Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Tenue    12/01/2017    1 recensioni
[Au; LeviHan; accenni alla EreMin]
Hanji Zoe è costretta a sei mesi di reclusione in un istituto psichiatrico, dove si ritroverà con un compagno di stanza non troppo socievole, nuovi amici con innumerevoli problemi mentali e la diceria che un nuovo medico stia per sottoporli a dei metodi piuttosto brutali.
Dal testo:
“Lui aveva sempre odiato le persone, a prescindere. Odiava aprirsi, e preferiva di gran lunga stare da solo, magari in compagnia di qualche libro, soprattutto da quando una qualsiasi relazione con una persona lo portasse a diventare inspiegabilmente violento. Con quella ragazza era diverso. Non gli aveva detto niente quando l'aveva costretta a pulire da cima a fondo la sua parte di stanza, non si era rivelata infastidita quando l'aveva chiamata quattrocchi, e nonostante il suo carattere ben poco socievole, Zoe continuava a parlargli amichevolmente. Era strana, ma allo stesso tempo la persona più vicina che avvesse sentito negli ultimi tempi.”
Genere: Angst, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Hanji Zoe, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. Getaway             

C'era umidità nell'aria.
L'acquazzone, che fino a poco prima si era scatenato sulla valle creando una spessa cortina di nebbia, si era finalmente acquietato ed ora piovigginava solamente.
Un leggero vento scuoteva ancora i pini e l'erba era completamente fradicia, Sasha però non sembrava curarsene e stava seduta per terra osservando i monti più lontani che si vedevano attraverso la recinzione.
Una sorta di malinconia la appesantiva, come un costante senso di malessere che non le lasciava via di scampo, che l'aveva costretta in quel limbo nella quale fissava punti a caso, senza realmente guardarli, e si ritrovava intrappolata nei suoi stessi pensieri, che poi divenivano paranoie, e poi paure. Non sentiva niente, benchè il vento soffiasse nelle sue orecchie e gli uccelli vociferassero in lontananza, non percepiva alcun suono, e certo ciò che vedeva era solo nero.

Non si accorse infatti della persona che stava arrivando dietro di lei, si scosse solo quando la figura chiamò il suo nome e lei dunque si voltò di scatto, quasi spaventata.
-Ah! Eren.- disse sorpresa appena vide il suo amico in piedi accanto a lei -che ci fai qui?-
Eren scosse le spalle -Niente, è che si sta bene in cortile.-disse, tirando poi fuori un pacchetto di sigarette ed un accendino dalla tasca del suo camice bianco -E poi qui si può fumare.- aggiunse.
-Dove diavolo le hai trovate quelle?- chiese Sasha spalancando gli occhi.
-Dalle infermiere- rispose il ragazzo come se fosse ovvio, porgendo il pacchetto all'altra.
Qualche tempo prima Sasha avrebbe rifiutato a priori, ma dopo un attimo di esitazione decise comunque di afferrare uno dei bastoncino arancioni. D'un tratto, sentì che la sua salute non avesse poi così importanza, e nonostante si fosse sempre imposta di non fumare, quei buoni propositi sembravano essere spariti. Fumare andava bene in quel momento, perchè era fare qualcosa, perchè non era pensare.
Eren le aveva acceso la sigaretta, e lei la portò un paio di volte alle labbra.
-E' la prima volta?- chiese Eren soffiando fuori dalle labbra una densa nuvola di fumo.
-Che fumo? Si, è la prima volta. E spero anche l'ultima sinceramente, non mi è mai piaciuta l'idea di fumare. -
-Fumerai ancora credimi.-
-Come fai a dirlo?- chiese la ragazza, sulla difensiva.
-Quando una persona di ritrova in quelle condizioni...- disse indicandola con un vago gesto della mano -l'unica cosa che si riesce a fare è autodistruggersi.- la sigaretta tornò di nuovo alle sue labbra -fumare non è male per questo, la morte è lenta certo, ma dolorosa solo alla fine.-
Sasha rimase in silenzio, non aveva idea di cosa Eren stesse dicendo. Lei stava davvero così male? Quel ragazzo aveva visto in lei un oscuro desiderio di morte?
Stava solo fumando, accidenti.
E prima... era semplicemente immersa nei suoi pensieri. Forse era lui ad avere qualcosa di strano.
-E tu vuoi morire Eren?-
Il ragazzo la guardò negli occhi -Dio, no! Io parlavo di te. Dico solo che se cadi in depressione fumare o comunque farti del male sarà inevitabile.-
Sasha lo guardò con indignazione -Io non voglio morire.- affermò con decisione.
Non stava male. Non così tanto.
-Bhe, buon per te.-
Lei rimase in silenzio per un po', quella conversazione era diventata alquanto strana.
-E' solo che... da un po' di tempo molte cose hanno perso significato, credo che non mi importi più di quello che mi succede, sono solo... stanca.-
Eren spostò lo sguardo da lei al paesaggio -Mmh, credo di aver capito.-
Sasha inspirò ancora una volta il fumo, liberandolo poi nell'aria soffiando leggermente.
Poi strizzò gli occhi -Cazzo.-
Il ragazzo si girò a guardarla -Che hai?-
La ragazza gettò a terra la sigaretta e la spense col piede -'Sta roba fa proprio schifo.-
Eren sbuffò una risata, e Sasha si alzò per andarsene, tentando invano di pulirsi i pantaloni.
Sospirò esasperata, e con andatura svogliata si diresse verso l'edificio.
-Sicura di star bene?-
-Certo.-
Così Sasha si allontanò mormorando un  “ho freddo, torno in camera.”

Eren aggrottò le sopracciglia.
Tutto gli era improvvisamente apparso un gran casino. Nulla era più a suo posto.
Sasha si comportava in modo strano. Era assente.
Sembrava così stanca, e lei era tipo ben più vivace.
Inoltre, l'altra cosa che Eren aveva notato, e quella che probabilmente lo spaventato di più, era che Sasha gli era parsa fin troppo  normale.
Durante la loro breve chiacchierata, Sasha non aveva mostrato il benchè minimo atteggiamento ossessivo compulsivo.


 
o°o°o


Benchè Zoe continuasse a guardarsi attorno non riusciva a trovare una risposta. Tutto le sembrava fin troppo strano, quell'aria che la circondava le faceva come intendere che qualcosa non andasse.
Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare dove fosse prima di trovarsi lì, non ricordava cosa stava facendo. La sua memoria sembrava essere scomparsa, lasciando un enorme vuoto nella sua testa.
L'unica informazione che aveva, era che il luogo dove si trovava era un bosco.
Anche se era certa di non esserci mai stata, quel posto aveva qualcosa di familiare.
Continuava a guardare attorno a sè, ma benchè tutto sembrasse giacere immobile e calmo, non riusciva a stare tranquilla.
Qualcosa le sfuggiva. I secondi parevano scivolare via troppo velocemente e lei aveva la sensazione di non avere più tempo.
-Zoe-
Il suo nome risuonò dietro di lei.
Si voltò, e si fronte a lei stava un uomo che riconobbe subito.
-Levi?- chiese confusa -cosa ci facciamo qui?-
-Scappiamo-
-Cosa?- Zoe sentì il terreno sotto ai suoi piedi tremare. Si sentì improvvisamente indifesa, poiché l'ignoto pareva circondarla.
-Zoe scappa- Levi si avvicinò.
-Levi, io non_-
-Scappa!-
Gridò. La voce di Levi le rimbombava nella testa, quell'urlo così forte la fece quasi piangere appena si svegliò di soprassalto, in preda ai tremiti.
Sentì una mano poggiarsi sulla sua spalle per darle conforto, e quando alzò lo sguardo incontro gli occhi grigi e freddi del suo compagno di stanza.
-Levi...- biascicò lei, ancora intontita dal sonno.
Il ragazzo la fece distendere di nuovo sotto le coperte. -Torna a dormire Zoe, sono le quattro del mattino.- disse lui a bassa voce.
Zoe stava per cadere nuovamente nel sonno, quando improvvisamente apparse nella sua testa il ricordo di Levi che lasciava la stanza dietro all'infermiera, mentre lei era rimasta da sola in camera. -Quando sei tornato? Cosa ti hanno fatto?- si sforzò di chiedere mentre il sonno tentava di trascinarla in un altro sogno.
Ma benchè tentasse di restare lucida si addormentò di nuovo e udì solamente Levi che le diceva di dormire e che non gli avevano fatto niente.

 
o°o°o


Da quando Armin era tornato dall'ultimo esperimento, Eren non faceva che fissarlo ogni volta che erano assieme.
-Eren, ti ho detto che sto bene.- disse lui per l'ennesima volta quel giorno.
-Mmh.- rispose lui senza comunque distogliere lo sguardo.
Armin sospirò chiudendo il suo libro e andandosi a sedere sul letto accanto al moro.
-Come faccio a dimostrarti che l'esperimento non mi ha provocato alcun tipo di danno al cervello?-
Eren alzò le spalle -Non lo so, io comunque non sono tranquillo.

Dopo l'esperimento, Armin era stato portato in terapia intensiva.
Eren aveva visto come il biondo, durante la procedura, era svenuto improvvisamente.
Stava gridando, contorcendosi sul lettino, quando ad un certo punto il suo corpo si era accasciato e i suoi occhi si erano girati verso l'alto sparendo sotto le palpebre.
Eren si era precipitato vicino a lui e gli aveva preso il viso tra le mani. Aveva avuto paura che fosse morto, che il dottore avesse sbagliato qualcosa e gli avesse bruciato il cervello.
Solo dopo due ore nel reparto di terapia intensiva, Armin aveva ripreso conoscenza, ed Eren quasi non ci credeva quando constatò che non aveva subito danni, almeno non visibili.
Sembrava star bene.

Dopo alcuni minuti però, Armin girò la testa verso Eren. Il biondo lo fissava, sembrava voler dire qualcosa, ma le parole restavano intrappolate nella sua gola.
Eren si costrinse a rimanere calmo. I monitor accanto al suo compagno dimostravano che era stabile, esattamente come avevano detto i medici.
Armin stava bene, forse era solo scosso. Bastava confortarlo.
Il moro allungò la mano e gli sfiorò lo zigomo.
-I medici hanno detto che sei stabile- disse, cercando di non far trasparire alcuna preoccupazione dalla sua voce. Armin doveva essere il primo a credere che andasse tutto bene. -Hanno ottenuto il risultato che volevano... tu non hai subito danni. Stai bene, insomma.-
Armin inspirò.
-L'ho visto, Eren era lì, l'ho visto...- disse in un sussurro. Aveva gli occhi spalancati e la bocca socchiusa, cominciava a respirare più velocemente, Eren vedeva il suo petto che iniziava ad alzarsi ed abbassarsi ad un ritmo quasi irregolare. Il moro gli prese la mano, cercando di calmarlo, e la accarezzò piano.
-Che hai visto?-
Eren sperò con tutto se stesso che ciò che aveva visto non fosse in qualche modo collegato alla morte. Non era superstizioso, né credeva alle visioni o ad assurdi segni dal cielo, ma non voleva in nessun modo che Armin credesse di aver avuto una premonizione di morte.
Armin inspirò piano e guardò il soffitto, cercando di stare calmo e di ricordare.
-Non era chiaro, vedevo... quella cosa strana e... in quel momento sapevo che cos'era.- in quel momento Armin non lasciò trasparire nessuna emozione, sul suo volto non c'era né paura, né felicità -C'era... un buco bianco, pulito, in mezzo ad un'infinita distesa di caos. Il buco si stava allargando piano, e ho capito che era la mia testa, che tutto quel caos era la mia testa! E quel buco bianco, stava prosciugando tutta la parte malata.  La malattia stava sparendo.-
Eren spalancò gli occhi sorpreso. -Davvero?! E come... come è stato?- quasi speranzoso, quasi contento. La sua espressione però cambiò radicalmente quando Armin si girò e lo guardò negli occhi.
-E' stato orribile.-


Armin però, da quando era stato riportato in stanza, non aveva più nemmeno accennato all'accaduto. Aveva preso a leggere e ignorava gran parte delle domande di Eren.
-Armin... non puoi far finta di non aver detto quelle parole! O... di non aver visto quel... quella cosa!- disse Eren cercando di farlo ragionare.
-Era un delirio probabilmente.- provò a spiegare il biondo -Ero sotto antidolorifici o non so che altro, e avrò avuto un'allucinazione.-
-Ah, quindi questo è il nuovo metodo per lottare contro l'ansia e le paure? Ignorare quello che accade e vivere senza vedere cosa ti accade intorno? Fantastico...- fece sarcastico Eren.
L'altro sbuffò -La stai prendendo troppo male...-
-Ma ti rendi conto di quello che dici vero? Lo hai visto con i tuoi occhi, ti stanno facendo fuori il cervello! E ora vorresti dirmi che sei calmo e tranquillo nonostante tutto?- Eren alzò la voce.
-Sicuro di non essere veramente malato, tu invece? Mi sembra che il tuo “finto” problema di rabbia sia piuttosto reale...-
Eren sospirò, piegandosi in avanti e infilando le dita tra i capelli. Prese dei grandi respiri e finalmente si calmò. Odiava arrabbiarsi con lui. -Scusa, ho esagerato.-
Armin stava per aggiungere altro, ma si fermò notando il comportamento dell'amico.
-Scusami tu... Hai ragione, sai? Ho visto anch'io che c'è qualcosa di strano dentro di me, manca qualcosa. Credo di averlo voluto mascherare, infondo... mi terrorizza pensare che stiano cambiando qualcosa in me senza che io possa fare niente.
Eren si avvicinò di più al biondo e lo strinse in un abbraccio. -Non preoccuparti, se ti fanno qualcosa quelli, giuro che li ammazzerò tutti.- Disse, anche se la sua voce venne leggermente soffocata, dato che il viso di Eren era sprofondato nella maglia di Armin.
Lui sorrise, avvicinandosi poi al suo viso, per lasciare un innocente quanto timido bacio sulle sue labbra. Si sentiva protetto da Eren, ma malgrado questo, un incessante dolore gli attanagliava lo stomaco, e sapeva che quel dolore non se ne sarebbe mai andato finchè non fosse stato libero.
Infondo Armin era stanco di combattere le sue paure, poiché esse erano rappresentate dallo stesso posto in cui viveva. Qualsiasi cosa là dentro aveva motivo di infondergli ansia.
Ogni cosa dovesse fare, ogni rumore sentisse, qualsiasi persona gli parlasse lui aveva paura, e il dolore era costantemente accanto a lui. Ed era stanco di combatterlo, anche se al suo fianco c'era Eren.
Armin sapeva che non avrebbe potuto proteggerlo da ogni cosa.
-Eren...- Appena le loro labbra si staccarono, Armin sussurrò il suo nome, senza però riuscire a guardarlo negli occhi.
La scelta che stava per fare lo metteva più in agitazione di qualsiasi altra cosa, ma gli avrebbe anche garantito la libertà.
-Io voglio andarmene da qui.-
-Armin... lo so che è dura, ma lo sai che dobbiamo scontare ancora un sacco di tempo qua dentro.-
-Lo so- Disse, e finalmente alzò lo sguardo. -Ci serve un piano.-

 
o°o°o
 

Sasha Braus non era mai stata una persona molto educata.
Si era ritrovata centinaia di volte nei guai a causa del suo atteggiamento fin troppo amichevole con le infermiere, eppure non riusciva a contenere il suo carattere.
Essere ben educata era una cosa che proprio non le riusciva.
-Quindi in pratica, ho supplicato l’infermiera di non farmi fare la seduta con quell’imbecille di Smith, no? Le ho detto che aveva un mal di testa fortissimo e che non riuscivo neanche a pensare! E quindi per Smith sarebbe stata una perdita di tempo.- raccontò, mentre lei e Connie stavano seduti per terra contro il muro della sua stanza.
-Ma lei non ha voluto sentire ragioni, neanche quando mi sono avvicinata e le ho detto che avrebbe potuto avere metà del mio pranzo! Ma ti rendi conto? Sprecare un’ occasione del genere, dev’essere proprio stupida!-
Connie si girò leggermente verso di lei, con un’espressione che a lei parve interrogativa. –No, Connie. Metà del mio pranzo non glie l’avrei ceduto comunque.- Disse, incrociando le braccia al petto, poi però parve pensarci su –Ma forse lei mi avrebbe costretto a cederglielo… Bhe, allora avrei preso metà pranzo di qualcun altro.-
La ragazza cominciò a fare scrocchiare le articolazioni delle dita, un dito alla volta, uno della mano destra e uno della sinistra. Lo faceva per il nervosismo, come una sorta di anti stress, per concentrare i suoi pensieri altrove, dunque sulle sue mani.
E contrava, perché contare la distraeva parecchio dai suoi pensieri negativi.
Poi perdeva il conto, oppure scrocchiava due volte le dita di una stessa mano, allora si arrabbiava e ricominciava, ma almeno, era distratta.
-Sai mi mancano un po’… le cazzate che facevamo alla vecchia clinica. Li non ci tenevano rinchiusi tutto il giorno, e dovevamo andarci solo un po’ di giorni a settimana.- Sorrise rievocando quei momenti. Senza volere aveva cominciato a vagare con la mente e si era persa nei ricordi. Poi rise –Ma alla fine, tu hai voluto fare il coglione e ci hanno spedito qui! E ora credono che siamo due pazzi!-
Connie la guardò senza dire nulla. Sembrava si stesse sforzando di fare qualcosa, come si sentisse in dovere di avere qualche sorta di reazione. Eppure non aveva idea di cosa dovesse fare in quel momento.
La sua testa era come vuota. Sasha, la persona che meglio conosceva e di cui sapeva assolutamente tutto, gli pareva quasi estranea. Era solo una persona, ma sentiva che non sarebbe dovuto essere così.
Connie avrebbe dovuto ridere, avrebbe dovuto ribattere e dire che non era colpa solo colpa sua, e che anche Sasha aveva agito da incosciente come lui. Avrebbe dovuto scherzare con lei e prenderla un po’ in giro. Come sarebbe stato normale per loro.
Era questo ciò che non riusciva a ricordare. Non riusciva più a ricordare come era lui stesso. Non sapeva come lui, Connie, avrebbe dovuto comportarsi in quel momento.
-Sono sicura che passerà, sai? Questa… cosa… E’ che mi manchi. Mi manca… noi due, sai, che facciamo cazzate. Non sono una persona sdolcinata o roba simile, ma sei il mio migliore amico, e odio vederti così…-
Il ragazzo non comprese appieno le sue parole, solo parte di esse riuscì ad entrare nella sua testa. Comprese di essere un corpo vuoto, e che la persona che era e di cui quella ragazza parlava, non c’era più. E non sarebbe tornata, dentro di lui lo sapeva.
Perche non c’era rimasto più niente di lui.
Allora capì, e decise. Forse avrebbe potuto spegnersi a quel punto.
Connie era solo un corpo ormai, non valeva la pena restare sveglio. Così lasciò che il pesante sonno, che da giorni gravava sulla sua testa, prendesse il possesso di lui.
Si lasciò andare, chiudendo piano gli occhi.
Prima che si spegnesse del tutto la sua mente però, si formulò un unico pensiero.
Forse avrebbe dovuto ringraziare Sasha. Non seppe per cosa, ma pensò che sarebbe stato giusto farlo.
Poi se ne andò.
 
Sasha si accorse che aveva gli occhi chiusi poco dopo. Connie non accennava più nemmeno al più piccolo movimento.
 
Lei aveva l’abitudine di tastargli il polso almeno ogni mezz’ora, per controllare che non fosse morto. Ma questa volta titubò nel farlo.
Premette le dita sul suo polso.
Una. Due. Tre volte.
Poi le premette sul suo collo.
Ci riprovò cinque volte.
Gettò la testa sul suo petto, accostando l’orecchio al suo cuore.
Immobile.
Fermo.
 
Le lacrime cominciarono a scorrere sul suo viso. In preda ai tremiti gridò.

La persona che gli era stata accanto per tutta la vita era morta.





 
  
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