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Autore: Sarah M Gloomy    03/01/2017    0 recensioni
Quarto libro della serie The Exorcist.
Due dei mandanti delle loro morti passati sono stati scoperti. Non sanno di chi fidarsi, né se le loro intuizioni sono vere. Nel tentativo di mantenersi in vita alla ricerca di un modo per salvarsi, gli esorcisti sono costretti a fare l’impensabile e Amabel dovrà fare una scelta che andrà contro sia alla sua natura di esorcista sia a quella di mortale.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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          Mi ritrovo in un ambiente bianco. Sono rimasta per così tanto senza luce e materia che vedere tutto quel bianco mi dà la nausea. Continuo a non aver percezione della mia presenza, solo un orizzonte bianco. Vorrei camminare, ma mi mancano le gambe. Mi ostino a pensare di andare avanti e, all’improvviso, sono davanti a un gruppo di persone. Le definisco così, in mancanza di termini migliori. Hanno un volto e un corpo, ma il loro aspetto cambia così tanto velocemente che non faccio in tempo ad abituarmi a un particolare. Dapprima mi ritrovo davanti a una donna bionda, poi posso avere un anziano calvo. Il colore dei loro occhi, della pelle, dei capelli, il loro stesso corpo è un arcobaleno infinito che si ripete in un circolo senza fine.
   «Sei arrivata.»
Le loro voci sono un’infinità di voci tutte insieme. Bambini, adulti, maschi, femmine. Un’infinità di persone che si sono incontrate per parlare. I loro sguardi, qualunque colore predomini, sono puntati su di me. Sono al centro di una maligna attenzione.
   «Questo tribunale vi giudicherà.»
Mi accorgo di avere un corpo. Mi fisso la mano diafana, così perfetta senza le callosità e la sporcizia del mio tempo. Ho le spalle nude, ma non mi crea problemi. Credo di avere un vestito bianco, ma non distinguo altro. Guardo dietro di me, accorgendomi che una sedia mi sta aspettando. Torno a fissare quelle figure dinnanzi a me. Ho la spiacevole sensazione che il giudizio sarà tutto di parte.
   «Avete commesso molti crimini nella vostra vita.»
   «Crimini?» La mia voce è gracchiante, come quella di qualcuno che non la usa per troppo tempo. La sento mia e, allo stesso tempo, mi è aliena. Una fitta alla testa mi obbliga a chiudere gli occhi. Il fumo mi ha annebbiato i sensi, tossisco e le gambe mi stanno andando a fuoco. Vorrei urlare e non posso.
   «Sì, crimini.»
Cerco di abbandonare il dolore. Sollevo la veste bianca, vedendo i miei piedi diafani perfetti come non lo sono mai stati prima. «Non ho commesso alcun crimine.»
   «Voi negate quello che siete.»
E poi capisco perché quelli mi sembrano persone familiari. Sono tutti gli esorcismi che ho fatto, tutti gli spiriti che ho fatto ascendere. Sono un’infinità. Arretro di un passo e urto la sedia alle mie spalle. «Questo tribunale non emetterà una sentenza giusta.»
   «Questo tribunale è tutto ciò che vi meritate.»
Scuoto la testa. «Ho salvato ognuno di voi. Ho fatto in modo che voi ascendeste e foste liberati dalle pene terrene. Ciò che merito non è rancore.»
   «Voi avete agito per puro vizio.»
   «No.» La mia voce è decisa. «Ho fatto in modo che voi foste liberati dalle catene terrene, ho sacrificato la mia vita per permettervi di ascendere! Questo tribunale non mi può giudicare. Mi oppongo!»
Lo sento. Un cambiamento impercettibile, quasi, se non che me lo aspetto. Chiudo gli occhi al punzecchiare dei piedi, al formicolio che sale lungo la gamba. E quando immagino sia finito, apro gli occhi e guardo il basso. È come il saluto a un vecchio compagno. Sono io e non lo sono, in effetti. Le mie gambe sono ferite, ustionate, imperfette. In un qualche modo quel vecchio corpo mi appartiene. Il problema è sempre stato essere Amabel con la mente di Dalila. Non è più un problema. Non lì. Sono entrambe e, in verità, non sono nessuna.
Alzo lo sguardo per incrociare quelle chimere ribelli che mutano, rimangono uguali. Abbozzo un sorriso, consapevole che la rabbia di Dalila non mi deve appartenere. Io non sono stata bruciata sul rogo. Non necessariamente devo essere arrabbiata. Ho passato la maggior parte della mia vita e della mia morte nel rancore. È ora di andare avanti. Incrocio le braccia al petto. «Fico. Voglio dire, dopo seicento anni siete ancora qui, ad aspettarmi? Pensavo che foste meno stupidi.»
Sono indignati. Una sfilza di volti olografici mi tormenta gli occhi e nessuno di quelle espressioni sembra essere felice di me. Bene. Neppure io lo sono di loro. «Come osi!»
   «Allora, mettiamo in chiaro la cosa. Voi mi avete già giudicato, no? Questo è solo un ricordo.»
   «Voi avete fatto una scelta.» Mi sarebbe piaciuto tanto che la smettessero di parlare con tutte quelle voci. A lungo andare, dava i nervi. «Voi avete scelto di tornare indietro.»
Scuoto la testa. «Na. Non credo proprio di aver mai fatto una scelta del genere. Sono piuttosto cocciuta. Di rado ritorno indietro sulle mie scelte.»
   «Voi avete scelto di ricongiungervi con i vostri compagni.»
   «Sì, questo è più da me.»
   «Noi vi abbiamo punito togliendovi la memoria.» Questo spiegherebbe perché, tra tutti, io non ricordavo il passato. Brutti stronzi. Continuo a fissare quella carrellata di spiriti. Uno di loro, sulla destra, avanza con calma. Si stacca dal gruppo, come per allontanarsi dalla sentenza. E più si avvicina a me, più la sua figura acquista un’unica forma. Sto fissando la copia di Lartia, con piccole differenze. Sto guardando sua figlia. «Voi vi siete macchiata di crimini imperdonabili.»
   «La mia parola contro la vostra. Siete tutti rimasti qui, nei secoli, per cosa? Vi siete mai chiesti, piccoli ingrati, a cosa serviamo? Siamo esorcisti, il nostro compito è quello di permettere una distinzione tra il mondo dei vivi e quello dei morti. E voi, giusto per la cronaca, siete morti. Immagino che siano parole troppo difficili, per spiriti che covano rancore da secoli, no? Okay … diciamo che voi siete una zuppa di cipolle e i mortali una zuppa di patate. Vi ostinate a diventare una zuppa di patate, ma gli unici ingredienti che avete sono le cipolle. Gli esorcisti sono dei cuochi, che vi fanno essere solo una zuppa di cipolle.»
In teoria sono morta, eppure parlare di cibo mi mette appetito. Come, dall’espressione della figlia di Lartia, essere paragonata a una zuppa di cipolle non ha migliorato il suo umore. Né quello degli altri spiriti. Cerco di modificare le frasi, per quanto non posso rimangiarmi il fatto che gli ho dato della cipolla. «Sia chiaro, non sto minimamente cercando di giustificarmi. Solo che è un po’ stupido incazzarsi con me per un qualcosa che siete voi. Quando siete morti, potevate non desiderare con tutto voi stessi di rimanere aggrappati al mondo mortale. Potevate non odiare.»
La ragazza arretra di un passo, il suo volto si sfigura diventando qualcun altro, in una nuova carrellata di immagini. Vedo lo spirito cambiare nuovamente forma e congiungersi al resto della giuria. Non ne ho esorcizzati così tanti! Okay, mi sono data da fare nel passato e nel presente non mi sono grattata, ma lì si va sul ridicolo. E che cavolo! Sono giudicata anche dagli spiriti dei miei compagni esorcisti! «Vi rifaremo la stessa domanda. Volete avere un’altra possibilità?»
So che, qualunque sia la mia risposta, loro si porteranno via qualcosa. La mia memoria, una parte del corpo, la mia sanità mentale. Non tornerò indietro integra. La domanda è: sono in grado di sopportarlo?
Da qualche parte sento una voce che mi chiama. È stranamente familiare. «Bel … Bel.»
Mi chiama dolcemente e alzo gli occhi in quel bianco accecante. Non lo so. Non so se sono in grado di sopportare, ma ho un compito. Me lo ricorda quella voce. C’è qualcuno che mi aspetta. «Sì.»
   «Vi porteremo via il tempo. Patirete il senso dell’abbandono. Anche gli altri hanno scelto.»
Cosa? Gli altri? Siamo stati tutti portati lì e abbiamo scelto di ritornare indietro? E dove è la punizione della memoria? L’abbandono sembra essere qualcosa di più tragico. Faccio per parlare ma nel ventre qualcosa mi fa sussultare e sono sbalzata verso l’alto. Chiudo gli occhi e stringo i denti. Dannazione, fa un male cane.
Apro gli occhi. Sopra di me, il cielo è illuminato dalle stelle. La notte è tutto sommato buia. Intorno a me sento il canto di un grillo, demoralizzato. Un pipistrello plana sopra la mia visuale. Sono distesa su un terreno soffice, come di terra smossa. Ho male tutte le ossa, la gola è un tormento e la mia vista non è mai stata così deficitaria. Il cervello è inceppato. Non so perché sono qui, distesa. Non so che giorno è, o chi è vicino a me. Sento solo l’inconfondibile suono di una persona che parla, quasi supplica qualcuno senza ottenere risposta. Un “ti prego” bisbigliato alla notte. Cerco di muovere una mano, poi mi sorprendo a pensare che è meglio cercare di ricordare la posizione di un dito. Sento il terreno, quindi devo avere per forza un corpo. Quella è l’unica certezza sul fatto che sono viva. Io sono viva. Chi sono, io? Un ammasso di carne, buttata su un terreno, o sono qualcosa di più? Punterei su una centrifuga di ignoto.
Riesco a far ciondolare la testa di lato, per quanto tutto il resto del mio corpo sia lontano dal mio dominio. Una ragazza è distesa poco lontana da me. I suoi occhi sono aperti e fissano l’orizzonte. Indossa dei begli abiti da cerimonia, i suoi capelli neri sono acconciati con cura. Deve essere andata a una qualche celebrazione, ma perché è distesa come me, a terra? La conosco? Il suo petto si alza e abbassa al ritmo di un respiro difficoltoso, come se stesse rivivendo una brutta esperienza.
Una mano stringe la mia. Il suo sorriso. «Julia.»
Di certo non mi ha sentito. È materialmente impossibile perché anch’io ho difficoltà a sentire la mia voce. Io sono Amabel, sono un’esorcista e, non so il perché, sono viva. Sto ricordando che sono morta, di nuovo, annegata. Che cosa provo ogni volta che vedo il fuoco? Ho il terrore, perché tra le fiamme mi è stata portata via la vita. E lei, la mia migliore amica, lei è morta annegata per due volte. Non posso neppure immaginare il dolore. Riesco a muovere la mano. Centimetro per centimetro le mie dita si allungano, si stendono, si avvicinano alla sua mano inerme. Stringo il terreno per darmi forza e poi di nuovo: allungo, stendo, mi avvicino. Sono a un centimetro dalla sua mano, ma da lì non mi muovo. Tutti i miei muscoli sono tesi, in procinto di prendere il volo. Tutto è allungato e pesante. Sono inchiodata nel terreno, ignorando l’odore di morte che ci circonda. Perché il terreno in cui mi trovo è terra consacrata, è la terra di un cimitero. La terra smossa altro non è che il luogo in cui io sono stata seppellita e, ora, mi ritrovo di nuovo lì.
Devo prendere la mano di Julia. Lei non se ne deve andare. Non deve lasciarmi sola come Mary, come Chase … o come io ho fatto con la mia famiglia. Il dolore di chi ho lasciato indietro, di chi se n’è andato con me mi deve stimolare a muovermi di più, a prendere coraggio, a non lasciarla andare. Lei deve rimanere con me, perché quella è la parte più importante. Non rimanere sola.
Poi, senza preavviso, la sento emettere un gemito. E la sua mano si muove, sfiorando la mia.
 
FINE DEL QUARTO LIBRO
   
 
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