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Autore: Rebecca_lily    01/01/2017    8 recensioni
"Il cuore di Georgie batteva all’impazzata mentre si addentrava nel passaggio che conduceva alla cella dove era rinchiuso Abel...". Questa versione della one-shot ‘per eccellenza’ per chi ama quest’opera vuole essere un omaggio al testo partorito dalla penna di Izawa e dalla matita della Igarashi come anche ad alcune sue belle interpretazioni create da altri fan. Buona lettura...
Genere: Angst, Drammatico, Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Abel Butman, Georgie Gerald
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cari lettori,
dopo tanto tempo ho trovato nuovamente l’ispirazione per addentrarmi nei meandri testuali della storia che noi tutti amiamo. Come mi sono ripromessa quando finivo di scrivere l’interminabile (O_o) “Così vicini, così lontani”, questa volta mi sono cimentata in una one-shot, o meglio la one-shot ‘per eccellenza’ per chi ama quest’opera, come dimostrano le sue diverse e belle interpretazioni che si trovano in questo fandom. Si tratta cioè della famosa scena della prigione, che era rimasta esclusa dalla mia precedente rivisitazione del manga per ovvie ragioni di “what if” e che qui ho inteso ripercorrere nel tentativo di esplorare nei dettagli il momento che racchiude in sé la summa dell’eros e del thanatos dell’opera. Quella che troverete di seguito è, infatti, una versione meno edulcorata, meno ‘fiorita’ della splendida e purtroppo tragica scena partorita dalla penna di Izawa e dalla matita della Igarashi.
 
Ringrazio a priori quanti la leggeranno e quanti desidereranno lasciare un commento che, non soltanto fa piacere agli autori, ma li aiuta a migliorare <(_ _)>
 
Buon anno a tutti voi,
Rebecca
 
 
[…] In the arms of the angel
Fly away from here
From this dark, cold hotel room
And the endlessness that you fear
You are pulled from the wreckage
Of your silent reverie
You're in the arms of the angel
May you find some comfort here […]

 
Sarah Mclachlan, Angel
 
Il cuore di Georgie batteva all’impazzata mentre si addentrava nel passaggio che conduceva alla cella dove era rinchiuso Abel. Ancora le echeggiavano nella mente le parole pronunciate sottovoce da un secondino rivolgendosi sogghignando ad un suo compagno: “Non credo proprio che il prigioniero avrà tanta voglia di parlare dopo la nostra visita di questa mattina…”.
“Un prigioniero… Oh Abel, tu questo sei per loro… – pensò tristemente Georgie mentre scendeva con cautela gli infiniti gradini di quella umida torre – Non ti faranno mai uscire vivo da qui…”. Questa consapevolezza accompagnava le lacrime che la ragazza cercava con tutte le sue forze di trattenere.
Finalmente Georgie giunse in fondo all’interminabile scala e lì, dietro le sbarre di quell’angusta, buia e solitaria cella, lo vide: il suo Abel era lì, incatenato al muro, con i vestiti laceri e sporchi di sangue. Il suo capo era chino, sembrava distrutto, come spezzato dentro.
E lo era, poiché solo pochi giorni prima, mentre si trovava a terra con le mani legate, le guardie della prigione – sicuramente ben pagate da Dangering perché costantemente gli ricordassero chi aveva osato uccidere – schernendolo e prendendolo a calci, gli avevano detto che sarebbe stato fucilato a breve. In quel momento Abel non si era curato del dolore per i colpi che gli venivano inferti, né aveva riflettuto sull’orrore di ciò che gli avevano appena comunicato, il suo pensiero era volato – come sempre – a Georgie perché dentro di sé sapeva che la peggiore condanna per lui non sarebbe stata la morte, ma la certezza che non l’avrebbe più rivista. E anche in quel momento, nel tentativo di astrarsi da quel luogo e dal suo destino, immagini felici di lei riempivano i suoi occhi stanchi, mentre la sua anima si consolava al pensiero della ragazza e di suo fratello in viaggio per la terra natia, finalmente in salvo.
Fu allora che Abel udì un rumore provenire dalla serratura della cella. Lentamente il ragazzo alzò il capo e vide una nuova immagine di Georgie. Sollevato che non si trattasse di un’ennesima visita delle guardie, ma soltanto di una sua allucinazione, chinò di nuovo il capo. Georgie lo vide levare lentamente il volto e guardare, senza vederla, con i suoi splendidi occhi, ora come vuoti e si chiese per quale terribile scherzo del destino Abel si fosse immolato per un fratello dato ormai per morto. Facendosi forza, lo chiamò: “Abel…”.
Il ragazzo alzò di nuovo il volto, poi sgranò gli occhi incredulo e, con il cuore che palpitava di apprensione, quasi urlò: “Georgie?!? Che ci fai tu qui? Non sei partita per l’Australia?”. Non fece in tempo però a terminare ciò che aveva da dirle che la fanciulla gli gettò le braccia al collo e serrò le loro labbra in un bacio fulmineo. Abel si irrigidì brevemente quando l’impetuoso abbraccio di Georgie lo sospinse verso il muro schiacciando le piaghe delle sue recenti frustate contro la dura pietra, ma la ragazza, rapita da disperata passione, non se ne accorse.

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Una volta terminato il fugace bacio, Georgie rimase avvinghiata ad Abel e alzò la testa per contemplare l’esterrefatto e muto volto del giovane attraverso le lacrime che, copiose, non volevano cessare di bagnarle gli occhi. Poi, confortata e rassicurata dal contatto con quel corpo che, sin dall’infanzia, le trasmetteva calore e sicurezza, trovò il coraggio di rispondere alle domande nascoste nello sguardo attonito del ragazzo: “Oh Abel! Volevo vederti. Mi sei mancato così tanto… Non potevo aspettare fino al giorno in cui ti tireremo fuori da qui”.
Abel continuò a guardarla senza proferire parola, l’ansia e il cuore in tumulto gli attanagliavano la gola e silenziavano le sue domande: perché non si trovava al sicuro lontano da lì? Perché si era messa in pericolo per andare a trovarlo? Che cosa significava quel bacio? Una triste piega gli si disegnò poi sulle labbra nell’udire le innocenti parole di speranza pronunciate dalla ragazza, “papà e gli altri entreranno presto in possesso delle prove per smascherare il traffico di droga di Dangering… vedrai ce la faranno prima del giorno dell’esecuzione…”, ma lei sembrò ignorarla, concentrata com’era a confessargli il suo bruciante e impaziente desiderio di rivederlo. Con le sue parole e con i suoi sorrisi, Georgie stava inoltre provando a dare fiducia ad Abel: voleva fargli capire che fuori da lì tutti coloro che lo amavano erano impegnati a salvarlo.
La ragazza stava infine cercando con tutta se stessa di non pensare alla crudeltà dello spettacolo che si offriva ai suoi occhi mentre apriva le polsiere di ferro che incatenavano il giovane al muro, nonostante la guardia le avesse chiesto esplicitamente di non toglierle. E le si strinse il cuore nel vedere le profonde ferite che queste avevano lasciato sulla delicata carne dei polsi di Abel. Ma il ragazzo non disse niente e non si lamentò, portò invece la mano al polso sinistro, che era quello che più gli doleva, sempre senza proferire parola. Fu allora che Georgie, titubante, lo chiamò: “Abel”.
Perché non ti sei imbarcata? Se ti riconoscessero, ucciderebbero anche te. Perché ti sei messa in pericolo?”, la apostrofò lui con voce tagliente e con sguardo duro. Era tremendamente preoccupato per lei e voleva in ogni modo allontanarla da quel luogo, anche a costo di privarsi dell’ultimo briciolo di felicità concessogli su questa terra. Georgie, che non si aspettava una reazione simile, ne rimase ferita: non aveva forse ascoltato le parole che gli aveva detto? Non capiva che era lì per lui? Con un tono di voce meno gelido, Abel le chiese poi notizie del fratello e a Georgie la verità morì in gola, perché non riuscì a raccontare al ragazzo della tragica scomparsa di Arthur, che aveva di fatto reso vani il suo sacrificio e tutte le sue sofferenze. Così, distogliendo lo sguardo, e con un grande senso di colpa, gli disse una pietosa bugia: “Si sta riprendendo bene”. Il tono di Abel tornò ad essere glaciale: “Allora andatevene in Australia al più presto!”, ma anche lui non riuscì a guardarla in volto, mentre pronunciava queste parole. Poi la sua voce si tinse di amarezza, mentre tornava a fissarla intensamente: “Georgie se non vuoi che io muoia per niente, allora salpate in fretta!”. Ma Georgie non voleva separarsi da lui e il pensiero della sua condanna a morte le toglieva il fiato: “Non parlare di morte, Abel”, gli disse piangendo mentre annullava nuovamente la distanza tra loro. “Tu non morirai… Non la devi neanche pensare una cosa del genere. Se ti perdessi io… io non potrei più vivere. Se non posso vivere con te, allora voglio morire con te. Sono pronta a morire qui con te, ora”.
Le parole di Georgie aprirono un varco nella fortezza creata e strenuamente difesa dal ragazzo così Abel, dapprima esterrefatto, poi incapace di trattenere ulteriormente l’onda di piena dei suoi sentimenti, sussurrò il suo nome. E la sua voce tornò ad essere dolce, calda e profonda, come Georgie l’aveva sempre conosciuta. Una voce che le faceva vibrare le corde dell’anima, e che l’aveva guidata e confortata sin da quando era ancora una bambina. “Non voglio separarmi da te. E’ per questo che sono qui” – ribadì la ragazza.
Abel sentì i propri occhi riempirsi di lacrime e singhiozzi iniziare a scuotergli il petto. “Oh, Georgie” pensò mentre stringeva a sé la ragazza, trovando finalmente conforto nella miseria e nel dolore della sua condizione di condannato, “dici che vorresti morire insieme a me. Pensavo che non ti avrei più rivisto, che non sarei vissuto abbastanza per rivedere ancora il tuo volto…”. Georgie si perse nel suo abbraccio, desiderando con tutta se stessa di fondersi con lui.
Lentamente e con il cuore che gli martellava furioso nel petto, Abel portò le mani alla schiena della ragazza creando dello spazio tra loro e la guardò con uno sguardo che esprimeva l’incontenibile sentimento che da sempre albergava in lui e che da anni teneva segregato nel cuore per non farle del male, per non farla soffrire. Chinò poi il voltò e la baciò: il loro primo vero bacio, il bacio che Abel aveva desiderato per tutta la vita e che mai si sarebbe sognato di poter più ricevere. Georgie sentì le labbra di Abel posarsi sulle sue e il respiro le si spezzò dall’emozione, mentre le lacrime continuavano copiose a bagnarle il volto. Piangente, la ragazza dischiuse le labbra e si offrì totalmente a lui.
Quando le loro labbra si disgiunsero, Abel, come in adorazione, prese a carezzare il delicato volto di Georgie con la mano che gli tremava di emozione e con gli occhi ancora velati di lacrime: Georgie era ancora più bella di come se la ricordava. La ragazza, spinta da un’audacia e dal desiderio di divenire una cosa unica con lui, posò una mano sui brandelli di quella che era un tempo una camicia nell’atto di levargliela. Sui lineamenti perfetti di Abel si dipinse un’espressione interrogativa, quanto incredula. “Abel io… - rispose arrossendo la ragazza, che sembrò poi cambiare argomento - Maria Dangering mi ha accompagnato in questa prigione Abel e nessuno scenderà qui fino a quando non io non uscirò”. Abel sospirò e chiuse gli occhi deglutendo. Quando li riaprì, le sue labbra volitive si dischiusero in un dolce sorriso, segno che una nuova consapevolezza si era fatta strada in lui: posò quindi una mano su una spalla di Georgie e la fece scivolare solennemente verso il suo seno. La ragazza sentì il volto andarle in fiamme mentre Abel tracciava quel sentiero sul suo corpo, quasi che la sua mano fosse incandescente e riuscisse a superare gli strati dei merletti e del suo corsetto. L’aria tra loro si fece rarefatta.
Georgie riprese a levargli la camicia, desiderosa e allo stesso tempo timorosa di accarezzare quel corpo maschile che da sempre conosceva, ma che ora si accingeva a scoprire da donna e da amante. La paura che l’aveva attanagliata sin da quando aveva scoperto che Abel non era suo fratello si era come dissipata: quella paura indomabile di avvicinarsi a lui, di essere toccata da lui, una paura venata di desiderio da sempre.
Abel la contemplò amorevole mentre, con un misto di audacia e di imbarazzo, lo spogliava ma, non appena la stoffa della camicia si staccò dalla sua schiena, il ragazzo strinse di colpo gli occhi e serrò la mascella. Georgie non comprese il perché della sua espressione fino a quando la veste non toccò terra, rivelando così del sangue fresco. Si precipitò allora dietro di lui e vide i solchi aperti sulla sua pelle. I suoi occhi si riempirono di lacrime. Abel si girò verso di lei scuotendo la testa, poi – mentre le asciugava le lacrime con il dorso della mano – le sussurrò: “Non piangere, amore mio. Mi fa molto più male vederti piangere”. Georgie annuì, cercando di non pensare alle atrocità che quelle ferite le comunicavano. Abel la strinse di nuovo tra le sue braccia e prese a baciarla dolcemente: Georgie si lasciò andare, trasportata in un mondo lontano da quel luogo squallido e terribile, un mondo che era assieme casa e paradiso.  
Le mani di Abel iniziarono poi a levarle ad uno ad uno gli strati delle vesti che li separavano. Il suo tocco sulla pelle della ragazza era assieme dolce e bruciante. “Oh Georgie – pensò il ragazzo mentre con delicatezza la spogliava – l’unica cosa che ha sempre riempito i miei pensieri sei tu… l’unica visione che ha sempre riempito i miei occhi sei tu… fin da piccolo solo tu…”. Osservando la sua pelle diafana, i suoi seni sodi e pieni, le sue guance arrossate, sembrò ad Abel impossibile che Georgie fosse lì con lui e per lui: la ragazza appariva, infatti, ai suoi occhi come una creatura angelica, bella e irraggiungibile. Nel mostrarsi nuda davanti a lui, invece, Georgie si sentì come rinascere, perché si specchiò nello sguardo commosso e pieno di amore di chi contempla il bene più prezioso al mondo.
Dopo un primo momento di intensa emozione nel trovarsi senza vestiti di fronte ad Abel, Georgie diede di nuovo spazio all’audacia che si era ormai fatta strada in lei e, memore di anni di vita familiare trascorsa assieme, si avvicinò al ragazzo per togliergli i pantaloni, seppur con qualche titubanza. Abel la guardò amorevolmente mentre con le mani leggermente tremanti lo privava dell’ultima barriera rimasta tra loro.
Quando lo vide ergersi nudo e maestoso di fronte a lei, Georgie pensò che Abel fosse bello come non mai. Bello nonostante le ferite sul suo corpo. Bello nonostante l’espressione dolente dipinta nei suoi splendidi occhi dal colore del mare in tempesta. E pensò che lo amava immensamente, che lo aveva amato da sempre e che voleva donarsi completamente a lui. Come se le avesse letto il pensiero, Abel distese il mantello di Georgie a terra e vi fece adagiare la ragazza, distendendosi su di un fianco accanto a lei.
Una volta distesi, la pelle di Georgie fu percorsa da un brivido. Pensando che si trattasse di freddo, Abel la strinse a sé, facendo combaciare ancor di più i loro corpi. Rimase poi stretto a lei, fermo e in silenzio, perché le emozioni che stava provando in quel momento lo stavano lasciando senza fiato. Fu Georgie ad aiutarlo, accompagnando la mano sul suo seno. Abel prese allora ad accarezzare il suo corpo inspirando il dolce e sensuale profumo di quella pelle che, con il suo chiarore, illuminava e riscaldava quel luogo spettrale poi si portò sopra di lei.
Quando Abel la racchiuse con il suo corpo, Georgie desiderò che il tempo si fermasse in quell’istante per poter restare in eterno stretta a lui, avvolta dal calore delle sue braccia. Le tornarono in mente le parole di Emma “due persone che  si amano si uniscono” e lei, che non era mai stata pronta ad unirsi con nessuno in vita sua, si sentì pronta ad una completa comunione con l’uomo che da sempre rappresentava il cardine della sua vita. Georgie aprì il volto ad un sorriso, così Abel, che stava aspettando un suo gesto, una sua conferma, iniziò ad entrare delicatamente in lei.
Il ragazzo però si fermò di colpo non appena si rese conto che Georgie si stava donando a lui come mai con nessuno prima di allora. “Georgie… tu… tu non lo hai mai fatto…” – quella di Abel era un’affermazione più che una domanda. “No io non posso, Georgie, io non posso proprio…” continuò il ragazzo scuotendo il capo. Le mani della fanciulla si serrarono pronte attorno alle sue braccia, mentre con voce spezzata dall’emozione tornò a dichiarargli il suo amore: “Abel io voglio vivere tutta la mia vita con te… io voglio diventare tua moglie…”. Queste parole, che il giovane aveva atteso per tutta la sua vita, riaccesero un filo di speranza nel suo cuore. “Georgie… se posso vivere di nuovo con te …”, pensò mentre si chinava per baciare la ragazza. Dopodiché, con commozione e riverenza, la rese sua sposa. Quando l’unione tra loro fu completa, una lacrima si affacciò agli occhi di Georgie, lacrima che Abel asciugò con una carezza. Lentamente poi Abel iniziò a muoversi dentro di lei seguendo i passi di una danza atavica.
Per Georgie, quel matrimonio si celebrò su di un prato fiorito, lontano da quell’amara prigione. L’abbraccio amoroso in cui Abel la stava avvolgendo, infatti, l’aveva trasportata fin nelle sterminate praterie della sua amata Australia, “Oh, Abel, Abel… dietro le tue spalle vedo tremolare le mimose… sembra tutto così luminoso … c’è tanto silenzio…” . L’uomo, il fratello e l’amante si alternavano nella sua visione, mentre i ritmici movimenti di Abel accendevano un fuoco sconosciuto nel punto più profondo di sé. C’era calore, molto calore e Georgie si sentiva completa, quasi in uno stato di beatitudine. Anche Abel vide scorrere davanti ai suoi occhi immagini della loro vita assieme, con la consapevolezza che “ogni respiro, ogni momento avesse portato al compimento della loro unione”[1], nel mentre contemplava il volto della donna che giaceva sotto di lui aprirsi ad ogni sua spinta e risplendere di una luce nuova che la rendeva ancora più bella.
D’un tratto il calore si fece così intenso che a Georgie sfuggirono dei gemiti ed iniziò ad invocare il nome del ragazzo, Abel le sorrise prima di sentire il suo corpo, la sua mente e la sua anima vibrare all’unisono con lei. La forza vitale prese possesso di lui, si liberò attraversandolo e lo lasciò come svuotato. Una ‘piccola morte’ che rese dolce per entrambi stringersi in un abbraccio che non aveva bisogno di parole. Lentamente poi un ancora ansimante Abel posò il capo sul petto di Georgie e rimase lì, in silenzio. Georgie lo tenne stretto a sé, stando ben attenta a non toccare le ferite sulla sua schiena e lo cullò, quasi come se si trattasse di un figlio.
Era un momento sublime e terribile al tempo stesso perché entrambi sapevano che era arrivata la fine: da quel momento in poi avrebbero dovuto iniziare a separarsi e sarebbe stato un distacco definitivo. Abel ebbe un cedimento e numerose lacrime si affacciarono ai suoi occhi: sarebbe voluto restare così per sempre, cullato dalle carezze della sua novella sposa; avrebbe voluto confessarle che aveva tanta, tantissima paura per tutto quello che lo attendeva, ma non lo fece. Georgie si era messa in pericolo per lui e lui non poteva essere egoista, anzi lei sarebbe dovuta andare via da lì al più presto perché il tempo a loro disposizione era ormai scaduto. Così, facendo appello a tutto il suo coraggio, ricacciò in gola le sue lacrime, e cominciò a sciogliersi dall’abbraccio.
Per Georgie il mondo divenne grigio e buio in un istante. Ed ebbe freddo, tanto freddo quasi che quei brividi le preannunciassero come sarebbe stato il mondo senza il suo Abel. Nel frattempo, il ragazzo la aiutò ad alzarsi e le passò il suo vestito. Lei rimase immobile ad osservarlo mentre si rivestiva frapponendo, strato dopo strato, una barriera tra loro[2]. La consapevolezza che non avrebbe più potuto vedere il suo corpo la lasciò senza fiato. Abel vide la disperazione dipingersi sul volto della ragazza, così si avvicinò a lei, le accarezzò dolcemente il volto per cercare di consolarla e la aiutò a rivestirsi. Doveva mandarla via di lì al più presto.
Una volta completata la sua vestizione, Abel si avvicinò solenne al muro della cella dove lei lo aveva trovato. Ma Georgie non voleva lasciarlo andare, il pensiero di non sentire più la sua voce, di non vedere più i suoi occhi e il suo sorriso, di non potere più essere stretta dalle sue braccia, la fece crollare. Si aggrappò quindi con tutte le sue forze alla sua camicia, piangendo ed invocando il suo nome. Abel la strinse a sé in un abbraccio che voleva trascendere il tempo e che recava con sé la promessa di amore eterno: il loro ultimo abbraccio.

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Ma il distacco purtroppo avvenne, terribile e ferale, e Georgie si sentì morire al pensiero di dover chiudere di nuovo le catene attorno ai polsi di Abel. Con il cuore in gola, Georgie prese il suo fazzoletto e lo legò attorno al polso sinistro dell’amato. Abel le sorrise, ringraziandola per quel gesto di pietà. Poi però Georgie, suo malgrado, dovette incatenarlo di nuovo al muro e, non appena la serratura, chiudendosi, schioccò Abel serrò forte gli occhi. Le sue ferite, infatti, tornarono immediatamente ad aprirsi e a poco servì il fazzoletto della ragazza, perché il sangue cominciò di nuovo a sgorgare, tracciando una scia rossa lungo tutto il suo avambraccio.
Georgie si morse il labbro, piangendo. Allora Abel tornò a rassicurarla: “Non è niente tesoro mio, non preoccuparti”, anche se i suoi occhi lasciavano trasparire tutta la sua pena. Pronunciò poi per lei parole cariche di speranza: “Georgie, devi farti coraggio, devi vivere, noi dobbiamo vivere”. Parole che la ragazza continuava a ripetersi mentre la carrozza la allontanava da quella spaventevole prigione, con addosso ancora il calore del corpo di Abel. “Sì, Abel, noi dobbiamo vivere”, gli rispose idealmente, non sapendo di custodire già nel ventre il barlume di quella speranza, il barlume di una nuova vita. Rimasto da solo nella cella, Abel pianse lacrime di gioia e di più cupa disperazione e mai come in quel momento sentì su di sé il doloroso peso delle sue catene e del suo destino.
 
[1] Questa frase è stata ispirata dallo splendido video Abel&Georgie | A Thousand Years creato da Australia (alias unicaNumb) che potete visionare qui: https://www.youtube.com/watch?v=hYt42TRd4kw
[2] Questo passo è un omaggio alla rivisitazione di questa scena fatta da Elianne nella sua bella e commovente fic Alle porte dell’infinito pubblicata in questo fandom (http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3467218&i=1).
  
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