanto. Alla fine, riesco a ritornare al mio drink intoccato, e a considerare perché, in primo luogo, ho preso qualcosa. È allora che realizzo che Troy Bolton è vicino a me, a mani vuote ed imbarazzato. Come sempre, penso.

 

“Sei diversa,” sono le sue prime parole. Mi osserva, e gentilmente lo lascio fare. La sua mano si muove per raccogliere i miei capelli, perciò l’oceano di nero cade su una spalla “Sei ancora bellissima, ma diversa.”

 

Le mie labbra si piegano in un sorriso confuso: “No, sono invecchiata un sacco.” sospiro. Le sue dita nuotano caute lungo la curva del mio braccio, e un brivido corre giù per la mia spina dorsale.

 

“Non è vero,” mi rimprovera “Sei ancora bellissima.”

 

Il barista infine ci accompagna in uno di quei modi orgogliosi e trionfanti dove lui brandisce una vecchia bottiglia di whisky mentre usciamo. Guardo sopra la mia spalla per vederlo sorridermi, e io ricambio. È bello sorridere di nuovo.

 

Fuori, è freddo. Ma io ci sono abituata, invece Troy sembra essersi dimenticato quanto gelidi sono gli inverni di Albuquerque. Rabbrividisce e stringe di più la giacca: “Non ricordo che questa città sia mai stata così… glaciale.” finisce, e io faccio spallucce nell’aria fredda.

 

“E’ così da molto tempo,” rispondo, la mia voce è così gelata che si coordina al tempo. Lui non avrebbe voluto sapere per paura che glielo dicessi io; sono stata qui per undici anni, aspettando fiduciosa che accadesse qualcosa. Lui era partito non appena ci eravamo diplomati, e io ho potuto davvero scegliere se andare con lui. Ma non l’ho fatto, perché sapevo che lui non avrebbe voluto che io partissi. Troy era una di quelle persone che avevano bisogno della libertà, perché tenerlo legato era come trattenere al suolo un uccello, spiaccicato contro il pavimento. Era uno spreco di un perfetto paio di ali.

 

“Stai bene?” chiede, forse perché ne sente il bisogno.

 

“Definisci ‘bene’.” rispondo, e lui capisce l’antifona.

 

Giriamo un angolo: “Credo che bene significhi felice, ed in salute,” dice, e soffia la corrente ghiacciata intorno a noi “Bene significa contento e… bene significa che eri okay dopo che me ne sono andato.”

 

Sta male, cosa che mi fa star male. Ciò che ci è successo non è colpa sua; è mia. Forse lui avrebbe potuto essere meno ultimatum-alista –la pressione è abbastanza da uccidere una ragazza. Ma anche se lui è stato così gentile con un solo suggerimento, so che non sarei mai stata capace di fare le valigie insieme a lui. Le cose non funzionano così. “Bene è irrilevante, allora,” decido “Bene è soggettivo, bene è narcisistico, bene è…” e tutto d’un tratto, sto piangendo tra le sue braccia, i miei pugni che gli colpiscono il petto. Essendo la buona persona che è, si prende i colpi pazientemente, benchè io possa sentire la sorpresa nel suo corpo. Non si aspettava un brusco crollo nervoso alle undici di sera sulla strada principale della sua città natale da una ragazza che gli aveva dato tutto. Non lo biasimo.

 

Alla fine la mia disfunzione femminile si riaggiusta e io faccio un passo indietro, avvertendo le lacrime ghiacciate sulle mie guance con un tocco circospetto. Troy mi guarda attentamente. Io sospiro, e lui allarga le braccia per un abbraccio. Accetto con gioia, piagnucolando di nuovo nella sua giacca prima di realizzare che lui non ha la più pallida idea del perché sono così emotiva: “E’ una storia molto lunga,” rispondo alla domanda che giace dentro di lui, che bela con il suo cuore mentre batte contro la mia fronte.

 

“Ho tempo.” esclama dolcemente, ma c’è un vuoto nella sua gola che ho paura di riconoscere in me stessa “Ho tutto il tempo del mondo per te, Gabriella.”

 

Forse, penso. Ma tuttavia, arriviamo a casa mia, che è una costruzione vuota che non può più essere chiamata casa per ragioni che ho finto non esistessero per molto, molto tempo. Quando entriamo, attizzo il fuoco e metto su del the, anche se nessuno di noi lo beve. “Sono passati quasi sei mesi dalla riunione dei dieci anni,” osserva, guardando le fiamme che lambiscono il camino di mattoni nel salotto.

 

“Non ci sono andata,” dico “Tu?” scuote la testa, e io annuisco comprensiva “Dubito che fosse una grande perdita.”

 

Sediamo in silenzio sul divano finchè il timer in cucina trilla e la teiera fischia. Mi alzo e verso ad entrambi una tazza, sgocciolandomi sulle dita un po’ di the. Impreco sottovoce e lui, sorprendentemente, mi sente. Appena ritorno, Troy mi chiede se è tutto okay. “Se parli del bruciore, allora sì,” rispondo “Ma se parli della mia vita, allora no.”

 

Il the mi brucia anche la lingua, ma lo bevo lo stesso. Troy è un po’ meno entusiasta, e gli dico che non deve preoccuparsi di essere educato. Grato, appoggia la tazza sul tavolino da caffè e fa una smorfia mentre si appoggia al sofà: “Quindi non è tutto okay.” conferma.

 

“No,” rimarco debolmente “Per niente.” lui aspetta una spiegazione “Se vai in fondo a quel corridoio, vedrai tre camere da letto, ancora decorate con carta da parati di macchine da corsa e di Barbie, e librerie più alte di noi. Ho avuto dei bambini, ad un certo punto. Annabel, Jesse e Tristan. Erano dei bravi bambini ma, ehm.” la mia voce s’incrina, e sento gli occhi pungermi di lacrime “Una notte stava piovendo forte, e Tristan stava cercando di catturare la mia attenzione. Mi sono voltata solo per un secondo…” di nuovo, le mie parole si spezzano e non posso far uscire il resto della frase. “Mio marito, Peter, amava davvero molto Jesse, e amava anche Annabel e Tristan, ma Jesse era il primogenito e l’orgoglio e la gioia di Peter. Quindi, dopo che i bambini se ne sono andati, Peter ha iniziato a lavorare più spesso e io ho smesso di lavorare. È come perdere una parte del tuo corpo. Non ci pensi mai, la loro esistenza è data per scontato. Ed improvvisamente, quando se ne sono andati, non riesci a mangiare o dormire o solo cercare di fingere che la vita migliorerà, perché sai che non lo farà, non importa quanti abbracci ricevi o quante lettere di condoglianze arrivano con la posta. Sai solo che niente sarà più come prima, e sai che è colpa tua.” il mio the s’increspa mentre le lacrime cadono nella tazza, creando una rottura nel liquido prima di dissiparsi contro la ceramica.

 

Troy.

 

Vedere questa ragazza piangere era come guardare un vecchio film di cui ti eri scordato, o ascoltare una canzone che non avevi realizzato veniva ancora trasmessa; non importa quanto sia passato, ti ricordi ancora le scene e il testo e tutto il resto. Mentre Gabriella riversa la sua storia nel mio cuore, io voglio abbracciarla, ma sarebbe inappropriato. Insomma, l’ha appena detto lei stessa. È sposata. Ha avuto dei figli, una famiglia, una vita ad un certo punto. Ha avuto tutto ciò che io ho adesso: “Brie…” provo con voce roca.

 

“Ed erano dei bambini così bravi,” si lamenta debolmente, mentre io mi chiedo se mi abbia sentito dire il suo nome “E dopo il funerale, ho capito perché ero una persona mattiniera tra tutte le persone di cattivo umore in ufficio. Ho capito perché non m’importava di fare parte di una giuria, o avere un parcheggio riservato, o tutte quelle spine nel fianco che normalmente rovinano la giornata di una persona. Avevo i miei bambini da amare. Non Peter, qualcosa successe dopo la nascita di Jesse. Ma i miei bambini erano là. E me lo sono portata via da sola.” rabbrividisce, nonostante il calore che proviene dal camino.

 

Brie, non è colpa tua,” tento, benchè stia provando ad immaginare cosa farei se mia moglie fosse in un incidente d’auto fatale come quello. Provo ad immaginare la perdita della mia bambina, Samantha, e come reagirei. Niente si avvicina alla realtà che sembra Gabriella abbia tollerato per tutto questo tempo “Quanto è passato?”

 

Lei prende un respiro: “Sono morti qualche giorno prima della riunione,” spiega “E questo è il perché non ci sono andata. Non potevo fronteggiare tutte quelle persone felici con i loro buoni matrimoni e le buone famiglie e il buon tutto.” mi guarda e si strofina la mascella “Ecco perché ho voluto sapere la definizione di ‘bene’ quando me l’hai chiesto. Alcune persone definiscono ‘bene’ come ricco, bello, alto e magro. Io definisco ‘bene’ con altre cose, ognuna delle quali io non sono.” lascia cadere qualche lacrima prima di asciugarsi il viso “Tu stai bene, allora?”

 

Io sbatto le palpebre, scostando gli occhi dalla mensola vuota sopra il fuoco. Ci dovevano essere delle foto lì prima. “Sì, sto bene,” dico, la mia voce sorpassa appena un sussurro “Lei è carina. Abbiamo una figlia. Sono a casa, a Chicago, io sono qui solo per il compleanno di mia mamma.” smettila di parlare, mi comando. Peggiorerà solo le cose.

 

Gabriella bluffa mentre sorride, e prende un altro sorso di the: “Dille che le faccio tanti auguri,” esclama “Ogni tanto la incontro al supermercato, ma è da un po’ che non la vedo.”

 

Passa mezz’ora, ed io sto cominciando a farmi prendere dal panico. Benchè vorrei disperatamente riconnettere nonostante i nostri delicati status di sfondo, mi sembra che tutto ciò che lei può fare è fissare il camino con vivo desiderio, come se sognasse che i tizzoni prendano vita sotto forma dei bambini che amava. In un certo modo, li amo anche io, anche se non li conosco, nè so che aspetto abbiano. Alla fine Gabriella mi getta uno sguardo, e avanza a carponi per stendersi sopra il mio petto, la sua piccola figura snella fragile nel mio grembo: “Va’ avanti,” sussurra nella mia maglietta “Spezzami il cuore.”

 

Un permesso. Le mi sta dando il permesso. E sebbene io so perfettamente che il risultato farà del male ad entrambi, i sentimenti prima di quel dolore sono altrimenti inaccessibili. Le mie mani raggiungono il suo mento, e io le alzo la testa così che mi fronteggia da un angolo. Le nostre labbra si incontrano, ed io mi sento di nuovo un adolescente. Lei si gira così da prendermi il viso mentre noi, ventinovenni e ancora in crescita, iniziamo qualcosa che ha un’inevitabile disastrosa fine.

 

Nel frattempo, perdo per un istante il mio senso della percezione, ed è come se il camino si sia moltiplicato, gettando fiamme pericolose tutto intorno a noi come un edificio ardente. “Brie,” dico il suo nome come se fosse una parola proibita. Mi guarda, il mio corpo sotto di lei, ed io ammiro il suo fisico dopo tutti questi anni. Sembra che si sia sciupata molto, cosa che ha fatto, e io mi prendo un momento per considerarlo “Brie, sai che questo non è… non possiamo…”

 

Lei scuote la testa ed io avverto i capelli per i quali una volta avevo una dipendenza solleticarmi il collo: “Lo so,” sospira, ma non si muove da dove è. “Ma è tutto quello che posso fare per evitare di essere un totale rottame riguardo al mio passato. Ho bisogno di una nuova ragione per piangere.” ci baciamo ancora, io accondiscendo felicemente, il suo sapore che invade la mia bocca.

 

La mia voce passa appena il sussurro: “Non posso amarti, Gabriella. Mi dispiace.” questa è una verità tecnica; questa nuova versione di me non potrebbe mai amare lei. Non dopo Chicago, e Samantha, ed undici anni. Il mio me stesso adolescente sta cercando di contrastare, sta cercando di riportare alla luce la sua tomba e ritornare in vita. Lo fermo.

 

“Non dispiacerti,” risponde lei quieta “Non devi dispiacerti.”

 

E proprio mentre questa notte è la nostra unica, proprio mentre il fuoco continua a bruciare poco lontano, proprio mentre realizzo che avrò una moglie e una bambina da cui tornare a casa e Gabriella avrà un marito che tornerà a casa da lei, non dimentico lo sguardo che mi dà prima che ci addormentiamo. Lo sguardo di pace, che io le ho dato, sebbene solo per un istante. I suoi occhi si chiudono, ed io la bacio dolcemente, cercando di darle quello che ha perso. Forse non è il mio posto portare felicità, ma non posso evitarlo intanto che mi chiedo cosa abbia fatto una donna come lei per meritarsi qualcosa come la morte dei suoi cari.

 

Dopo un minuto o due, è ancora sveglia, e muove il dito lungo il mio stomaco: “Il secondo nome di Jesse,” mi mormora nell’orecchio “è Troy.”

 

“Il secondo nome di Samantha è Gabriella,” borbotto, i nostri corpi si muovono per aggiustarsi sopra il tappeto su cui ci stiamo stesi per qualche ora “Che mondo piccolo.”

 

“Non abbastanza piccolo,” esclama lei “Ma piccolo abbastanza perché per una volta mi abbiano dato più spazio, e tu sei stato mandato da me, come un angelo.” le sue labbra contro la mia guancia, posso sentirla sorridere “La madre di tre angeli non può ringraziarti abbastanza per averle reso giustizia e, davvero, avermi spezzato il cuore.”

 

 

 

 

 

A/N: E’ una fanfic strana, lo so. Depressiva e strana. Ma Gabriella, ho deciso, aveva bisogno di qualcuno che la tirasse fuori dalla depressione per un nuovo motivo di miseria. Lei ha provato la felicità, che non funziona, quindi sa che un’altra causa di tristezza forse può aiutarla a ricominciare. Ha un senso? Lo spero. –love- Desireé

 

  
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