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Autore: Sarah M Gloomy    03/01/2017    0 recensioni
Ultimo capitolo della serie The Exorcist.
Gli esorcisti sono tornati in vita e devono fare i conti con la loro nuova natura. Hanno un nuovo obiettivo, quello di distruggere il loro vecchio Ordine, ma qualcosa non va come dovrebbe.
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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         Sono seduta, anche se non so con quale forza di volontà. Reggo tra le mani una bottiglietta d’acqua. La fisso. «Sono …» Chi sono? Un ragazzo mi accarezza una guancia, obbligandomi ad alzare il viso. Ha un bellissimo volto, dei penetranti occhi verdi e abbozza un sorriso. Nonostante sia coperto di terra e puzzi di sudore e sangue, io mi accorgo solo che sorride. È come un raggio di sole dopo la tempesta che ha squarciato il mondo. Mi rassicura. «Devi continuare a parlare. Agganciati ai ricordi.»
Guardo la ragazza che è ancora distesa vicino a me, mentre un altro ragazzo la pungola con l’acqua. A lei non chiedono di parlare. Come non lo chiedono al biondino tra le braccia dell’omone. Ho avuto un momento, lo so, in cui tutto si era sistemato, i pezzi del puzzle avevano avuto un senso. Poi … l’ho perso. Sospiro. Mi fanno male ossa e muscoli. Il solo respirare non rende bene quello che sto provando. Mi concentro su quel ragazzo, perdendomi nel suo sguardo. «Sono Amabel Wright, la reincarnazione dell’esorcista della Menzogna morta nel 1400.»
Mi scosta un ciuffo dalla fronte. «Bene. E?»
Questa parte mi è un po’ difficile da dire. «Sono ritornata in vita … credo.»
Appoggia la sua fronte alla mia. Sì, sa proprio di sudore e sangue. Deve averci tirato fuori con le sue sole mani. Chi? So che la ragazza alla mia sinistra è Julia. Gli altri nomi, ancora, sono ingarbugliati nella mia testa e chiedono di essere conosciuti. La gola di arde, ma la bottiglia non si vuole avvicinare alla mia bocca. Il ragazzo me la sfila dolcemente, mi fa aderire al suo corpo con la schiena. Sento il suo petto alzarsi e abbassarsi in un respiro senza urla. All’opposto, ogni lembo del mio corpo mi sta chiedendo perché. Perché sono di nuovo viva? Perché mi ostino a respirare quando tutto di me mi dice di abbandonare? Perché … perché?
Appoggia le mie labbra alla bottiglia, dandomi da bere a piccoli sorsi continui. Bevo, pausa. Bevo, pausa. È una sicurezza. La sua voce, alle mie orecchie, mi arriva come un bisbiglio segreto senza senso. «Sei stata molto brava, Bel. Hai preso in mano la situazione e ora sono tutti salvi. Come mi avevi chiesto, voi siete stati il secondo giro. Immaginavo che per riportare in vita voi avrei avuto bisogno di più forza. È andato tutto bene. Anche Robert, tra un po’, riaprirà gli occhi.»
Robert deve essere il ragazzino biondo, tra le braccia di … «Maximus.»
Un altro sorsetto d’acqua. «Molto bene. In questo secolo, però, si chiama Warren. E Robert è il vecchio Oppius. Hai capito? Stanno tutti bene. Non ci sarà nessun rituale dell’immortalità. Johannes e gli altri non ci controllano più.»
Giro appena la testa, per vedere le sue labbra. Alzo una mano e, davvero, fino a pochi secondi fa non sapevo neppure di esserne in grado. Le sue labbra sono piene e calde. Mi sorride ancora quando alzo gli occhi per incrociare il suo sguardo mite. «Titus. E Chase.»
La sua guancia si appoggia alla mia. «Sì. Titus e Chase. Dalila e Amabel.»
Chiudo gli occhi, scoprendo che sto piangendo. Perché piango? Nella mia testa è tutto molto confuso. Dovrei essere triste? O felice? «Io … io sono Amabel Wright, la reincarnazione dell’esorcista della Menzogna, morta nel 1400. Sono Amabel … sono Amabel.»
Ripetere quella nenia sembra che mi aiuti. Mi sto agganciando a quel ricordo, al fatto che sono stata una ragazza di sedici anni con quel nome. Che sono già stata abbracciata dallo stesso ragazzo che mi stringe in questo momento. Anche la terra del cimitero, così smossa, è un ricordo del passato. Non necessariamente bello. Al momento, però, non so cosa lo sia. Stavolta mi fa bere più del dovuto, scuotendo la testa quando tento di allontanarlo. «Dobbiamo spostarci da qui. E più bevi, più in fretta recuperi. Warren?»
Il ragazzo si sta caricando Robert tra le braccia. Il ragazzino sta tremando e i suoi ciuffi biondi sono inzaccherati di terra. Anche lui ha dei begli abiti, sporchi di terra. Sembra essere andato a una festa prima di essere seppellito. Il mio cervello finalmente collega che la festa in questione deve essere il suo funerale. «Ha bevuto. Si sta risvegliando solo ora. Vuoi che rimaniamo qui ancora, finché non si riprende dal tutto?»
   «No. Dobbiamo spostarci il prima possibile. Non ci devono trovare.»
Nella voce di Chase c’è l’urgenza. Il terreno mi scivola da sotto il mio corpo e sono sollevata da terra senza apparente fatica. Faccio passare un braccio intorno al collo di Chase, i suoi occhi si addolciscono. «Molto bene, Bel.»
Mi piace quando mi chiama, che sia Bel o Amabel. Mi piace come mi guarda e la sensazione delle sue braccia intorno a me. È stupido? Mi piacciono tante cose che in questo momento non dovrebbero importarmi. Gira appena la testa, chiamando l’ultimo ragazzo. «Jamar?»
   «Niente. È sveglia ma amorfa. Che diavolo gli prende? Philippe si è alzato e ha fatto qualche passo prima di crollare tra le braccia di Eliza.»
Altri nomi familiari. Chase mi sistema meglio tra le sue braccia. «Sì. Beh, tu hai la tua ex fidanzata che è morta due volte annegata. Cerca di comprendere la situazione. E Robert è molto giovane.» Lo sento sospirare, in risposta al commento tacito dell’altro. «Jamar, anche se avete la stessa età, devi ricordarti che un conto è l’età anagrafica, un altro è quella mentale.»
   «Vuoi dire che Bel è la mia mamma?» Rimbrotta, con tutta l’intenzione di offendermi. Riesco ad abbozzare un sorriso. «Jamar … vaffanculo.»
Lo vedo sollevare con apparente facilità Julia e caricarsela in spalla. Poi il suo viso sbuca nel mio campo visivo. Mi sorride e è felice di vedermi. Non credevo che il vederlo così, con i capelli spettinati e coperto di una patina lucida di sudore mi potesse rassicurare. Ho il sospetto che noi due non siamo mai andati particolarmente d’accordo. «Buona sera, sorellina.»
Appoggio la testa alla spalla di Chase. Devo ripetere quella nenia. È più forte di me. «Tu sei Jamar, la reincarnazione dell’esorcista della Lussuria, Damide, morto nel 1400.»
Alza un sopracciglio, fissando Chase. «Anche io continuavo a ripetere questa solfa quando mi hai risvegliato? Che palle.»
   «No. Tu continuavi a dire che eri il re del mondo.»
Il mio petto è scosso da una risata. Credo che in un film visto in passato, uno dei protagonisti dicesse una frase del genere. Ogni parola mi sembra di tornare più me stessa. E non mi piace. È come se mi tirassero a forza via da un tubo stretto. Solo che io lì ci stavo davvero bene. Al contrario, i miei ricordi sono solo dolore. Ricordo un auto che andava fuoristrada, la mia mano che stringeva il volante per essere l’artefice di quelle morti, la mano di Julia stretta alla mia. Io li ho uccisi. Mi muovo a disagio, Chase mi stringe forte in vita, bisbigliando agli altri. «Dobbiamo andare. Bel sta iniziando a ricordare.»
Usciamo dal cimitero. È una notte senza stelle né luna, così buia che non si vede nulla. Il cimitero è immerso in quel silenzio di un mondo passato, di anime che hanno lasciato la terra. Al margine della strada, una donna se ne sta seduta a guardare il terreno davanti a sé. Da lei proviene un leggero sibilo, come di catene e di vento. Alza gli occhi e incontro il suo sguardo. C’è paura e c’è rassegnazione. Nella morte non ci può essere altro. Sono quasi rassicurata dal fatto che non mi è stato concesso di tornare sotto forma di spirito. In effetti, però, non so neppure come sono tornata.
Tra le braccia di Chase sono al sicuro. È stupido pensarlo, anche quando i ricordi iniziano a graffiare la mia mente. Lo scontro con l’auto è solo alla fine dei miei problemi. Sto seguendo il filo di Arianna, conscia che potrebbe essere solo doloroso. Eppure, i miei pensieri si agganciano a qualcosa che cerco in tutti i modi di allontanare. Il viso felice di un bambino, che mi sbircia dal divano, mentre alla televisione viene trasmesso un cartone animato. Il profumo del sugo, con mamma affaccendata ai fornelli, intenta a mescolare. Nonna che mi abbraccia e mi sfiora con le labbra la fronte. E papà, disteso nel suo letto, in coma. Emetto un gemito di dolore al pensiero di quelli che ho lasciato indietro. A quelli che ho lasciato andare, come Mary, Carlos. E la rabbia inizia a bollire, perché non è mai scomparsa. Altri nomi, altri lamenti: Johannes, Malachite … Ridley.
Il freddo della notte si interrompe all’improvviso. Sbatto gli occhi, sorpresa di trovarmi davanti a una porta usurata dal tempo. La lampadina bruciata risveglia altri ricordi e, quando si apre la porta, un nuovo viso conosciuto fa capolino. Eliza si sposta, facendoci passare. Warren appoggia Robert sul divano, dandogli una bella sorsata di acqua. Vengo adagiata su una poltrona, come un riccio mi rannicchio e stringo le gambe al petto. Chase appoggia una bottiglietta di acqua alla mia mano. Tremando, libero una mano dalla stretta e la prendo, portandomela velocemente alle labbra. Bevo. Bevo. È l’unica certezza che ho.
Philippe è seduto vicino a me, per terra, intento a reggere la testa con le mani. Tre bottigliette vuote lo circondano. Jamar sistema Julia dall’altra parte del divano, obbligandola a bere. Blocca con una mano uno scatto della gamba di Robert, con un’imprecazione che mi fa tornare in mente tempi migliori.
Eliza si siede a terra, davanti al mio campo visivo. O davanti a Chase, visto che è seduto molto vicino a me. Sembra temere che, muovendomi, faccia un ruzzolone giù dalla poltrona. Sarei più convinta che, bevendo, mi rovesci tutta l’acqua addosso.
   «Siamo tutti e otto. Direi che è andata alla grande.»
Sentire il tono ironico di Eliza è un po’ come aspettarsi che Warren facci un lungo discorso filosofico sul non rubare. Lei è più schematica, meno incline al riso. Socchiudo gli occhi, e vedo la durezza di Sura dietro a quegli occhi nocciola. I suoi capelli ricci sono ancora umidi, il labbro inferiore le trema appena mentre attende una qualche risposta. È Jamar che comincia. «Benone. Ha iniziato anche Julia.»
Sento un piccolo bisbigliare, ma è chiaro che anche la mia vecchia amica ha iniziato quella che è una nenia di rito. Dovrebbe fare tipo “Sono Julia White, la reincarnazione dell’esorcista dell’Ira, Lartia, morta nel 1400”. Più o meno. Immagino, poi, che le parole cambino a seconda del carattere.
Jamar la sta facendo bere nei suoi momenti di pausa. Un po’ crudele.
Chase mi sfila dalle mani la bottiglietta ormai vuota, mettendomene un’altra. Come nelle mie migliori aspettative, un po’ mi cade e mi bagna la camicia bianca che fino a quel momento non sapevo di avere. Interessante. Non sapevo di possederne una, il che mi fa capire come il mio cervello ha deciso di attivare finalmente i neuroni che non sono stati distrutti dalla morte.
   «Già. Siamo tutti e otto. Ora dobbiamo solo aspettare che gli ultimi di noi si riprendano dal risveglio.»
Philippe alza la testa. I suoi occhi sono spenti, privi di quel barlume di vita che lo avevano sempre caratterizzato. Ho la certezza che oggi siamo stati svegliati io, Philippe, Robert e Julia. A parte il fatto che siamo tutti e quattro messi da schifo, spiegherebbe perché Chase, Warren, Eliza e Jamar siano stanchi. Devono aver attinto a qualunque forza degli esorcisti per strapparci dalla morte. Sono lo zombie di un’esorcista. Anzi. Lo siamo tutti.
Philippe bisbiglia appena, aggrappandosi a qualcosa. «Aspettare
Chase mi scosta i capelli dalla fronte, io mi stacco infine dalla bottiglietta e ricambio la sua attenzione. «Sì, aspettare. Abbiamo il nostro vecchio Ordine da distruggere.»
   
 
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