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Autore: bimbarossa    09/01/2017    9 recensioni
Istantanee di un'esistenza, quella di Rin, viste, e vissute, dal suo Sesshomaru-sama nel corso degli anni e di una vita intera passata insieme. (raccolta inserita nella serie "Inuyasha- Beyond The Final Act")
Capitolo Primo: Sesshomaru si innamora (ambientato dopo "Nel Domani")
Capitolo Secondo: desideri inesauditi
Capitolo Terzo: sorrisi tra le margherite (ambientato tra Capitolo 1 e Capitolo 2 di La Guerra dei Cani)
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rin, Sesshoumaru | Coppie: Rin/Sesshoumaru
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Inuyasha-Beyond The Final Act'
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La Luna non ci amerà per sempre.

 

 

Anno Settimo dalla Sconfitta di Naraku

 

Una distesa di neve.

Una sconfinata distesa di neve purissima, scintillante, fredda e compatta, eppure tiepida e morbida al tatto.

Le labbra del demone, insaziabili, sprofondarono in quella goduria come un affamato fa con una pietanza appena messa sotto la propria bocca, lasciando una scia di baci arroventati che avrebbero sciolto quella polvere nevosa di cui era fatta la spalla di Rin.

“Sesshōmaru-sama.”La sentì ridere nel suo orecchio sinistro. “Mi state facendo il solletico.”

“Mm.” Non le rispose nemmeno, preferendo continuare lungo la base del collo, risalire sotto il mento per poi succhiarne la punta intrappolandolo dolcemente tra le proprie fauci.

“Vi piace?” chiese lei altrettanto dolcemente con un tono tra il roco e l'innocente che lo fece impazzire e diventare duro in un istante.

Se gli piaceva?! Decise, di nuovo, di non rispondere. Si, quella domanda non meritava neanche una replica. O meglio ne meritava una che sarebbe piaciuta ad entrambi.

Tornò indietro, sotto la gola, ed in seguito incuneandosi nell'attaccatura a sinistra del collo, per poi finire con la rotondità della clavicola, seguendo il percorso dei baci precedenti, godendosi il sapore della propria saliva lasciata prima, non ancora asciugatasi, mischiato a quello della pelle della ragazza.

E fu a quel punto che capì che non avrebbe resistito oltre. La voleva e se la sarebbe presa subito. Lì dove si trovavano.

La spinse contro la fontana a forma di mezzaluna per poi cercare di posarcela sopra.

“Sdraiati sul bordo. E' abbastanza largo per entrambi.” Le alitò nell'orecchio, nervoso, su di giri come non mai.

“Sesshōmaru-sama, non possiamo! Questo è un posto importante per la vostra famiglia,” trillò divertita e dispiaciuta al contempo.

“Mm. Sul serio?” Mentre continuava a vezzeggiarla senza tregua, diede un occhiata di sottecchi alla grande Tsukiegao che svettava al centro del salone dell'enorme palazzo di suo nonno. Nell'Ovest.

Come ci erano finiti lì? Davvero vi ci aveva portato Rin?

Si sentiva confuso, inebriato dall'odore di quella ragazzina di neppure quindici anni, e la voglia immensa di affondare in lei per tutta la notte. E oltre.

“Sembra una mezzaluna. Ma anche una bocca che ride. E' uno scherzo, per caso?”

La perdonò per quel commento perché lei gli stava sorridendo, e Sesshōmaru non sapeva combattere contro i suoi sorrisi.

L'angolo destro della sua di bocca, però, si incurvò all'insù in un ghigno che niente aveva di scherzoso.

“Noi demoni cane non siamo famosi per i nostri sorrisi. O meglio, lo siamo, ma in tutt'altro senso.”
Padron Sesshōmaru vi prego, picchiatemi, calpestatemi, ma non sorridete.

“Ah si? A volte con me sembrava di vedervi un'espressione molto simile a quella.” E Rin, stranamente provocatoria, indicò la grande vasca intagliata in pregiatissimo marmo bianco dalle venature blu cobalto. “Devo arguire che in realtà volevate mangiarmi? Devo temervi?”

Gli si strofinò contro civettuola e candida insieme, assolutamente irresistibile per nemmeno un secondo di più.

“Tu Rin, puoi dire di essere l'unico essere umano a non dover temere il sorriso di un demone cane.”

Lo disse senza pensarci, stupendosi l'attimo dopo di essersi lasciato sfuggire una simile frase.

Che gli stava succedendo adesso, per il grande Inugami?

Si sentiva senza freni, senza controllo, con dei flash in cui si vedeva dall'esterno di sé stesso abbracciare spasmodicamente quell'umana dai lunghi capelli scuri e dalla faccia sempre felice.

Sesshōmaru, tu a differenza di InuYasha, anche se vieni messo alle strette non perdi mai la presa sulla tua coscienza.

Che Bokusenō fosse un ciarlatano? Mai si era sentito lasciato così andare, senza davvero presa su niente che non fosse il corpo di Rin.

Rin, di cui era pazzo.

“Davvero? Sono innamorata di voi Sesshōmaru-sama, ma non salirò su quella fontana.”

“Mfp.” Grugnì quasi, con il suo lobo destro avvolto nella propria lingua. Pazienza, allora lo faremo in piedi.

Se la fece aderire addosso, afferrandola sotto i glutei e portandola contro il suo bacino, facendole capire chiaramente quanto se ne fregasse di profanare quel luogo.

“Siete tremendo Sesshōmaru-sama.” Di nuovo quella risata, così famigliare, così pura, così amata.

In quel momento baciarla in bocca divenne un bisogno così primordiale per lui da superare persino l'ossessione di secoli di brandire Tessaiga.

Fece per sporgesi verso di lei, eppure non gli riusciva di avvicinarsi, a quell'ovale di morbida carne rosata che luccicava semiliquida e perlacea nel buio della notte nel Kyūshū.

Provava la stessa sensazione di quando era sul monte Hakurei.

Un senso di intoccabile santità, tutta umana, circondava quella bocca, che non sarebbe stata vinta nemmeno dalle sue voglie.

Cosi ripiegò sul resto del corpo di Rin. Posso accontentarmi, per ora.

Le aveva già fatto cadere la spallina del kimono sinistro per deliziarsi di lei prima; ora volle di più e la fece scendere ulteriormente fino all'attaccatura del seno dove il suo odore era più penetrante e la pelle ancora più sensibile.

“Dovrei fermarvi.” Rin gli passò la mano nei capelli imprigionandolo dolcemente tra il gomito e quella rotondità incantevole, insopportabilmente irresistibile.

“Togliti il kimono.” Asciutto, brutale, forse più di quanto volesse, ma c'erano momenti in cui un maschio sano e in salute non riusciva a trattenersi. Ovvero quando amava alla follia la donna che gli stava tra le braccia.

“Non posso, lo sapete Sesshōmaru-sama.”

Ma si rendeva conto, quella ragazzina, di stare giocando con il fuoco? Davvero credeva che l'avrebbe lasciata andare?

“Come vuoi. Non dire che non ti avevo avvertita.”

Se non poteva averla a gambe larghe sul bordo di una fontana- per quanto mistica fosse-, se non poteva averla in piedi avvolta attorno ai suoi fianchi, almeno poteva prendersi un anticipo. Un lauto, lautissimo anticipo.

Cominciò a divorarla di baci sopra il kimono, un kimono che aveva già visto in un'altra occasione, ma non ricordava quando- e questo era strano per uno come lui- un kimono bianco pieno di margherite a otto petali.

Una di queste era posizionata proprio sopra il capezzolo destro di Rin e Sesshōmaru, con voluttà famelica, si mise a succhiarla -la margherita e il prezioso tesoro racchiuso sotto di lei- attraverso la veste, fino a sentirla dura e svettante dentro la bocca, come se il fiore avesse preso vita e consistenza alla stregua dell'estremità appuntita del seno della ragazza.

“Rin.”

Smise quella tortura, una tortura che affliggeva lui però, per proferire solo quella singola parola.

Una parola dietro alla quale stavano nascosti più livelli di richieste, di domande. E anche più livelli di risposte.

Una parola che sarebbe bastata, alla ragazza che gli stava davanti -e a lei sola, dato che nessuno lo conosceva così a fondo- per chiedere spiegazioni del perché fosse così reticente, per confermarle che faceva sul serio con lei, per rassicurarla su quanto ci tenesse a quella stramba relazione tra uno dei più potenti daiyokai in circolazione e una semplice -adorabile- umana.

Tornò a guardarla in volto, gli occhi languidi e scuri, le guance rosse, e quelle labbra che sembravano fatte per baciare. Per baciare lui, e lui soltanto.

“Sesshōmaru-sama. Questa volta dovrete fare molto di più.”

“E cioè?”

“Dovrete farmi vedere chi siete.”

Gli alitò quella frase criptica in faccia, e immediatamente un odore di prato, di fiori e di cielo -se il cielo avesse avuto un odore- gli arrivò alle narici colpendolo come un pugno ben assestato in pieno petto.

Le afferrò le braccia con violenza per portarla più vicina a sé, mentre il desiderio prendeva possesso di tutto. Del corpo, della mente, del cuore.

Questa volta l'avrebbe baciata sulle labbra. Ci sarebbe riuscito.

Era vicinissimo a quelle sporgenze morbide, mentre lei lo osservava meravigliata e scettica.

Sentiva il suo respiro regolare, per nulla agitato mentre quello suo, di Sesshōmaru medesimo, si faceva via via più pesante ogni millimetro che guadagnava. Quando fu così vicino che il fiato di Rin provocava uno spostamento d'aria persino dentro il suo naso, quando le bocche furono talmente accostate che un leggero fremito avrebbe potuto fare la differenza tra un miracolo e un rifiuto, in quello spicchio di spazio dove l'attimo coesisteva con l'infinito e l'intero suo mondo sembrava sorreggersi in quei secondi, proprio allora tutto l'amore che provava per lei si frantumò, in schegge affilatissime di senno e realtà.

“Sesshōmaru-sama, vi siete svegliato finalmente.”

Jaken non avrebbe mai saputo quanto fosse stato vicino alla morte in quel momento.

“Scusatemi se ho interrotto il vostro riposo, ma il pasto è pronto.”

Il demone bianco non fece una piega mentre tentava di riacquistare lucidità e scrollarsi di dosso per l'ennesima volta quel sogno. Sempre lo stesso.

“Volete qualcosa in particolare, Sesshōmaru-sama?”

La solerzia del kappa quel mattino gli dava particolarmente sui nervi.

Grande Inugami, quella notte lei gli era apparsa ancora più desiderabile delle altre volte, più reale delle altre volte, tanto che gli sembrava di avere quella margherita ancora in bocca.

E poi ci era andato così vicino. Così dannatamente vicino.

Non riusciva mai a baciarla. Il sogno si interrompeva sempre in quel punto, e Sesshōmaru si sentiva pieno di frustrazione, di risentimento. E di stupore.

Si, sentiva stupore. Un senso di sorpresa mista a -dolore?- per come ancora non riuscisse a crederci.

Rin aveva deciso, quasi tre mesi prima, di restare al villaggio, di non seguirlo, di rifiutare tutto quello che poteva darle. Aveva rifiutato lui.

“Non mi interessano cose come il cibo.”

“Ma dovrete mangiare pur qualcosa. Sono giorni che ne toccate a malapena.” Da quando quella stupida di Rin vi ha dato il benservito. Povero Sesshōmaru-sama.

A volte, mentre dormiva lo sentiva lamentarsi nel sonno, o piuttosto in quella specie di dormiveglia agitato, mormorando parole che provocavano nel valletto verde una profonda rabbia e una grande sofferenza. Maledetta maledetta ragazzina.

“Ti sembra che ne risenta, eh Jaken? Puoi dire che il tuo padrone sia debole e privo di energie?”

“Assolutamente no. Perdonatemi Sesshōmaru-sama.”

Debole? No di certo. Privo di energie? Nemmeno. Privo di altro? Oh si!

“Sesshōmaru-sama, dove state andando? Almeno aspettatemi!” Perso nei propri pensieri, il kappa si era accorto troppo tardi che l'inu-yōkai era già in movimento.

Certo, andava da lei. Come ogni dannato giorno.

Perché c'erano molte cose che si potevano dire di un demone cane. Che mettessero un'incredibile strizza addosso quando sorridevano. Che erano inesauribili in orgoglio e in forza.

Ma un'altra cosa era altrettanto certa. Quando ne trovavano uno, sarebbero sempre tornati dal loro padrone.

“Sono preoccupata per Rin.” Il suo era stato solo un sussurro per non farsi sentire dalla ragazzina poco lontano, tuttavia l'udito sensibilissimo di InuYasha captò esattamente ogni singola parola ed intonazione della frase della moglie.

In quel caldo pomeriggio di Fumitzuki lui e Kagome, insieme a Kaede, ai ragazzi e al mezzodemone cavallo chiamato Jinenji erano intenti a raccogliere le erbe mediche che in parte sarebbero state usate fresche per infusi o impacchi mentre le altre venivano seccate per tutto l'autunno in piccoli sacchettini attaccati alle pareti.

“Tsk. A me non sembra affatto. Sta sempre insieme a Kohaku e ai due figli del capovillaggio.”

Kagome sbuffò rassegnata e con fatica si inginocchiò vicino a dove erano state piantate la menta e l'alchechengi dalle escrescenze rosse. Ormai era quasi al settimo mese di gravidanza e quel ventre tondo sporgeva parecchio sotto l'hakama dalla cintura allentata.

Si, ma non così tanto. Non come dovrebbe.

Un'ombra di preoccupazione, una in più che proprio non era necessaria in quel periodo così movimentato, le fece imperlare la fronte di sudore non solo per il caldo.

Il giorno prima Kaede l'aveva visitata e aveva confermato i suoi sospetti. Il bambino era molto piccolo. Troppo piccolo per non destare crucci o timori di sorta.

“Ma guardala InuYasha! Mi sembra di essere in Kodomo no Omocha quando Sana soffre della “malattia della bambola” per il dolore della partenza di Akito!”

Kagome ne parlava come di una disgrazia personale; forse quei due, Sana e Akito, erano suoi conoscenti che si erano lasciati? Ma che diavolo c'entrava un giocattolo per bambini?!

InuYasha si grattò la testa confuso. Quando a volte Kagome faceva certi discorsi con un senso che solo lei capiva, o perdeva la pazienza o perdeva interesse.

Decise per il secondo, perché non voleva litigarci. Percepiva che qualcosa non andava, e non solo perché quella ragazzina umana aveva -giustamente- liquidato quel borioso di suo fratello. Che si svegliasse, anche lui, e facesse a meno di un po' del suo sussiego per riprendersi Rin.

No, il problema doveva essere diverso. Forse riguardava il fatto che da mesi sua moglie non dormisse bene, si agitava nel sonno e mormorava cose strane di cui non riusciva ad afferrare il senso compiuto.

“Noi andiamo al fiume a fare il bagno. Ci vediamo per cena, va bene?”Lo sterminatore e gli altri, seguiti da Kirara, si diressero fuori dal villaggio lentamente poiché Katāshi li seguiva con il suo bastone a mò di stampella.

“Non angustiarti, Kagome. Devi riposare in questo periodo, no? Ti avverto che ti sorveglierò da vicino, e non permetterò a nessuno di darti fastidio.” L'han'yō, baldanzoso roteò il fodero nero con dentro la potente spada Tessaiga come farebbe un giocoliere, facendo ridere Kagome che cominciò ad avviarsi verso casa più allegramente di come ci era partita.

E' tutto quello che voglio per te, Kagome. Che tu non smetta mai di sorridere.

Rin immerse con sollievo le mani e le braccia fino ai gomiti dentro l'acqua fresca del fiume, trovandola leggermente tiepida di sole e deliziosamente rinvigorente, tanto che se ne buttò sprazzi sul collo e sul volto.

Era stata una giornata afosa, con il cielo velato di nubi biancastre e lattiginose che quasi sembravano più sporcarlo che altro.

Rin, così come gli altri, vestiva uno yukata estivo, quello che si era cucita da sola applicandovi sopra tante margherite ad otto petali. Quello con cui aveva detto addio al suo amato demone.

Mi ama. Non mi ama. Mi ama.

Per mesi ci aveva giocato con quella cantilena, mentre lo cuciva e aspettava che lui tornasse, con petali bianchi che sbucavano fuori dalle sue dita come cristalli di neve, o castelli in aria. Uno diverso dall'altro, uno uguale all'altro.

“Rin-chan. Domani sarà il tuo compleanno, vero?” Katāshi-kun si era avvicinato zoppicando con una rara espressione di felicità. “Mia sorella ha detto che lei e le altre ragazze del villaggio stanno preparando una festa con coroncine di fiori, doni e cibi complicatissimi da preparare. Posso venire anch'io? Ci terrei molto.”

Si sedette vicino al bordo del fiume con più facilità di quanta le sue condizioni avrebbero potuto permettere.

“Ma certo. Vieni pure.”

Lo disse senza enfasi e senza tristezza, i pensieri altrove, fissi, come un chiodo nel legno, ad un demone dai capelli argentati e lo sguardo impassibile.

Chissà se sarebbe venuto?

Una parte di Rin gridava Si si, ti prego, fa che venga! mentre l'altra non avrebbe voluto vederlo mai più.

Questi due brandelli di desideri erano perfettamente allo stesso livello, e avevano instaurato dentro di lei una sorta di pace amorfa, piatta, incolore.

Come l'espressione immota che poteva vedere riflessa nel fiume in quel preciso istante specchiandosi.

Si sentiva strana in quei giorni, Rin.

Una volta aveva incontrato un pescatore che era stato attaccato da un'anguilla appena pescata e che lo aveva investito con una scarica di energia che lo aveva fatto cadere a faccia in giù nel fiume, rischiando di morire annegato.

Prima di perdere i sensi aveva riferito di aver sentito una sensazione né di leggerezza né di pesantezza, una forma di vuoto totale molto simile alla buddità.

Rin si sentiva proprio così, paralizzata e vuota, stretta in un cerchio di calma molto simile all'occhio di un tifone.

Con la tempesta ormai alle spalle. Con la tempesta davanti a sé.

“Non porti più quella strana veste blu sopra il kimono. Non hai più visto il tuo protettore, quel demone cane tanto arcigno?”

“No, non l'ho più incontrato.” Lo disse come se non le fosse importato assolutamente nulla, come se nemmeno la riguardasse, la sorte dell'inu-yōkai in questione.

Katāshi, osservandola abbassare la testa e nascondere gli occhi sotto la frangetta scura, pensò che mai aveva visto persona più bella in vita sua, e mai persona più infelice, tanto che superando per un momento la sua innata timidezza, le mise la mano sulla sua, inerte sul bordo del fiume.

“Hai molti amici dalla tua parte, Rin.” Alzò lo sguardo sulla sorella e Kohaku, che giocavano a spruzzarsi dentro il fiume ridendo felici. “Kohaku-kun ne è un esempio. Scommetto che era per lui il pegno che ti ho intagliato, vero? Allora, glielo hai dato? Che ha detto?”

Per un attimo non fu sicuro che Rin gli avrebbe risposto. Si insomma, sembrava stranita, lontana da tutto e da tutti.

“Hai ragione. L'ho dato a Kohaku-kun. Ne è stato contento.”

Il tono della ragazza non poteva dirsi altrettanto. Non che fosse triste, o depressa. Più che altro Rin pareva sulle sue, come se la sua anima fosse altrove. O spinta in profondità dentro di lei, rincantucciata a prendere fiato dopo una lunga battaglia.

“Quindi sei innamorata di lui, giusto? Te lo chiedo perché sembravi tenerci tanto a quell'oggetto. Ero sicuro che fosse per una persona speciale.”

“Si, è così. Kohaku è speciale per me.”

“Capisco.”

Spero che sia come dici, Rin. Almeno saresti felice, anche se non lo dimostri un granché. Però non ho motivo di dubitare che tra voi due ci sia qualcosa. Spero solo che Kurashi non la prenda troppo male.

Katāshi sospirò affranto. Sua sorella, con un'abile mossa, lo aveva lasciato da solo con Rin per sondare i sentimenti della ragazza verso Kohaku. Questo perché si era presa una cotta tremenda per lo sterminatore, e voleva essere sicura che Rin non se ne avesse a male se provava a corteggiarlo.

Come farò a dirle che non ha nessuna speranza?

Una figura in bianco se ne stava dritta impettita vicino ad un albero di ciliegio, in quel momento dell'anno privo di fiori. E privo di frutti.

Le due persone al fiume che stava tenendo d'occhio e che catalizzavano tutta la sua attenzione non potevano rendersi conto che sentiva ogni cosa che si stessero dicendo, anche da così lontano.

Hanno parlato di un pegno.

Qualcosa che Rin avrebbe dovuto dare ad una persona speciale.

Lo ha dato a Kohaku.

Un sentimento nuovissimo eppure antico deflagrò in Sesshōmaru, dalla testa alla punta degli eleganti stivali di provenienza continentale.

Disprezzo.

Disprezzo per tali creature, gli esseri umani, che si erano rivelati ancora una volta infimi e sleali.

Quel ragazzino.

Puntò gli occhi su Kohaku che stava urlando divertito qualcosa alla nekomata chiamata Kirara.

Come aveva potuto, soprattutto dopo che lui, Sesshōmaru, aveva fatto così tanto per quel misero cucciolo di ningen?

Era quasi riuscito a sopportarlo -quel quasi voleva dire tutto e niente- tanto da salvarlo più volte, tanto da ammetterlo nella sua cerchia, in quella specie di vincolo che gli umani chiamavano gruppo.

Invece quel giovanotto pieno di ferite, di speranze, pieno di tradimenti, gli si era rivoltato contro.

Lui e Rin erano innamorati, non è vero? Stavano così le cose, non è vero?

Bene.

E quella ragazzina poi.

Per primo avrebbe pensato a lei.

Un pezzo di corteccia del ciliegio schizzò via con uno scoppio mentre due occhi rossi come braci si allontanavano veloci nel buio del bosco.

Dovrete farmi vedere chi siete.

Le avrebbe fatto esattamente questo. Le avrebbe fatto vedere chi era Sesshōmaru.

“Sbrigati Rin, la cena sarà quasi pronta.”

Il cielo era ancora chiaro, ma l'afa era aumentata con il calare della sera.

Credo che stanotte ci sarà un temporale.

“Voi andate avanti. Io starò qui ancora un po'.”

“Sei sicura? Tra poco sarà buio e potresti fare brutti incontri.”

Kohaku la guardò male, ma Rin non demordette. Sapeva cavarsela anche da sola.

“Non ti devi preoccupare per me.”

“Come vuoi,” le rispose triste.

Non appena fu sicura che non ci fosse più nessuno, emise un sospirone che ebbe il potere di creare qualche spaccatura nella maschera di indifferenza che portava da settimane. Ma non di farla cadere del tutto.

Come era bello stare finalmente sola! Sola con sé stessa e quella specie di torpore neutro che si trascinava dietro.

Tuttavia un fruscio famigliare le fece balzare la pressione a mille, tanto che temette di farsela addosso per lo spavento e la paura di trovarselo di fronte.

Ma non fu Sesshōmaru che si ritrovò davanti agli occhi.

Il nanetto verde fremeva di indignazione, e i suoi occhietti gialli si erano fatti sottili e cattivi mentre la squadravano malevoli.

“Jaken.” Rin non sapeva se essere contenta di rivederlo oppure infastidita da tanto malcelato rancore.

“Eccola, la sciocca umana che ha osato dire di no al mio padrone.”

“Jaken, anche io sono felice di vederti.” Optò per l'ironia, che sapeva che avrebbe fatto infuriare il valletto come non mai.

“Io invece avrei preferito non incontrarti affatto. Le ragazzine ingrate come te meritano solo di non essere considerate. Se fossi nel padrone non sarei stato tanto indulgente. Sei una piccola irriconoscente. Dovresti vergognarti!”

Il becco del kappa non stava fermo da quanto era arrabbiato.

“Che vuoi dire Jaken? Che avrei dovuto seguire Sesshōmaru-sama anche se desidero restare al villaggio?”

“Tsk. Cos'è che il mio padrone non avrebbe potuto darti e che invece puoi trovare a Musashi, eh?”

Rin non seppe come rispondere. Perché Jaken era venuto a cercarla dopo tutte quelle settimane?

Che la sua decisione di restare al villaggio fosse stata recepita da Sesshōmaru-sama come una ferita al suo orgoglio?

Probabilmente si, e questo non era mai stato nelle intenzioni di Rin. Non era colpa dello yōkai se non la ricambiava. Non era colpa dello yōkai se era innamorato di un'altra.

Se c'era una cosa che sapeva bene era che non si poteva decidere chi amare.

Mi ama, non mi ama.

“Sai Jaken, una volta mi dicesti che Sesshōmaru-sama avrebbe fondato un grande impero, dopo aver sconfitto tutti i demoni maggiori che lo avrebbero contrastato.” La mente riandò a quella sera, vicino al fuoco a mangiare radici di bosco, quando aveva solo sette anni e un unico desiderio, sempre lo stesso, da chiedere alle stelle. Fatemi rimanere con Sesshōmaru-sama per sempre.

“Forse avevi ragione a dire che io gli avrei solo dato fastidio, sai? Non saprei proprio che ruolo avere nella sua nuova vita. Sono un'umana, e per di più donna. Lui non ha bisogno di me.”

Cercò di essere il meno drammatica possibile. In fondo era la pura realtà delle cose.

“Mi stai dicendo che è colpa mia se non vuoi più seguire Padron Sesshōmaru?!” Jaken si mise a tremare. Se Sesshōmaru lo avesse saputo lo avrebbe ucciso senza pietà.

Ma Rin fece una specie di sorriso sghembo e tremolante. “No, Jaken. La decisione è stata solo mia.”

Mm, questa non me la racconta giusta. “Potresti ripensarci. So per certo che a Padron Sesshōmaru farebbe molto piacere se tornassi a viaggiare con noi.”

Non voleva esporsi più di così. C'era di mezzo l'orgoglio del Principe dei Demoni, in fondo.

La ragazza si limitò ad annuire in modo strano, quasi inquietante.

“E' tardi, Jaken.” Poi si guardò attorno, quasi spaventata. “Lui è...”

“No, è sparito da un bel po'. Sembrava furioso.”

Il demone avanzava su per la fenditura rocciosa con balzi lenti ma pieni di rabbia.

Infilzava Bakusaiga nel granito che formava quella montagna come se fosse burro, creando tanti buchetti sulla parete che rappresentavano la scia del suo passaggio.

Quel monte era un luogo con una strana aura, e si credeva che fosse sorto in una sola notte dopo un terremoto fortissimo direttamente dal mare.

Su un suo pendio si era creata una spaccatura che si ripiegava su sé stessa creando una impervia salita di gradoni di roccia racchiusa dalle pareti stesse della montagna, illuminata da una lama di cielo in cima che in quel momento baluginava di un bianco-arancio.

L'alba del quindicesimo compleanno di Rin.

Non avrei mai dovuto provare queste cose per lei. Non avrei mai dovuto dirle quelle parole, quelle idiozie su un fantomatico legame esistente tra noi. Non avrei dovuto farle quelle promesse.

Fendette la spada creata dalla sua sola volontà e la infilzò fino all'elsa nella parete alla sua destra, per poi ritrarla fuori con un movimento furibondo, disperato.

Non avrei mai dovuto portarla con me, permetterle di essere il mio punto debole. Non avrei mai dovuto abbassarmi a salvare la vita di una piccola miserabile umana. Una della stessa risma della madre di quell'ignobile mezzodemone che si è ritrovato ad avere immeritatamente lo stesso sangue di mio padre.

Un'altra scudisciata, un altro foro che fece quasi gemere la pietra marrone-grigia che svettava attorno a lui.

Non avrei mai dovuto pensare che un mezzosangue come InuYasha potesse essere degno di Tessaiga, potesse essere degno della reputazione degli Inu-yōkai, che potesse essere degno della mia stima.

Arrivò in cima alla fenditura dove si potevano sentire borbottii misteriosi, e ombre scure e sottili danzavano alla luce di un fuocherello sorto dal nulla.

Si, non avrebbe dovuto permettere tante cose.

La più importante delle quali era che non si sarebbe mai dovuto lasciar trascinare da quella ragazzina pescata in una catapecchia umana -almeno suo padre aveva avuto la decenza di prendersi per puttana personale una hime dell'Est-; e tutto perché? Perché lei gli aveva aperto un mondo, gli aveva fatto intravedere un nuovo modo di vivere fatto di calore, di dolcezza, di allegria, di affetto incondizionato.

Glielo aveva offerto sciogliendo il gelo del suo cuore, si era insinuata dentro di lui con quel dono luminoso senza pietà, abbattendo tutte le barriere che Sesshōmaru aveva eretto o che gli erano congenite per nascita e temperamento.

Per poi portarselo via.

Così.

Senza nessun rimorso.

Vicino alle braci, che sembravano più fuochi spettrali color giallo cadaverino, se ne stava ingobbito il demone Bureikāzu, che lo accolse con un'occhiata spenta ed indifferente continuando a martellare un grosso masso messo tra le sue ginocchia.

“Il grande Sesshōmaru nella mia umile dimora.” Allargò le braccia con fare teatrale ma l'inu-yōkai rimase rigido e fermo come una statua.

“Mi servono le tue creature, “lo freddò senza tanti preamboli.

“Ah, ma davvero? Sai che sono molto rare? Quante ne vorresti?”

“Otto.”

“Che cosa? Principe dei Demoni, tu devi essere fuori di senno.”

“Le voglio per oggi.”

Lo spaccapietre spalancò la bocca e il martellare cessò di creare echi sinistri tutt'intorno. “Non se ne parla. Me ne chiedi così tante e le vuoi per il giorno corrente? Ripeto, devi essere pazzo.”

“Non sono affari tuoi sei io lo sia o meno. Sappi solo che verrai ricompensato adeguatamente.”

Il demone cane aveva una reputazione che parlava per lui. Se diceva una cosa -e non ne diceva molte, di cose- poi questa era seguita dai fatti.

“Va bene. Ma dovrai sborsare parecchio. Dimmi un po', per chi sono? Chi si merita tanto disturbo?”

Rin.

Il suo sorriso.

Si, ne valeva la pena per una come lei.

Arrivò nel bel mezzo dei festeggiamenti.

Rin, ovviamente, si trovava al centro dell'attenzione, con quel suo yukata pieno di margherite sgargianti e malinconiche insieme.

Non fece neanche in tempo ad avvicinarsi che subito tutti gli astanti si volsero verso di lui, leggermente ansiosi.

E come non esserlo? La sua aura demoniaca sprizzava yōki da tutti i pori, tanto che InuYasha brandì Tessaiga e Sango si chiese quanto ci avrebbe potuto mettere a correre in casa per afferrare Hiraikotsu.

“Datti una calmata Sesshōmaru.” InuYasha non avrebbe voluto alzare la lama del loro padre ancora una volta contro il fratello. Lo aveva già fatto fin troppe volte, però se lo costringeva non si sarebbe tirato indietro.

Ma il demone bianco imperterrito marciò dritto verso la festeggiata, le mani strette a pugno, la mascella contratta.

Quando fu a pochi passi da lei, alzò il pugno destro, le strisce magenta che spiccavano nette, lineari, mansuete.

In quel mentre Kohaku e la ragazzina chiamata Kurashi balzarono per farle da scudo e Rin indietreggiò con nel volto tanto sgomento da fare paura.

Non per il timore che le facesse del male, né per il disagio di vederlo dopo parecchie settimane in seguito all'averlo lasciato.

No, Rin si sentì piegare in due internamente perché per la prima volta dalla presa di posizione di stare al villaggio, aveva incontrato lo sguardo di Sesshōmaru. Lo aveva scrutato dritto negli occhi, poiché essi erano le sole finestre da cui potevano trapelare le emozioni di uno come Sesshōmaru per chiunque avesse avuto il fegato di reggerne lo sguardo.

Ebbene, in quelle pozze dorate non vi aveva visto rabbia, oppure contentezza per la sua nuova vita con la sua splendida famiglia di inu-yōkai, ma lo stesso vuoto grigio in cui era invischiata lei, lo stesso sentimento di qualcuno che si ritrova sperduto in un paesaggio lunare e desolato senza una metà di sé stesso.

E capì, Rin, che Sesshōmaru l'amava. La amava così come lei amava lui. Forse di più.

Tuttavia, se si aspettava che questa consapevolezza la rendesse felice in un istante, si sbagliò clamorosamente.

Anzi, provava un dolore insopportabile in tutto il corpo, perché se è vero che quando un cuore va in frantumi fa male, quando questo si ricompone fa ancora più male, con mille e mille schegge che, aguzze e spietate, tornano ad incastrarsi al loro posto.

E svenne, Rin, proprio nell'esatto momento in cui il pugno di Sesshōmaru si apriva per rivelare l'oggetto al suo interno.

“Uao, davvero splendido! E' il regalo per Rin, giusto?”Kagome era infervorata.

La margherita che capeggiava nel palmo candido di Sesshōmaru ebbe il potere di calmare gli animi immediatamente, anche perché la perdita di conoscenza della ragazza e la pronta presa di Kohaku distrassero i presenti dallo strano comportamento del daiyōkai.

“Posso vederlo, Sesshōmaru?” Sango si avvicinò cautamente al fratello di InuaYsha che glielo diede senza nemmeno badarci tanto, catturato com'era dalla scena di Kohaku che stava cercando di rianimare la ragazza.

“Questa è giada. Mai vista una sfumatura cromatica così densa e priva di macchie. E queste sono perle marine fossilizzate. Sono rarissime, solo demoni-spaccapietre le collezionano. Si trovano dentro fossili di antiche ostriche vecchie di millenni e sepolte sotto montagne che prima si trovavano in fondo al mare.” La sterminatrice tocco in maniera reverenziale quelle otto gocce bianche che formavano la corolla della margherita e la giada centrale tonda alla perfezione color limone.

“Se credi che basti un regalo da corte imperiale te lo puoi scordare, mi hai sentito, Principe dei Demoni?”

Un silenzio di tomba scese sul gruppo. Rin non aveva ancora aperto gli occhi che la voce di Kurashi si levò come una lama che ne incontra un'altra.

“Di un po', non ti vergogni, grande demone cane? Non ti vergogni di trattare così la mia amica? Prima Rin era una persona sempre contenta. Lei rideva. Poi tu te ne vai, e dopo un po' ritorni, e poi te ne vai ancora.” Kurashi aveva gli occhi pieni di lacrime, mentre già InuYasha si apprestava a doverla difendere dagli artigli di Sesshōmaru. Non era certo tipo da tollerare un comportamento simile, lui! “Smettila di entrare ed uscire dalla sua vita. Vattene una buona volta, e non tornare più!”

Gelo.

Più di un cuore perse qualche colpo aspettando la mossa del glaciale fratello di InuYasha, il quale cercò di correre ai ripari.

“Smettila Kurashi. So che tieni a Rin ma prendertela con Sesshōmaru non contribuirà ad allungarti la vita. E tu Sesshōmaru, non pensarci nemmeno a...”

Con grande costernazione di tutti, lo yōkai non sfoderò le unghie velenose contro la ragazzina dalla pelle scura che lo squadrava senza paura e con il naso che le colava impietosamente.

Questa umana ha coraggio. Questa umana ha ragione.

Era partito con le più meschine intenzioni, il giorno prima.

Le vecchie convinzioni del passato su cui si era basata la sua vita per secoli avevano ripreso il sopravvento su di lui, tornando a galla quando aveva ascoltato quella conversazione al fiume che gli aveva chiarito molte, troppe cose.

Ma il sorriso di Rin, il suo primo sorriso sdentato rivolto a lui, e a lui solo, non poteva essere cancellato così facilmente. Nemmeno se lo avesse voluto. E non lo voleva.

Per primo avrebbe pensato a lei.

Si, Rin sarebbe venuta sempre prima. La sua felicità, il suo futuro, le sue speranze.

Era partito con le più meschine intenzioni. Era arrivato con la più salda delle certezze.

La certezza di poterla lasciar andare, anche se non si era aspettato di doverlo fare in maniera così drastica.

Non aveva sopportato neppure la sua vista, Rin. Lo temeva alla stregua dei briganti che avevano sterminato la sua famiglia.

“A quanto pare ci siamo erette a paladine della buona causa, uhm?” Con un scatto prese il mento di Kurashi tra il pollice e l'indice, sollevandola quasi da terra.

“Sesshōmaru, tu non...”

“Calmati InuYasha.” La voce pareva fatta di ghiaccio secco, da spaccare le vene nei polsi. “Non ho intenzione di sporcare i miei artigli con il sangue di questa femmina. Non oggi almeno.” L'intero corpo della figlia del capovillaggio tremò come un fuscello al vento quando percepì quelle dita fredde e acuminate premere sul suo mento, la mostruosa forza latente in esse tanto che avrebbe potuto distruggerle la mandibola con una minima aggiunta di pressione.

“Puoi assicurare alla tua amica che non dovrà temere oltre la mia presenza.” Osservò tutti gli altri di sbieco, un sorriso crudele in faccia e gli occhi di un giallo primario, ridotto e ritornato alle basi di un tempo.

All'espressione di un tempo.

Lasciò la presa su Kurashi senza tante cerimonie, per poi compiere un gesto stranissimo, inusitato. Si chinò sopra la la ragazza svenuta, delicato, quasi cerimonioso, e con una mossa veloce le attaccò la preziosa spilla dove un tempo c'era il suo caratteristico codino.

“Se le succederà qualcosa sappi che ti cercherò. E ti troverò. Ti pentirai della vita che quella sacerdotessa ti ha donato. Mi hai capito, Kohaku?”

Fu un sussurro inudibile per chiunque altro.

“Aspettate Sesshōmaru-sama. Voi avete frainteso...”

Non gli diede la possibilità di accampare scuse di sorta. Erano un'inutile perdita di tempo. E Sesshōmaru odiava perdere tempo, soprattutto in chiacchiere.

Se ne andò così come era venuto.

Senza convenevoli di rito, senza cordialità, senza il minimo cenno che vi avrebbe fatto ritorno.

Quella notte fu l'ultima volta che fece quel sogno.

Ma a differenza delle altre non si stavano scambiando effusioni, né erano nel lontano Kyūshū.

Si trovavano altresì nel loro posto, sotto il Goshinboku, entrambi in piedi accostati al tronco di quell'albero dalla vita millenaria, spalla a spalla. E Rin sorrideva.

“Grazie di avermi mostrato chi siete. La persona più generosa, e forte, e coraggiosa che esista in questo mondo.” Gli si appoggiò contro il fianco destro, affondando nella mokomoko con un'aria serena, sbarazzina, piena di leggerezza.

Talmente leggera che bastò che Sesshōmaru distogliesse lo sguardo per meno di un secondo che la vide sparire in tante piccole margherite che non appena toccarono il suolo cominciarono a roteare in un balletto vivace, per poi ricadere formando un tappeto bianco tutt'intorno al demone.

Si era svegliato, e si era sentito come quando aveva riacquistato il suo braccio, la stessa sensazione di piacevole sofferenza di chi sa che ha fatto la cosa giusta nonostante fosse la più difficile da compiere.

“Sesshōmaru-sama, il pasto è pronto. Volete mangiare?”

Jaken lo chiese solo per formalità, tanto sapeva già la risposta.

“Servimi pure quello che hai preparato, ma fai in fretta,” si sentì invece ribattere.

Il demone bianco appuntò gli occhi alle colline che delimitavano la pianura di Musashino, le loro cime brumose e i pendii di un verde lucente per via dei temporali notturni, le valli piene di fiumi e cascate, i torrenti impetuosi e i boschi scuri e misteriosi.

Un senso di nostalgia invase Jaken, perché sapeva esattamente cosa il suo signor Sesshōmaru avrebbe detto di li a poco.

Quella mattina sembrava più pacato del solito, ma anche più disteso. “Vedi di sbrigarti. Stiamo per partire per il continente.”

 

 

 

 

 

Salve a tutti! Eccomi con un nuovo capitolo di questa antologia di one-shots su Rin e Sesshōmaru, e prima di tutto voglio sentitamente ringraziare chi l'ha recensita, messa tra le preferite e le seguite.

Dopo i doverosi ringraziamenti, è mia premura, per evitare magari confusioni di sorta, ricordare di nuovo che questa raccolta riempie in maniera fondamentale la long Inuyasha-Secondo Arco-Prima Parte § La Guerra dei Cani §; questa è stata una scelta obbligata per me, per rendere la long più scorrevole senza però rinunciare ad approfondire i momenti più belli della mia ship preferita, ovvero i compleanni di Rin.

Quindi, per arrivare al succhettoXD, date una scorsa al primo capitolo della long in questione, se vi va di capire come siamo giunti al punto che il mio bel demone sia così triste dopo l'abbandono di Rin, ok?

In ultimo, vi saluto con tanti bacini bacetti, sperando di sapere se vi è piaciuta!

 

  
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