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Autore: Amantea    31/12/2016    14 recensioni
Un ultimo dell'anno ... il mio modo (l'unico che conosco) per farvi gli auguri.
"[...] Le fece scivolare addosso un’occhiata leggera, e impercettibile.
Si era tolta la mantella e si era seduta sul bordo del letto, abbastanza vicino al fuoco, gli stivali che sfioravano il pavimento di legno povero e consumato.
- Quand’eravamo piccoli ti piaceva festeggiare -, mormorò con un largo sorriso.
Anche Oscar sorrise, la bocca che spariva oltre il bordo della tazza, a lasciare scoperti solo gli occhi, fulgidi, in uno sguardo stretto e caldo.[...]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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QUEL MOMENTO PERFETTO

 
 
 

- Tornerà.
Oscar si voltò di scatto. André era in piedi dietro di lei, e sembrava guardare distrattamente il cielo bianco di luna e di nuvole dense, immobili, come il paesaggio raggelato che Oscar, fino ad un attimo prima, stava scrutando dalla grande finestra rettangolare del salottino in cui erano entrati per controllare se fuori avesse iniziato a nevicare.
- Non so di cosa stai parlando André.
Gli occhi tornarono sulle ombre lunghe e immobili degli alberi del giardino, sulle creste regolari dei cespugli, e i viottoli di minuscoli sassolini bianchi che di giorno crepitavano sotto ai tacchetti instabili delle dame di corte, e adesso sembravano riposare, accosti, e disuniti a tratti, là dove ancora s’intuiva l’impronta dei passi pigri dei nobili di Versailles.
- Il Conte. Tornerà.
La voce di André era morbida come di consueto. Lievemente ammiccante. Celava e tratteneva frasi che non poteva permettersi di pronunciare, nonostante la confidenza che i due mantenevano viva da anni. Oscar su quell’argomento era impenetrabile. Ma la sua fermezza poco credibile. Almeno all’occhio di chi le era a fianco da una vita.
- E’ trascorso un altro intero anno André…
Sì. Un altro intero anno di guerra in America, e del Conte di Fersen erano giunte solo poche frammentarie notizie. Un altro intero anno, e la guerra, che dopo pochi mesi già sembrava interminabile, non accennava proprio a concludersi.
- E stasera sono tutti a festeggiare il capodanno Oscar. Mi dici che ci facciamo qui, io e te? Le loro Maestà sono all’Opéra. La Guardia Reale stanotte è agli ordini di Girodel. Il palazzo è tranquillo, e finora non abbiamo fatto altro che attraversare corridoi e sale semivuote. E per di più si gela.
Oscar smorzò una risata, velando il vetro di un vapore opaco che si dissolse in fretta senza lasciare traccia.
- Lo so che stai pensando alla cena che la nonna ha preparato e che tu non mangerai. Ma proprio nelle serate come questa è meglio controllare e assicurarsi che tutto sia tranquillo. Vieni, continuiamo il giro d’ispezione André.
- Non so perché, ma ho la sensazione che tu non volessi proprio festeggiare questa sera…
 
- Sei soddisfatta adesso?
Andrè si strofinò le mani sulle maniche, ristorandosi di quel calore che durava giusto il tempo dell’attrito sulla stoffa.
Oscar aveva controllato anche l’ultima sala dell’ala ovest del palazzo. Pochi servitori, soprattutto cameriere affaccendate negli ultimi preparativi, alcune guardie, coppie di nobili che si preparavano ad uscire. Una serata tranquilla, molto più di altre.
- Credi che nevicherà, André?
Di nuovo quel tono un poco accorato. Tanto che André lì per lì non seppe bene se Oscar si riferisse all’America, o a Parigi.
- Credo che dovremo scaldarci davanti al fuoco con una cioccolata calda. Perché io sto congelando, e non farmi credere che tu freddo non ne hai, perché stai tremando.
Tremava. Veramente. Un tremito lieve, che dal contorno del viso smoriva nelle ciocche accoste alle tempie, e poi riecheggiava fino all’uniforme.
Tremava. E’ forse il cuore che si abitua a stare solo, e quando poi s’accresce e si infiamma cambia ritmo, e perde memoria del battito consueto.
Era in ansia per il Conte.
Difficile accettarlo.
La verità era che i festeggiamenti la infastidivano. Che avrebbe voluto trascorrere quella serata da sola, lontano da tutti, e non aveva trovato niente di meglio da fare che lavorare fino a tarda notte in un luogo pressoché deserto. Ma André aveva ragione, come sempre.
- Va bene, andiamo a casa. Non facciamoci vedere da nessuno, però.
 
André aveva sistemato i cavalli nella stalla, coprendoli, rapido, e poi erano passati dal retro, cercando di non farsi scorgere da nessuno, i passi veloci sulla terra secca e dura, e i baveri dei mantelli raggrumati fin sulle orecchie.
La notte era ferma e gelida come un cristallo.
Dalla sala dabbasso provenivano luccichii di luci e voci, e tintinnii di vetri e porcellane.
Oscar e André passarono chini sotto alle vetrate e poi veloci verso la porticina nascosta dal groviglio di tralci e radici del vecchio rampicante d’inverno raggrinzito in rametti secchi e aguzzi, quanto splendido di foglie e petali in primavera.
S’intesero senza parlare.
 
 
Quando André entrò nella sua stanza, aveva in mano un vassoio con due tazze fumanti. La vide con ancora indosso il mantello, che cercava di ravvivare il camino.
- Fai fare a me, Oscar. Prenditi la cioccolata intanto.
- Oh grazie, André.
Si alzò, sorrise. In fondo, con lui era sempre la stessa. Erano cambiati dentro, ciascuno a suo modo, per non cambiare affatto. Come uno specchio che via via riflette la tua immagine che muta, ma resti ancora te stesso, così Oscar e André erano cresciuti insieme e ancora si rispecchiavano l’uno nell’altra. Forse André intuiva le tempeste dell’amica, perché nel suo, di cuore, quelle tempeste erano iniziate molto tempo addietro, e sapeva riconoscerle. Sapeva che arrivavano senza preavviso, e poco poteva la ragione. Che i sentimenti puoi imbrigliarli, ma non comandarli. Forse domarli, ma solo con immane e dolorosa saggezza, e lui, ancora, non ne aveva sperimentata abbastanza. C’era passato attraverso, cercando di restare indenne, semplicemente perché non poteva fare altrimenti. Amava Oscar. Con una tale purezza e intensità che non avrebbe saputo dire quando tutto era cominciato. Forse la amava da sempre. Forse addirittura da un tempo infinito. E in lei riconosceva il tormento che dà l’innamoramento. L’ansia di non essere corrisposti.
Dio, avrebbe fatto di tutto per non farla soffrire del suo pari dolore! Per convincerla che il Conte non era l’uomo giusto per lei… che era l’uomo di un’altra donna, e non avrebbe mai potuto amarla, se non come seconda scelta o ripiego o peggio… Ma non avrebbe mai potuto affrontare quel genere di discorsi… non con Oscar.
Le fece scivolare addosso un’occhiata leggera, e impercettibile.
Si era tolta la mantella e si era seduta sul bordo del letto, abbastanza vicino al fuoco, gli stivali che sfioravano il pavimento di legno povero e consumato.
- Quand’eravamo piccoli ti piaceva festeggiare -, mormorò con un largo sorriso.
Anche Oscar sorrise, la bocca che spariva oltre il bordo della tazza, a lasciare scoperti solo gli occhi, fulgidi, in uno sguardo stretto e caldo.
- Rubavamo qualche mandorla e noce dalla dispensa, qualche biscotto secco, e poi di corsa qui in camera mia, e mentre i grandi brindavano, noi davanti al fuoco, a raccontare storie. E poi più grandicelli, a guardare dalle finestre i mezzadri e le paesane che nel campo bruciavano il fantoccio dell’anno vecchio, movendo qualche passo di danza.
- Sì… E quel falò mi spaventava proprio… sembravano streghe intorno a qualche pentolone!
Rise Oscar scuotendo la testa.
- Già. Era solo un rito. Tutti si augurano che l’anno nuovo sia migliore. Che porti un miglior raccolto, che porti salute, e figli sani e forti.
André rimestò col ferro i ceppi arroventati, e la fiamma si ravvivò non poco.
- E tu… cosa ti auguri André?
André si sollevò dal pavimento, sedendo accanto a lei.
- Che la Francia viva un tempo migliore di questo -, disse semplicemente.
Avrebbe voluto aggiungere “ e che tu sia un po’ felice Oscar”, ma non ne ebbe la sfrontatezza. Allora trasse dalla tasca una manciata di mandorle, porgendole il palmo colmo di gusci.
Li scrocchiarono in silenzio, gustando il frutto croccante, il fuoco che scaldava la stanza, seduti uno accanto all’altro, gli occhi tra le dita e le scintille, il cuore che si placava un poco, finalmente a casa.
 
Dischiuse gli occhi al giorno.
La stanza in penombra, la cenere ancora addormentata tra la brace, e un tepore vivo adeso al suo corpo.
Come chi passa dal sogno alla coscienza di aver sognato, si accorse lentamente, come una luce che scivola e man mano illumina al suo passaggio, che André dormiva ancora, stretto a lei.
Sentì la mano intrecciata alla sua, e stretta al petto. Il torace che le premeva sulle spalle e la schiena, e poi una gamba, tra le sue, a sfiorarsi fino ai piedi. Lasciò che quel calore la raggiungesse ancora, quasi senza respirare.
Che quel momento perfetto durasse ancora un poco.
Perché quello sentiva.
Una felicità rotonda, giusta, irripetibile.
Un attimo immobile, che si imprimeva nella mente.
Ricordava di essersi forse addormentata, mentre André ravvivava ancora il fuoco. Di non essere tornata nella propria stanza, troppo gelida, e troppo tarda l’ora ormai. Di aver sentito la coperta scivolare sopra di lei fino alle spalle, e di tremare ancora, contro il lenzuolo freddo e quasi umido. E dopo un tempo che non avrebbe saputo dire, di aver sentito qualcosa che l’avvolgeva, che si incastrava, che respirava contro i suoi capelli. Di aver provato una pace immensa, come da bambina. Di non aver avuto la forza di dire nulla, mezza immersa nel sonno, protetta da quel gesto che si insinuava tra le sue dita, custodendola.
 
Sentì che il respiro dietro di lei cambiava, quasi trattenuto. Che il corpo non si muoveva, quasi aspettando da lei un cenno, o una reazione, lievemente teso.
Ma Oscar non si mosse. Non c’era ancora molta luce.
Una volta tornati al giorno, non ne avrebbero parlato. Si sarebbero salutati e preparati come nulla fosse. Si sarebbero forse augurati buon anno, e sarebbero andati alacremente a lavoro a Versailles. Come ogni giorno.
E allora è dunque lì… proprio lì, che si insinua la felicità. Nelle crepe del quotidiano, negli interstizi affamati dell’anima. E quando filtra, e perfonde, va lasciata scorrere e fluire.
Perché certi momenti possono non tornare.
Oscar richiuse gli occhi.
Sentì il respiro tornare regolare e lieve, come un soffio caldo d’estate, tra fili d’erba rinnovati di verde e rugiada.
Quello era il suo momento perfetto… L’America non le era mai parsa così lontana.
 
 
 

 
 
 
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La storia non si colloca in un anno preciso. Non mi soffermo sui particolari o la ricostruzione storica accurata del periodo e dei luoghi (facciamo volare la fantasia, lasciate che le descrizioni vi si dipingano nella mente creando luoghi e paesaggi e personaggi), quindi non so (francamente) se il Capodanno veniva festeggiato… se volete, assieme a me, “facciamo finta che…” lo fosse.
 
Grazie a chi dedicherà del tempo alla mia storia, grazie a chi vorrà condividere con me il suo pensiero. Grazie alle lettrici che già mi conoscono e mi seguono, grazie alle amiche, e grazie a chi non ho ancora avuto il piacere di salutare, ma passerà di qua.

 

Finisce anche quest’anno, ne inizia uno nuovo.
 
Che l’anno nuovo vi porti la coscienza di quanto valete, il coraggio di essere voi stessi, e la consapevolezza di essere sempre e solo pura luce.
Amantea
 
 
 
   
 
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