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Autore: ffuumei    09/01/2017    0 recensioni
XiuChen, side!LayMin
Jongdae è un'anima errante senza alcun posto a cui appartenere. Minseok si domanda se sarebbe mai potuto essere abbastanza da diventare quel posto.
Ciò che accade dopo, è una storia che attende solo l'abile mano capace di scriverla.
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Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chen, Chen, Lay, Lay, Xiumin, Xiumin
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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For Life

 

 

 

 

 

Give me something to echo in my

unknown future's ear.

 

Pearl Jam, The End.

 

 

 

 

 

 

Studi scientifici dimostrano che sono sufficienti appena venti secondi di tempo per innamorarsi di una persona speciale.

Minseok aveva letto un articolo al riguardo, da qualche parte, chissà quando. L'intero processo dell'innamoramento aveva a che fare con particolari sostanze rilasciate dal cervello, scaturite grazie alla presenza della suddetta persona. E così, secondo l'articolo, aveva inizio quel sentimento che tanto attraversa la mente degli esseri umani, le azioni, l'arte e la letteratura di tutti i secoli e di tutte le popolazioni. Solo venti, miseri secondi, e si entra in un circolo vizioso la cui uscita è tremendamente complessa, o stupidamente facile. Dipende tutto dalle circostanze.

In momenti come quello, mentre si trovava circondato da un gruppetto di ragazzine sovreccitate, Minseok si interrogava sul significato stesso di amare qualcuno.

Sorriso cordiale di circostanza, "Mi dispiace, non sono interessato," tono fermo e gentile al contempo. Rispondere alla domanda "Le andrebbe di darci il suo numero, signore? Sarebbe bellissimo poterci risentire e trascorrere il Natale insieme," era diventata una costante ripetuta all'infinito, in quel periodo, così come lo era la reazione delle giovani che rifiutava. Guance in fiamme, talvolta occhi lucidi e capo rivolto verso il basso. Qualcuna insisteva, altre lo lasciavano con un semplice inchino, per poi continuare la ricerca altrove.

Quelle che aveva dinanzi al momento parvero talmente sconsolate che Minseok dovette trattenere uno sbuffo irritato, costringendo se stesso ad aggiungere "Non siete voi il problema, sono io. Non sono interessato a trovare qualcuno con cui trascorrere il giorno di Natale. Davvero, mi dispiace tantissimo."

Bugiardo fino all'osso, in tutti i sensi. A palese dimostrazione di ciò, nel mentre le ragazze terminavano di scusarsi a loro volta e salutarlo, lo sguardo di Minseok cadde altrove, e mantenere la facciata idonea alla situazione in cui si trovava divenne impresa complessa. Dovette fare appello a tutte le sue forze per non cedere all'espressione vuota e incantata quale sarebbe andato incontro, se non si fosse auto-imposto di mantenere alta la maschera di ragazzo desolato e cordiale. Tanto sforzo per nulla, alla fine, perché le ragazzine se ne andarono, ma i suoi occhi restarono fermi immobili in quell'altrove. Una persona. Minseok predilesse la ritirata strategica all'interno del primo negozio aperto lungo la strada, al continuare a reggere quello sguardo.

Curioso, si disse. In quel freddo principio d'inverno, non c'era stato giorno in cui non avesse incrociato il cammino di quel ragazzo.

 

 

Non aveva memoria di quale fosse stata la prima volta.

Nella mente di Minseok si susseguivano, come fotogrammi sbiaditi, svariati momenti appartenenti ai giorni passati.

In particolar modo, ricordava quando, durante l'attesa alla cassa di un negozio d'abbigliamento, aveva distolto per un attimo lo sguardo, perdendosi ad osservare i dintorni. Qualche noioso scaffale e un paio di donne ansiose più tardi, la visuale smise di scorrere un po' dappertutto e si impigliò per caso in un paio di occhi scuri. Nulla di speciale, si era detto, non è certo raro che in Corea le persone abbiano gli occhi scuri e non era certo sorprendente incappare nello sguardo altrui. Avevano continuato così, a guardarsi senza mutare espressione o proferir parola, finché la commessa non aveva richiamato Minseok, portandolo nuovamente nella realtà con un gran fruscio di plastica e lo scontrino dei suoi acquisti.

C'era anche quella volta nelle vie del centro, quando urtò per caso la spalla di un passante, durante la sua rapida camminata. Pienamente intenzionato a scusarsi con chiunque avesse spintonato senza volerlo, si era voltato e non aveva potuto evitare di schiudere le labbra e trattenere il respiro, perché lo sconosciuto era lo stesso ragazzo di sempre e, come sempre, non sapeva come distogliere lo sguardo da quello altrui. Non riuscì nemmeno a scusarsi.

Successe ancora, e ancora, e ancora. Non importava il posto in cui si recasse, poteva trattarsi di una stradina secondaria, così come della via principale della città. Poteva trovarsi in un negozio di antiquariato, oppure in quello di un venditore di articoli sportivi. Poteva recarsi in un ristorante per il pranzo, oppure in un bar per la colazione e un caffè, nel pomeriggio. Non aveva importanza perché, a quanto pareva, quello sconosciuto era ovunque lui fosse.

Ma il culmine della bizzarra situazione in cui continuava costantemente ad inciampare, arrivò durante un mattino qualunque, all'alba del mese di dicembre.

Cominciò a domandarsi se, magari, non fosse tutta opera del caso. Se si stesse sbagliando. Se ci fosse dell'altro.

Quando il suo sguardo si fuse ancora con quello di quel ragazzo, quando ebbe conferma di non essere il solo a non aver intenzione di porre fine a quel legame, quando non seppe dare un ordine numerico cronologico all'ennesima volta in cui si erano scontrati, Minseok ebbe l'improvviso e insensato desiderio di credere nel destino.

Non aveva idea di quale fosse l'esatto istante in cui tutto era cominciato, ma gli piaceva pensare che quello, il momento in cui l'altro gli regalò per la prima volta un sorriso nel loro abituale gioco di sguardi, fosse il momento in cui qualcosa era iniziato. Dentro di lui.

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Le dita che correvano in rapida successione sulla tastiera, lettere nere su sfondo bianco che prendevano vita e danzavano, senza sosta, creando parole e frasi e pensieri, riprodotti sullo schermo freddo del portatile. La mente di Minseok era un groviglio di idee contrastanti e febbrile necessità di scriverle, tramutarle in testi e capitoli, portare a termine il progetto di una vita intera. Il suo primo romanzo era un sogno nella sua testa, un desiderio a portata di mano tanto quanto irraggiungibile ed irrealizzabile. La tastiera del computer era gelida così come l'ultimo sorso di caffè rimasto, Minseok storse il naso e gli occhiali da vista scivolarono sul ciglio di quello.

Punto, a capo. Rileggi. Inspira, espira. Cancella, ricomincia.

Routine costante e snervante più dell'essere disturbato nel mentre. Minseok era convinto che fossero due le più grandi disgrazie per uno scrittore: non tanto l'insuccesso o la non accettazione ed incomprensione della propria opera, bensì l'impossibilità di riuscire a darle vita, a sciogliere i nodi della trama e disporli lungo un foglio. Rimanere chiusi nel proprio inconscio con un lucchetto a doppia mandata e catene di piombo, senza trovare la chiave per la libertà. E poi, c'era da aprire una particolare parentesi per quanto riguardava cosa, o chi, decidesse di infrangere la bolla di relativa tranquillità che si creava intorno, al fine di recuperare la concentrazione e scrivere l'ennesima bozza della stessa, medesima, snervante storia.

Un sospiro, occhi chiusi e vano tentativo di recuperare la pace interiore. Minseok era uno scrittore nel pieno di un blocco che lo aveva colto proprio a due mesi dalla scadenza per la consegna del suo primo elaborato.

 

 

Lo sguardo cadde fuori dalla finestra. La vista era disturbata dal via vai di clienti e camerieri del bar, ma questo non gli impediva del tutto di scorgere gli ultimi bagliori del tramonto. Colori caldi che si fondevano in completa sintonia con il freddo dell'inverno, come un'armonia fatta di contrasti che si completano l'un l'altro. La mente di Minseok vagava e vagava, senza meta e senza sosta, come un navigante senza porto in cui approdare. E si chiese se non fosse colpa del suo lavoro, se l'essere uno scrittore di romanzi non gli avesse inculcato la bizzarra abitudine di spaziare con la mente da un argomento all'altro, da un semplice dettaglio a pensieri profondi o senza più alcuna logica.

Non era certo quello, il primo momento in cui si era sorpreso a riflettere sullo sconosciuto che incontrava costantemente. C'erano state tante, troppe altre volte precedenti a quella. Minseok pensava, pensava, pensava, e gli piaceva pensare che la sua vita fosse divisa in un cinquanta percento di pensieri, un dieci percento di dormiveglia e il restante quaranta percento di cammino, senza meta e senza scopo, alla ricerca di qualcosa che gli desse l'ispirazione per scrivere.

Quel ragazzo gli si era insinuato nella testa come il più subdolo degli sbuffi di vento invernale attraverso i vestiti. Gli si era incollato sulla pelle come il gelo lungo le strade del centro. Il pensiero che bussò alle porte del suo inconscio fu cauto, entrò in punta di piedi. Gli sarebbe piaciuto conoscerlo, quello sconosciuto. Gli sarebbe piaciuto affiancare un nome al suo viso ormai divenuto familiare, in qualche modo. Gli sarebbe piaciuto imprimere nella memoria il suono della sua risata, diverse angolazioni del suo sorriso, una luce insolita nei suoi occhi. Più e più dettagli che solo e soltanto lui avrebbe saputo cogliere. Minseok era un osservatore particolarmente acuto.

Eppure, per qualche strano scherzo del caso o del destino, come creder si preferisca, le sue abilità di osservazione fecero cilecca proprio in quel momento. Aveva deciso di alzarsi dallo sgabello per sgranchirsi le gambe intorpidite, e si era ritrovato contro una persona.

In circostanze normali, si sarebbe limitato ad alzare lo sguardo e scusarsi cordialmente, che fosse o meno colpa sua. Tuttavia, il caffè e la panna che si espandevano a macchia d'olio sulla sua camicia, lo tennero con il capo chino in contemplazione di quell'abominio.

"Oh-"

Grazie a Dio la camicia in questione era nera.

"Mi scusi, non era mia intenzione-- io--"

Minseok continuava ad osservare la macchia che si allargava sempre di più sul suo petto. Cominciava a sentire il bollore del caffè caldo, a contatto con la pelle.

"Io..."

Chiunque gli fosse andato a sbattere, stava chiaramente gesticolando con le mani e aveva un tono particolarmente ansioso, preoccupato, desolato. Fino a qualche secondo prima. Poi, qualcosa gli fece mutare il tono di voce in stupore puro.

Quando Minseok alzò il capo ed incontrò il suo sguardo, capì.

"Oh."

Continuarono a fissarsi così, senza dire nulla, come di consueto. Minseok tratteneva involontariamente il respiro, un pulsare convulso all'interno della gabbia toracica e un improvviso vuoto allo stomaco. Non seppe come, non seppe quando, non seppe nemmeno con che coraggio, eppure trovò la forza di interrompere quel momento.

"Non fa niente, non ti preoccupare."

Suonò più sicuro di sé di quanto mai avrebbe potuto immaginare. Minseok era riservato e taciturno, non di certo timido, in ogni caso. Almeno, non in circostanze simili.

Il ragazzo aveva abbassato lo sguardo e aveva accennato un sorriso, nell'imbarazzo totale.

"Non credo esista un modo peggiore di questo per iniziare a conoscersi."

Minseok si guardò ancora la camicia irrimediabilmente sporca e pensò che, se quello non era il destino, non avrebbe saputo cos'altro avrebbe potuto essere.

"Temo tu abbia ragione."

 

 

Il suo nome era Jongdae.

Era nato il ventunesimo giorno del mese di settembre e aveva la bizzarra abitudine di riempire di zucchero qualsiasi tipo di bevanda ordinasse. Amava i dolci, fare battute sarcastiche e infilare subdoli doppi sensi in qualunque frase. Si lamentava in continuazione, adorava canticchiare motivetti natalizi irritanti e possedeva le doti canore di un angelo disceso dal paradiso per mostrare la beatitudine ai poveri esseri umani. Aveva sempre le sopracciglia inarcate all'insù, sorriso onnipresente, faccino da schiaffi e loquacità talvolta irritante.

Era sorprendente la facilità con la quale erano entrati in sintonia, la semplicità con cui si scambiavano pensieri e parole, la velocità con cui erano riusciti a scorgere dettagli particolari l'uno dell'altro, e l'acutezza con cui avevano imparato a comprendersi. Sorprendente, decisamente sorprendente. Il vocabolario di Minseok non aveva idea di che altra parola utilizzare per quella descrizione.

Il suo pc metteva in bella mostra un foglio ancora bianco ed immacolato come bucato appena fatto. Minseok pensò che avrebbe potuto scrivere di lui, un giorno. Dei pomeriggi al bar, trascorsi tra un discorso futile e parole pregne di significati occulti. Di caffè rovesciato sulla camicia, di pagine vuote riempite di dettagli inutili e memorie troppo brevi per poter delineare perfettamente un rapporto. Di canzoncine natalizie irritanti e sorrisi al profumo di cioccolata calda. Di sguardi intensi come fuoco e di Jongdae.

 

 

In un giorno qualunque, nel bel mezzo del mese di dicembre, si trovò per caso ad osservare il suo pc. Gli piaceva definirlo "suo", più per abitudine ad utilizzarlo che per effettiva proprietà, dal momento che gli veniva messo a disposizione dal bar in cui sostava ogni pomeriggio.

Jongdae canticchiava qualcosa sulle campane e le slitte, il foglio elettronico che avrebbe dovuto riempire era ancora immacolato come un documento appena aperto e mai utilizzato. Meglio guardare altrove, si disse mentalmente, e la finestra sembrò un'opzione gradevole, finché due persone non si fermarono lì, proprio davanti al bar.

Si trattava di un ragazzo ed una ragazza. Lui aveva i capelli cortissimi e lei una berretta rossa sul capo, sotto la quale spuntavano due trecce bionde. Si tenevano per mano, prima di fermarsi lì. Lui sbuffava, agitandosi in continuazione e lamentandosi -probabilmente per il freddo, a giudicare dalle sue orecchie arrossate e dal modo in cui si sfregava sempre le mani- mentre lei alzava gli occhi al cielo, sospirando. Ad un certo punto, la ragazzina si mise in punta di piedi davanti al suo fidanzato -a Minseok piaceva sognare, spaziare con la mente, immaginare la vita altrui e i dettagli delle situazioni che osservava per caso-, si tolse la berretta e la infilò a lui, tutta giù, fino a pizzicargli le labbra con la stoffa. Il ragazzo si agitava e lei rideva, alzandogli il tessuto poco dopo, quel minimo appena sufficiente per guardarlo negli occhi, strofinare il naso freddo contro il suo, e lasciargli un dolce bacio sulle labbra.

Minseok sorrise, osservandoli mentre riallacciavano le dita delle loro mani e se ne andavano, felici. Il suo era un sorriso amaro.

"Perché rifiuti tutte le proposte di tutte le ragazze che ti fermano, Minseok?"

Jongdae aveva smesso di cantare e lui non se n'era nemmeno reso conto, tant'era assorto nei suoi pensieri.

"Intendo- Non è piacevole, starsene seduti in un bar, davanti ad un foglio bianco sullo schermo del pc, tutto solo, senza nessuno con cui trascorrere nemmeno una piccola parte del tuo tempo," Si morse il labbro inferiore. "È... Un po' triste."

Minseok ci pensò su, puntellando il gomito sulla superficie legnosa del bancone, la mano a reggersi il capo e le gambe accavallate.

"Non trovi che sia più triste andarsene in giro a cercare disperatamente qualcuno con cui colmare la solitudine?"

Fuori, nonostante fosse buio e facesse sempre più freddo, c'era tanta gente. Padri e madri con i propri bambini, coppiette di ragazzini, come quella di prima, di adulti ed anziani, gruppi di amici, conoscenti, famiglie. Persone sole.

"Non voglio accontentarmi di chiunque."

Jongdae stette in silenzio, dopo la sua ultima battuta. Incrociò le braccia sul bancone, ci posò sopra il mento e lo guardò così, arricciando le labbra ed assomigliando tanto ad un bambino imbronciato. Minseok inarcò un sopracciglio, chiedendosi a che diamine stesse pensando. Ma l'altro non disse nulla. E non cantò più.

 

 

"Voglio portarti in un posto."

"Come?"

"Voglio portarti in un posto," Ripeté.

Minseok sbatté teatralmente le palpebre, incapace di trattenere un'espressione puramente incredula. Soprattutto quando Jongdae si alzò in tutta fretta, si infilò la giacca, gli buttò addosso la sua e lo prese per il polso, trascinandolo fuori dal bar.

"Jongdae, ma-"

"Non c'è tempo per parlare, dobbiamo fare in fretta!"

"Ma dove--"

"Shh, vedrai, ti piacerà."

E fu così che Minseok dovette aggiustarsi il cappotto alla meglio sulle spalle, sperando di non prendersi nessun malanno, proprio a pochi giorni da Natale. Jongdae correva e non accennava a volersi fermare, sfrecciava tra le coppiette e la folla e, nel mentre, se lo trascinava dietro, stretto saldamente per il polso, completamente indifferente all'aria fredda che sferzava i loro volti e si insinuava al di sotto dei loro vestiti.

Le luci dei festoni, appese qua e là lungo le stradine del centro, facevano solo da sfondo luminescente alla loro corsa, svanivano oltre la sua visuale e si fondevano insieme al fitto buio della notte imminente. E quando Jongdae rallentò il passo, solo per voltarsi appena e ammiccare in sua direzione, con un sorrisetto impertinente sulle labbra, Minseok scelse di abbandonarsi al rapido scorrere degli eventi.

Per una volta. Soltanto una.

 

 

La loro corsa ebbe fine in un vicolo nel quale Minseok non aveva mai messo piede.

Una strada secondaria. Non aveva avuto tempo a sufficienza per memorizzare il nome della via, ma fu sicuro di non esserci mai passato, nemmeno per sbaglio. Aveva tutta l'aria di essere una di quelle stradine malfamate che si vedono nei film.

Il capolinea scelto da Jongdae, comunque, non era il vicolo in sé, ma un piccolo locale dall'aspetto piuttosto antico, situato nella maniera meno visibile che avesse mai potuto immaginare. Nessuno si sarebbe mai accorto della sua esistenza, se non ci fosse proprio capitato dinanzi. Non aveva nemmeno un'insegna, un cartello, qualche lettera luminosa che lo contrassegnasse. Niente di niente. Appariva interamente anonimo.

Quando aprirono la porta di vetro, il tintinnio di un campanello annunciò la loro presenza e un profumo di caffè e carta vecchia investì le narici infreddolite di Minseok, minacciando di farlo starnutire.

"Buonasera! Disturbo?"

Jongdae ruppe il silenzio surreale di quel locale con la sua voce squillante, alzandola persino di qualche ottava, giusto per assicurarsi di essere udito.

Ci fu il rumore di passi strascicati contro il pavimento di legno consunto, il tipico suono delle ciabatte di gomma a contatto continuo con il suolo. Poi, una donna anziana fece il suo ingresso in quello che pareva il salone principale di un ristorantino di campagna -almeno, Minseok lo riconobbe incertamente come tale, avendo ancora la vista appannata dalla precedente corsa, e non essendosi ancora del tutto ripreso.

"Dae, caro," Parlò quella, la voce terribilmente roca e nasale. "Cosa ci fai ancora qui?"

"Signora! Non è felice di rivedermi?"

La donna sorrise. "Ma certo, caro..."

Fu un sorriso triste, materno, malinconico. Minseok si chiese da quanto si conoscessero, che cosa li legasse, perché un sorriso del genere non lo si rivolgerebbe mai a chiunque. Tuttavia, rimase in silenzio, ad osservare la scena. O, almeno, questo era ciò che aveva intenzione di fare.

D'un tratto, tutti gli sguardi furono puntati su di lui, e da semplice comparsa divenne protagonista. Non era affatto nei suoi piani. Si sentì immediatamente in imbarazzo.

"Lui è Minseok," E la cosa peggiorò quando Jongdae lo puntò con il dito, sorridendo in modo ambiguo. "Un mio amico."

"Oh, capisco..."

Persino la donna rise sotto i baffetti, in quel momento. Minseok avrebbe soltanto voluto sprofondare sotto tre metri di terra. Aveva addirittura il sudore che gli colava ai lati delle guance, e non seppe dire se fosse per la corsa di prima, o per l'imbarazzo di ora.

"Sono venuto per chiederle un grossissimo favore. Mi permetterebbe?"

Grazie a Dio, il ragazzo decise di cambiare argomento. Faccino da finto angioletto, mani unite tra di loro, un battito di ciglia e l'anziana signora si sciolse all'istante.

"Dimmi pure, Dae."

"Vede, signora, il mio amico ha un disperato bisogno di imparare a cucinare. Così, ho deciso di insegnargli la mia specialità."

Anche Minseok sbatté le ciglia, ma non per ammaliare qualcuno, bensì in un moto involontario di espressione del suo profondo e radicato disappunto.

"Cosa- ma io--" Tuttavia, le risate malamente trattenute della donna interruppero qualsiasi cosa stesse tentando di borbottare per tirarsi fuori da quell'assurda situazione.

"Sei tremendo, Dae," Disse lei, due colpi di tosse profonda più tardi, avvicinandosi un po' di più e scompigliandogli tutti i capelli con le sue dita piene di grinze e calli.

Jongdae fece un sorrisetto sghembo, lo sguardo occultato dai ciuffi scuri che gli erano ricaduti in avanti, sulla fronte. "Lo so."

"Allora, ragazzi, vi lascio la cucina a disposizione. Mi raccomando, non distruggete nulla."

Il cuore di Minseok perse un battito.

"Può stare tranquilla, signora!" Il ragazzo aggiunse il saluto militare, giusto per enfatizzare ancor di più la sua convinzione.

"Mi fido di te, caro. Tralasciando quella volta che mi hai quasi dato fuoco al negozio bruciando le presine da forno, so che sei bravo, in cucina."

Jongdae mise il broncio, incrociando le braccia, fingendosi offeso. "La ringrazio, signora..."

E Minseok deglutì, per nulla confortato dall'ultima splendida notizia.

"Buona serata, allora."

E fu così che la donna si congedò con un rapido saluto, avviandosi verso il corridoio e risalendo la rampa di scale da cui -Minseok se ne accorse ora- era scesa poco prima.

"A lei," Jongdae si inchinò, sorridendole gentilmente.

E anche lui fece lo stesso subito dopo, affrettandosi e tentando di non balbettare nel mentre. "Bu-Buonasera..."

 

 

Lo trascinò immediatamente in quella che aveva tutta l'aria di essere la cucina anonima di un locale anonimo. Perfetta. Piuttosto malmessa, ma pulita e perfetta, conforme al luogo di appartenenza, secondo il ragionamento mentale di Minseok.

Jongdae lo mollò subito sull'uscio della stanza, solo per correre qua e là, tra un bancone e la credenza, tra mestoli e ingredienti, l'intenzione chiara e lampante di voler combinare qualcosa inerente al cibo. E di coinvolgerlo nel mentre.

Minseok diede una rapida occhiata al bancone dinanzi a loro. Ingredienti e ingredienti, un libro di ricette consumato e leggermente ammuffito, pagine ingiallite e stropicciate, una teglia, tovaglioli e carta, vassoi di varie dimensioni e stampini, decorazioni colorate, ancora ingredienti.

"Dovresti sorridere di più, Minseok," Jongdae interruppe bruscamente la sua osservazione meticolosa, con un timbro di voce basso e pacato. "È per questo che ti ho portato qui. Vorrei insegnarti una cosa."

Minseok storse le labbra, inclinò il capo da un lato.

"Cosa?"

"La ricetta della felicità."

"La ricetta... Della felicità?"

Jongdae sorrise al suo ingenuo scetticismo, più dolce del miele. "Non la conosci, vero?"

"Non l'ho mai sentita."

"Motivo in più per insegnartela!" Denti bianchi e diritti come perle di un gioiello, la risata allegra di un angelo venuto dal paradiso. Il cuore di Minseok che tamburellava a ritmo incalzante e soffocante. "Vieni qui, è semplicissimo, non c'è tanto da fare."

Deglutì, mentre l'altro batteva entusiasta le mani.

"Bene, è tutto pronto. Possiamo cominciare!"

"Ma chi ti ha detto che voglio cucinare?"

"Nessuno."

"Ma, allora--" Tentò di protestare, ma qualunque cosa stesse cercando invano di balbettare, venne troncata sul nascere da una frusta da cucina puntata contro il suo naso. Il metallo gli pizzicava la peluria del viso.

"Okay, okay- Ho afferrato il concetto."

"Sarà meglio."

Questo lato da finto autoritario di Jongdae non gli si s'addiceva affatto. Soprattutto se, a coronare il tutto, vi era un grembiule rosso legato intorno ai suoi fianchi. Se lo scopo erano delle minacce nei suoi confronti, pensò, avrebbe fatto meglio a cambiare costume, giusto per acquisire qualche piccolo punto in "credibilità".

 

 

Non ricordava quando avesse detto di amare se stesso e la propria, monotona, insignificante vita. Sperò di non averlo mai reso pubblico, perché, in quel momento, si scoprì amare le piccole brecce che andavano creandosi nella sua normale e comune esistenza. Le crepe nei suoi muri. La sostanza era la stessa, mentre i dettagli mutavano forma e colori, in un caleidoscopio di sfumature e nuove sembianze.

 

 

"Con cosa si inizia?"

"Il primo ingrediente è la positività."

Jongdae prese un sacchetto di carta colmo di una sostanza polverosa, di un colore che gli ricordava la panna del suo primo caffè. Quello che gli era finito sulla camicia. Indimenticabile.

"A me sembra farina."

"Shh, sono io il maestro ora, lasciami impartire insegnamenti come mi pare."

Giusto per assicurarsene maggiormente, Minseok infilò un dito nella sostanza e se lo portò alle labbra, per saggiarne il contenuto.

"Ma quella è chiaramente della farina."

"Ah, ma perché?" Tono frustrato e lamentoso, sbuffo seccato e broncio infantile. "Ascoltami, facciamo solo finta che non lo sia, mh?"

"Okay, grande maestro," Minseok non lo disse mai ad alta voce, ma chiunque avrebbe capito in un battito di ciglia che godeva particolarmente nel farlo esasperare. "Prosegua con la sua lezione di vita."

Jongdae sospirò, già sull'orlo di un precipizio verso lo sconforto più profondo.

"Allora, stavo dicendo. Positività. Ne va messa tanta, guarda," Detto ciò, prese il pacco di farina e la cosparse abilmente sul bancone, secondo una logica nota solo all'artefice di tale opera. "Più ne metti, meglio è."

"Ma se esageri, poi, l'impasto diventa gommoso."

Ci fu un teatrale attimo di silenzio.

"Minseok... Fammi continuare."

"Okay, okay!"

Nascose un risolino nella manica del maglione che indossava, mentre Jongdae captava ogni singolo mutamento del suo viso con l'acutezza di un rapace. Non gli sfuggì nulla, nonostante osservasse unicamente con la coda dell'occhio.

"Insomma- La positività è alla base di tutto. Senza questa, non ci sarebbe il dolce. È davvero fondamentale," Concluse, posando in un angolo del bancone il primo ingrediente utilizzato.

"E poi, cosa c'è?"

"E poi ci sono le uova e lo zucchero. Vedi, lo zucchero sono le cose belle che-"

"E le uova cosa sono?"

Silenzio. "Le uova sono..." Momento di pura tensione, suspense ai massimi livelli immaginabili. "Le uova."

Avrebbe dovuto darsi un contegno, davvero, soprattutto perché non era cortese ridere in faccia ad una persona. E perché avrebbe dovuto sorridere per il discorso di Jongdae, non per i buchi e le falle nello stesso.

"Complimenti, maestro. Non l'avrei mai detto."

Si sentì un po' crudele, Minseok, mentre si asciugava le lacrime agli angoli degli occhi e lo spintonava leggermente con la spalla. Se fosse stato un altro e non lui, probabilmente avrebbe finito per mollarlo in quella cucina e andarsene altrove, irrimediabilmente irato e colpito nell'orgoglio.

"Shh. Andiamo avanti."

Ma Jongdae era Jongdae. Jongdae era diverso. Completamente.

 

 

"Il prossimo ingrediente, è un pizzico di sale," Due dita all'interno del barattolo, polvere bianca cosparsa sull'impasto di quello che sarebbe dovuto essere un dolce, forse una torta, forse qualcos'altro. Jongdae mescolò di nuovo, ancora una volta, un altro po'. Finse di prendere altro sale, mentre le dita mancavano il barattolo e l'azione precedente sfumava in un pizzico sul suo fianco.

"E ce ne possiamo mettere anche due- tre--"

Polpastrelli invadenti che gli arrossavano la pelle dell'addome, improvviso solletico e fastidio nei punti colpiti da Jongdae e i suoi versetti di disapprovazione e dolore, che riempivano la cucina al pari del profumo di essenza di vaniglia.

"Ti sta bene."

"Sei un maestro crudele."

"E tu un bambino capriccioso e impertinente."

Minseok si finse offeso, labbro inferiore in fuori e guance gonfie. Fu voluto, e la reazione impagabile. Jongdae che arrossiva e distoglieva lo sguardo da lui, tentando di trattenersi il più possibile dallo stamparsi in viso l'espressione più ebete di tutta la storia della sua vita.

Minseok era consapevole di essere oggettivamente carino, soggettivamente attraente, e occasionalmente adorabile. Ciò che lo stupì fu la naturalezza con cui quel ragazzo gli fece intendere di pensare che fosse tutto quanto insieme. Si scoprì a mordersi il labbro inferiore fino a sentire il sapore ferroso del sangue, un sorriso compiaciuto che minacciava di stirargli le labbra rosee e l'improvviso ma non nuovo, desiderio di conoscere altri lati nascosti di Jongdae, dello sconosciuto che aveva legato indissolubilmente lo sguardo al proprio, e non più solo quello, a distanza di tempo.

 

 

Jongdae si schiarì la gola con un colpo di tosse, aggiustandosi le maniche della camicia, già arrotolate fin sopra i gomiti. Minseok non si era mai soffermato ad osservare come fossero sottili ma toniche, esili ma ben definite, all'apparenza fragili ma tutt'altro che gracili, le sue braccia. I muscoli si tendevano ad ogni movimento, le vene che affioravano in superficie e interrompevano il roseo colore della sua pelle liscia e morbida.

"Ora impastiamo tutto quanto. Bisogna che gli ingredienti si amalgamino tutti per bene, altrimenti viene fuori una schifezza."

Distolse lo sguardo da quelle braccia, solo per posarlo sul viso del proprietario di esse e prenderlo un po' in giro, come se non lo stesse facendo già da tempo.

"Come sei diventato poetico."

"È tutta colpa tua," Mise il broncio, arricciò le labbra, rese ancora più evidenti i suoi zigomi già sporgenti. "Ah, povero me, cosa mi tocca sopportare..."

"Smettila di lamentarti sempre."

Si guardarono per un po', senza mutare espressione. C'era qualcosa di vagamente familiare, in quella banale azione. Portava alla mente ricordi di un freddo vento di città, lunghe camminate davanti alle vetrine, scontri sul marciapiede e caffè bollenti e pagine vuote. Forse non era esattamente vaga, la familiarità di quello sguardo. Forse, Minseok ci si era perso e ritrovato, confuso e chiarito. Si era riscoperto, in quegli occhi scuri e comuni, tanto quanto penetranti e divergenti da tutto il resto.

Fare i dispetti era il suo passatempo prediletto, da bambino. Con il tempo, aveva mutato interessi e si era appassionato ad altro, discipline più producenti. Eppure, nel tepore di quella cucina spoglia e anonima che profumava di dolce, scelse di tornare indietro, di ritrovarsi bambino e abbandonarsi all'innocenza perduta con lo scorrere dell'età. L'impasto del dolce era appiccicoso e freddo, a contatto con i polpastrelli, e la pelle del viso di Jongdae creava il perfetto contrasto con esso. Ingaggiò una battaglia a colpi di farina, zucchero e lievito, mentre la cucina si riempiva delle risate di Jongdae e lui sorrideva, libero, leggero, dimentico della solitudine e del suo romanzo ancora composto da pagine immacolate.

Mai fu più felice delle sue scelte come in quel momento. Teoria confermata da Jongdae, che lo guardava e smetteva di ridere, solo per passargli un dito pieno d'impasto sulla punta del naso e arricciare gli angoli delle labbra all'insù. Di tutti gli aggettivi del mondo, lì, pieni di farina da capo a piedi e con la pasta di un dolce indefinito sul viso, Minseok riuscì a pensare solo bellissimo. E così disse, piano, in un sussurro, venendo ricambiato subito con un rossore di gote, accompagnato da una carezza lieve sulla guancia.

 

 

"Adesso abbiamo l'ultimo passaggio."

"Che sarebbe?"

"Teoricamente dovremmo infornare tutto."

"Illuminami con la tua ultima perla di saggezza, maestro."

Jongdae si bloccò, lentezza esasperante, il capo ora rivolto interamente nella sua direzione e sguardo sconsolato che pareva mimare: "Ti prego, ti prego non farmi ancora questo, abbi pietà del povero me."

Minseok rise, dandogli un pugnetto sulla spalla. "Scusa, scusa! Continua."

"Dicevo-" Sospirò. "Teoricamente dovremmo mettere tutto nel forno e il dolce sarebbe finito," E, mentre parlava, portava a termine le azioni da lui stesso descritte. "Ma la ricetta della felicità non prevede solo una semplice cottura."

Si sedette sulle ginocchia e Minseok lo mimò subito dopo. Dinanzi a loro c'era il forno acceso. Stettero ad osservare l'opera al suo interno lievitare e diventare commestibile. Un insieme confuso di tante, piccole, pastelle giallognole. Chissà se avrebbero davvero avuto lo stesso sapore dei biscotti.

"L'ingrediente finale è l'amore. Verso te stesso, verso gli altri, verso ciò che ti circonda. Solo e soltanto l'amore."

Per quanto stupido e puerile potesse sembrare, Minseok era profondamente grato a se stesso per aver scelto di rispettare le regole del gioco di Jongdae. E a quest'ultimo, per tutto quanto avesse fatto e stesse tutt'ora facendo, all'unico fine di strappargli un sorriso.

Le sue erano parole semplici che rotolavano sulla sua lingua come biglie lungo il selciato, facili ma veloci, e cariche di una rapidità sorprendente. A destinazione ci arrivavano, integre e compatte. Come una stilettata indolore, diritta nell'anima. Una siringa di fede in se stessi e rinnovata speranza.

"Mi piace la tua ricetta della felicità."

Jongdae fece scontrare le loro spalle in un contatto impercettibile, ma duraturo.

"Sì?"

Fu lì che Minseok intrecciò le dita delle loro mani, perché voleva farlo e solo, solamente, per il suo egoistico desiderio di ciò.

"Sì."

Jongdae non ebbe di che lamentarsi, comunque.

 

 

Mancavano solo tre giorni a Natale.

A Minseok piaceva sognare. Quella notte, immerso nel suo piumone, si perse in un mare di biscotti e vaniglia, navigò nel caffè, si macchiò di panna, ed approdò tra le braccia forti di un ragazzo dall'inventiva curiosa ed un sorriso indescrivibile.

 

 

Anche Jongdae era uno scrittore, proprio come lui, e si portava dentro, radicato nel cuore al pari di un parassita, il desiderio sconfinato di viaggiare ed esplorare il mondo.

"Alla fine, non siamo altro che anime erranti, alla continua ricerca di un posto in cui colmare il vuoto e sentirci a casa," gli aveva detto, in un punto impreciso tra la terza ordinazione di caffè e l'ennesima bozza cancellata, in un giorno dei tanti trascorsi al bar.

Minseok lo aveva guardato per bene, dritto negli occhi, tentando di vedere oltre quelle semplici parole, al di là quel sorrisetto incantevole.

"Dovresti smetterla di scappare," aveva proferito, al termine della sua analisi.

Il ragazzo non si era scomposto di un millimetro, mentre ricambiava il suo sguardo con un'intensità priva di precedenti.

"Non sto scappando," gli aveva detto. "Sto solo disperatamente cercando."

"Che cosa?" gli chiese, allora.

Fendevano la distanza che separava i loro visi, i suoi occhi.

"La mia strada."

Un lungo silenzio pose rapida ed altisonante fine a quella questione.

 

 

Alla vigilia di Natale, Jongdae gli propose di tornare ancora in quel locale dall'aspetto antico e la clientela inesistente.

Diceva che alla vecchia signora faceva un immenso piacere ricevere ospiti, di tanto in tanto. E diceva anche di essersi affezionato ancora di più a quel posto, dopo l'ultima volta che ci erano stati.

Minseok sedeva comodamente su uno dei divanetti posti in lungo accanto alle pareti, a lato del bancone. La punta dei suoi stivali in pelle tamburellava sul parquet di legno, scandendo il tempo di una delle tante canzoncine natalizie che Jongdae gli aveva inculcato nella testa, a forza di intonarle. Una subdola vocina, nel suo inconscio, gli sussurrò di terminare quell'assurda recita, quell'insieme di menzogne. Di ammettere di essersi affezionato lui stesso a quel luogo -a tutti i posti in cui Jongdae lo aveva portato, persino il bar, persino le strade della sua città- e di adorare quegli stupidi motivetti su Babbo Natale e le sue renne -di amare come la voce di Jongdae tendesse ad assumere un tono sempre più dolce e tenero, quando le intonava.

Il lamento rumoroso del centro dei suoi pensieri ruppe il filo logico degli stessi e lo fece sobbalzare, conseguenza dello spavento preso, che ebbe anch'esso, come conseguenza, un imbarazzo terribile, reso noto dalle sue guance in fiamme. Si nascose il viso tra le mani, il cuore in procinto di esplodere come una pignatta, l'altro che non pareva essersi accorto di nulla e continuava a sbuffare, posando il vassoio con i biscotti, tondi e appena sfornati, sul tavolino davanti a lui.

"Ho lasciato la luce accesa. Mentre sistemo, ti dispiacerebbe andare a spegnerla?"

Colse la palla al balzo. "Certo che no, vado!"

Forse con un po' troppa enfasi, a giudicare dallo sguardo perplesso che gli venne rivolto. Tutto, pur di non destare sospetti imbarazzanti. Non avrebbe mai voluto mettersi a spiegare il perché stesse, così, di punto in bianco, tessendo mentalmente la trama di una lode alla sua voce eterea.

La cucina era in ordine. Minseok rivide in un lampo la farina e lo zucchero cosparsi un po' ovunque, sul pavimento e sul bancone, sui loro vestiti e tra i capelli. Tracce d'impasto ad impiastricciargli le dita e il viso, dinanzi il riflesso di un corpo che percepiva le sue stesse sensazioni. I ricordi dei giorni passati con Jongdae erano memorie vivide e pulsanti, dentro di lui.

L'interruttore era accanto alla porta, per cui gli fu sufficiente sporgersi oltre l'uscio e allungare un braccio. Eppure, tardò a spegnere la luce, ci mise più tempo del dovuto. Quando un sacchettino rigonfio attirò la sua attenzione, tutto il resto parve divenire fumo in confronto alla sua tangibile e morbosa curiosità. Raggiunse a passo felpato il bancone della cucina, prese l'oggetto, se lo rigirò tra i palmi sudaticci. Era ancora caldo, sembrava fosse tenuto insieme da un nastro rosso annodato a fiocchetto. Minseok ne prese il lembo, lo sciolse in un morbido gesto, la stoffa si schiuse e mostrò un biscotto a forma di cuore. Semplice, ancora tiepido, annerito in più punti e dal colore eccessivamente dorato. Stette a rimirarlo per un po', giusto il tempo necessario a rendersi conto del bigliettino allegato al pacchetto, rimasto ignorato ed abbandonato sul tavolo, fino a quel momento. Carta bianca, a prima vista un foglio a righe, magari strappato con cura da un quaderno, o da un taccuino. Era piegato in quattro parti, Minseok lo aprì e vi trovò una riga scritta in caratteri chiari e ordinati, puliti, limpidi.

Hai il sorriso più bello del mondo. - Jongdae

E gli parve di sentire la sua voce, mentre quelle parole gli riempivano la mente. Minseok trattenne l'insano impulso di stringere il bigliettino al petto e saltellare, in quella cucina silente. Piuttosto, scelse di ripiegare il foglietto e metterselo in tasca, come se si trattasse del suo tesoro più grande. In realtà, e lo sapeva fin troppo bene, erano semplici parole scritte in nero su bianco, niente di più e niente di meno. Eppure, quel banale gesto aveva per lui un'importanza inestimabile.

Prese anche il biscotto, prima di uscire dalla stanza spegnendosi la luce alle spalle. Ridacchiò fra sé e sé, chiedendosi come accidenti avesse fatto Jongdae a bruciacchiarlo tutto in quel modo.

Giunto di nuovo nel salone principale, mise su un sorrisetto furbo, continuando a rigirarsi il dolcetto tra le dita.

"A giudicare dall'aspetto, direi che hai esagerato un po' con l'ultimo ingrediente..."

Si sedette sul divanetto di prima, dove aveva preso posto anche Jongdae. Quest'ultimo si voltò nella sua direzione e lo sguardo dapprima confuso, divenne l'esatto riflesso del proprio, non appena ebbe notato cosa Minseok teneva nelle mani.

"Devo avere troppo amore," Gli resse la frecciatina. "Ne vorresti un po'?"

"Anche no."

"Così mi offendi."

"Offenditi pure."

"Ah, ma perché sei così? E io che volevo condividere con te tutto l'amore che ho..."

Ancora quell'espressione. Il broncio di Jongdae era impagabile. C'era qualcosa di estremamente dolce ed infantile, nelle sue labbra arricciate e nei suoi occhioni sconsolati. Qualcosa che a Minseok piaceva davvero, davvero troppo. E sempre, sempre di più.

Un lieve sorriso si fece largo sul suo viso, accompagnato dalle sue guance che si arrossavano un pochino. Minseok si sporse con lentezza, sperando in tutto, meno che un rifiuto. L'altro rimase immobile, ostinato. E allora Minseok si avvicinò ancora di più, facendo leva sulle braccia e posando le labbra sulla fronte di Jongdae, lasciandogli un umido schiocco lì dove la frangetta si divideva a metà.

"Le tue tattiche da rimorchio sono pessime," gli sussurrò subito dopo.

Jongdae gli pizzicò la guancia con le dita, affettuosamente.

"Però funzionano."

 

 

"Manca solo un minuto a mezzanotte."

Minseok terminò velocemente di masticare l'ultimo boccone e la pasta zuccherata dei biscotti riempì ogni angolo della sua bocca, per l'ennesima volta. Lo sguardo scivolò quasi per caso sull'orologio del locale. Segnava le undici e cinquantanove appena scoccate.

"Sono stanco di contare il tempo che manca alla fine," disse, leccandosi le labbra per eliminare ogni residuo di biscotto. "Vorrei, solo per una volta, smettere di quantificare il tempo. Vorrei viverlo e non guardarlo, senza fare altro."

Ed era sincero. Era stanco di osservare i dintorni e pregare che le festività terminassero, solo per tornare alla sua vita normale, quelle giornate in cui nessuna ragazza interrompeva le sue passeggiate per chiedergli il numero di cellulare. Era così dannatamente esausto di passare giorno e notte dinanzi al suo pc, sempre immacolato come un muro appena imbiancato, pregando che il tempo scorresse e lo liberasse di quell'impiccio, di tutto quello stress, dell'ansia dovuta all'obbligo di rispettare quella scadenza sempre più vicina. Ed era stanco, veramente stanco, di vivere ed essere consapevole che persino il suo ultimo pensiero, le sue ultime parole, il suo ultimo respiro, era già entrato a far parte del passato. Un passato immutabile. Intoccabile. Un insieme di ricordi che mai avrebbe potuto rivivere.

"Il tempo è solo una percezione."

Sospirò, poggiando il capo sulla spalla di Jongdae.

"Be', in questo momento mi piacerebbe non percepirlo affatto."

L'altro si scostò piano, inducendolo a rialzare il capo con le dita tiepide delle sue mani. Morbide carezze ai lati del viso ed una leggera pressione verso l'alto.

"Allora, chiudi gli occhi."

La sua voce era morbida e notevolmente più bassa, più soffice. Minseok obbedì.

"E poi, cosa succede?"

Un sussurro, il dito indice sulle sue labbra in una muta richiesta di fare silenzio, perché le parole erano inutili, le parole avrebbero rovinato tutto quanto, così come lo scorrere inesorabile del tempo.

Tre, due, uno...

 

 

Studi scientifici dimostrano che sono sufficienti appena venti secondi di tempo per innamorarsi di una persona speciale. Ma l'amore è un cambiamento di stato, la sublimazione dell'attrazione reciproca che prende vita in quel fugace lasso di tempo. Ciò che prima era scoperta, novità, pura euforia, muta e si trasforma, subisce una metamorfosi, diventa accettazione, stabilità, sicurezza. È come l'inizio di un viaggio, l'intera durata del tragitto e il raggiungimento della destinazione finale. L'amore è quello che resta quando tutto finisce, quando le carte si scoprono, quando le maschere crollano, quando le barriere si sfaldano. Quando non c'è più niente da scoprire, quando tutto già si sa, quando tutto già si è visto, quando tutto già si è fatto e non resta nulla di nuovo da dire. Quando il viaggio termina e ci si guarda intorno e ci si chiede "E adesso?". C'è chi volta le spalle e comincia una nuova avventura, c'è chi impazzisce nell'ordinarietà e si getta a capofitto verso l'uscita del tunnel. E c'è chi sorride e si sente a casa, non percependo alcun cambiamento nella materia del proprio essere.

Minseok ne stringeva la prova tra le dita, saggiandone la consistenza. I capelli di Jongdae erano soffici e profumavano di vaniglia e biscotti appena sfornati. Se si concentrava, percepiva persino la sottile fragranza del caffè bollente e della carta antica di un libro consunto e invecchiato. La vicinanza del viso di Jongdae gli dava alla testa, il modo in cui si leccò il labbro inferiore, la nonchalance e il leggero tremore -così in contrasto, così da lui- con cui gli prese i fianchi e lo strinse più vicino, erano un invito alla morte e rinascita, il cuore martellante, mai stanco di continuare la sua rapida corsa. Forse, forse, forse. L'unica certezza maturata nella sua mente, era nata come un germoglio in primavera e cresciuta con calma ed estrema lentezza. Così come Jongdae continuava ad avvicinarsi, piano, millimetro dopo millimetro, lo spazio che si comprimeva e l'aria pesante. E quando le molecole e gli atomi esplosero, quando le loro labbra entrarono in collisione, il bacio generato fu un contatto labile ed effimero, un millisecondo di impercettibile tepore.

Avrebbe voluto cominciare quel viaggio. Anche se, quando Jongdae spinse il capo contro l'incavo del suo collo e le braccia intorno al suo corpo, fu quasi sicuro di essere già a destinazione.

 

 

La mezzanotte era scoccata da poco, le lancette dell'orologio a pendolo risuonavano come un mantra nel locale deserto.

Era il venticinque di dicembre. Jongdae amava la neve, Minseok amava osservare Jongdae mentre si lamentava che la neve non c'era. Al suo posto, un cielo terso e denso come cioccolata liquida, era macchiato da un'infinità di stelle.

Il resto della notte la passarono così, stretti l'uno all'altro, sussurrandosi parole sincere seguite da promesse già infrante, tra un bacio e l'altro.

 

 

 

 

  
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