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Autore: juniper_goblinfly    06/01/2017    1 recensioni
Non volevo svegliarmi, se lo avessi fatto avrei perso tutto, avrei perso lui... Era stato la ricerca di una vita e non lo avrei più lasciato andare.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Martin Freeman
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Lo guardai, forse un po' troppo a lungo, perché si voltó dalla mia parte, accennando un sorriso. Distolsi immediatamente lo sguardo, arrossendo leggermente e spostando lo sguardo fuori dalle grandi finestre del bar. Imprecai tra me e me, mordendomi un labbro. 
Continuavo a ripetermi che non avrei avuto possibilità: lui era... LUI! E io troppo giovane, troppo insignificante. Eppure non potevo fare altro che pensarci. 
Mi grattai la punta del naso, come faccio sempre quando sono imbarazzata, mentre il cameriere veniva da me per prendere la tazza di cappuccino dal mio tavolo. Improvvisamente una lampadina mi si accese in testa e drizzai le spalle. 

- Pago io la colazione all'uomo del tavolino lá in fondo. - 

Feci un leggero cenno della testa verso l'uomo che stavo guardando prima, mentre porgevo il denaro al cameriere per pagare il conto di entrambi. Raccolsi le mie poche cose e mi assicurai al collo la macchina fotografica, sfiorandola con la punta delle dita. Era il mio piccolo tesoro quella macchina e da quando i miei genitori me l'avevano regalata non ero ancora riuscita a separarmene. 
Uscii dal locale, proprio mentre lo stesso cameriere di prima riferiva all'uomo che avevo già pagato tutto per lui. Non riuscii a godermi la sua faccia sorpresa, perché ero già fuori, e mi dirigevo verso la fermata più vicina della metropolitana. 

- Ehi, fermati! -

Cercai di ignorare la voce maschile che raggiunse le mie orecchie, una voce fin troppo conosciuta, una voce che avrei riconosciuto ovunque. Mi afferró per una spalla e, solo a quel punto, mi fermai. Per qualche secondo lo guardai negli occhi, ma duró poco, per colpa della mia timidezza. Strinsi le mani attorno alla tracolla della borsa.

- Non dovevi. - 

Mi rimproveró, lasciandosi però sfuggire una risatina subito dopo. 

- Cosa ti è saltato in mente? Non era necessario. - 

Mi strinsi nelle spalle. 

- Non sei di molte parole, vero? - 
- Ecco... N-no. Cioè! -

Mi sistemai il ciuffo, per sfuggire all'imbarazzo, suscitando l'ennesima risatina nell'uomo.

- Guarda che prendendomi in giro non mi aiuti... - 

Commentai, gonfiando le guance. Mi accorsi troppo tardi del mio commento e mi maledissi per averlo fatto. Eppure lui rise ancora, di gusto. 

- Mi conosci, vero? Lo hai fatto per quello. - 
- Ti conosco, si. Non di persona. - 

Mi guardó, alzando un sopracciglio. Sapevo esattamente cosa stava pensando.

- Ma non l'ho fatto perché sei tu. Non l'ho fatto perché sei un attore, perché sei Martin Freeman. - 

Mi suonó strano dire quelle cose a lui, in modo così naturale. Il biondo rilassó le spalle, assumendo un'espressione confusa. Allora sospirai, cercando di mantenere una calma che non avevo.

- L'ho fatto perché... Sinceramente un motivo non c'è. Diciamo che era una sorta di ringraziamento. -
- Ringraziamento per cosa? - 
- Per tutto quello che fai.- 

Indicai la fermata della metropolitana. 

- Dovrei... Dovrei andare. - 

Accennai. Lo vidi mettere una mano sul fianco e indicare con l'altro braccio la fermata. 

- Non credere di filartela così. Tanto devo prendere anche io la metro, potrai spiegarmi tutto durante il viaggio. - 

Maledizione. Lo avevo cercato per anni senza successo e ora non riuscivo a liberarmene? A dirla tutta non volevo esattamente che se ne andasse, ma era tutto così strano ed innaturale. Feci finta di essere scocciata, anche se probabilmente lui sapeva bene essere tutta una messa in scena. 

- Ok, mi arrendo! - 

Alzai le mani e mi incamminai giù dalle scale, con lui al mio fianco, che mi osservava come fossi un animale raro. Forse era abituato ad altro, forse ero solo patetica. 

- Ho passato un brutto periodo e il tuo lavoro mi ha aiutato parecchio. Si, storia banale, l'hai sentita da molte persone, lo so. - 

Gli confessai, in un sussurro, una volta seduti. Notai che alcune persone ci guardavano, per cui abbassai lo sguardo. 
Lui sembrava non curarsene. Inclinó la testa, cercando di guardarmi in viso. 

- Si, l'ho già sentita, ma mai detta sinceramente. - 

Sorrise e io alzai la testa, scossa improvvisamente da quelle parole. Balbettai qualcosa di incomprensibile, sempre più rossa. Martin poggió la schiena al sedile. 

- Brutto periodo in che senso? - 
- Depressione.- 

Risposi semplicemente. 

- Guardarti mi rendeva felice, insieme all'aiuto di un'amica. Siete state le due persone che mi hanno risollevata, ecco. -

Scossi la testa. 

- Ehi, dovresti almeno invitarmi a bere qualcosa prima di fare certe domande! -

Rise, mentre io mettevo il broncio. Ecco che succedeva ancora: quando mi imbarazzavo troppo finivo sempre per dire cose stupide per tirarmene fuori.

- Perché no? - 

Si giró verso di me, arricciando l'angolo destro della bocca. 

- Cosa?! -

Esclamai, facendo voltare altre persone nella nostra direzione. Mi schiarii la gola, facendo l'indifferente davanti a tutti quegli occhi. 

- Ma cosa dici? - 
- Lo hai detto tu, non guardarmi male ora! - 

Brontolai, mentre mi alzavo per scendere, notando che anche lui si stava alzando per seguirmi. Mi accorsi che tutte quelle attenzioni non mi dispiacevano, sopratutto perché le avevo tanto desiderate. 

- Ok, ti permetto di offrirmi un the. - 

Sorrisi, ritrovando un po' di sicurezza, mentre lo guardavo. Sorrise anche lui, quel sorriso che conoscevo bene e non avevo mai visto dal vivo. Si, era proprio bello... Decisi che se voleva seguirmi poteva farlo, se si fosse stancato avrebbe potuto andarsene tranquillamente, no?

- Sei una fotografa? -

Impiegai qualche secondo per capire, poi agitai una mano, mentre alzavo la macchina fotografica.

- No! Non professionista almeno. Mi piace fare foto e disegnare, ma niente di che. -

Storsi la bocca, facendogli segno di fermarsi e scattandogli una foto. 

- E questa è per tutte le domande che mi fai.- 

Ridacchiai. Mi fece il dito medio, ma dal sorriso che aveva in faccia non era veramente arrabbiato. Era proprio da lui fare certe cose. Almeno non aveva ancora imprecato. 

- Beh, mi piace conoscere le persone che mi offrono la colazione. - 
- Ah, lo fai con tutti, quindi? -

Mi sentii un po' delusa, delusione che scomparve quando lui scosse la testa. 

- No, in realtà sei la prima. - 

Disse mentre mi indicava la fermata a cui ero scesa. 

- Camden? - 
- Mi piacciono le cose particolari e la musica: non c'è posto migliore dove trovarle entrambi, no? - 

L'attore si illuminó improvvisamente quando pronunciai la parola musica. 

- Cosa ascolti? -

Ridacchiai, stringendomi nelle spalle.

- Beatles per primi. Poi adoro il jazz, il blues... Ma mi adatto molto facilmente. Se qualcosa mi piace lo ascolto. - 
- Oh, hai davvero buon gusto. - 

Mi fece l'occhiolino, cosa che mi indusse a distogliere lo sguardo e concentrarlo sulla prima bancarella di vinili che trovai.

- Direi sia stupido chiedere cosa piace a te. Più o meno lo so. -

Dissi a mezza voce, allungandogli un vinile piuttosto vecchio. Poteva piacergli, forse. Lo vidi con la coda dell'occhio figurarselo tra le mani, sfiorarlo come fosse un tesoro. Avevo fatto centro. Sorrisi sotto i baffi quando disse al negoziante di volerlo comprare. 

- Allora, cosa sai di me? - 

Mi chiese subito dopo aver pagato. 

- Le cose che sanno tutti, poi quello che riesco a capire dal tuo viso, dai gesti e dalle parole che usi. - 

Mi guardó un po' scettico. Dovevo sembrargli strana o suonargli incomprensibile. 

- Il mio corso di studi mi ha insegnato a leggere le persone, praticamente. Sai, è piuttosto utile... - 

Scattai un paio di foto alla via, poi più in particolare a tutti quei vinili, abbassandomi all'altezza della bancarella. Un paio di ragazze si avvicinarono a noi, approcciando timidamente l'uomo, che non poté continuare con le sue domande. Mi guardó di sfuggita, prima che le due lo tempestassero di domande e richieste di foto e autografi. 
Feci un passo indietro, osservando quella scena in silenzio. Gli feci un'altra foto, per poi voltarmi e allontanarmi, scomparendo nel mercato. Subito sentii la tristezza impossessarsi di me, come un vento gelido sotto i vestiti, ma ero consapevole del fatto che era la cosa giusta da fare. 
Mi dispiacque lasciarlo in quel modo, ma dovevo scomparire, come ero scomparsa dalla vita di tutti, scegliendo per mia volontà di diventare solo un ricordo per amici e parenti che non fossero i miei genitori e mia sorella. Era così da quando mi ero trasferita e mi andava bene: non volevo che nessuno sentisse la mia mancanza, anche se, in fondo, era per non provare nostalgia io stessa. 
  
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