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Autore: Anonimadelirante    08/01/2017    3 recensioni
“C’è un mondo, lontano, lontanissimo, un mondo di fiaba, in cui il mare è sempre azzurro e il cielo terso e il sole batte dorato su una casetta arroccata su una spiaggia. Ad est c’è una collina, ad ovest ci sono degli scogli. In questo mondo c’è una ragazzina, capelli color del grano, gambe lunghissime, sorriso sfacciato, di nome Victoire.
Victoire ha tre anni, e poi dieci, tredici, diciassette. Ha due fratelli rompiscatole, troppi parenti, ed una collezione di conchiglie. Il suo migliore amico porta il nome di un peluche.”

[Prima classificata a “Questo contest lo costruite voi, lettera a Babbo Natale edition”]
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Teddy Lupin, Victorie Weasley | Coppie: Teddy/Victorie
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione, Da Epilogo alternativo
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Warnings: what if Voldemort avesse vinto?; roba favoleggiante, Victoire!Hope (capirete quando sarà troppo tardi), pare mentali sulle conchiglie (perché adoro le conchiglie, okay?).
Disclaimer: ovviamente no. Non sono la Rowling sotto copertura ma magari
— Siccome quest'anno gli elfi di Babbo Natale si sono ribellati al vecchiaccio che li sottopagava (scherzo, Babbo, ti voglio bene <3), questa OS partecipa a Questo contest lo costruite voi @99 ed è sotto l'albero di Alexlovesmal.
Word Count: 1861
N/A: al solito, in fondo.

 

 

 

Un bel modo per andarsene
La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio.
Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle.

(Pablo Neruda)

 

 

C’è un mondo, lontano, lontanissimo, un mondo magico in cui i prati fioriscono di gigli e tutti i bambini che fanno volare le bolle di sapone da una stanza all'altra guidandole solo col pensiero sono considerati maghi ed è un mondo bellissimo, sempre al sole, un sorriso continuo. La nonna le racconta storie di questo regno di fiaba ogni sera – tutte le sere. In questo mondo c'è un ragazzino che è appena un po' più grande di lei, con le ginocchia nodose e le gambe ossute e un sorriso dolcissimo, sulle labbra screpolate. Il ragazzino ha anche capelli di corvo, spettinati, impresentabili, i gomiti sbucciati, gli occhi d'un verde accecante, ed una cicatrice: le cicatrici, dice la nonna, sono molto importanti. Determinano chi siamo e come affrontiamo la vita, se a testa alta o a testa bassa, o semplicemente scansando gli ostacoli. Il ragazzino ha una cicatrice sulla fronte ed è importante, davvero, importantissimo, persino più del fatto che i vetri spariscono al suo passaggio e che gli occhi verdissimi che ha sono anche un po' miopi. Un trofeo. Gliel'hanno lasciata in eredità i suoi genitori, che sono morti da eroi gli hanno, anche, lasciato una casa in rovina e tanti galeoni da potersi comprare Mielandia intera, ma soprattutto gli hanno lasciato un buon carattere e dei sani principi ed una cicatrice sulla fronte, a forma di saetta.

 

A Hope, questo ragazzino sta pure simpatico, con tutto che non esiste ed ha un nome più bello del suo, ma non è sicura che la cicatrice sia merito della sua mamma e del suo papà: una sera, la nonna le ha detto, contraddicendosi, che gliel'ha fatta un mago cattivo, ma la fiaba finisce bene e allora non importa.

*

 

Hope ha tre anni e strilla tantissimo, sette anni ed un sorriso sdentato. Ha dieci anni ed abita in una casetta arroccata sulla costa, affollata di persone, con la sua mamma, il suo papà e una sorellina rompiscatole. Il mondo in cui vive, il mondo reale, in cui i bambini sono considerati maghi solo se lo sono anche i loro genitori e nonni e zii, lo conosce soltanto perché suo zio Charlie ogni tanto gliene parla – non l’ha visto mai, mai di persona, mai oltre gli scogli ad ovest e la collina ad est di casa sua. Suo zio ha i capelli più chiari di suo papà, ma lo stesso naso, la stessa bocca e lo stesso sorriso negli occhi stanchi quando la prende sulle ginocchia e le racconta dei draghi che una volta – tanto tempo fa, troppo tempo, un tempo così remoto da essere confuso con una fiaba – studiava e domava.
Hope ha una casa su una spiaggia, una sorellina frignona e vorrebbe cavalcare un drago, un giorno, chissà, sarebbe bellissimo.

 

C'è un mondo bellissimo, sempre al sole, con i prati pieni di gigli. In quel mondo vive un ragazzo, capelli neri e occhi verdi – in quel mondo, però, vive anche l'Uomo Nero.
Ma i buoni non hanno mai la peggio – mai nelle fiabe. Quindi, va bene così.

 

Hope ha dodici anni e un paio di ore, un fratellino in arrivo, una sorellina irritante ed un migliore amico col nome d'un orsetto. Glielo fa notare, le dita ancora sporche di torta alle mele, Hai il nome di un peluche, e lui si fa un po' teso, un po' arrabbiato, un po' rosso in viso: in famiglia dicono tutti che ha il nome di suo nonno (di un ribelle, una brava persona).

«Il mio nome», dice allora lei, in uno slancio di affettuosa partecipazione, «fa schifo.»

Teddy la guarda soltanto, ché non è che si possa proprio ribattere, ad una verità del genere: «Però ha un bel significato», le dice, senza il tono di una consolazione, ma con un mezzo sorriso. Hope non replica. Solo, si fa leggermente più vicina e sfrega il naso contro il palmo di Teddy, quando questo le porge una conchiglia. Ha dodici anni, quasi tutti i denti, troppi parenti ed un migliore amico.

 

C'è un mondo, le dice sua nonna la sera, un mondo bellissimo, in cui vive un ragazzino appena più grande di lei, ch'è cresciuto senza la mamma e il papà, ma con due amici fantastici ed una ragazza dai capelli rossi e un mare di lentiggini (e se si guarda indietro, più indietro, più vedere sua mamma nell'onda di tramonto dei capelli di lei ed altrettante efelidi. Se si guarda allo specchio è come vedere suo papà con lo sguardo di sua madre). Combatte il cattivo con una bacchetta di fenice ed ha un maestro con la barba bianca.

Sembra un favola, ma è successo davvero.

 

Nessuno sorride, nel giorno del suo compleanno. Sua madre le scocca due grandi baci sulle guance e sussurra Ma pètite sorcière, joyeux anniversaire, suo padre le accarezza piano la testa. Sua sorella le fa una linguaccia, suo fratello frega quatto quatto un po' di panna dalla torta. Hope aspetta che arrivi Teddy, come ogni anno: bussa alla porta, l'abbraccia e le mette in tasca la quattordicesima conchiglia.

 

(Combattono in tanti, al fianco del ragazzino con la cicatrice sulla fronte.

Professori e amici – ragazzi come Ted, come lui, che fanno magie anche se i loro genitori e nonni e parenti non sono maghi. C'è chi si batte a viso aperto e chi aiuta i più giovani a nascondersi nei boschi – ma alla fine tutto finisce come in ogni fiaba: e se qualcuno muore, muore credendo in ciò per cui combatte.

Ch'è poi un bel modo per andarsene.)

 

Hope ha una casa sul mare, due genitori, due fratelli e una collezione di conchiglie. Se glielo chiedono, il suo migliore amico porta il nome di un eroe.

 

Il ragazzo dai capelli neri e gli occhi verdi, le ginocchia nodose e due migliori amici, si chiama Harry ed ha un destino: ucciderà Voldermort, ch'è l'Uomo Nero, così cattivo che più cattivo non si può. Harry sorride piano e ride e ama come chiunque altro: ma ha gli occhi verdi di sua madre e i capelli scuri di suo padre ed una bacchetta gemella a quella del mago malvagio.

Per amor di simmetria, sarà lui a vincere l'ultima battaglia.

*

Soffia un vento gentile, a Tinworth, e Hope aspetta con calma che il suo compleanno passi come un'onda sulla spiaggia. Tre anni cambiano molte cose e ne lasciano invariate altrettante: la nonna ancora le racconta, a volte, mentre culla i suoi fratelli, la storia di Harry e della sua battaglia, ma adesso Hope sa che non è una fiaba. Ted, accanto a lei, sta seduto sulla sabbia, la testa inclinata e un mezzo sorriso: Speranza, le ha detto, è il significato più bello di tutti i nomi.

«Sarà», risponde lei, come ogni volta che ne parlano, ma poi aggiunge «Espèrer», ché nella lingua musicale di sua madre tutto sembra più accettabile.

Ted ha sdoganato due anni prima l'entrata a far parte di ciò che resta dell'Ordine – l'antico gruppi di ribelli ed eroi – per i più giovani e ora le parla di com'è il mondo, là fuori, oltre la collina ad est e la scogliera ad ovest della casetta; col sole che muore, sembra quasi che i suoi capelli siano rossi come quelli delle ragazze delle fiabe. Le ha regalato la diciassettesima conchiglia, grossa quasi quanto un pugno: ad accostarla all'orecchio, si può sentire il rumore del mare. Per quando sarai lontana, le ha spiegato con uno sguardo strano. Le dice com'è, i soprusi e le ingiustizie che finora gli adulti hanno fatto del loro meglio per tacerle, e come vorrebbe che fosse. Non prende fiato da quelle che sembrano ore.

Lei stringe il palmo contro la conchiglia e lo interrompe senza preavviso: «Forse è il momento di fare noi qualcosa.» Ted si gira a fissarla. E la fissa.

E la fissa.

La luna fa capolino timidamente oltre l'orizzonte piatto, quando Ted risponde, senza una logica apparente: «C'è un bel cielo, ‘sta sera», ma non sta guardando in alto. Sta guardando lei.

Hope, di anni diciassette, ha tutti i denti al loro posto, un migliore amico col nome di un fuggiasco, due fratelli rompipalle ed una collezione di conchiglie.

Il suo nome – il suo nome potrebbe essere il simbolo della salvezza che in tanti hanno creduto perduta ormai da tempo, finita con una cicatrice.

 

(Quindi non ha vinto, Harry. È morto. L'ha fatto cercando di salvare quelli che amava.

Se fosse ancora vivo, non esisterebbe questa fiaba.)

 

La sua vita non è una favola della buonanotte, perciò stringe la conchiglia in grembo, guarda Ted, ma non lo bacia. Si fissano e lei dice: «Sì, belle stelle.»

Poi lui le accarezza la mano e il rollio delle onde accompagna l'impennata del suo cuore. Se devo morire, pensa e se non lo dice è solo perché Ted è ad un soffio dalle sue labbra, se anch'io devo morire, sarebbe bello andarsene così. Una notte come tante, le dita intrecciate con quelle di Teddy ed il mare che li guarda.

 

*

Fanno irruzione ad Hogwarts quattro anni dopo. Precisamente, Hope compie gli anni correndo su per le scale che portano all'ufficio dei Presidi della scuola. È una trappola, certo che è una trappola, dovevano aspettarselo. La battaglia è breve e cruenta e Hope intravede un lampo verde che si schianta a qualche centimetro da lei. Per un soffio. Voldemort le sorride serafico, un tonfo (Teddy, Dio, Teddy), e Hope pensa—

 

(Finalmente, deve aver pensato Harry, finalmente la verità. Nello studio del preside, i ritratti vuoti alle pareti, il tappeto polveroso sotto i piedi. Deve aver processato i ricordi di Piton, stretto le dita per frenarne il tremore e realizzato: Sto per morire. Neanche. Devo morire. Anche Harry, come lei, deve aver avuto paura, ma solo un po’, ché Harry era forte e coraggioso e, soprattutto, sapeva quel che faceva.

 

È una trappola, certo, dovevano aspettarselo. Per cui va bene, è una trappola: ma anche la loro lo è – ci sono venti conchiglie incantate nascoste nel castello e non c'è modo che i Mangiamorte le trovino tutte in tempo.

Sto per morire, deve aver pensato Harry. Neanche: devo morire. Hope si volta e guarda il corpo di Ted e pensa all'ultima conchiglia, la diciassettesima, quella che le pesa in tasca: a portarsela all'orecchio è come se il mare le raccontasse una storia.)

 

— pensa Sto per morire e non c'è gloria, non c'è soddisfazione. È solo il ricordo vago e rassicurante delle onde della sua infanzia, che s'infrangono contro gli scogli, che urlano in tempesta. Un bel modo, in fondo. Un bel modo per andarsene.

*

C’è un mondo, lontano, lontanissimo, un mondo di fiaba, in cui il mare è sempre azzurro e il cielo terso e il sole batte dorato su una casetta arroccata su una spiaggia. Ad est c’è una collina, ad ovest ci sono degli scogli. In questo mondo c’è una ragazzina, capelli color del grano, gambe lunghissime, sorriso sfacciato, di nome Victoire.

Victoire ha tre anni, e poi dieci, tredici, diciassette. Ha due fratelli rompiscatole, troppi parenti, ed una collezione di conchiglie. Il suo migliore amico porta il nome di un peluche.

 

 

 

 

Cantuccio del Delì-rio: prima /ed unica) nota necessaria: nell'ultima scena, prima dell'“epilogo“, pensa all'ultima conchiglia, la diciassettesima, quella che le pesa in tasca (a portarsela all'orecchio è come se il mare le raccontasse una storia): l'ultima conchiglia, la diciassettesima, non è l'ultima che le è stata regalata (infatti, lei ha ventuno anni), ma l'ultima che le rimane, dopo aver incantato le restanti venti per sconfiggere Voldemort (avrà poi successo?). La tiene in tasca, come amuleto, porta fortuna, quel che è. Spero si capisca, ma non si sa mai.
— Sono abbastanza sicura che Alex non intendesse esattamente questo, quando ha mandato la sua letterina – neanch'io, ma tant'è. Spero comunque che posso essere una lettura piacevole.

  
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