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Autore: T00RU    09/01/2017    1 recensioni
In cui Haruhi deve visitare la famiglia, e Hikaru anche.
Nessuno dei due ha pensato che un eventuale ritardo dell'aereo li farà conoscere.
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[hikaru x haruhi centric]
[4.010 words]
Genere: Comico, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Haruhi Fujioka, Hikaru Hitachiin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Haruhi scende dalla macchina e con non poca difficoltà cerca di tirare fuori dal portabagagli la sua amata valigia nera, ormai vecchia e consumata a causa di tutti i viaggi fatti. Quando si rende conto che non ha nessuna possibilità di farcela da sola, con un’occhiata supplica Umehito affinché l’aiuti.
Il ragazzo biondo si fa sfuggire un ghigno, e con un colpo d’anca la fa spostare, sistemandosi bene davanti alla valigia che ancora risiede indisturbata nell’auto. 
Avrebbero dovuto sapere entrambi che la forza fisica di Umehito equivale a quella di un bambino di due anni, perché il ragazzo si trova in altrettanta difficoltà nell’anche solo spostare la valigia, lasciamo perdere riuscire a tirarla fuori.
E’ qui che Renge, ormai scocciata e annoiata dalla situazione, rotea gli occhi e con una sola mano riesce ad alzare e a posare la valigia –che poi tanto pesante non è- sul cemento del parcheggio.
Il biondo si fa sfuggire una risatina. «Se avessi aspettato ancora un po’, sarei sicuramente riuscito a tirarla fuori».
Renge alza un sopracciglio, girandosi solo il tanto che basta per poter guardare negli occhi l’amico. «Certo, e ora vorresti anche dirmi che non dormi più con Beelzenef?».
Haruhi le rivolge un’occhiataccia, zittendola all’istante, e nemmeno Umehito continua la discussione. Grazie al cielo vorrebbe lasciarsi scappare la giovane Fujioka, ma decide che è meglio mantenere la calma, almeno in questi minuti prima della partenza.
Haruhi trascina la valigia dietro di sé, provocando un rumore attutito a causa delle piccole ruote sull’asfalto, e in silenzio tutti e tre si avviano all’interno dell’aeroporto, quasi vuoto a causa dell’ora tarda. Doveva trovarsi l’aereo per Boston così tardi?
Arrivati all’interno, Haruhi apre le braccia, pronta per accogliere in un grande abbraccio i suoi due coinquilini, nonché migliori amici; questi ultimi non si lasciano sfuggire l’occasione di abbracciare la ragazzetta mora un’ultima volta prima della partenza, e si trovano con gli occhi quasi lucidi, a riempire lo spazio vuoto tra le braccia dell’amica.
Rimangono così per un lasso di tempo indefinito –qualche minuto, probabilmente-, lasso di tempo in cui Haruhi continua a ripetere un sommesso «Mi mancherete così tanto» al quale i due amici rispondono con un altrettanto sommesso «Anche tu, Haru».
E per quanto siano diversi tra loro, tutti e tre sono seri e sanno che sono completamente persi se uno di loro manca, sanno che non è mai lo stesso quando sono divisi; sanno che per Haruhi sarà difficile tanto quanto per loro.
Sciolgono l’abbraccio, si guardano e sorridono, la mano di Haruhi salda attorno alla maniglia della valigia. «Voglio trovare sia la casa che voi intatti, quando torno».
«Sì, capo» rispondono i due all’unisono.
«Saluta tuo padre da parte nostra» aggiunge Renge, il tono di voce dolce nel ricordarsi del signor Fujioka.
«Sicuramente» ridacchia Haruhi, scuotendo la testa leggermente al fine di spostare la frangia ricaduta sugli occhi. Si passa la mano libera tra i capelli corti, e sospira. «Andate, si sta facendo tardi».
«Sei sicura, Haru?» Umehito inclina la testa di lato, aggrottando le sopracciglia.
Haruhi si lascia scappare un’altra risatina. «Me la so cavare, Umehito».
Sorride ancora. «Statemi bene».
Entrambi le fanno un cenno con la mano e lentamente si incamminano verso l’uscita, girandosi un’ultima volta per salutare l’amica che per un mese intero starà lontana da casa.
Un mese non è tanto, lo sanno entrambi che trenta giorni passano in fretta, ma non riescono a fare a meno di preoccuparsi, nonostante Haruhi sia stata a Boston numerose volte, sempre per visitare il padre.
Il fatto è che Haruhi non è mai stata lontana da casa per così tanto tempo.
Starà bene si dicono entrambi, sospirando. Salgono in macchina e tornano a casa, alla loro casa che ora sembra vuota, senza gli urli e i rimproveri di Haruhi.
Haruhi, che mezz’ora dopo ancora sta aspettando che la voce metallica dell’interfono chiami il suo volo. E’ seduta su una panca, buttata lì a caso in mezzo al vasto aeroporto, e solo qualche anziano si fa vedere di tanto in tanto, forse venuto per aspettare i nipoti.
Sblocca il cellulare. 11:48 pm.
Il volo sarebbe dovuto partire alle 11.
Lascia la valigia vicino alla panca, si allontana per guardare meglio i tabelloni dei voli; l’aereo sarebbe arrivato la mattina dopo.
Scoraggiata, torna alla panca, sedendosi. Cosa potrebbe fare per ore e ore?
Dormire? No, sarebbe troppo rischioso senza avere qualcuno in grado di svegliarla al momento necessario. Usare il telefono? Non può caricare il cellulare, e non può rimanere senza l’unico aggeggio in grado di tenerla vicina alla sua piccola cerchia di amici.
L’unica cosa che può fare è girare per l’enorme aeroporto, nella speranza di far passare il tempo in fretta. Si alza e inizia a camminare. Prende il telefono dalla tasca e fa per scrivere un messaggio a Renge.
 
Messaggio a: Ren-gay
A quanto pare l’aereo è in ritardo, arriverà domani mat

Non riesce a finire di scrivere il messaggio perché, tanto concentrata quanto era nello scrivere con una mano sola –l’altra impegnata a trascinarsi dietro la valigia-, non ha visto il ragazzo che le stava camminando incontro, anch’esso con gli occhi puntati sullo schermo del telefono, ma venendo dalla parte opposta.
Il risultato sono due telefoni sul pavimento, Haruhi e il ragazzo che solo grazie alle rispettive valigie sono in piedi, e non sono rovinosamente caduti.
La mora si abbassa in fretta, prende il telefono in mano e si assicura che non si sia fatto neanche un graffio; il ragazzo fa lo stesso, e quando Haruhi alza lo sguardo, solo in quel momento si rende conto dell’aspetto del ragazzo. Il viso serio, le sopracciglia aggrottate, i capelli rossi e spettinati.
Gli occhi dorati del ragazzo la fissano senza alcuna vergogna, e rimangono posati sulla sua figura anche quando lei si alza e si mette il telefono nella tasca dei pantaloni.
«Sta’ attenta, la prossima volta» la voce quasi acuta –ma che non lascia trasparire emozioni, oltre all’indifferenza- coglie alla sprovvista Haruhi, che da quell’apparenza seria e quasi infastidita, si sarebbe aspettata una voce più profonda.
Abbassa la testa leggermente, in segno di scuse.
«Come mai sei qui a quest’ora?» chiede. Se lui non si è fatto problemi a fissarla insistentemente, lei non si farà problemi a fare domande, per quanto stupide e ovvie esse possano essere.
Per l’appunto, il ragazzo rotea gli occhi. «Sono qui perché mi piace dare la caccia ai fantasmi, e mi diverto a passare le notti in aeroporto a perdere tempo. Tu?».
«Mi piace dormire sulle panche degli aeroporti, perché mi guadagno automaticamente il diritto di chiedere anche l’elemosina ai passanti» è la risposta altrettanto sarcastica di Haruhi.
Il ragazzo sembra sorpreso, all’inizio, ma poi un ghigno si fa strada sul suo viso e porge in avanti la mano libera. «Hitachiin Hikaru».
Haruhi sbatte le palpebre un paio di volte, prima di afferrare con decisione la mano che il ragazzo le sta porgendo. «Tua madre».
Quest’ultima affermazione fa ridere il ragazzo –Hikaru-, che per un momento sembra aver dimenticato come si respira. Anche la mora sorride, debolmente, e stringe un po’ di più la mano di Hikaru, che è ancora nella sua. «Fujioka Haruhi».
«Bene, Haru-chan» Haruhi fa una smorfia al sentire il soprannome. «Quale dovrebbe essere il tuo volo?».
Haruhi sospira, rassegnata all’idea che dovrà passare una notte intera in un aeroporto più grande del suo quartiere. «Quello per Boston».
Un’espressione sorpresa si fa largo sul viso di Hikaru. «Anche il mio».
«Mi stai solo prendendo in giro». Al che Hikaru tira fuori dalla tasca della giacca un biglietto aereo, che in effetti è per Boston. Due sfigati.
Haruhi si guarda intorno, rendendosi conto che sono ancora entrambi in piedi, in mezzo al primo piano dell’edificio. «Non potremmo sederci da qualche parte?».
 
E Hikaru e Haruhi si siedono al tavolino di un bar ancora aperto per miracolo; entrambi prendono una sola tazza di tè, e passano il tempo a parlare, interrotti da qualche silenzio imbarazzante immediatamente dissipato da sorsi di tè diventato ormai freddo.
Haruhi ha imparato che Hikaru ha la sua stessa età, e che starà a Boston da suo fratello.
Ha imparato che gli piace il cibo piccante, che le materie scientifiche lo interessano particolarmente.
Hikaru invece ha imparato che Haruhi vuole solo far visita al proprio padre, alla sua compagna e alla loro figlia.
Ha imparato che il suo cibo preferito è l’ootoro, che a scuola è sempre stata la migliore della classe, e che vive in un appartamento con i suoi due migliori amici.
Mentre stanno parlando, il telefono di Haruhi squilla, e nel vedere il contatto di Renge, sorride.
«Rengay!» esclama, guadagnandosi una risatina da parte del nuovo conoscente.
Annuisce un paio di volte, si lascia sfuggire anche qualche mugugno in segno di assenso, prima di parlare.
«Renge, l’aereo è in ritardo. Per quanto tutte le tue raccomandazioni siano utili, ora non mi serviranno».
Ascolta con attenzione quello che l’amica ha da dire, e sorride quando nota gli occhi di Hikaru ancora su di lei.
«Sì, Renge. Ti voglio bene anche io» e chiude la chiamata. Prende un altro sorso di tè, lasciandosi scappare una smorfia. «E’ imbevibile».
«Rengay? Davvero?» Hikaru ancora ridacchia, scuotendo la testa. Abbassa lo sguardo e lo punta sulla tazza tra le sue mani, il liquido stantio diventato ormai imbevibile, come appena notato da Haruhi.
«Le piacciono le ragazze e non perdo mai occasione di ricordarglielo» scrolla le spalle.
«E se fosse innamorata di te?».
«Impossibile; con le mie “sembianze da maschio”, come le chiama lei, mi trova quasi oscena».
«Che esagerazione» Hikaru ride ancora, picchiettando le dita sulla tazza. Nonostante il suo comportamento restio nell’accettare nella propria vita –anche se per qualche ora- persone che non siano suo fratello Kaoru, nonostante la sua tendenza a considerare chiunque non faccia parte del gruppo di due in cui è cresciuto un idiota, non ha nessun problema a parlare con Haruhi.
Sarà l’età?
Probabile.
Continua a picchiettare i polpastrelli sulla ceramica della tazza, entrambi rimangono in silenzio.
Silenzio che viene spezzato da uno sbadiglio di Haruhi, ovattato a causa della mano posta sulla bocca; Hikaru guarda il cellulare. 1:36 am.
Il tempo è passato velocemente, avendo compagnia al proprio fianco.
«Ne, Haruhi» Hikaru attira l’attenzione della ragazza, che intanto ha appoggiato la testa sul tavolo, probabilmente a causa della stanchezza.
«Mh?» alza leggermente la testa, gli occhi per metà aperti. Hikaru sorride. «Andiamo a trovare un posto dove dormire, sono quasi le due del mattino».
 
Hikaru si trova seduto su una panca, una ragazza che qualche ora prima era una sconosciuta ora sta dormendo al suo fianco con la testa appoggiata sulla sua spalla; appoggio che Hikaru ha offerto, consapevole della stanchezza di Haruhi, ben maggiore della sua.
Si guarda intorno, l’aeroporto quasi deserto gli metterebbe tristezza, se fosse solo. Non che Haruhi, in questo momento, sia di grande compagnia, ma il calore che il suo corpo emana gli ricorda terribilmente quello emanato da suo fratello.
Delicatamente, prende una mano della ragazza, e appoggia l’indice e il medio sul polso.
I loro battiti non sono sincronizzati.
Lo lascia andare, tirando un respiro profondo; dovrebbe davvero dormire.
Appoggia la testa su quella di Haruhi, i capelli della ragazza all’inizio gli solleticano il viso, il loro profumo gli invade le narici.
Un altro sospiro, e chiude gli occhi.
 
Quando li riapre, la luce del giorno lo obbliga a richiuderli e riaprirli più volte, per abituarsi.
Lentamente, tira fuori il telefono dalla tasca dei jeans, attento a non fare movimenti bruschi che potrebbero far svegliare Haruhi.
7:43 am.
A che ora parte l’aereo?
7:55 am.
Al diavolo il “non svegliare Haruhi”.
Inizia a scuotere la ragazza, al fine di farla svegliare. «Haruhi. Haruhi, sveglia».
Lei apre lentamente gli occhi, strizzandoli a causa della luce. «Hikar-» inizia sottovoce, ma viene interrotta.
«L’aereo sta per partire, muoviti!» la prende per mano e si alza, mettendosi a correre. Haruhi, dietro di lui, fa fatica a capire cosa sta succedendo.
«Hikaru, e le valigie?».
«Cazzo, le valigie» e tornano indietro.
Nel giro di qualche secondo, Haruhi si rende conto di cosa sta succedendo, e si unisce a Hikaru nella corsa per il check-in.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Solo per miracolo si trovano entrambi sull’aereo, seduti nelle parti opposte, ma si trovano sull’aereo.
 

 
Il ritorno –anche se temporaneo- di Haruhi in famiglia è accolto dal padre, dalla compagna e dalla figlia nel modo migliore.
I primi giorni sono stati riservati al tempo insieme, in cui si sono raccontati a vicenda i diversi avvenimenti degli ultimi due anni e mezzo.
Nonostante i diversi problemi nell’accettare nella propria vita e in quella del padre la nuova arrivata e la figlia, dopo cinque anni Haruhi si è abituata all’idea di non essere più l’unica donna nella vita del padre.
 
«Haruhi, Haruhi!» Lizzie le tira i pantaloni, per attirare l’attenzione della sorella. Quest’ultima si abbassa leggermente, per trovarsi allo stesso livello della bambina.
«Sì, Lizzie?» le sorride, in attesa della risposta.
«Mi porti a fare una passeggiata? Mh, Haruhi?» saltella, mettendosi in punta di piedi come per chiedere di essere presa in braccio; richiesta che Haruhi non esita a soddisfare e, mentre con un braccio la tiene su, con l’altra mano le fa dei buffetti sulle guance rosee e paffute.
«Solo io?».
Elizabeth annuisce, solleticando la mano di Haruhi con i boccoli biondi.
«Capisco» un bacio sulla guancia, e la mette giù.
«Papà!» Haruhi attira l’attenzione dell’uomo, la cui testa fa capolino dalla cucina dopo qualche secondo.
«Sì, fiorellino?».
Al nomignolo, la giovane Fujioka rotea gli occhi, sorridendo. «Esco con Lizzie».
L’uomo annuisce, e si sente anche la voce di Macie, dalla cucina. «State attente!».
«Certo, Macie!» risponde Haruhi.
Non l’ha mai chiamata “mamma”, non ha intenzione di farlo.
Sua madre l’ha avuta, tutt’ora è con lei. Per quanto Macie faccia parte della famiglia, tutti sanno che Haruhi non arriverà mai a tanto.
Copre Elizabeth con il suo piccolo cappotto, si mette la giacca e prende la bambina per mano.
 
Camminano per la città, mano nella mano –Haruhi sta ben attenta a tenerla salda vicino a sé, per non perderla in mezzo al fiume di gente sui marciapiedi- ed Elizabeth punta con le mani alle vetrine decorate, rimaste ancora addobbate dopo il periodo natalizio appena passato.
«Haru-chan, guarda quel pupazzo!» esclama, premuta completamente contro al vetro, la faccia leggermente schiacciata. Nel sentire il nomignolo, il viso di Hikaru passa momentaneamente nella mente di Haruhi; chissà se sta bene.
Per quanto l’incontro sia stato parecchio singolare, e non abbiano avuto modo di conoscersi bene durante le poche ore trascorse insieme, Haruhi è felice di non essere stata da sola.
Scaccia via il pensiero dalla mente, e concentra tutta la propria attenzione su Lizzie, che ancora con il viso e le mani premute sulla vetrina, si lascia sfuggire esclamazioni di stupore nel vedere tutti i giocattoli esposti.
Per quanto Haruhi voglia comprarle qualcosa –avendo passato le feste con Renge e Umehito, ed essendo comunque una giovane studentessa, non ha avuto né il tempo né i soldi per comprare dei regali alla propria famiglia a Boston- non ha preso abbastanza denaro con sé, ed è costretta a trascinare via Lizzie, che dopo qualche capriccio iniziale –ha cinque anni, dopotutto-, capisce.
Parlottano, Lizzie fa tante domande a cui Haruhi risponde, e proprio mentre sta per rispondere ad una delle semplici domande di Elizabeth, lo vede.
Almeno, da lontano sembra lui.
Sta sorridendo ad un ragazzo moro con gli occhiali, riesce a malapena a metterli a fuoco; si trovano alla fine del lungo marciapiede, parlano e si avvicinano.
Più si avvicinano, più Haruhi è convinta che, nonostante i capelli rossi e le sembianze siano esattamente quelli di Hikaru, non sia lui.
Ne è certa quando le passano vicino.
Non sa bene perché, ma sa che non è il ragazzo che ha conosciuto qualche giorno prima in aeroporto.
Ha un gemello?
Probabile.
Com’è la percentuale di un loro incontro casuale in una città come Boston?
Estremamente bassa.
Si gira qualche secondo, tenendo gli occhi fissi sul ragazzo.
No, sicuramente non è Hikaru.
Lizzie le tira i pantaloni, attirando la sua attenzione; gli occhi grandi e curiosi della bambina la scrutano attentamente, e poi sorride. «Cosa stavi guardando, Haru-chan?».
Ancora il nomignolo.
«Ero solo persa nei miei pensieri, Lizzie. Che ne dici di tornare a casa? Si sta facendo freddo».
La bambina annuisce, facendo finta di rabbrividire.
 
Per quanto Haruhi stia bene con la sua famiglia a Boston, Renge e Umehito le mancano terribilmente; le mancano le urla della ragazza nel guardare il suo anime preferito o nel leggere per la millesima volta quel manga yaoi di cui non smette mai di parlare. Le mancano gli scherzi di Umehito, che le faceva trovare Beelzenef nei posti più strani e inaspettati. Le mancano le serate passate tutti e tre sul divano, a mangiare una pizza e a guardare un film.
Le mancano terribilmente i piccoli momenti e le emozioni passate con loro, che suo padre, Macie e Lizzie non riusciranno mai a scaturire in lei.
Suo padre è andato avanti con la propria vita, ha una compagna, un’altra figlia tutta da crescere; non ha più bisogno del ricordo della mamma, che Haruhi si tiene stretta nel cuore e che non lascerà mai andare. Le provoca un’emozione strana vederli tutti e tre ridere e giocare insieme, tutto quello che riesce a vedere lei è una povera copia di quello che un tempo erano lei, suo padre, e la mamma.
Haruhi sta bene ma vuole tornare a casa, la sua piccola casa, disordinata e divisa in tre.
Mancano dieci giorni e tornerà alla calma quotidianità, alla routine mai interrotta, mai modificata.
 
Suo padre è il primo ad abbracciarla, stringendola forte a sé. «Mi mancherai, fiorellino».
Haruhi accarezza la schiena dell’uomo, sorridendo leggermente. «Mi mancherai anche tu, papà».
Poi è il turno di Lizzie, che con le lacrime agli occhi alza le braccia e le protende verso di lei, come ha sempre fatto quando in cerca di abbracci. Richiesta che, ancora una volta, Haruhi soddisfa. Un buffetto sulla guancia, un bacio sulla punta del naso e sulla fronte, e Lizzie già sorride.
Macie si limita a sorriderle, a darle qualche pacca sulla spalla, consapevole dei suoi sentimenti.
Quello che nessuno però si aspettava, è vedere Haruhi abbracciare Macie, per la prima volta.
L’abbraccia e le sussurra all’orecchio un «Per favore, prenditi cura di papà» che nessun altro a parte loro due sente, e forse è meglio così.
I tre la guardano mentre si fa strada tra la gente –molto più numerosa rispetto all’ultimo viaggio-, le fanno dei cenni con la mano, si stringono a vicenda per non sentire la mancanza che la giovane Fujioka già lascia dietro di sé.
Haruhi non può fare a meno di chiedersi se Hikaru sta bene, se sta passando delle belle giornate con suo fratello. E’ già tornato? Sta ancora lì? Non lo sa.
Il check-in, l’imbarco, tutto procede in fretta, in poco tempo si trova sull’aereo, seduta dalla parte del finestrino, su cui ha appoggiato la testa.
Ha gli occhi chiusi da qualche secondo, quando sente una presenza al suo fianco.
«Chi pensava mai avrei rivisto la giovane Fujioka in così poco tempo?» sorride Hikaru, allacciandosi la cintura. Haruhi non riesce a reprimere il sorriso che si fa strada sulle sue labbra. «Non mi avevi detto di avere un gemello».
Hikaru aggrotta le sopracciglia. «Non ce l’ho, infatti».
«Per favore, il ragazzo che ho visto in città non eri sicuramente tu».
Hikaru si passa la lingua sulle labbra. «Come fai ad esserne così sicura?».
«E’ un segreto» Haruhi gli fa l’occhiolino, al che Hikaru rotea gli occhi. «Si chiama Kaoru».
«Più giovane o più grande?».
«Decisamente più giovane; davvero pensi sia io il più piccolo?» Hikaru finge un tono offeso, appoggiandosi una mano sul petto, al che Haruhi ridacchia, senza però rispondere.
Di sottofondo, la hostess spiega le procedure in caso di emergenza, e forse –sicuramente- i due giovani sono gli unici a non ascoltare una parola, persi come sono l’uno nell’altra.
 

 
«Hikaru, quante volte devo dirti che non puoi portarti dietro la valigia che ti ha regalato Kaoru?» Haruhi appoggia le mani sui fianchi, guardando il ragazzo con fare truce. La canotta leggermente più piccola della sua taglia e i pantaloncini di poco alzati sulle cosce sembrano essere l’unica cosa che attira l’attenzione del più alto, che si lecca le labbra involontariamente. E’ seduto sul loro letto, a guardare come Haruhi riordina le loro cose nelle due valigie che si porteranno dietro durante le loro vacanze.
Riporta gli occhi sulla figura decisamente infastidita davanti a lui. «E perché no?».
«Perché ci sono dei cazzi stampati sopra, Hikaru! Non la porti una cosa del genere, non in pubblico».
Il più grande dei gemelli Hitachiin incrocia le braccia al petto, sbuffando sonoramente – e soltanto per fare scena-. «Non ti sai proprio divertire, tu».
Haruhi soffia una risatina in segno di scherno. «Tu invece non cresci mai, pensa un po’» fa per tornare a piegare vestiti su vestiti, quando «Mi sembra mi trovi abbastanza cresciuto quando ogni sera-»Haruhi lo interrompe, appoggiando una mano sulla sua bocca.
«Non mi sembra il caso di portare  il discorso proprio in questo momento, non trovi anche tu?».
Hikaru le lecca il palmo della mano, Haruhi urla disgustata.
«Ho accettato di sposare un soggetto simile» sospira, quasi rassegnandosi al destino che l’aspetta.
Il più alto scoppia a ridere, si alza in piedi e l’avvolge in un abbraccio; appoggia il mento sulla testa della donna che da lì a qualche mese sposerà, e, come ha fatto la sera del loro primo incontro, all’aeroporto, inspira il profumo dei suoi capelli. E’ talmente famigliare, che ormai sa di casa.
I suoi pensieri sono offuscati dal suo profumo di vaniglia, dall’immagine di lei che mai lascia la sua mente, e non può fare a meno di sorridere come un idiota.
La ragazza esile tra le sue braccia che ha appena appoggiato la testa sul suo petto è solamente sua, sua e di nessun altro. E’ sua quando litigano per delle sciocchezze, è sua quando una semplice parola li fa ridere per ore, è sua quando fanno l’amore, è sua quando dormono e nel bel mezzo della notte si sveglia e osserva al chiarore della luna quei tratti delicati, che mai troverà in altra donna. Non gli piace fare il possessivo, non è nella sua natura, ma il solo pensiero di essere l’unico –nonostante i numerosi difetti- per una donna speciale come Haruhi, lo spinge a volerla tenere per sempre al proprio fianco.
Non ha mai fatto entrare nessuno nella sua vita, al di fuori di Kaoru. Nessuno, prima di Haruhi, è riuscito a catturare il suo interesse e il suo cuore così in fretta.
«Sarai mia moglie» sussurra, ancora incredulo. Numerosi flashback della sera della proposta riempiono la sua mente; Haruhi in lacrime, l’anello che sembrava fatto per stare sul suo anulare.
La suddetta Haruhi alza la testa leggermente, e lo guarda con quegli occhi grandi, onesti e pieni di voglia di vivere, che brillano ogni volta che il suo sguardo si posa su di lui.
Non può fare altro che sentirsi estremamente fortunato; sicuramente, nella vita passata avrà compiuto solamente azioni lodevoli.
Non saprebbe spiegarsi la presenza di quella donna fantastica nella sua vita in altro modo.
Con le dita sposta qualche ciocca della frangia dal suo viso.
«Sì, Hikaru. Sarò tua moglie» gli sorride.
Hikaru la guarda, pieno di adorazione verso l’unica donna che sarà mai in grado di amare, e glielo sussurra anche, quel pensiero; si avvicina all’orecchio di Haruhi, e sottovoce, come per tenerlo un segreto agli occhi di tutti, «Ti amo» le dice.
Al che lei risponde, a modo suo; si alza in punta di piedi, posa le labbra sulle sue, in un bacio semplice, come loro due. Semplice come il sentimento che li unisce. Semplice come la vita che hanno costruito e continueranno a costruire insieme.
Hikaru le prende la mano, con delicatezza appoggia due dita sul polso e aspetta.
Prima sente il battito di Haruhi, il suo entra in scena subito dopo; i loro battiti sincronizzati. 

 


Sto piangendo?
Tanto. 
Ho scritto questa storia in uno slancio di tristezza, dopo aver scoperto che la coppia canon sono Tamaki e Haruhi, che, per quanto io ami, proprio non riesco a vedere insieme.
Per favore apprezzate mio figlio Hikaru, merita solo amore.
E' una storia scritta un po' a caso, ma spero comunque che vi piaccia e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate in una piccola recensione, che è sempre gradita.
Scusate per eventuali errori!
mar,,
   
 
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