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Autore: Ashuramaru    02/01/2017    0 recensioni
'Non c'era bisogno di dire altro. Tutti i sentimenti negativi che aveva deciso di reprime stavano fuoriuscendo così copiosamente, da non riuscire ad averne il controllo. E tutto solo per delle parole. Perché era quello, il suo dannatissimo potere; l'unica in grado di vedere attraverso le maschere delle persone e scorgere quei muri che vengono creati inconsciamente, per proteggersi da se stessi.
Era l'unica, in grado di distruggere i suoi.'
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hajime Iwaizumi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Avete giocato bene».
 
Semifinale dei play-off primaverili della prefettura di Miyagi, La squadra dell'Aobajōsai perde al terzo set contro il Karasuno.
 
L'aria era pesante, impregnata di parole non dette, rimpianti e lacrime ormai terminate.
Non sapeva cosa dire, era stata la manager di quella squadra per tre anni, aveva imparato a conoscere ogni giocatore, e li sentiva tutti quanti come una seconda famiglia. Ma non voleva usare le parole sbagliate. Sapeva che avrebbero fatto male; non c'è nulla da dire quando si perde. "Vinceremo la prossima!", "Non ci arrenderemo!", sono tutte belle parole; ma non ti fanno sentire meglio.
 
Non sembravano nemmeno loro. Sembravano bambole di pezza, corpi senz'anima, che procedono per forza d'inerzia. Le loro schiene, che portavano con sé tutto l'orgoglio delle battaglie combattute fino a quel giorno, erano afflitte, esattamente come il loro spirito.
A Ritsuka si strinse il cuore a vederli così, le lacrime scalpitavano per avere un po' di libertà, ma in qualche modo riuscì di ricacciarle indietro. Non poteva piangere. Doveva essere forte per loro. Si erano sempre impegnati tutti così tanto, negli allenamenti e durante le partite, non erano una di quelle squadre di prefettura che ogni anno provano a raggiungere i nazionali ma non posseggono ancora le abilità. No. Quei ragazzi avevano tutte le qualità per raggiungere quel palcoscenico, ma purtroppo sul loro cammino si parava sempre un grande muro, pronto ad impedirne il passaggio: un muro chiamato Ushijima. Ed ora, anche qualcun'altro si era intromesso. Karasuno. E si sa, quando i corvi lavorano insieme sono davvero molto fastidiosi.
Non c'erano colpe, una squadra vince e perde insieme. Ma allora perché, i ragazzi del primo e del secondo anno sentivano quella voce che diceva loro: "È colpa tua!"? Loro avrebbero avuto anche i prossimi anni per lottare, ma i senpai no.
 
***
 
Non c'era più spazio per le lacrime. Dovevano essere forti loro del terzo anno; dovevano esserlo per i loro kohai.
«A partire da oggi, noi del terzo anno ci ritiriamo.» iniziò il capitano, guardando i propri compagni, gli occhi ancora leggermente arrossati. «Non so come ringraziarvi per questi anni insieme, siete stati gli alleati migliori. So bene quanto sia stato difficile sopportare il mio carattere, per questo mi scuso. Ma vi ringrazio per aver lottato insieme a me e non esservi mai risparmiati.».
Oikawa Tooru era solitamente un ragazzo superficiale, ma in quel momento stava rivelando la parte più reale di lui; tutto quello che stava dicendo era reale. E tutti lo sapevano. Lei lo sapeva bene. Era una cosa molto rara che il suo gemello parlasse con così tanta sincerità. In un certo senso, era quasi triste.
«Vi ringraziamo per aver lottato con noi fino all'ultimo; parlo a nome di tutti.» continuò l'Asso stringendo i pugni. "Le tue mani sono quasi bianche da quanto stai stringendo..." pensò Ristuka osservandolo con la coda dell'occhio.
«Voglio ringraziarvi anche per la fiducia che avete riposto in me nominandomi 'Asso'. Grazie mille!» gridò alla fine abbassandosi in un piccolo inchino.
Iwaizumi Hajime era un ragazzo troppo orgoglioso per mostrarsi debole, aveva sempre un'aria molto sicura e talvolta, pareva più grande dei suoi coetanei. Non poteva permettersi di mostrare quel lato così sgradevole di se stesso, quella debolezza mostratasi dopo l'ultimo fischio dell'arbitro. Nonostante tutte le palle salvate, ed i punti presi con la propria forza di Asso, quell'unica schiacciata non andata a segno nel momento più cruciale, gli stava bruciando le interiora. Non se lo sarebbe mai perdonato. Se solo fosse riuscito a fare breccia nelle difese avversarie, se solo non avesse sprecato quello splendido passaggio, così carico dei sentimenti della squadra e del proprio migliore amico! Se solo-
«Anch'io vi ringrazio!» quella voce cristallina lo risvegliò dai suoi pensieri, facendolo tornare in posizione eretta. Per quanto era rimasto così? C'erano talmente tante cose che gli scombussolavano la mente, che non se ne era nemmeno reso conto.
«Oggi, non sono entrata in campo con voi. Non mi sono buttata su ogni palla come avete fatto voi. Non ho le mani arrossate per le numerose schiacciate di oggi, come voi. Però, sono frustrata esattamente come tutti voi.» gli occhi erano leggermente lucidi, ma ne nulla fuoriusciva. Il suo sguardo era fermo e sicuro, mentre guardava tutti i giocatori, quei ragazzi che aveva imparato a conoscere ed apprezzare. Quei ragazzi che quel giorno, non avevano sbagliato nulla.
«Ho dato il massimo per aiutarvi, sia durante gli allenamenti, sia nelle partite. Se qualcuno ora dovesse affermare il contrario, non m'importerebbe. Io sono cosciente di quello che ho fatto. Ed anche voi dovreste sapere di aver dato il massimo. Sempre.» aveva caldo, ma il suo viso era pallido, come se dovesse svenire da un momento all'altro. E gli occhi pizzicavano così tanto, da sembrare infilzati da mille agi. Ma lei si fece forza, e andò avanti col suo discorso.
«Nessuno di voi, è mai stato brillante come oggi. Guardandovi lottare con tutto quello che avete, mi sono emozionata così tanto da non riuscire a trattenere le lacrime.
«Siete tutti giocatori formidabili, e sono sicura che abbiate ancora molto potenziale da mostrare. La nostra squadra, ognuno di voi, ha tutte le qualità per andare ai nazionali, ma non solo. Puntate sempre in alto, ed ogni volta che inciamperete o cadrete, tiratevi su. Non abbiate paura a mostrare le lacrime o la frustrazione, siete esseri umani, è normale. Anzi credo che sia splendido piangere ed emozionarsi dopo una partita, qualunque sia l'esito, perché dimostra quanto veramente amiate questo sport.» sapeva che quelle ultime parole erano per lui. In ogni discorso di incoraggiamento che faceva, fin da quando erano bambini, c'era una parte dedicata a lui. Sapeva quanto fossero intensi i suoi sentimenti per la pallavolo, e nonostante avesse dato il massimo come sempre, era cosciente che quel singolo attacco aveva abbattuto tutti i suoi scudi, demoralizzando il suo spirito. Purtroppo quelle parole non sarebbero servite a molto, lei lo sapeva; ma forse, almeno un po', lo avrebbero fatto tornare quello di sempre.
«Non sto dicendo nulla di nuovo. Questo è un classico discorso che si fa in questi momenti, è normale. Verrei dirvi tante cose, ma non so come fare. C'è solo un'ultima cosa che vi dico: avete provato tristezza e frustrazione, e va bene, ve le concedo. Ma se c'è una cosa che non voglio, è che voi abbiate dei rimpianti. Non c'è alcun motivo per averne. Avete giocato alla grande.».
 
Oikawa Ritsuka aveva lo strano potere di trasmettere i propri sentimenti grazie alle parole. Ogni parola da lei pronunciata, racchiudeva in sé un'emozione ben precisa, ed era sempre in grado di raggiungere il cuore del proprio interlocutore. Tutte le persone presenti in quella palestra erano appena state colpite da quel suo sentimento.
È vero, non erano parole nuove, era uno di quei discorsi di cortesia fatti ai perdenti dopo una sconfitta; nulla di nuovo.
Però lei era riuscita, anche se con semplici frasi, ormai usate più e più volte, a scatenare nei giocatori dell'Aobajōsai quell'orgoglio e la voglia di vincere che li hanno sempre caratterizzati. Ora i loro visi erano rigati di nuove lacrime, ma differenti rispetto a prima, quelle erano lacrime di consapevolezza. La consapevolezza che avrebbero raggiunto qualsiasi obbietto che in futuro si sarebbero prefissati.
 
***
 
Il silenzio che si era formato tra loro la metteva a disagio. Non era mai successo, nemmeno dopo le partite con la Shiratorizawa. Che diavolo era successo a suo fratello!? Perché non faceva le sue stupide battutine? Perché non faceva arrabbiare Iwaizumi come era solito fare, per tirarlo su di morale!? Per quale occulto motivo lei, non era in grado di parlare!? Più tentava di farlo e meno ci riusciva, le labbra faticavano persino a schiudersi. Non era stato complicato parlare alla squadra, quindi perché?
«Ci vediamo domani.» aveva quasi sussurrato il Wing Spiker, prima di prendere la direzione opposta alla casa dei gemelli Oikawa.
«Aspetta Hajime-kun! Non vieni da noi?» domandò preoccupata la ragazza, osservando la sua schiena nella speranza che si girasse, ancora una volta. Ma non accadde.
«Scusa. Sono molto stanco. Preferisco tornare a casa.» e con queste parole riprese a camminare, senza voltarsi.
Lei voleva vedere il suo viso, voleva sentirlo pronunciare il suo nome! Non voleva vederlo andare via! Quello non era il suo Hajime-kun. Il migliore amico del suo gemello da tempi immemori, e che era diventato anche il Suo migliore amico.
Senza nemmeno accorgersene le sue gambe mossero dei passi verso la sua direzione, mentre la mano si portava avanti, pronta ad afferrare quella del ragazzo, ma una presa ferrea attorno al polso la bloccò. Tōru l'aveva fermata, facendole cenno di 'no' con la testa, per poi lasciarle un leggero bacio tra i capelli color cioccolato, leggermente più scuri dei suoi, e proseguire verso casa.
 
***
 
Lo sapeva meglio di chiunque altro. Quei due non avevano bisogno di parole o sguardi, si capivano perfettamente. Tōru sapeva che l'amico aveva bisogno di stare da solo, di non parlare con nessuno. E per quanto facesse male, sapeva che nemmeno lui sarebbe riuscito a tirarlo su di morale.
Si conoscevano da così tanti anni che per lui, era come avere un altro fratello. Avevano sempre avuto un rapporto strano, dovuto principalmente al fatto che Oikawa Tōru riuscisse ad essere realmente se stesso, solo raramente. Anche quando erano soli, lui faticava ad aprirsi, era fatto così.
Dall'altra parte, Iwaizumi Hajime era un ragazzo forte. Non si era mai mostrato debole, davanti a nessuno; e non avrebbe iniziato ora. Avrebbe tanto voluto staccarsi la testa e sotterrarla nelle viscere della Terra, per la scena patetica di cui era stato protagonista al termine della partita con la Karasuno. Non poteva perdonarsi di aver chinato il capo ai suoi compagni, dopo una sconfitta, non era da lui.
Arrivato a casa, andò direttamente nella sua camera, lasciando detto ad Aria-san, la governante, che non voleva essere disturbato da nessuno.
Chiuse la porta e si lasciò scivolare contro di essa, la testa andò a nascondersi tra le ginocchia piegate ed il busto, e restò così. Senza versare ulteriori lacrime; perché lui non poteva.
 
***
 
-Toc toc-
"Ogni volta il suo tocco è così leggero, che sembra quasi abbia paura di rompere la porta" penso il Setter della Seijoh, quando sentì bussare alla sua porta. «Tōru, sto entrando...» lei era così cristallina. Nonostante avesse affermato di entrare era come se, in qualche modo, chiedesse il permesso. Era davvero buffa, la sua piccola Ricchan. «Vado a fare una corsetta, vuoi venire con me?» sapeva bene cosa gli stava chiedendo. Voleva che si distraesse per non pensare alla sconfitta contro il suo kohai e la sua nuova squadra. Ma non erano tutti lì i suoi piani, e lui lo sapeva.
«Vuoi andare solo a correre? Non hai davvero nient'altro in mente, eh, Ricchan?»
«Voglio andare a correre, sì. E no, non ho altro in mente.» affermò pacata, mentre guardava il fratello alzarsi svogliatamente dal letto.
«Ti conosco, sorellina. E lascia che ti dia un consiglio. Resta a casa, finiresti solo per ferirti.» quelle parole arrivarono a sfiorarle il cuore, legate inesorabilmente ad una freccia bronzea. Sentiva che se non avesse controllato la situazione, le avrebbero fatto davvero male. «Iwa-chan non ti vorrà nemmeno vedere. Sono sicuro che abbia lasciato detto di non essere in casa o qualcosa del genere. E anche se riuscissi a vederlo non potresti fare nulla.» espirò a fondo, puntando i suoi occhi nocciola su di lei. Era come se quegli occhi parlassero e dicessero: 'Non ti avvicinare a ciò che è mio'. Ma lei sapeva che non era così. Tōru era sempre stato molto felice dell'amicizia instaurata tra i due, anzi la incoraggiava molto, vista la grande fiducia che riponeva in Iwaizumi. Quindi per quale motivo la guardava così?
«Rinuncia. Non faresti altro che ferire te stessa.» era per quello? Non voleva che lei si facesse male? Ma non capiva che così, stava peggio? E poi Hajime non sarebbe mai stato in grado di farle del male!
Sospirò leggermente, sperando che lui non si accorgesse degli occhi semi-lucidi, mise la mano sulla maniglia e aprì la porta. «Sono venuta per chiederti semplicemente se ti andava di uscire a correre insieme a me. Non so perché tu abbia tirato fuori Iwaizumi, ma da quello che ho capito non hai voglia di venire. Ci vediamo più tardi.» concluse chiudendo la porta dietro di sé, prese il pallone e uscì di casa.
«Sei davvero una sciocca, piccola Ricchan.» parlò tra sé, osservandola dalla finestra. «L'ultima cosa che voglio è asciugare le lacrime che rigano il tuo volto a causa di Iwa-chan.».
 
***
 
«Perché Tōru deve sempre avere ragione, maledizione!» si domandò seccata mentre si dirigeva a passo deciso verso il retro della modesta villa della famiglia Iwaizumi. «"Il signorino non vuole vedere nessuno, mi dispiace"» scimmiottò con voce gracchiante. «Ho sempre odiato quella vecchia megera!». La più piccola degli Oikawa ricordò quella volta in cui era riuscita a convincere, dopo tanta fatica, Hajime e Tōru a giocare a nascondino, e l'antipatica Aria-san aveva rovinato il suo momento felice buttandola letteralmente fuori dal proprio nascondiglio, rovinando il gioco. Da quel momento la aveva sempre odiata; per un motivo stupido, ma la odiava.
Però quello non era il momento di pensare a certe cose. Con un agile salto afferrò l'estremità del muretto che divideva la parte anteriore della villa, da quella posteriore, e saltò giù dall'altra parte. Ormai era abituata a farlo; sin da quando erano piccoli, i tre utilizzavano quella piccola scorciatoia segreta per uscire e rientrare di nascosto, quando il piccolo padroncino era in punizione.
Passò leggermente le mani sui pantaloni per pulirli dalla polvere, e continuò con la sua infiltrazione.
Finalmente arrivò davanti al suo obbiettivo. Guardò in alto e sorrise notando che fortunatamente le tende non erano tirate. Si tolse la borsa a tracolla, e poggiandola a terra sfilò da dentro il pallone recuperato prima a casa. Se lo rigirò un po' tra le mani, dopodiché lo lanciò leggermente verso il celo per poi palleggiarlo in direzione della finestra. Non si sentì un rumore troppo forte, ed era così che voleva. Nonostante quella fosse l'unica finestra che dava su una camera occupata, su quel lato della villa, voleva evitare che qualcuno di incomodo si accorgesse di lei.
Passarono alcuni minuti, ma non si affacciò nessuno alla finestra. Il gesto venne ripetuto un altro paio di volte, ma ancora nulla. Si stava innervosendo.
Ripeté ancora il movimento, solo che stavolta non fermò la palla una volta che aveva rimbalzato sul vetro, ma la rispedì di nuovo su, dando così inizio ad un vero e proprio palleggio a muro.
Era davvero arrabbiata. Non le importava se non voleva parlare con nessuno, lo avrebbe fatto affacciare a quella stupidissima finestra!
Nemmeno il tempo di dirlo che i vetri si spalancarono, ma Ritsuka non fece in tempo a rendersene conto che già aveva ricacciato la palla indietro, leggermente più forte e veloce delle volte precedenti. Fortunatamente Iwaizumi aveva dei riflessi molto più pronti della ragazza, e afferrò il pallone prima che potesse fare qualche disastro.
«Si può sapere che diavolo stai facendo!?» domandò abbastanza irritato il moro stringendo la presa sulla palla. Quel fastidioso suono aveva rimbombato nella sua testa per ben dieci minuti, prima di riuscire a rendersi conto di cosa stesse succedendo, dal momento che era beatamente immerso nel mondo dei sogni.
Sentiva la schiena tirare, a causa della posizione nella quale si era addormentato quando era tornato a casa. Quella era davvero una brutta giornata.
«Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi scuri capelli, così che tu possa scendere da quella lugubre stanza e scappare con me!» pronunciò teatralmente la ragazza, allungando un braccio verso l'alto con fare cavalleresco.
«Se io fossi davvero Raperonzolo, saresti tu a dover salire, cavaliere» sorrise sghembo immaginando la propria amica nei panni di un antico cavaliere con tanto di mantello e cappello piumato.
«Ah hai ragione! Allora, o mia Giulietta, per questa volta dimentica tu il tuo di nome, e calati dal tuo balcone. Vieni con me, fuggi da questo opprimente palazzo!».
«Seriamente, ma che stai dicendo, Ritsuka?» domandò la 'Giulietta' in questione con un pizzico di irritazione nella voce.
«Ti sto dicendo di venire giù da lì, Jack. Non troverai nulla dal gigante, hanno già svaligiato la casa. Quindi torna qui e parliamo del modo indegno con il quale hai venduto la nostra unica mucca per tre stupidissimi fagioli!» sapeva che stava superando il limite, ma ormai aveva iniziato, e forse per vizio di famiglia o semplice divertimento, non poteva smettere. Anche se in realtà, era conscia del fatto che fosse solo il suo metodo per superare quello strano nodo, che sentiva nel suo stomaco in quel momento.
«Ci sono davvero dei momenti in cui tu e tuo fratello sembrate due gocce d'acqua.» fece una pausa lasciando cadere il pallone, che lei afferrò senza problemi. «E ed proprio in quei momenti che vorrei pestarvi di botte!»
«Come sei cattivo, Iwa-chan! È la prima volta che mi parli così, sai?»
«Ti prego, smettila con questa scenata e dimmi cosa vuoi. Sono stanco e non ho voglia di stare dietro alle stupide battutine di un Oikawa.» quello faceva male, dannatamente male. Nonostante il dolore però, continuò.
«Mi sembrava fosse facile da capire... Insomma, ho recitato Raperonzolo, Romeo e Giulietta e anche Jack e il fagiolo magico... Ha-chan non ricordavo che fossi così stupido.» a quel punto il cipiglio irritato già presente sulla fronte del ragazzo, era perfettamente visibile. "Ora sì che è arrabbiato" pensò facendo un passo indietro.
«Ritsuka.» non serviva dire altro. Lei aveva capito, aveva capito così bene che il suo corpo si era riempito di brividi. Doveva aver davvero spinto un po' troppo, se le parlava con lo stesso tono che usava con il fratello quelle rare volte che litigavano seriamente.
«Ho capito, ho capito. La smetto di fare la stupida. Ma solo se tu scendi!»
«E che dovrei venire a fare? Sono stanco, e lo sai.»
«Esatto, per questo devi scendere. Andiamo a correre.»
«Ah!? Ma sei impazzita? Neanche per sogno, torna a casa.» concluse sporgendosi un po' per chiudere le finestre.
«Ok, allora salgo io.»
«Com-» non fece nemmeno in tempo a proferire parola, che la ragazza aveva già un piede sul tronco dell'albero alla destra della camera di Hajime, e con un salto si attaccò ad un ramo più alto e ci si sedette sopra.
Fin lì tutto ok, non aveva paura di quell'altezza, alla fine era la stessa del muretto che aveva scavalcato poco prima. Era da quel ramo in su, il vero problema.
«Ma che fai stupida! Soffri di vertigini!»
«Non m'importa! Se non vuoi scendere tu, allora salirò io, scemo!» aveva affermato lei.
«Sei tu l'unica scema qui!» la rimproverò il moro saltando sul ramo più vicino alla finestra, quello che ormai aveva l'impronta dei suoi piedi, per tutte le volte che ci si era arrampicato per uscire dalla villa di nascosto. «Non ti rendi nemmeno conto che la tua voce trema!» continuò lasciandosi cadere verso un ramo più basso, afferrandone un altro per non perdere l'equilibrio. «Si può sapere perché diavolo vuoi così tanto che scenda!?»
«Sono affari miei! Ma visto che non lo vuoi fare sono costretta io a-» un braccio l'afferrò prima che potesse scivolare all'indietro, bloccando anche ogni sua parola.
«Costretta a fare cosa?» chiese con voce roca, attirandola verso di sé, per allontanarla dal 'precipizio'. «Stai tremando scema.» aveva dichiarato, con le labbra troppo vicine al suo orecchio. «Non farlo più.».
Quando furono di nuovo con i piedi a terra, l'ala andò a recuperare il pallone abbandonato precedentemente dalla ragazza, lo mise nella borsa e si diresse verso il muretto.
«Dove vai?» domandò ingenuamente lei, ancora scossa dal rischio che aveva corso prima, dalla vicinanza dell'amico d'infanzia e dello strano brivido che aveva percepito al contatto con la sua pelle.
«So che il tuo 'andare a correre', era solo una scusa. Forza andiamo.».
 
Il parchetto era vuoto. Non c'era nessuno, né sugli scivoli, né sulle altalene. Anche il campetto da pallavolo era libero.
Quando erano piccoli si incontravano sempre lì. Era in quel campetto che il piccolo Tōru e il piccolo Hajime, avevano scoperto lo stesso grande amore per la pallavolo; ed era su quella panchina che la piccola Ricchan, chiamata così dal fratello, li guardava giocare sorridente.
«Mi sono sempre chiesta perché io non mi alzassi mai da quella panchina.» aveva detto improvvisamente. «Il fatto è, che mi piaceva così tanto guardarvi giocare, che credevo che se avessi partecipato anche io mi sarei sicuramente persa qualcosa.» confessò ricevendo in palleggio la palla, e rispedendola al mittente.
«Anche io mi chiedevo spesso perché te ne stavi lì. Mi dicevo che se non volevi giocare con noi, potevi andare con altri bambini, ma tu rimanevi sempre ferma ad osservarci, con un grande sorriso.» fece un passo più a destra per prendere meglio il pallone, passandolo più alto di prima. «Quando ero da solo con tuo fratello cercavo di spronarlo a dirti che non eri costretta a stare lì immobile a non far nulla, e che potevi benissimo andare a divertirti anche tu. Ma lui rispondeva sempre che a te stava bene così.»
«Sì, preferivo mille volte guardare voi, che andare a giocare a qualche altro gioco noioso.» saltò in alto e la sua mano andò in collisione con la palla, che tornò indietro con forza, e venne ricevuta perfettamente da Iwaizumi, che la alzò per un'altra schiacciata. «Volevo imprimere nella mia mente i vostri volti concentrati sulla palla, le vostre espressioni ed i vostri sentimenti.»
«Era davvero così bello? Guardarci per ore intendo.»
«Per me lo era, molto. Tu, Hajime-kun, essendo un giocatore non te ne rendi conto, ma per chi è in panchina o sugli spalti, e non entra mai in campo, capire ciò che stai provando tu, che ci sei dentro, è una cosa davvero entusiasmante.» ora era stata lei ad alzarla, osservando poi i movimenti perfetti del ragazzo nel schiacciarla a terra. «Ovvio, bisogna essere appassionati per vederli distintamente. Ma ti assicuro che non c'è niente di più bello che vedere le persone che ami, dare sempre di più e divertirsi, allo stesso tempo.» affermò dolce prima di voltarsi per andare a recuperare la palla.
 
Anche se indirettamente, aveva incluso anche lui tra le persone che amava. Ma amava come? Come un fratello? Un amico? O come qualcosa di più? Avrebbe tanto voluto fosse quello. Avrebbe davvero desiderato averla tutta per sé, e non dividerla con nessuno, non dover più asciugare le sue lacrime al posto di altri.
«Ritsuka.» la sua voce era un sussurro, un lieve soffio d'aria quasi impercettibile. Ma sapeva che lei avrebbe sentito e lo avrebbe ascoltato.
«Io voglio...» lo anticipò, voltandosi ed immergendosi nei suoi occhi verde selva. «Voglio vedere le tue lacrime Hajime-kun.» rivelò infine sorprendendolo. «Voglio vedere oltre la tua barriera, voglio conoscere quella parte di te che nemmeno tu conosci. Voglio vedere la frustrazione che hai provato oggi, la tristezza e i tuoi sensi di colpa. Metti da parte l'orgoglio, solo questa volta. Per favore...» il suo tono era quasi supplicante, e gli occhi lucidi. «Non posso continuare a sorridere, se so che tu stai soffrendo. Ti prego...».
Un singhiozzo strozzato, delle piccole gocce salate che solcano il viso di uno dei pallavolisti più talentuosi che lei avesse conosciuto; la testa che lentamente si abbassa, fino ad arrivare ad appoggiarsi sulla spalla di lei, e la sua mano a sostenerlo, carezzandogli dolcemente i capelli. Non c'era bisogno di dire altro. Tutti i sentimenti negativi che aveva deciso di reprime stavano fuoriuscendo così copiosamente, da non riuscire ad averne il controllo. E tutto solo per delle parole. Perché era quello, il dannatissimo potere di Oikawa Ritsuka; l'unica in grado di vedere attraverso le maschere delle persone e scorgere quei muri che vengono creati inconsciamente, per proteggersi da se stessi.
Era l'unica, in grado di distruggere i suoi.
 
Perché doveva essere così maledettamente brava? Perché doveva essere proprio lei a capirlo così bene? Se fosse stato Tōru sarebbe stato differente, forse avrebbero superato il problema in modo diverso. E invece no.
Lei. Ritsuka, la sua Ritsuka. Era diversa. Era speciale, nel suo cuore era speciale. Solo ora capiva il perché di tutte quelle fitte allo stomaco quando la vedeva piangere, o quel calore che avvertiva in petto quando la vedeva sorridere.
Il suo corpo, così piccino rispetto al suo, i suoi modi di fare, a volte così goffi e buffi, altre così maturi e perfetti, i suoi occhi, così simili a quelli del suo migliore amico, ma allo stesso tempo così diversi e candidi; e la sua voce, sempre così dolce e cristallina. Quando parlava era come ascoltare una piccola orchestra suonare una vellutata musica classica, sicura e rassicurante.
La amava. L'amava così tanto! E se ne accorgeva solo ora!
«Hajime-kun...» sussurrò lei, distogliendolo dai suoi pensieri. «È tardi... Forse dovremmo tornare» non voleva muoversi da quella posizione. Poter finalmente vedere il vero Hajime, le alleggeriva il cuore; ma non poteva far preoccupare il gemello, che sicuramente si stava chiedendo perché ci mettesse tanto a tornare.
 
Ancora intontito dalla sua nuova consapevolezza, il moro alzò leggermente la fronte dalla spalla della ragazza, piegando la testa verso l'incavo del collo provocando alla ragazza, un brivido che attraversò tutta la spina dorsale, ma non si mosse.
Hajime continuò il suo movimento per tornare eretto, ma quando si trovò con il viso all'altezza di quello di Ritsuka, non poté non posare lo sguardo sulle labbra socchiuse di lei. "Sono sicuro che siano maledettamente morbide" pensò, mentre si mosse inconsciamente verso di esse.
Il suo corpo era come intorpidito, ed i suoi movimenti erano molto più lenti di quanto avesse voluto. Desiderava talmente tanto tastare il loro sapore che non gli importava di nient'altro, ma qualcosa sul suo corpo lo fermò, qualcosa gli stava bruciando il petto. Una piccola stretta; non gli stava suggerendo di fermarsi, di questo ne era sicuro, però tremava. Quel piccolo fuoco che improvvisamente si era acceso nel suo petto tremava leggermente. Portò una mano in quel punto, fino a che le sue dita non si intrecciarono con quelle della piccola mano di Ritsuka, che si era inconsapevolmente aggrappata alla sua maglia. Era stato un gesto involontario il suo. Ma fece capire ad Hajime, cosa avesse la priorità in quel momento.
Sempre con le dita intrecciate tra loro, allontanò la piccola mano dal suo petto, senza lasciarla, si allungò fino a sfiorare con le proprie labbra la gota leggermente arrossata, soffermandocisi un po' più del dovuto, e notò che anche quella parte di lei era calda.
Poi tornò eretto, la osservò dolcemente e con un sorriso gentile le sussurrò: «Andiamo a casa, Ritsuka».


Angolo Autore:
Ok era così tanta la voglia che avevo di pubblicarla, che ho dimenticato la nota...
Comunque, grazie a chi è arrivato in fondo, spero che questa mia one-shot vi sia piaciuta.
Il nuovo personaggio, nonché sorella gemella del nostro Shittykawa, è nata dentro la mia mente malata, e con lei tutta la sua storia.
Questa one-shot è solo un frammento della storia principale. in realtà avevo in mente di scrivere tutta la storia, ma l'altro giorno mentre guardavo l'episodio della sconfitta contro il Karasuno, le mie mani non sono riuscite a trattenersi.
Quindi che altro dire?  Beh grazie a quelli che recensiranno, se ce ne saranno, e a chiunque legga.
un bacio, Ashuramaru ~º
   
 
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