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Autore: Red Moon    13/01/2017    0 recensioni
Un'epidemia ha reso mostri assetati di sangue la maggior parte della popolazione mondiale, rendendo i sopravvissuti fuggiaschi pronti a tutto per guadagnare un'ora di vita in più. Nelle strade di città ormai disabitate i predatori più pericolosi non sono quelli che attaccano ferocemente la propria preda, ma quelli che si celano nell'ombra in attesa del momento giusto per colpire.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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« Meglio tardi che mai, ragazzi ». Si piegò sulle ginocchia e sospirò rumorosamente. 
«Ancora un po' e sarei finita sul menù ». 
Si guardò intorno con circospezione e incontrò diversi sguardi preoccupati: un soldato in uniforme che le puntava contro un semiautomatico, probabilmente quello che l'aveva fatta entrare, un altro più indietro che aveva appena tolto la sicura alla propria arma, è una donna bionda, all'incirca sulla quarantina, rannicchiata in fondo alla stanza con un bambino di tre-quattro anni tra le braccia. 
Troppo spavalda, accidenti! 
« Sc-scusate, disse alzando lentamente le mani, non intendevo agitare nessuno... È che quando sono nervosa parlo a vanvera, e nessuno, ehm, nessuno potrebbe definire questa situaz- » 
« Ti hanno morsa? » domandò quello più vicino.
« No, no, non mi hanno morsa ». Vide l'altro che si avvicinava e si affrettò ad aggiungere:  « Ma, naturalmente, capirei se voleste sincerarvi delle mie par- » 
« Non ti muovere ». Mentre il più vicino la teneva sotto tiro, l'altro le si affiancò per darle un'occhiata. Passò l'esame, e quando stava per lasciarsi andare ai sospiri di sollievo, l'uomo le sollevò  il mento.
Non uomo, ragazzo, si corresse mentalmente.
« I tuoi occhi sono strani ».
« Ehm, sì... Sono così quando è nuvoloso...».
« Roger! Lasciala stare, è a posto. » L'ultimo arrivato era sbucato da una di quelle porte d'emergenza ignifughe che pur essendo spesse come delle sequoie non danno segno della loro presenza fino a che non ci si sbatte contro. « I riflessi sono buoni, l'attenzione anche. È evidentemente sana, a quest’ora ce ne saremmo accorti se una di quelle cose l'avesse morsa. Inoltre, questo posto smetterà di essere sicuro molto presto. »
A queste parole tutti si lanciarono occhiate preoccupate.
« Ci muoviamo. Ora. »
« Signore, che ne è di Mathei? » sputò in un sussurro il compare di Roger, guardando dritto negli occhi il suo superiore.
« Sta rinforzando quelle maledetta porta perché regga mentre ce la filiamo, Pierce » lo guardò con aria severa, mentre lui è Roger si rilassavano visibilmente.
« Sarà contento che vi preoccupiate per lui come se fosse vostra nonna malata. Ora via! »
 Guardò nella sua direzione e le rivolse un cenno del capo cui lei non rispose, poi si voltò e corse verso il corridoio alla loro destra, sparendo oltre la curva a gomito.
Pierce si avvicinò alla donna per aiutarla ad alzarsi. Non si reggeva bene in piedi, e una delle sue caviglie assomigliava ad un palloncino. Dall'espressione sulla sua faccia la sua salute mentale non era meno traballante.
Il piccolo sembrava stare bene ma se ne stava aggrappato con tale forza alla madre da costringere Pierce a usare entrambe le mani per staccarlo. Una volta caricatoselo in spalla porse il braccio alla donna per aiutarla a camminare, e tutti e tre si mossero verso le scale.
Rogers li aspettava in cima, accanto alla porta antincendio, fucile spianato, pronto ad affrontare qualsiasi minaccia imminente.
Una raffica di mitra esplose, poi un'altra, appena fuori dalla loro visuale. L'eco dei colpi rimbombò tra le pareti dell'edificio squarciando il silenzio teso come tante deflagrazioni nucleari.
Poi tutto avvenne, rapido come un lampo nell'oscurità, ma anche dilatato nel tempo, ogni istante dolorosamente lungo.
I due soldati svoltarono l'angolo correndo, sostenendosi l'un l'altro, mentre quello che doveva essere Mathei si lanciava occhiate nervose alle spalle.
Lei li fissò mentre si muovevano verso di lei, immobile, con gli occhi sbarrati e il respiro sospeso.
Quando le furono proprio davanti si fermarono, le loro bocche spalancate che tentavano di trasmetterle qualcosa, i loro volti stravolti dalle emozioni che vi danzavano sopra: rabbia, preoccupazione, paura. Le loro voci non arrivavano nel suo limbo, e lei pareva non riuscire a muoversi, a scuotersi da quel torpore.
Poi il primo di quegli esseri girò nel corridoio. 
Muoveva la testa a scatti emettendo schiocchi e rantoli, con un braccio artigliava l'aria davanti a sé mentre l'altro era ripiegato vicino alla testa. I suoi occhi gialli vagavano alla ricerca delle prede che fino ad un attimo prima aveva avuto innanzi.
Ma era soltanto il primo. Dietro di lui, decine di altri lo seguivano, tutti simili eppure differenti in qualcosa, come anime riversatesi fuori da un girone infernale.
Allora si ritrovò catapultata nella realtà, e all'improvviso suoni e odori la colpirono con la forza di una cometa. Girò su sé stessa e si affrettò su per le scale due gradini alla volta, seguita dai soldati barcollanti.
Di sotto la marea di bocche spalancate si era allargata ed espansa ad occupare tutto il locale, e proprio come un'onda si era infranta sulle scale, anche se presto i più intrepidi tra quei dannati avrebbero iniziato ad issarsi su per le scale.
Prima che Rogers potesse aprire il fuoco, il suo comandante glielo impedì: « Fermo. Conserva con cura ogni maledetto singolo proiettile. Questo piano è andato, e presto potremmo averne un bisogno disperato, e quella disperazione gliela si leggeva negli occhi, persino più di adesso. »
La porta antincendio si chiuse dietro al gruppetto con un tonfo, lasciando le anime affamate a gemere per il loro pasto perduto.
  
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