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Autore: MC_Gramma    31/12/2016    1 recensioni
Ebbene sì, non ho saputo resistere al cliché della perdita di memoria ^^
Per la seconda volta nella vita Marley è vittima di una sparatoria, questo la riporta indietro fino alla (mia versione rivisitata della) 4x18 e si ritrova così catapultata sette anni avanti in un futuro molto diverso da quello che immaginava per sé al liceo.
-.-.-
Ho ripreso gli aggiornamenti. Stay tuned!
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Hunter Clarington, Jake Puckerman, Marley Rose, Santana Lopez, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt, Finn/Rachel, Quinn/Rachel
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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A/N: Sì, sono tornata. No, non intendo scusarmi.


Quasi si aspettava, aprendo quella scatola, di udire dei campanelli ed essere investita da profumi esotici. Ma la vita non è un film. Armeggiò a lungo con le estremità sovrapposte del cartone e quando finalmente riuscì a sbirciare all’interno comprese perché fosse così leggera: quella che sembrava una tunica ripiegata più volte occupava la maggior parte dello spazio, a destra scorse alcune foto di cui s’impossessò subito. Una serie di polaroid, di cui la prima la ritraeva di profilo in quello che pareva un aeroporto, stampe di bassa qualità e misure varie, una addirittura aveva i bordi dentellati; spesso era sola, scatti rubati per lo più, poi una foto di gruppo sulle scale di chissà quale tempio, dove indossava quella che sembrava proprio la tunica rimasta nello scatolone, e ben tre foto insieme a un uomo molto abbronzato, sulla quarantina, sicuramente occidentale e con lunghi riccioli bruni. Girando una foto a caso trovò scritto in stampatello il proprio nome e quello di lui, Sigung Mark Waters. Studiò le immagini. Sembravano in confidenza ma dal linguaggio del corpo si capiva che lui non ci stava provando e ciò la sorprese un po’... perché s’era lasciata avvicinare da un uomo tanto più grande? Forse era il capogruppo? O il traduttore?
Di certo non un semplice compagno di ventura.
Dispose tutte le foto attorno a sé, formando un semicerchio. Sembravano avere un loro ordine.
Tornò alla tunica e sollevandola si rese conto che qualcosa era avvolto al suo interno, trovò così tra le pieghe del tessuto quello che doveva essere il diario di viaggio. La copertina era di pelle scura, consunta graffiata e tuttavia pregevole al tatto. Le pagine ingiallite, prive di righe o margini, erano scritte fitte fitte: si alternavano penne e inchiostri, più dovuto al caso che al contenuto, che cambiava di continuo passando da resoconti del viaggio a esercizi di yoga e respirazione dalla dubbia origine.
Questo la portò a chiedersi se s’era trattato di un semplice trekking o un viaggio spirituale.
Si mise comoda e iniziò a leggere.
C’erano pochissimi riferimenti ai motivi che l’avevano portata in Tibet e non ce n’erano affatto riguardo il volo intercontinentale od eventuali scali o ritardi. Niente prima dell’arrivo a Lhasa. Tuttavia l’assenza di dettagli tecnici era compensata da una ricchezza di particolari, Marley non sapeva se la mente semplicemente elaborava i suoi stessi resoconti scritti o se invece grazie a questi iniziava a ricordare. Erano immagini così vivide! Riusciva a figurarsi il volti della guida, il suo inglese masticato dall’esperienza ma sporcato dall’accento, poteva quasi evocare l’esatto suono della sua voce dalla minuziosità con cui all’epoca l’aveva descritta. Anche quelli di Sigung Mark, voce e volto, le vennero rivelati e leggendo tra le righe comprese di aver trovato in lui non solo un amico ma un punto di riferimento; anche ora che aveva la sensazione di perdersi qualcosa, specie di fronte ai nomi di tanti monasteri e valichi e fiumi, la confondevano ed era certa che le descrizioni non rendessero del tutto giustizia. In compenso svelò il mistero, che poi mistero non era, dello yoga: Mark aveva una scuola in Nuova Zelanda e s’era offerto di insegnarle quando lei l’aveva sorpreso a ‘praticare’ nel tempo libero invece di unirsi al resto del gruppo in un’escursione.
Riconobbe in questo un passaggio importante, non solo per il viaggio in sé, quanto per il suo avvicinamento al Buddismo.
Interruppe la lettura, perdendosi in riflessioni e congetture.
Era affascinante l’idea di avere una scelta, di non avere bisogno di un ‘salvatore’, di non doversi comportare bene piuttosto che male per andare in Paradiso o al contrario essere una persona cattiva e finire all’Inferno. Se provi a correggere certi comportamenti sei saggio e fai un passo verso l’illuminazione, se invece non lo fai sei uno sciocco ed è molto triste ma la cosa finisce lì.
Scorse le pagine fino a trovare una foto lasciata lì come un segnalibro. Sembrava quasi finta! C’era lei su questa lingua di terra che si affacciava tra monti a tratti innevati, con addosso un maglione, dei guanti, una sciarpa mossa dal vento… girò la foto e lesse: primo Suria Namaskar all’aperto, Tempio *sbavatura* sullo sfondo.
Tornò sulle pagine tra cui stava la foto. Quella di sinistra titolava allo stesso modo, con tra parentesi la traduzione, Saluto al Sole, e tutti i movimenti descritti passo passo; quella di destra invece era un breve resoconto dell’esperienza. Lasciò da parte quest’ultimo mossa da un’improvvisa voglia di fare, di provare. Non sembrava così difficile! Si alzò, il quaderno aperto sul letto, e congiunse le mani come in preghiera davanti al petto.
Stava prendendo le misure per inarcarsi all’indietro quando le sembrò di sentir muovere in un’altra stanza.
Aprì silenziosamente la porta per capire se proveniva si trattava di una sua impressione o rumori provenienti da un appartamento vicino e riconobbe la voce di Hunter.
Quando era rientrato? Stava per rispondergli quando si rese conto che non la stava chiamando. Cantava. Ed era anche bravo! Lo sapeva dalle Provinciali ma erano passati anni, Santana per prima aveva perso un po’ di voce con la mancanza di esercizio.
Sgusciò fuori e percorse a passo felpato il corridoio, passando davanti al bagno avvertì un cambio di temperatura e l’odore intenso dello shampoo. Hunter aveva avuto il tempo di fare una doccia, ma da quanto era in casa?! Avrebbe voluto controllare l’ora ma non portava l’orologio e il cellulare era troppo lontano.
Non riconosceva le parole ma il ritmo le piaceva, voleva capire che canzone fosse. O afferrarne almeno un pezzo, per cercarla in internet. O magari poteva semplicemente chiederglielo.
Fece un respiro profondo e girò l’angolo. Hunter stava piegando il bucato a torso nudo, i capelli ancora umidi e rigoli d’acqua che scendevano lungo la schiena muscolosa e... segnata. Erano proprio dei tagli, profondi e sparsi in punti che non avrebbe potuto raggiungere da solo. Avrebbe dovuto arrossire ed abbassare lo sguardo, sgattaiolare via senza farsi notare, qualsiasi cosa tranne quello che fece. Cacciò un urlo. I cani dell'interno sette presero ad abbaiare. Hunter si volse. Lei pensò subito che il suo fianco destro era come un muro dove le crepe convergevano nel buco lasciato da un vecchio chiodo.

Si frequentavano da un paio di mesi quando Marley vide le cicatrici. Fu per caso, in un negozio. Si tolse la felpa per provare non-ricordava-più-cosa e come spesso accade la maglietta si sollevò fin quasi a sfilarsi. La sentì sussultare e capì subito il motivo, poi sentì le sue dita sulla pelle, su quei tratti ormai insensibili della schiena, e avvertì un brivido che... li unì.
Accadde di nuovo quando Marley tra i latrati dei cani lo raggiunse con slancio e, senza pudore o imbarazzo, allungò una mano sulla superficie irregolare del suo fianco.
Era la prima volta che lo toccava.
Era sorprendente che avesse sentito di nuovo il bisogno di toccarlo!
“Mio Dio” ripeteva “Mio Dio, che ti è successo?”
Alzò lo sguardo su di lui - per un momento Hunter ritrovò la sua Marley - e resasi conto di quello che stava facendo si staccò arrossendo violentemente, ma lui la trattenne. Un gesto incondizionato di cui si pentì. Sciolse la presa e si sforzò di sorridere.
“Souvenir della prigione” disse.
Marley boccheggiò.
“Il procuratore prese molto sul serio la storia degli steroidi” aggiunse “Nonostante la mia ammissione di colpa decise di processarmi come un adulto”
“Ma alla stampa hai… avevi dichiarato...”
“Quello è stato prima.”
Esitò. Come poteva spiegarle tutto ora?
“Ti hanno mandato in prigione?” proruppe lei.
Segno di sì con la testa. Le parole bloccate in gola.
Questa volta fu lei ad esitare.
“E... io lo sapevo, insomma… me l’avevi detto, sì, prima che noi... ”
“Non ce ne fu alcun bisogno”
Le parole ritrovarono la strada per le labbra, persino un sorriso fece capolino, ma si limitò ai fatti, senza dilungarsi nell’impressione che gli diede il locale o lei con quel tubino nero così diverso da quel abito viola svolazzante con cui la ricordava al McKinley.
“La sera che iniziai a lavorare allo Slake, parlando, tu hai nominato una canzone, un tormentone commerciale che continuarono a proporre per quasi un anno: io non lo conoscevo, all’inizio non riuscivi a capire come fosse possibile... poi hai capito.” fece una piccola smorfia per trattenere il riso “Non importa, dicesti, te la farò ascoltare!”
“L’ho fatto davvero?”
“Oh sì!”
“E che canzone era?”
Dangerous di David Guetta, anche se sul momento ti riferivi alla versione remixata”
Marley lo osservò a lungo prima di porre la prossima domanda “Quindi ci siamo conosciuti allo Slake”
Fece di nuovo sì con la testa e lo sguardo di lei registrò passivamente quel gesto. “Facevi la ragazza immagine, una di quelle che si fingono clienti e se nessuno balla si mettono in pista per invogliarli… e ci avvisavi sempre un attimo prima che scoppiasse una rissa, avevi l’occhio più allenato del nostro. Dave e gli altri buttafuori ti consideravano quasi una mascotte!”
“Dave?”
“Il compagno di Sebastian”
“Ah! Quindi è grazie a lui che hai trovato quel lavoro”
“E grazie a suo padre sono uscito in anticipo per buona condotta”
Tacquero entrambi, lei sembrava riflettere e lui gliene avrebbe dato tutto il tempo.
“Non l’avevi mai fatto prima”
“Cosa?” chiese, raccogliendo una maglia pulita dal cesto.
“Darmi le risposte. Non solo una parte, una risposta completa per ogni domanda che faccio... nessuno di voi lo fa mai.”
“Sono le...”
“E mi manda in bestia!” sbuffò, lanciandogli poi un’occhiata storta “Perché ora l’hai fatto?”
Era un po’ contorto come discorso ma si capiva e nel cercare una risposta Hunter ebbe una folgorazione. Stavano vivendo la loro personale Traviata: Marley era Violetta, lui era Alfredo, e certamente la sua amata non era in fin di vita ma… ma.. com’era?
Ma se tornando non m’hai salvato, a niuno in terra salvarmi è dato.
“Come dici?”
“Mi sono lasciato condizionare” ammise “Tutte quelle raccomandazioni sul non dire troppo per evitare di sconvolgerti o sovraccaricarti di informazioni… ora sono giunto alla conclusione che, qualunque cosa io faccia, non ti aiuta né ti danneggia, perché solo dentro te può scattare qualcosa: i ricordi ma non solo, la fiducia nei miei confronti ad esempio. Incondizionata, fin da subito, adesso invece penso che tu debba prima conoscermi per poterti fidare. Altrimenti, che senso avrebbe essere tornata qui?” vedendola arrossire capì di aver caricato troppo l’ultima frase “E per conoscermi devi conoscere pezzi della nostra vita insieme, è inevitabile.”
Lei annuì più volte mentre parlava e notò con piacere le sue spalle rilassarsi sempre più.
Avvertì un brivido e si infilò la maglietta dicendosi che era il freddo.
“Non avevi un gatto?” domandò lei, guardandosi attorno.
“Era del vicedirettore, lo presi in prestito per far scena.” rivelò con un sorriso sghembo “Quella palla di pelo aveva una sfilza di nomi improponibili, e persino un titolo nobiliare, così per far prima lo chiamavamo Mr Puss! Non ricordo di chi fu l’idea... probabilmente di Sebastian, odiava quel gatto. I gatti in generale non gli vanno a genio.”
Marley ridacchiò “E tu invece?”
In un primo momento scrollò le spalle, come se fosse ovvio. “Non ho mai avuto preferenze, forse perché non ho mai avuto un cucciolo”
“Oh, è per questo scegli ragazze con nomi da cuccioli!”
Si tappò la bocca subito dopo averlo detto e Hunter fece uno sbuffo divertito. Non era un rimprovero dettato dalla gelosia, si capiva, ma il fatto che si stesse interrogando con un certo fastidio - quello era evidente - su una possibile relazione tra lui e Kitty, beh, era positivo.
“Può darsi.” tagliò corto “Potremmo chiedere conferma alla tua amica strizzacervelli… A proposito, come mai non sei da lei?”

Marley apprezzò molto il cambio di argomento, sia per la gaffe di poco prima che per la risposta che le aveva dato poco prima. Certo era stata lei ad insistere, restava il fatto che le sue parole l’avevano messa un po’ in difficoltà. Non che l’avesse infastidita, non le aveva trasmesso agitazione o disagio anzi, aveva sentito i battiti del cuore tornare regolari. S’era perfino scordata che fosse mezzo nudo davanti a lei finché non s’era rivestito!
“Ha annullato il nostro appuntamento”
Lo vide rabbuiarsi. “Strano” commentò, fugando i suoi sospetti “La frequenza è fondamentale, soprattutto all’inizio.” sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, invece tornò ai panni.
Lo osservò per qualche secondo. Non sembrava dargli fastidio, essere fissato mentre faceva le faccende... si rese improvvisamente conto che si stava comportando da ospite in una casa che fondamentalmente era anche sua! Prese un asciugamano e iniziò a piegarlo, per fortuna si trattava per lo più di maglie da corsa e pantaloni di tuta. Dopo un po’ gli chiese della canzone. Hunter da prima emise un verso in risposta - se avesse imparato ad interpretare tutti i suoi grugniti e versi vari sarebbe stato molto più facile comunicare! Chissà se prima… inutile chiederselo - poi bofonchiò qualcosa su un’idea che si portava dietro da anni.
Rimase a fissarlo mentre andava a mettere a posto la roba già piegata.
Hunter scriveva canzoni, o almeno ci provava. Era una cosa che avevano in comune, la prima che avesse trovato finora!
Lo raggiunse, restando sulla soglia della camera degli ospiti.
“Fammela sentire”
“Cosa?”
“La canzone”
“Quale canzone?”
La superò tornando sui propri passi e lei lo seguì, decisa a non mollare.
“Dai, solo un pezzetto...”
“Marley”
“Per favore”
Hunter sospirò, un sospiro stanco che per un attimo la convinse a non insistere.
Stare me down” intonò piano, restando di spalle “Intimidate me. Oh, baby, please... you'll never break me!” si girò, facendole fare un mezzo salto “Bring it on, cause I can take it. You're so cool, the way you play it
Quell’ultima frase le strappò una risata e anche lui sorrise.
“Oh, you can do whatever you like” continuò, allargò le braccia indicandosi “It's alright with me”
“Bè, allora...” commentò lei.
Hunter alzò di un tono la voce “Why don't you break my heart? Make it hurt so bad ” anche il suo sorriso sembrò cambiare, quello di lei invece si spense “Come on give it your best” proseguì lui, avanzando, Marley arretrò di rimando “Nothing less, I insist, I want it just like that...
“Un po’ masochista” si azzardò a dire.
Si guardarono negli occhi per un istante, poi Hunter fece un passo indietro.
“Forse” ammise “ma non me la sento di cambiare”
“Di cambiarla” lo corresse.
“Sì, è quello che ho detto: non mi sento di cambiarla
Marley riprese fiato solo quando lui tornò verso il resto dei panni. Doveva ammettere che, da vicino, era terribilmente sexy e se avesse cercato di baciarla probabilmente... ma non l’aveva fatto per fortuna.

  
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