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Autore: Cottage    08/01/2017    1 recensioni
Una banconota da 100 Pokè oscillava costantemente davanti ai miei occhi. "Ecco, questa è una cosa sospetta" avevo quindi detto, a Daisuke, il quale l'aveva già superata, non badandoci e dicendo "Sbrigati che siamo quasi arrivati"
Io, per tutta risposta, avevo sorriso, ridendo della mia distrazione "Hai ragione, scusa, si vede da lontano un miglio che questa è una trappola!" Quindi, dal nulla, erano scese altre banconote da 200 e 300 Pokè. "Oh, beh, direi che questo è un gran colpo di fortuna" Avevo ammesso, cambiando idea a facendo voltare un Daisuke stupito. Il mio lato taccagno aveva preso il sopravvento. Sembravo una bambina a cui la mamma aveva comprato un sacchetto di caramelle. Tante caramelle.

Madeleyne, Maddy, Madd-madd, chiamatela come più vi sembra comodo, è una ragazza normale (?), leggermente sarcastica e taccagna, che da un giorno all'altro decide di diventare allenatrice di Pokèmon e partire per una nuova regione.
In questo lungo -sì, si preannuncia lungo- viaggio incontrerà amici e nemici, persone divertenti e strambe e capirà che, dopotutto, stare chiusa in casa non è poi così divertente…
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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~ Pista (In)Ciclabile ~



Servirono tutte e quattro le sveglie (una del mio compagno di stanza, due mie, e poi una speciale ramanzina mattutina da parte di Daisuke) per convincermi a buttarmi giù dal letto.
Letteralmente.
Il tonfo venne attutito dalla moquette polverosa della camera. Daikke o non mi sentì, o fece finta di non notarmi, perché se ne andò dalla stanza con un secco: “Ti aspetto di sotto. Ricordati di rifare il letto prima di uscire.”
Mi passai le mani sulla faccia, sperando di richiamare a me un briciolo della lucidità che avevo lasciato a Sognolandia. Se qualcuno si fosse affacciato dalla porta, avrebbe visto una ragazza sul pavimento, ingarbugliata fra le lenzuola, i cui arti armeggiavano come quelli di una cimice che cercava di rialzarsi.
 
Due minuti dopo stavo bussando alla porta della Camera 24, senza grossi risultati.
Riprovai, impiegando un po’ più di forza, e dall’altra parte della parete sentii un fruscio di coperte, seguito da un mugolio assonnato.
Chiamai Jack con un verso lamentevole. Un signore che passava per il corridoio mi studiò come se fossi uno strano esemplare di ratto gigante; infine tirò su col naso, affrettando il passo e scomparendo giù per le scale.
Le mie orecchie percepirono uno sbadiglio, seguito dal rumore di scricchiolanti assi di legno – o giunture: difficile a dirsi. La porta si aprì, rivelando un Jack stravolto che faticava a tenere gli occhi aperti. Il suo pigiama consisteva in un paio di pantaloni da ginnastica e una felpa consunta di qualche taglia più grande con su scritto ‘gamers don’t die: we respawn’. La notte prima doveva aver fatto le ore piccole, perché l’aveva indossata al contrario, con il cappuccio ricadente sul suo petto.
Nel vedermi le sue labbra tentarono di formare un sorriso, senza riuscirci appieno.
“Maddy.” Salutò, anche se la sua voce era talmente impastata che ciò che strisciò fuori dalla sua bocca fu un ‘Mmhaddi.’
“Jackpot.” Replicai, tenendomi su solo grazie al pomello della porta. Ci squadrammo per qualche secondo, al termine dei quali le nostre anime formarono un’intesa.
Jack rilasciò un’esalazione dolorante.
“Ma perché, perché ti ho chiesto di vederci a colazione?”, si massaggiò le meningi, “Non potevamo fare a pranzo?”
“Perché Daisuke ha sempre fretta di partire e non conosce l’importanza di otto ore di sonno.”
Gli strappai un sorrisetto.
“Otto? Me ne servirebbero dieci.”
“Facciamo dodici. Con la siesta.”
Ci mettemmo a ridere come degli idioti: un modo come un altro per distrarci dal dispiacere di abbandonare i nostri caldi giacigli.

La colazione di per sé non fu niente di speciale (anche perché la caffetteria di quel Centro non aveva il latte al cioccolato, nonostante quella bevanda fosse un must per tutti gli allenatori desiderosi di fare il carico di energie prima di rimettersi in marcia), ma fece sbocciare nel mio petto un gradevole tepore che perdurò anche una volta abbandonato l'edificio.
Jack, prima di tornare al suo lavoro part-time, lasciò a me e a Daikke due cose: il suo numero di telefono ed una ragazza bionda che sprizzava vitalità da tutti i pori.
"Dove andate? Cioè, dove andiamo?", se Désirée avesse avuto una coda, le si sarebbe già staccata a furia di scodinzolare.
Ridacchiai, posandomi un pugno sul petto.
"Dovunque ci porta il cuore!"
"Spero che il tuo cuore ti stia dicendo di dirigerci verso Tunnel Muschiato, perché è lì che siamo diretti.", replicò Daisuke, che aveva il naso incollato alla mappa del Pokédex da quando ci eravamo allontanati da Mochapoli. Avevo l'impressione che stesse cercando di prendere le distanze dalla nostra temporanea compagna di avventure senza sembrare troppo rude.
Quest'ultima lo aveva probabilmente intuito, ma continuò a comportarsi normalmente, lasciandolo fare.
"Tunnel Muschiato...", assaporai il suono di quel nome, "...sì, mi piace!"
Sapeva di avventura e tesori nascosti.
 
Mezz'ora dopo il sentiero che stavamo seguendo scomparve, ingoiato dall'oscurità di una grossa apertura scavata ai piedi di un ripido muro di roccia. Mi tappai il naso, proteggendo le mie narici dall'odore di corteccia marcia che le assalì.
Dovetti ricredermi: Tunnel muschiato sapeva di affaticamento, decomposizione e morte.
 
"Sapete una cosa?", mi girai, iniziando a camminare nella direzione dalla quale eravamo venuti, "Il mio cuore ha finalmente compreso il fascino della foresta, ed ora mi sta dicendo di esplorare il versante di questa montagna dal suo bellissimo esterno."
"M-ma, Madeleyne!"
Mi sentii quasi in colpa nel veder scomparire l'espressione eccitata dal volto di Désirée. Quasi.
Sfortunatamente Daisuke era diventato fin troppo bravo a manipolare le mie intenzioni in modo che giocassero a suo favore; perciò non potei ignorarlo quando, in tutta (finta, dannatamente finta) sincerità, mi augurò: "Buona fortuna con il Nido di Ariados."

Nido. Computarono i miei neuroni. Aria-qualcosa. Quindi volatili.

Feci spallucce, proseguendo.
"Dopo aver affrontato i Murkrow, gli altri pennuti non mi spaventano."
Désirée inclinò la testa di lato, facendo ondeggiare le punte rosate dei suoi capelli.
"Ma non sono pokémon uccello..."
Mi fermai, colta da uno strano senso d'urgenza. Ruotai la testa quel che bastava per studiare il mio compare in uniforme scolastica: nonostante l'espressione neutra, riconobbi nei suoi occhi uno sprizzo di diletto. Nel giro di cinque secondi avevo già digitato ‘aria’ nel pokédex.
Non mi occorse nemmeno leggere la didascalia: l'immagine che mi si parò davanti bastò a farmi cambiare colore, umore e direzione. Entrai per prima nella galleria, borbottando, fra le varie maledizioni, un "Se Désirée si farà male, sarà solo colpa tua."
 

 
Al contrario delle mie aspettative, Désirée ne uscì fuori senza un solo graffio. Anzi, con quelle guance arrossate dallo sforzo ed il sorriso giulivo che le si era stampato in faccia, pareva essere più viva che mai.
"Cosa facciamo adesso? C'è un bosco? Un lago? Un'altra grott—"
Sfortunatamente noi altri non eravamo nelle sue stesse condizioni.
"Per carità, non un'altra grotta!", annaspai, sedendomi su un ceppo appena fuori dal Tunnel per dare sollievo alle mie gambe fradice.
Avevo avuto un brutto incidente con delle sabbie mobili – se così si poteva chiamare la pozza di fango puzzolente e palustre in cui ero sprofondata fino ai fianchi a pochi passi dall'uscita. Erano serviti gli sforzi combinati dei miei due compagni di viaggio e di tutti i pokémon in nostro possesso (minus Wooper, che appena fuori dalla pokéball si era lanciato nella melma per farmi compagnia) per tirarmi fuori.
 
Daisuke restò in piedi ad asciugarsi la fronte sudata con un fazzoletto di stoffa.
"Concordo: ho visto abbastanza Zubat per un'intera vita."
Non avevamo incrociato molti allenatori durante il tragitto, ma di incontri con pokémon selvatici ce n'erano stati a bizzeffe: dai muscolosi sassi dotati di occhi ai timidi coniglietti lilla (Whismur?), tutti erano accomunati dall'essere poco propensi a combatterci.
Tranne gli Zubat.
Adocchiai il braccio del damerino, sotto la cui manica faceva capolino una garza ben stretta.
Quelle macchine assetate di sangue avevano continuato a seguirci, piovendo dal soffitto senza darci un attimo di tregua e procurandoci non pochi graffi. Ad un certo punto avevano organizzato una vera e propria imboscata, ed uno di loro era pure riuscito a conficcare i suoi denti nel braccio di Daisuke. Sarà al massimo riuscito a bere un sorso del suo sangue prima che Sey lo mettesse K.O, ma i due fori ci avrebbero messo almeno una settimana a rimarginarsi.
 
Désirée abbassò il cappello a tesa larga che aveva in testa, tradendo un pizzico di disagio.
"Avete ragione, per oggi basta avventure."
Dopo un attimo le tornarono a brillare gli occhi.
"A meno che non ci sia un ghiacciaio qui da qualche parte! Ho sempre voluto vederne uno!"
Guardai Daikke, allarmata: lui scosse la testa, mostrando la mappa del Pokédex.
"I ghiacciai sono solo nelle isole più a nord e verso le ultime città, ad ovest. Ma oltre a non essere strettamente necessari al nostro viaggio, non sono nemmeno visitabili.", aggiunse, per rendere definitiva la sua decisione.
Emisi un lamento. "Prova a dirlo a mia Nonna. A trentasei anni è salita fino in cima al Monte Corona ed a cinquantuno ha pure organizzato una spedizione sul Monte Tormenta." Sparendo una mattina di aprile senza lasciare a me o a mio Nonno uno straccio di avviso, per poi ricomparire un mese e mezzo dopo come se nulla fosse.
Désirée sbatté le palpebre, concentrando i suoi occhi su di me. Sentii la testa pizzicare.
“Aspetta…", la ragazza emise un gasp meravigliato. “Mafalda Hellys è tua nonna?"
Daisuke per poco non lasciò cadere il suo Pokédex. Entrambe ci voltammo a guardarlo, curiose.
Lui tossicchiò, cercando di dissimulare l'incidente con una scrollata di spalle.
"E' famosa anche a Hoenn." Dando un'ultima occhiata alla cartina, si affrettò a rimettersi in marcia. "Andiamo; voglio raggiungere la prossima città prima che faccia buio." 
Corrugai la fronte, cercando di capire cosa di preciso stesse tenendo per sé. Ma l'unica ad avere qualche chance per comprendere come funzionasse il suo cervello era Désirée, e ancora non avevo idea di come funzionassero i suoi poteri. Forse riusciva a captare i pensieri altrui come delle onde radio?
Ebbi la tentazione di sollevarle il cappello solo per assicurarmi che non celasse un'antenna.
Lei ridacchiò.
"Purtroppo niente antenna.”, mi aiutò ad alzarmi dal ceppo. “Comunque, per quel che riguarda Daisuke…”
“Sì?”
La mia speranza venne soppressa dal flebile sorriso di scuse che Désirée mi dedicò.
“Non riesco sempre a sentire quel che pensa, ma mi ha chiesto di non aprire bocca su ciò che avrei potuto scoprire."
 
Riprendemmo a camminare.
"A volte vorrei avere un manuale di istruzioni, sai? Risolverebbe molti problemi.", non avevo nemmeno provato a nascondere la delusione.
Désirée scosse la testa. "Sapere di più sul conto di una persona non è sempre positivo."
Mi sarei aspettata una spiegazione, ma lei preferì chiudere il discorso con un consiglio inaspettatamente maturo.
“Sii paziente con lui; prima o poi ti lascerà entrare.”
“Forse hai ragione”, borbottai, dando un calcetto ad una pietra. “Spero solo che lo faccia prima che io perda la voglia di aspettarlo.”
 

 
Secondo la mappa eravamo ad un quarto di strada dalla città successiva. Se avessimo seguito il normale percorso e avessimo tentato la fortuna passando per Bosco Intreccio, avremmo dovuto impiegare tutta la giornata per arrivarci.
Ma questo era ciò che diceva la cartina: dall'alto della collina su cui avevamo pranzato, nel vedere quel mare di alberi secolari protrarsi per tutto l'orizzonte, tale dichiarazione mi parve alquanto audace.
Ecco perché Daisuke aveva deciso di risparmiare tempo sfruttando la Pista Ciclabile.
Ma evidentemente quello non doveva essere il suo giorno fortunato.

"Perché...", deglutì, schiarendosi la voce, "Perché c'è tutta questa gente?"
Eravamo in fila da soli cinque minuti ed il povero ragazzo stava già sudando freddo. Aveva sempre dimostrato di avere un certo problema con le folle, a cominciare da quando, al Centro Medico di Melmolandia, non era riuscito ad oltrepassare la squadra di soccorso organizzata da Hadolfa per entrare in camera sua. All'inizio l'avevo considerata una conseguenza della sua misantropia, ma dopo ciò che era successo al Luna Park stavo iniziando a ricredermi.

Lo guardai di sottecchi, decidendo che per il momento mi sarei limitata ad osservare.

"Che ci sia una gara?", ponderò Désirée, intenta a studiare le decorazioni appese al soffitto. "Se c'è, possiamo parteciparvi?"
Rabbrividii.
L’ultima volta che avevo preso parte ad una gara ciclistica avevo appena compiuto la tenera età di dodici anni. Erano i tempi in cui Nonna sperava ancora di trasformarmi in un asso dello sport, nonostante gli scarsi risultati ottenuti nelle altre discipline che mi aveva già costretto a provare. Non volendo arrendersi di fronte all’evidenza, iscrisse entrambe ad una maratona su due ruote, dichiarando che quella sarebbe stata la volta buona.
Fu un disastro: dopo aver passato due ore a tamponarmi la bici per spronarmi ad andare più veloce, mi mollò al mio ‘destino di mammoletta’ e tornò a concorrere per conto suo. Mi ritirai senza pensarci due volte; da allora mia Nonna mi lasciò al quieto vivere, decretandomi un fallimento su tutta la gamma atletica.
 
Ci pensò l’affermazione di Daikke a tranquillizzarmi.
"Se le meccaniche sono come quelle della Pista di Porto Selcepoli, l’ingresso dovrebbe essere proibito al pubblico durante le competizioni."
Sul volto della psichica comparve un piccolo broncio. “Se non si tratta di una gara, allora cos’è?”
Corrugai la fronte, esprimendo la mia perplessità.
“Non puoi, emh, leggere nella testa di qualcuno?”
L'interpellata rilasciò un sospiro.
"Le mie capacità non funzionano quando c'è troppa gente: ora come ora sento solo un incomprensibile brusio.” Come prova di ciò, abbassò il copricapo fino a coprirsi le orecchie. "È fastidioso, ma dopo un po’ ci si fa l’abitudine."
 
Arrivammo alla cassa più in fretta del previsto. Una giovane ragazza dai capelli a caschetto ci fornì a turno il Cycling Pass da portare al collo ed una brochure. Ci congedò con uno scoppio di DitBabol, indirizzandoci con un dito alla fila per affittare le biciclette.
Non avendo niente di meglio da fare aprii il mio opuscolo, passando svogliatamente lo sguardo sulle didascalie riguardanti la Pista.
Mi lasciai quella più tecnica – e quindi noiosa – per ultima.
Costruita nel blahblahblah da PincoPallino, la Pista Ciclabile di Rainbow è costituita da una lunga sopraelevata di altezza variabile, intermezzata da sette Basi che la connettono all'esterno. Ognuna di esse è fornita di un'area ristorativa dotata di servizi all'avanguardia; in particolare, le stazioni di sicurezza e monitoraggio sono state potenziate in seguito al Terremoto del Mt. Meteora che—
Ripiegai il depliant, ficcandomelo nella borsa. Immagini di detriti, ambulanze e titoli di giornale riaffiorarono di prepotenza fra la massa dei ricordi immagazzinati nella mia memoria. Scossi la testa, sbarazzandomene in fretta.
Avvertendo gli sguardi di entrambi i miei compagni su di me, risollevai il capo, costringendo gli angoli della mia bocca a sfoderare un sorrisetto furbesco.
"Ebbene, cari Watson e Watsoncina, ho risolto il mistero!"
Daikke deglutì di nuovo, ma stavolta la sua voce rimase secca e ruvida come la carta vetro. "Al massimo, 'Watson e Mary'."
Alzai un sopracciglio di fronte a quello scettico, pallido volto.
"Silenzio, Watsoncina! E scegli la tua bicicletta, che oggi ci aspetta una parata!"
"Una parata?!", fece eco Désirée, i cui capelli parvero rizzarsi. Compiacendomi di avere un pubblico così ben disposto, cominciai a spiegare.
 
La regione di Rainbow era costituita da numerose piccole isole accerchianti quella principale. Come arcipelago possedeva un numero limitato di risorse e, se paragonata a quelle delle vicine Kanto, Johto e Hoenn, la nostra Lega non era molto gettonata dagli allenatori stranieri.
Ma se c'era una cosa di cui Rainbow poteva vantarsi era il suo straordinario talento nel trasformare qualunque località in un'attrazione turistica. Oltre alle spiagge ed ai centri di divertimento interni alle città (il Luna Park di Mochapoli ed i bagni di fango di Melmolandia erano solo alcuni esempi), i grandi capi avevano cercato di investire anche nel settore della salute: così avevano trasformato l'isola in un paradiso per sportivi, attirando l'attenzione di valanghe di appassionati— e dei loro portafogli.
"Per cui non c'è da sorprendersi se dopo il crollo di alcune parti della pista si sono subito preoccupati di ricostruirla daccapo, in modo da renderla più resistente.", terminai, passando i tornelli con la mia bici rossa.
"E la parata?", domandò Désirée, agguantandone una gialla e seguendomi come un'ombra.
"La brochure dice che oggi è il quinto anniversario della sua ricostruzione, quindi si festeggia.", sogghignai. "E l'ingresso è gratuito."
Désirée montò in sella ridacchiando, ed insieme varcammo l'ingresso della Pista.
 

 
Tutto sommato il restauro era riuscito bene: anche se predominava il grigio dell’asfalto, lungo il tragitto erano disseminate delle decorazioni che davano allegria, come alcuni set di mattonelle colorate – disposte in modo da formare volti di pokémon che non riconoscevo – e le ringhiere, verniciate con tinte differenti a seconda di quale parte della pista si stesse attraversando.
Dopo venticinque minuti avevamo superato la Zona Gialla (sia lodato il cielo, quei dannati Raticate con le orecchie lunghe ed il blush avevano iniziato a mettermi inquietudine), ed attualmente stavamo sfrecciando attraverso la Zona Verde.
Sfrecciando. Certo. Verbo che secondo Daikke equivaleva ad 'andare al massimo dei limiti di velocità consentiti'. Ero sicura che un bambino a cavallo di un Wooper particolarmente seboso non avrebbe avuto alcun problema a superarci.
Purtroppo la mia indole ribelle venne tenuta a bada senza grosse difficoltà da Daisuke, che dopo la mia breve parentesi sulla storia della Pista aveva deciso di studiarsi l’intero depliant. Venni così a sapere che Rainbow era l'unica dannatissima regione sulla cui pista ciclabile erano stati disposti dei rilevatori di velocità: chi avesse infranto il limite consentito senza essere registrato ad alcun gruppo sportivo avrebbe ricevuto ai tornelli di uscita una multa piuttosto salata.
Di quanto?
Daisuke si rifiutò di rivelarmelo, affermando che tenendomi all’oscuro sarei rimasta in uno stato di ansia costante e, di conseguenza, me ne sarei stata buona.
E così, effettivamente, successe.
Mondo infame.
 
Almeno quella buona anima di Désirée aveva trovato il modo per divertirsi: saettava per la pista a discapito di chi le capitasse a tiro, frenando prima di ogni rilevatore nel tentativo di inventare delle acrobazie con la bici. A volte ci riusciva. A volte volava giù dal mezzo, rischiando di venire investita dai passanti.
Ad ogni modo la sua felicità era contagiosa.
 
Purtroppo tale gioia non era riuscita a scalfire le rughe sulla fronte corrugata di Daisuke, che da quando era montato in sella aveva assunto un atteggiamento cupo.
C'è di nuovo troppa gente?
Mi guardai attorno, perplessa. La pista era piuttosto larga e, sebbene ci fossero un sacco di ciclisti, erano tutti ad una certa distanza di sicurezza l'uno dall'altro. Sollevai un sopracciglio, intuendo che per una volta non fosse quello il problema.
Rallentai la mia andatura in modo da arrivargli a fianco; poi, con un sorriso a fior di labbra, presi a suonare il campanello di Jack II.
Sì, perché il catorcio che mi avevano affibbiato – il cui colore rosso era dovuto alla ruggine – mi trasmetteva le stesse vibrazioni di quel povero ragazzo, riassumibili in un'unica parola: pericolanti.
L'unica cosa che pareva non essere stata intaccata dalla vecchiaia era il piccolo campanellino che faceva capolino sul manubrio del veicolo. Emetteva un tintinnio nauseantemente dolce, adatto alle canzoni natalizie che iniziai ad intonare senza sosta.
 
Daikke fece del suo meglio per ignorarmi: lo notai dal modo con cui evitava di guardarmi e con cui contrasse la bocca pur di non lasciarsi scappare alcun suono.
All’ottava versione stonata di We Wish You A Merry Christmas (di cui sapevo, fra l’altro, solo il ritornello) non ce la fece più.
"Madeleyne…", drammatico tic all’occhio.
"Cosa?", sorrisetto innocente.
"Se non la pianti ti faccio volare di sotto."
 
Ah, già, ecco la parte migliore della Zona Verde della Pista Ciclabile: l’avevano costruita ad una trentina di metri dal suolo, direttamente sopra Bosco Intreccio.
L’idea, per quanto pazza, aveva una giustificazione pratica, in quanto così si erano potuti accorciare i tempi di percorrenza. E poi il brivido dell’altezza rendeva più avventurosa l'intera pedalata, se si prendeva il tempo per guardare il panorama boschivo che si estendeva oltre i muretti di cinta.
 
"Aw. Andiamo~" Ripresi, più per combattere la noia che per un motivo preciso. "Lo spirito natalizio è così debole in te?"
"Manca più di un mese." Ribatté lui, che al contrario di me pareva fresco come una rosa ricoperta da perle di rugiada. "Avresti fatto meglio ad intonare motivetti di Halloween."
"Mi…", pausa per recuperare fiato, "…stai incitando?"
"Non ti azzardare."
"Nah. Ho trascorso Halloween in ospedale con un ghiacciolo per gamba, non ho voglia di passarci dentro anche le feste natalizie." La battuta non dovette essergli piaciuta, perché Daisuke, rinunciando all’opportunità di ribadire come a tale esperienza mi ci fossi destinata da sola, optò per rinchiudersi in un silenzio contemplativo.
“Ehi...”, lo chiamai, abbandonando il tono giocherellone.
“Stavo scherzando.” Beh, non proprio. “Cosa c’è che non va’?”
 
Daikke mi squadrò, ed io cercai di mantenere la mia espressione più neutrale possibile. Evidentemente non doveva essere bastato, perché lo vidi irrigidirsi e spostare lo sguardo su un punto indefinito alla sua destra. Quando lo riportò su di me, dovetti confrontarmi con la pacatezza studiata di chi aveva trovato il modo per seppellire una questione senza dare troppo nell’occhio.
“Per quale motivo la Pista è andata distrutta?”
Strinsi il volante, tenendo a bada le vampate di delusione che, come un veleno, si stavano riversando per tutto il mio sistema circolatorio. Ripensai al consiglio di Désirée e, traendone forza, decisi di stare al suo gioco.
“Per il terremoto.”
Daisuke non ebbe alcuna reazione particolare, ma continuò a dividere la sua attenzione fra me e la strada, come se si stesse aspettando una spiegazione.
“Il… Terremoto del Mt. Meteora. Hai presente?”
La sua espressione frustrata mi fece rendere conto che no, non aveva presente un bel niente. Spalancai la bocca, esterrefatta.
“È stato il più grosso terremoto mai registrato qui a Rainbow! E-era su tutti i telegiornali!”
“Peccato”, sibilò Daisuke, a denti stretti, “Che io abiti a Hoenn.”
Il sollievo che inondò il mio corpo fu tale che per poco non ruzzolai giù dalla bici.

“Sei pazza?!” Esclamò Daikke, ritraendo la mano con cui mi aveva agguantato la spalla.
Ridacchiai nervosamente. “Scusa, credo di aver appena provato l’ebbrezza di un culture shock.”
“Sai che si chiamano ‘shock’ solo per una questione emotiva e non fisica, vero?”
“Dillo alla mia spina dorsale: ancora non la sento.”
Sospirò a lungo, massaggiandosi il setto nasale. Mi domandai se le sue esalazioni avessero diversi significati a seconda della situazione; prendendo quell’ipotesi per buona, decisi che quello di prima fosse un sospiro divertito e mi ritrovai a gongolare a mia volta.
“Quindi, il terremoto…?”
“Ah, giusto.” Sbattei le palpebre, tornando al presente. “È successo meno di dieci anni fa ed ha causato un sacco di problemi alla Regione: isole sommerse dalla marea, formazione di grossi canyon che hanno diviso il territorio, paesini andati distrutti…”, presi un bel respiro, “Tutto quello che ti potresti aspettare da un disastro naturale, con tanto di ciliegina sulla torta.”
“Cioè?”, per la prima volta da quando avevo iniziato a parlare, Daikke mi parve davvero incuriosito. Fingeva di guardare la strada, ma ogni tanto lanciava occhiatine nella mia direzione.
Abbassai il tono di voce con fare cospiratorio.
“Ancora non si sa da cosa sia stato causato.”
Il mio interlocutore abbandonò la sua dignità da secchione orgoglioso, assottigliando cinicamente lo sguardo. “In che senso? I terremoti sono causati dalla rottura della roccia che segue lo spostamento delle placche—”
“Esatto!”, interruppi il suo monologo sul nascere. “Ci sono stati molti dibattiti a riguardo, ma i geologi—”
“ ’Sismologi’ ”, corresse lui senza battere ciglio.
“—concordano su una sola cosa: non si è mossa alcuna zolla durante il terremoto.”
Daisuke contrasse le labbra, quasi avesse ingoiato un boccone amaro.
“Ritengono che sia stato provocato da qualche pokémon?”
“Ah, non chiederlo a me, che fino a poco tempo fa ero convinta che i pokémon fossero solo animali più grossi.”
Daikke aveva appena alzato gli occhi al cielo quando gli altoparlanti della pista presero vita.

«Attenzione, parata in transito. Si pregano i viaggiatori di avvicinarsi ai muretti laterali della pista, in modo da lasciare spazio ai dimostranti. »
 
Come tutti i bravi ciclisti eseguimmo l’ordine. Tendendo l’orecchio si riuscivano già a sentire nell’aria le note delle trombe e dei tamburi che accompagnavano i festeggiamenti. Désirée si lasciò raggiungere, in modo da rimanere uniti anche nel bel mezzo del trambusto che da lì a poco si sarebbe scatenato.
“Ho sentito che ci saranno majorettes! E coriandoli! E carri a forma di pokémon da cui lanceranno dolcetti!”
Sbadigliai. “Non sarò impressionata finché non inizieranno a lanciare banconote.”
Fu allora che avvertii il suolo iniziare a tremare.

No.

Mi si mozzò subito il fiato.
Le mani presero a sudare, facendo venire meno la presa sul manubrio.
È impossibile!
Cercai di calmare il mio battito erratico con un turbine di negazioni, generate più dalla speranza che da prove concrete.
Non può essere! Non di nuovo, non così—!
 
L’esclamazione di Désirée mi riportò alla realtà.
“Chi sono quelli?”
Mi voltai, seguendo il suo sguardo: un ammasso di ruote, tatuaggi e teste calve stava avanzando in massa lungo la pista, sollevando un polverone incredibile e costringendo la gente a schiacciarsi contro le ringhiere pur di non essere investita. Presi un grosso respiro, avvertendo il panico ritirarsi a poco a poco.
“Devono essere una gang di Teppisti.”, ragionò Daikke, addossandosi al muro. “Se li ignoriamo, dovrebbero passare senza darci fastidio.”
Sia io che Désirée lo imitammo, annuendo.
 
La banda ci mise poco a raggiungerci: fregandosene dei rilevatori di velocità e delle regole dell’educazione stradale, sfrecciavano per la Pista come se ne dipendesse della loro vita, schiamazzando e sbraitandosi insulti a vicenda.
Dovevano essere a pochi metri da noi quando alla mia destra, a ridosso dell’altro muretto della pista, vidi qualcosa di talmente sbagliato, talmente mostruoso, da farmi impallidire all’istante.
E cioè Nonno Gerald. In sella ad una bici da passeggio, con Gigio seduto dentro all’apposito cestino.
Notandomi a sua volta, alzò la mano per salutarmi; sorrideva come se ci fossimo incontrati per caso al supermercato.
Rabbrividii.
Il Nonno non era un tipo sportivo: da quando era andato in pensione, si allontanava da casa solo per fare il tifo a sua moglie durante le gare a cui ella si ostinava a partecipare. Se in quel momento si ritrovava a percorrere la Pista Ciclabile, poteva significare solo una cosa…
Speravo tanto di sbagliarmi.

“Madeleyne?”
Désirée mi lanciò un’occhiata preoccupata. Deglutii e, incapace di risponderle, mi guardai alle spalle.
Il mio cuore perse un battito.
Al centro della pista, su una bici nera come la banda (era la sua cintura di karaté?) che aveva legato in fronte, c’era mia Nonna, capeggiante l’intera gang.
I suoi occhi incrociarono i miei.
Smarrimento. Ricognizione. Risoluzione.
La vidi leccarsi le labbra screpolate e capii che ero finita.
 
Feci solo in tempo a spalancare la bocca in una smorfia terrorizzata: poi mia Nonna mi tamponò da dietro, strillando “Accelera, mammoletta!”
Ed effettivamente accelerai, ma solo perché presi letteralmente il volo: non riuscendo a sopportare un colpo del genere, Jack II aveva infatti perso la ruota anteriore. La parte metallica, rimasta senza un appoggio, strascicò sull’asfalto, costringendo il retro della bici a ribaltarsi con un’impennata.
Venni scaraventata fuori dal sedile, dal sellino, ed infine dalla Pista.
 
Urlai come un’ossessa, spremendo le corde vocali al massimo. Le mie grida si mescolarono a quelle dei miei compagni di viaggio, i cui volti sbucarono dalla ringhiera assieme a quelli di altre dozzine di sconosciuti. L’ultima ad aggiungersi fu mia Nonna, e solo per sbraitarmi un “Sei una Hellys, non ti azzardare a morire! Sono troppo vecchia per finire in gattabuia!”
Poi tutto venne coperto dalle fronde degli alberi. Chiusi gli occhi, non sapendo se riporre le mie speranze in un miracolo o in una morte rapida ed indolore.
Nell’oscurità delle mie palpebre rividi alcuni flash della mia vita: i miei genitori che mi davano la prima paghetta; Nonno Gerald che mi beccava in flagrante dopo che gli ebbi distrutto l’orto; Daisuke che si lamentava della scarsa cura con cui conservavo le medaglie…
Mi accorsi di provare solo rimorso.
 
Ebbi un tuffo al cuore, seguito da una fitta al petto. I miei alveoli vennero irrorati da qualcosa di freddo ed asfissiante. In preda al panico sollevai una palpebra (cosa succede, perché sono circondata da un alone grigio e viola e vivo—), serrandola subito dopo a causa di un’ondata di dolore.
L’aria smise di schiaffeggiarmi la pelle; la gravità di incidere sul mio corpo.
Appena la mia schiena toccò terra, sentii la morsa che mi aveva attanagliato la cassa toracica rilassarsi, la strana sensazione retrocedere. Rimasi sdraiata sull’erba per quella che mi parve essere un’eternità, dando libero sfogo ai singhiozzi.
 

 
Quando esaurii i pianti e fui sicura di non star morendo, aprii gli occhi: delle foglie dai decadenti colori autunnali mi salutarono dall’alto dei loro rami bitorzoluti.
Frugai nella borsa, estraendo un pacchetto di fazzoletti ed il cellulare, che accesi. L’orologio analogico che comparve sullo schermo segnava le 14.54.
Mi tirai su, sentendo tutti i miei muscoli lamentarsi in contemporanea. Mentre mi stavo ripulendo la faccia dai residui di moccio e lacrime mi cadde lo sguardo sulla mia mano. Mi tornò in mente il turbinio di tonalità opache che mi aveva attaccato durante la discesa; anche se non aveva lasciato tracce tangibili, riuscivo ancora a ricordarne il formicolio.
Inspirai a fondo. Qualunque cosa fosse intervenuta per salvarmi – sempre se quello fosse stato il suo obiettivo – ora era sparita. Un po’ come tutta la civiltà.
Incollai gli occhi al cielo, a malapena intravedibile oltre gli spiragli che facevano capolino fra le fronde nodose delle piante.
 
Ero sola, avvolta dalla natura.
In lontananza echeggiarono un paio di cinguettii.
Chiusi gli occhi, lasciando che una sottile brezza mi scompigliasse i capelli. L'aria profumava di muschio umido e foglie secche.
Mi lasciai cullare da un beato senso di pace.
 
"Splendido."
Non sarei sopravvissuta un solo giorno.
 
Mordicchiandomi il labbro, decisi di chiamare in adunata i miei più fidi alleati.
I due raggi rossastri che fuoriuscirono dalle Pokéball mi colmarono il petto di speranza: se c'era qualcuno su cui potevo contare, erano quei due. Mi precipitai a dare loro le brutte notizie.
"Ragazzi, abbiamo un problem— Wooper, eccheccavolo. Non mangiare la coda di Rattata!"
Il girino, che aveva completamente inglobato la parte ricciuta della coda del piccolo roditore, inclinò la testa di lato con un sorriso beota.
Rattata, con il placido contegno di chi aveva dovuto subito cose ben peggiori, si esibì nel più spettacolare Colpocoda a cui avessi mai assistito: Wooper venne sbattuto ripetutamente a terra, finendo per mollare la presa e volare contro un albero. Il topino, alla vista degli innumerevoli fili di bava che scendevano dalla sua coda, fu scosso da un brivido.
 
Ripensandoci, se avessi riposto entrambi i pokémon nelle sfere entro i prossimi dieci secondi sarei riuscita ad ampliare il mio tempo di sopravvivenza di almeno cinque ore.

Feci una smorfia. Mi rammentai dello scontro con il Gyarados, della mia debolezza e, successivamente, della mia promessa.
La mia squadra era una mia responsabilità. Ero io che dovevo farli crescere.
E per far ciò, dovevo prima trovare un modo per farci uscire vivi da quel casino.

Mi schiarii la voce, richiamando la loro attenzione.
"Come stavo cercando di dire prima… ci siamo persi."
Il mio starter mi squadrò con una tale aria di sufficienza da farmi quasi mancare quella di Daikke. Era meno vergognoso farsi rimproverare da un quattrocchi che da un topino alto quanto due mele.
"Okay, okay! Mi sono persa io.", alzai un braccio, indicando un punto a caso nel cielo. "Sono caduta da lassù, e più o meno sono ancora tutta intera."
Non ero ancora sicura di come ciò fosse possibile – sospettavo di essere stata salvata da qualche pokémon psico misericordioso –  ma avevo deciso di preoccuparmene una volta tornata alla civiltà, da gente che sicuramente ne sapeva più di me dei misteri del mondo.
"C'è una Pista Ciclabile che ci sovrasta. Se riusciamo a trovarla sono convinta che prima o poi incapperemo in qualcuno disposto a darci una mano. O una scala. Un ascensore sarebbe meglio."
Attesi degli input da parte della mia squadra.
Wooper si sedette a terra, fissandomi con occhi vuoti. Poi si mise a rotolare sul prato rinsecchito senza una preoccupazione al mondo.
Qualche lamentela, invece, mi giunse dal suo amichetto.
"Ra. Rat."
Sbattendo qua e là la coda per liberarsi dello schifo di cui era inzuppata, se la portò all'orecchio, piegando la testa. I suoi occhi rossi, perennemente puntati su di me, mi mettevano sotto pressione.
Imitai il gesto con la mano.
Rattata riprese a parlare; ma non con me. Era come se stesse...
Sbloccai in fretta lo schermo del cellulare: la barretta di ricezione più piccola stava lampeggiando.
"Santo Gigio.", sprigionai un sorriso eccitato, “Rattata, sei il topo viola più astuto di tutta Topolonia!"
Rattata si drizzò, sollevando il capo con fierezza. Chinandomi su di lui per premiarlo con dei grattini dietro le orecchie, cercai nella rubrica il numero di Daikke.
La cornetta si alzò quasi subito.
"Daikke!"
«Il numero ricercato non è attualmente raggiungibile. Riprovare più tardi. Altrimenti, digiti uno per lasciare un messaggio alla seg—»
Riattaccai in faccia alla voce pre-registrata.

Fissai il tronco della sequoia più vicina, avvertendo uno strano formicolio al cervello.
Mi venne l’incredibile voglia di incidere sul tronco più vicino il nome del mio compagno, con tanto di cuore trafitto da una freccia e tutto il resto…
A furia di testate.
 
Oh, andiamo! Quando mai sono i soccorsi a trovarsi in una zona senza campo?
 
Stavo per chiedere a Rattata di dispensare un altro dei suoi favolosi consigli, ma quando portai lo sguardo sul roditore mi accorsi che ciò non sarebbe stato possibile.
Il topino teneva gli occhi chiusi, come se si fosse addormentato. Ogni tanto ringhiava, ma a giudicare da quanto si stesse addossando alla mia mano, non era perché gli stavo facendo male. La sua voce aveva assunto un timbro così basso da sembrare quasi...
Fusa.
 
Perfetto. A furia di fare grattini avevo rotto un pokémon.
 
Con un nuovo peso sullo stomaco, mi voltai a guardare la creatura già malfunzionante dal principio.
Wooper aveva smesso di rotolare ed ora giaceva di schiena, osservando una farfallina adagiata su un filo d'erba rinsecchito. Ogni tanto il suo piccolo corpo veniva scosso da qualche tremito, che gli faceva scappare una bollicina o due dalla bocca.
Mi rialzai, iniziando a camminare in una direzione presa a caso. I fruscii dietro di me mi assicurarono che gli altri due mi stessero seguendo.
 
Un pokèmon viziato ed uno con il singhiozzo.
Mi sfuggì una lacrima.

Dannato Daikke.
 

 
Erano trascorse un paio di ore da quando ero capitata nel bel mezzo della foresta e dal momento che le cose stavano procedendo piuttosto bene, dovetti ricredermi.
Talora sbucavano fuori alcuni pokémon selvatici come degli Oddish (strane cipolle blu) o dei Wurmple (bruchetti rosa che abitavano le cortecce), ma con Rattata e Wooper al mio fianco non avevo riscontrato grosse difficoltà.
 
Con un urletto di battaglia il pokémon d’acqua catapultò delle palle di fango verso il nemico. Questo (il cui modo migliore per descriverlo era definirlo un insieme di uova con delle brutte facce) cercò di schivarlo, ma dato che ogni ovetto sembrava voler prendere una direzione diversa da quella degli altri si misero a litigare, finendo travolti.
"E-exeg--!"
Le uova chiusero i loro occhi, finalmente sconfitte.
 
Wooper prese a saltellare da un piede all'altro, aspettando ordini.
Il mio petto si riempì d'orgoglio per l'ennesima volta e mi fu impossibile non sorridere.
"Ottima mira, Wooper!" Gli feci il pollice in su. "Fa’ pure la stessa cosa che abbiamo fatto con gli altri."
Con un 'woopah~' il girino saltò sull'ovetto più vicino e, usandolo come mezzo di trasporto, rotolò verso i cespugli più vicini. Ne riemerse dopo pochi secondi, dirigendosi verso un altro uovo per ripetere il processo.
In fin dei conti mi sarei sentita in colpa a lasciare dei pokémon privi di sensi alla mercé del bosco.
 
Rattata, che si era infilato sotto al mio cappello, sbuffò.
Scrollai le spalle.
"Lo sai come la penso. Non posso mica catturare tutti i pokemon che sconfiggo…"
"Ratta."
"Se fosse così, avrei già un esercito di vermetti."
"Ta."
"E poi le pokéball costano!"
Per punirmi, il topino impuntò le unghie sul mio cuoio capelluto. Gli tirai un orecchio.
"Ehi, dobbiamo essere più selettivi su chi reclutiamo! O vuoi che succeda di nuovo come con Wooper?"
Rattata sussultò, travolto da un brivido che per poco non lo fece cadere. Si rintanò sotto al cappello senza emettere più una parola.
 
Dopo aver lanciato un'occhiatina all’altro mostriciattolo - che aveva scelto proprio quel momento per scivolare da un ovetto e prendere una facciata a terra - ricontrollai il telefono.
A seconda della zona in cui ci trovavamo, la potenza del segnale poteva accendere una sola tacchetta o niente di niente: al momento eravamo nella seconda condizione e l'orologio segnava le quattro e quarantasette di pomeriggio.
 
Il che significava che presto si sarebbe fatto buio.
 
Una piccola nota di inquietudine mi attanagliò il petto.
Un conto era esplorare una foresta durante il giorno, con una squadra ben rifocillata; un altro era vagabondare senza meta fra la vegetazione, ignari dei pericoli che potevano celarsi ad ogni angolo, con dei pokémon stanchi per i combattimenti sostenuti nelle ore precedenti.
E poi, senza luce, non avremmo avuto alcuna possibilità di trovare la Pista.
 
La soluzione migliore sarebbe stata quella di accamparci da qualche parte e riposare, ma senza un compagno pronto a guardarmi le spalle abbassare la guardia sarebbe stato pericoloso.
 
Terminato il lavoro, Wooper zampettò di fronte a me, lasciandosi cadere a terra. La sua fronte era cosparsa di goccioline di sudore e di quello che probabilmente era muco.
Decisi di assecondarlo e, sedendomi sull'erba, mi misi a rovistare nella borsa alla ricerca di cibo. Dopo aver studiato il mio scarso repertorio, presi una manciata di frollini con gocce di Cioccolato Miltank da condividere con gli altri.
Rattata si limitò a far spuntare il musetto dal berretto, mentre Wooper, ancora più pigro, spalancò le labbra in modo inquietante.
Ficcai ad entrambi un biscotto in bocca, per poi far lo stesso con me.
 
Un’arietta leggera scompigliò le fronde della vegetazione circostante, provocando un soave fruscio di foglie e fusti. Ogni tanto si udiva qualche cinguettio solitario spezzare il ronzio sommesso di sottofondo. Chiusi gli occhi, stiracchiandomi.
Tutto sommato si stava bene.
 
Con Daikke non avrei potuto rilassarmi in questo modo.
 
Aggrottai la fronte, sorpresa dall’asprezza del mio stesso pensiero. Non che fosse errato: Daisuke tendeva a dare ultimatum di cinque, massimo dieci minuti, ancora prima di sedersi.
Di solito mi lasciava giusto il tempo per mangiare un panino, bere metà bottiglietta d'acqua e fare due o tre commenti stravaganti. Era anche piuttosto difficile convincerlo a conversare durante quelle pause, perché lui preferiva dedicarsi allo studio del proprio Pokedèx (che ormai doveva conoscere alla perfezione, no?) o alla lettura della mappa. A volte si allontanava alla ricerca di qualche pokémon con cui far allenare Sey o Yoru, lasciandomi così a mangiare da sola.
 
Mandai giù il biscotto, sentendolo stranamente amaro.
 
Quando avevo deciso di diventare un'allenatrice avevo presunto che non sarebbe stato facile, che non avrei avuto tempo per poltrire – ed in un certo senso, era anche per quello che avevo scelto di imbarcarmi in quell'avventura. Ma c'era un limite a tutto.
Con Daisuke non c'era tempo per rilassarsi. Non c'era tempo per osservare il paesaggio. Non c’era tempo per andare alla ricerca di determinati pokémon. Non c'era tempo per esplorare le vie delle città che attraversavamo. Non c'era tempo per divertirsi.
Con Daisuke non c'era tempo, punto.
E non ne capivo il perché.
 
Feci fare il bis ai miei pokemon, fregandomene del fatto che Rattata mi avesse riempito di briciole i capelli e che Wooper si divertisse a far sciogliere i biscotti fino a farli diventare una poltiglia da ingoiare. Attesi fino a che non avessi finito di mangiare altri due frollini; poi aprii la bocca, chiedendo qualcosa che mi premeva da troppo tempo.
"Siete... felici?"
Due testoline si voltarono a fissarmi, continuando a mangiare.
"Con me, intendo. In questo viaggio."
Rattata si mosse. Dal riflesso sullo schermo del cellulare - che continuavo assiduamente a controllare - vidi che aveva fatto spallucce. Wooper si limitò a trasformare le sue labbra ciuccia-biscotti in un altro dei suoi sorrisi ansiogeni.
M'imbronciai.
"Davvero? Cioè, non vi dà fastidio seguirmi in lungo e in largo? Affrontare altri pokémon, ferirvi..."
Rattata emise un suono a metà fra il grugnito e lo squittìo, che interpretai come un rimprovero. Wooper aspirò il suo biscotto e rotolò fino al mio ginocchio, fermandosi dopo essersi schiantato.
Okay. A volte non avevo idea di come comportarmi con la mia squadra.
Presi un bel respiro.
"S-sapp-", tossicchiai, "Sappiate solo che se, ad un certo punto, voi vorrete andarvene, non ci saranno problemi. Non vi obbligo mica a restare. Infatti, potete andarvene anche or- ehi!" Rattata era improvvisamente sceso dalla sua posizione altolocata e stava procedendo ad allontanarsi. Venni colta da un leggero tic all’occhio.
"Sì, vi ho dato il permesso di mollarmi, ma almeno potevi farlo con un po' più di tatto!"
 
La foresta era invasa da una luce soffusa, che scagliava ombreggiature aranciognole sulle superfici che incontrava. Il sole doveva star tramontando. La natura stava seguendo il suo corso.
E Rattata il suo.
Mi costrinsi a sorridere.
 
Grazie di tutto.
Mi comparve in un lampo il ricordo del nostro primo incontro, del bernoccolo che avevo procurato a quel ratto nel tentativo di difendermi. 
 
Ora insegui il tuo destino.
Le sofferenze che avevamo condiviso, contro nemici decisamente al di fuori della nostra portata.
 
Vai...
I litigi e le intense battaglie di "tris" svoltesi ogni mattina a colazione per decidere chi dei due dovesse badare a Wooper per quel giorno.
 
... dove ti porta il cuore.
Quasi mi avesse sentito, il topino si girò per un'ultima volta, sorridendo col suo solito modo beffardo.
Poi si tuffò, scomparendo nei meandri della mia borsa.
 
Quella era la dimostrazione che il cuore era davvero un pessimo navigatore.
 
Rattata riemerse dopo pochi attimi e, trascinando con gli incisivi il pacchetto ormai mezzo vuoto di biscotti, riprese a zampettarmi su per il braccio, ignorando totalmente i miei occhi lucidi.
Decisi di calmare il mio vortice di emozioni contrastanti con qualcosa di semplice, ma allo stesso tempo soddisfacente. Un po’ come i versi increduli che emise Rattata nel vedersi strappati via tutti i biscotti che aveva raccattato. Versi che divennero disperati quando rovesciai l'intero pacchetto nella bocca di Wooper, il quale, senza nemmeno bisogno di avvertenze, risucchiò tutto come un aspirapolvere.
 
Cinque minuti dopo stavo nuovamente camminando per la foresta. Wooper era seduto sulla mia borsa, usandola mo' di altalena, mentre Rattata, offeso come non mai, si era rifiutato di uscire fuori dal cappello.
Gli sarebbe passata alla prossima merenda.
Lanciai un'occhiata ai segni rossi che ora costellavano il mio braccio come piccoli trofei, sentendo le mie labbra arricciarsi in un piccolo sorrisetto.
Ne era valsa la pena.
 
"Che hai da sorridere?"
Mi congelai sul posto. Wooper sollevò la testolina, guardandomi con aria perplessa. Sembrava non capire cosa stesse succedendo. Al contrario di me, che avevo le idee ben chiare.
Girando lentamente su me stessa, controllai al meglio delle mie capacità ogni anfratto, ogni nascondiglio reso possibile dalla vegetazione.
 
"Scimmia idiota. Perché mai dovrei nascondermi?"
Qualcosa mi sfiorò l’orecchio, facendomi trasalire. Mi voltai, ancora una volta senza risultati. Dove diamine—
 
"Se c'è qualcuno che dovrebbe correre ai ripari..."
Alzai la testa, scorgendo un movimento all’angolo della mia visuale. Feci qualche passo indietro, cercando di ingoiare il nodo che mi si era formato in gola.
 
"… quella sei tu."
Dal terreno si sollevò una massa nera che andò ad attorcigliarsi attorno ai miei arti. Wooper perse l'equilibrio, ma prima di poter cadere venne catturato da un altro lembo oscuro, che lo elevò all’altezza della mia spalla.
 
La sostanza di cui era composto l'attacco aveva la consistenza del fumo e presentava delle venature violacee che pulsavano ad un ritmo pacato, passando dall’opaco al luminescente. Mossi un braccio, incontrando poca resistenza da parte delle mie catene spettrali, che parvero sfumare. Si riformarono l'istante successivo, aumentando la pressione sull’arto fino a farmi rendere conscia del flusso accelerato di sangue che vi fluiva all’interno.
 
"Vedi?" Domandò una voce davanti a me. "Ecco perché voi umani vi estinguerete."
Il Banette mi apparve a due metri dal volto, sostenuto da uno dei suoi arti ombrosi. Wooper aprì le labbra per attaccare, per dire qualcosa, ma il fumo gli si gettò nella bocca. Vedere il suo corpicino venire scosso dai singulti cancellò ogni briciolo di paura dalla mia anima.
"Abbiamo ancora un patto.", sputai fuori. "Ritira il tuo attacco o questo salterà."
"Credimi," il pokémon rilasciò un verso altezzoso, "se oserai ancora darmi ordini salterà prima la tua testa."
"Allora auguro buona fortuna ai batuffoli ammuffiti che compongono il tuo cervello.”
Il fumo delle mie catene prese a scorrere più rapidamente, assumendo la sgraziata forma di un fuoco verticale.
"Come osi—"
Non gli lasciai il tempo di proseguire.
"Se mi ucciderai, perderai anche la mia bella boccuccia. E credo che di quella ti importi, dato che è l'unica in grado di comunicare sia con te che con gli umani."
Il Banette assunse un atteggiamento più difensivo.
"Allora potrei prendermela con i tuoi animaletti da compagnia. Loro non mi servono." A dimostrazione di ciò, Wooper venne ricoperto da una cortina di fumo. Le venature assunsero una colorazione tendente al rosso vinaccia e la sostanza si fece più consistente, fino a raggiungere lo stato solido. Riuscivo a malapena a sentire i versi - no, i guaiti - spaventati del mio pokémon mentre veniva schiacciato dalla sua stessa prigione.
 
Qualcosa mi pizzicò la testa.
Dando voce alle ondate di lava che mi stavano attraversando il petto, gridai: "Sgranocchio!"
Il cappello mi cadde dalla testa, ma non ci feci caso, troppo rapita dall'espressione shockata del Banette nel vedersi volare addosso un topo viola dai denti assetati di imbottitura.
Dopo un primo attimo di smarrimento, lo spettro sollevò una zampa verso l'alto, innalzando una fiammata di fumo che passò dal nero al bluetto. Rattata ci sbatté contro con un lamento, ma ricadde senza grossi problemi sull'erba.
 
L'attacco non era andato a buon segno, però era servito a qualcosa: per erigere lo scudo, il Banette aveva richiamato il suo attacco precedente. Con un calcio mi liberai dai residui delle mie catene, che svanirono nell'aria.
Mi chinai sui miei pokémon per accertarmi delle loro ferite. Rattata sembrava essere a posto, ma sul suo dorso vi erano delle chiazze di pelo bruciate. Wooper, invece, era in condizioni precarie: il suo corpo presentava delle zone scure, che temevo potessero essere primi stadi di ematomi. La cosa preoccupante era, però, che nonostante i miei richiami non volesse saperne di aprire gli occhi.
Non avevo idea di cosa fosse successo dentro al bozzolo che lo teneva prigioniero, ma sembrava grave.
Ritirai nella pokéball il mio piccolo amico, sussurrandogli rassicurazioni che però non parvero venir recepite.
 
Rattata mi si parò davanti in posizione difensiva. Incrociai gli occhi rosati del Banette. Anche se era ancora sostenuto da una delle sue lingue fatte di tenebra, notai con una certa soddisfazione che la cortina si era finalmente prosciugata.
Ma invece che gongolare, strinsi i denti in una smorfia colma di rancore. Il Banette non fu da meno.
"Vorrei ucciderti."
Inserii una mano nella borsa, pronta ad usare qualsiasi cosa avessi a disposizione pur di scamparla. Lo spettro digrignò i denti della cerniera, assumendo un'espressione quasi dolorante.
"La cosa che voglio di più in questo momento è porre fine alla tua inutile e patetica vita", ripeté, fissando con astio le proprie zampe chiuse a pugno. Pareva piuttosto...
"Ma non posso!"
Combattuto?
 
Il tentacolo che lo teneva su prese ad oscillare, imitando lo stato d'animo del suo padrone che intanto si era preso la testa fra le mani. Sarebbe stato un’ottima occasione per fuggire. Dopotutto Rattata lo aveva già fatto, scattando fino ai cespugli più vicini e sparendo nel sottobosco senza lasciare traccia. Il Banette era chiuso nel suo mondo di autocommiserazione.
Sollevai lo sguardo verso il cielo. Le fronde degli alberi erano immerse nella penombra, perforata solo da sporadici raggi color carminio che andavano affievolendosi di secondo in secondo.
Avevo perso. Il sole era già tramontato ed io non avevo ancora trovato una via d'uscita da quel labirinto di alberi.
 
Riportai la mia attenzione sullo spettro, avvertendo il montare di un pugno d’ira dentro il mio stomaco.
"Quindi, ciò che desideri di più è farmi fuori?"
"Esatto!", sbraitò. Socchiusi gli occhi.
"Anche più di uccidere il tuo ex-proprietario?"
La reazione fu istantanea: gli occhi del Banette brillarono di rosso e sui suoi palmi comparirono delle sfere cariche di energia.
"Non osare nemmeno paragonarti a lui!"
Con un semplice movimento del polso le sfere schizzarono verso di me. Schivai la prima abbassando la testa e la seconda mettendo in pratica un limbo di infima qualità. Faceva così schifo, infatti, che caddi a terra con uno strillo.
Ma invece di venire travolta da altri attacchi, sentii un sussulto. Venni sollevata in piedi - cortesia di un altro tentacolo di fumo – ritrovandomi di fronte al temibile peluche, che frettolosamente prese a tastarmi la faccia con delle zampe umidicce. Per qualche motivo la stoffa che rivestiva il suo corpo aveva cominciato a produrre e riassorbire in tempo record grosse gocce di sudore.
Odoravano di fumo e uova marce.
Ci vollero approssimativamente due secondi per far sì che Ira venisse presa a calci da Disgusto. Ce ne vollero altri tre perché riuscissi a scaraventare il pupazzo contro un albero. Al decimo secondo mi ero già dileguata fra gli arbusti.
 
Dietro di me prese vita ciò che pareva essere l'unione di tre diverse viole scordate, presto accompagnato da un rombo proveniente dal sottosuolo.
Gettai una rapida occhiata alle mie spalle.
Dal terreno continuavano a levarsi serpenti d'ombra, menanti alla cieca, alla ricerca di qualcosa su cui sfogare il proprio potere: nemmeno la natura era al sicuro, a giudicare dall'ingente quantità di alberi che stavano venendo stritolati. I miei occhi fecero appena in tempo a notare il massiccio tronco di un baccastagno che le spire attorno ad esso si contrassero di scatto, spezzandolo con un secco crack.
Quel suono echeggiò anche nella mia cassa toracica, convincendomi ad accelerare. Ma le scosse si stavano facendo sempre più forti, sempre più vicine, tanto che ormai la mia schiena stava venendo colpita dai piccoli sassi che venivano sbalzati in aria ad ogni attacco.
 
Mi guardai attorno, alla febbrile ricerca di una via di fuga.
Se solo ci fosse stato un corso d'acqua, mi ci sarei buttata seduta stante. Dubitavo che il Banette mi avrebbe seguito anche lì: a giudicare dal fetore che quel mostro emanava, non doveva essere un amante dei bagni.
Ma quel postaccio rinsecchito non voleva offrirmi soddisfazioni: non c'erano fiumi, non c'erano laghi, non c'erano piscine; non c'erano scale, non c'erano ascensori, non c'erano Centri Pokémon e persone e perché cavolo Daisuke non risponde!
In compenso c'erano ovetti mezzi rotti i cui gusci parevano essere stati tratteggiati da bambini dell'asilo, un pokémon spettro con un serio bisogno di rassettare le proprie priorità, e alberi, alberi, alberi— albero cavo!
 
Mi lanciai nella fessura appena in tempo per schivare un tentacolo che, spuntato ad un metro da me, aveva preso a sondare il terreno circostante flagellandolo a mo' di frusta. Rattata mi raggiunse dopo un paio di secondi, con un fiatone che al confronto con il mio poteva passare per 'elegante'.
Squittì un paio di volte, indicando il braccio d’ombra con nervosismo. Il messaggio era chiaro: se non volevamo ritrovarci nello stesso stato del tronco di poco fa, saremmo dovuti uscire al più presto. Annuii, portando una gamba all’indietro per uno scatto.
Il piede cedette. Mi ritrovai a pancia a terra, lottando contro la gravità per non venire trascinata giù.
Giù.
Giù dove?
Piantai le dita nel terreno, ancorandomi a terra. Mi sforzai di girare la testa e di dare un senso alle forme confuse nella penombra.
Okay, il suolo è in discesa. Quella là è la mia gamba e... aspetta, dov’è il polpaccio?
Mossi l’arto, sentendolo sì rispondere ai comandi, ma senza riuscire a trovare alcun appoggio: sotto al mio piede c’era solo aria.
Sbattei le palpebre.
…una fossa?
 
Rattata, che fino ad allora aveva cercato di arrestare il mio scivolamento tirandomi una spallina della maglia - gesto piuttosto inutile ma comunque apprezzato - rilasciò di colpo la presa, emettendo un verso atterrito. L'ultima cosa che vidi prima che tutto cadesse nell'oscurità fu un'estensione del tentacolo penetrare all'interno del tronco, dritto verso di noi.
 
Dopo essere stata adottata, non avevo più avuto paura del buio. Di pericoli ce n'erano a bizzeffe, pure di giorno; perché andare a complicarsi la vita facendosi le paranoie su cosa poteva celarsi nell'ombra?
In quel momento, nel sentire il mio fiato mozzarsi ed il mio cuore contrarsi in una fitta così convulsa ed erratica e sbagliata da farmi male, ricordai come mai il genere umano temesse così tanto l'oscurità.
L'anticipazione è quasi più dolorosa del colpo stesso.
 
Non essendo una grande fan del dolore (nonostante le mie ultime avventure tendessero a dimostrare il contrario) la scelta fu semplice. Afferrai Rattata per la coda ed estrassi il resto delle mie dita da terra, lasciandomi scivolare verso il basso.
 
Il tentacolo riuscì solo a sfiorarmi il volto; poi il terreno scomparve da sotto al mio corpo ed io sguizzai via, cadendo nel nulla.










 



~Author's Corner~
Prima che voi me lo veniate a far notare, ho un annuncio da fare: sì. Amo far cadere la gente. E dovreste amarlo anche voi.
*coff coff*

E così sono tornata... con un capitolo più a scopo informativo che dilettevole. Emh. Abbiate pazienza. Ne arriveranno altri (spero) più interessanti.
A questo proposito voglio ringraziare la mia betareader/friend/compagna-di-fangirlaggi Nyaa_ per avermi aiutato nel correggere questo capitolo ed un paio di quelli che lo precedono. Grazie Nyaa! *tira coriandoli*

Come al solito, se ci sono problemi/errori/confusioni varie, please, fatemelo notare ^^
Until the next chapter, bye bye~

 
   
 
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