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Autore: Daphne09    15/01/2017    0 recensioni
Noi tutti vediamo il Natale come una festa da passare con i nostri cari, obbligatoriamente felici.
C'è anche chi, invece, vive in sordina, chi quel giorno non scarta regali, non mangia il tacchino, chi non ride con i propri famigliari.
Una cosa che esiste per tutti, quel giorno, è il canto dei bambini, che, con la sua disarmante sincerità, addolcisce anche le pillole più amare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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 È Natale, non soffrire più

di Daphne09
 
La neve scendeva dal cielo lenta ed approssimativa, con quei fiocchi sottili capaci solo di pungerti il viso mentre corri verso casa, ottenendo come unico risultato l’asfalto fastidiosamente umido e la conseguente invettiva di chi ci scivola sopra. Come Sonia, che, a denti stretti, aveva sibilato delle parole, che dette il giorno di Natale stonavano proprio; stridevano con il suono delle campane a festa, con la chiara voce dei bambini che cantavano l’alleluia, con il soffice sospiro della neve che si adagiava sul suolo.
La stessa umidiccia condensa di ghiaccio che la donna si stava strofinando via dai pantaloni neri, ormai invano, dato che l’acqua aveva penetrato il tessuto, irrigidendole le gambe.
«I calzoni della divisa non valgono un fico secco.» Grugnì, alle prese con la serratura sempre difettosa della porta di casa, dopo aver percorso un paio di rampe di scale concentrata sul non farsi sopraffare dai brividi di freddo. Ormai parlava solo con sé stessa, visto che era l’unica ad ascoltarsi realmente.
Il Sole malaticcio di quel giorno stava ormai tramontando, lasciando ancora al cielo la sua pallida fluorescenza, così bianca da poterci accecare un cristiano.
Le scarpe vennero scalciate da Sonia verso un angolo vicino all’ingresso, emettendo un suono sordo che per un attimo aveva riempito l’abitazione.
Scansò un piccolo gomitolo di indumenti sgualciti dal divano -li avrebbe stirati l’indomani, quello era pur sempre un giorno festivo-, si sedette sul sofà ed accese una sigaretta; era Natale, decise di concedersi qualche stravizio anche lei.
Eppure la puzza di fumo era troppo invadente, così decise di aprire la portafinestra che dava sul vialetto.
Gli usci dorati delle case erano un caldo spiraglio nel gelo dell’ambiente circostante, ne si poteva avvertire il tepore solo posandoci sopra gli occhi di sfuggita.
Delle ombre venivano filtrate dalle tende: erano bambini che giocavano, madri che sparecchiavano, zii presi dalle loro conversazioni. Tanti piccoli mondi stavano esistendo intorno a Sonia, mentre lei era sull’uscio del balcone, tutta intirizzita.
“Mi ci vuole qualcosa per riscaldarmi.”
Dopo aver gettato il mozzicone della sigaretta, si diresse in cucina, aprì lo sportello della credenza e ne estrasse una bottiglia di rosso.
Tornò in sala senza portare con sé nemmeno un bicchiere -tanto non l’avrebbe dovuta condividere con nessuno- e si lasciò cadere sul divano, i muscoli finalmente rilassati.
Il silenzio era padrone dell’abitazione; dopo tutto il caos della festa in ristorante, ci voleva proprio un po’ di quiete.
«Chi glielo fa fare di andare a mangiare fuori il giorno di Natale? Non possono starsene a casa come tutte le altre famigliole?!» Un sorriso sghembo affettò asimmetricamente il volto della donna.
«…Che poi i camerieri se ne possono tornare a casa solo dopo le quattro o le cinque.» Sbuffò, per poi consolarsi con un sorso di vino e godendosi la sovrumana pace del silenzio, finché un insieme disciplinato di soprani ovattati non fece irruzione dallo spiraglio della finestra, da cui stava finalmente fuggendo la puzza di fumo.

Quel lieve tuo candor, neve,
discende lieto nel mio cuor
nella notte Santa
e il cuore esulta d’amor,
è Natale ancor.

 
«Stupidi mocciosi, -sibilò repentina, la donna- potrebbero starsene anche loro a casa.»
 
…È Natale, non soffrire più.
 
*

 
I fiocchi si stavano irrobustendo sempre di più, tanto da fare aderenza sui sanpietrini del viale principale; dalla poca gente che c’era, non ci sarebbe voluto molto per rendere il tutto un unico fascio bianco.
Quando si sarebbe svegliato, Giorgio avrebbe avuto l’occasione di essere il primo ad avere una vista del rione ancora immacolato. Ormai era come gli animali: si addormentava con il buio e si svegliava al sorgere del Sole, anche perché non avrebbe avuto possibilità di fare altrimenti. Se non era lui ad alzarsi in tempo, lo avrebbe spinto a farlo uno dei commercianti che possedeva uno di quei negozi vicino ai quali si accucciava.
Di solito si limitavano a qualche schiamazzo di rimprovero, ma un paio di volte era capitato che i colpi di un bastone rimpiazzassero le parole.
«Vai alla Caritas! -Gli raccomandavano aspramente.- Trovati una branda all’ospedale, ti danno anche la coperta.» Come se accoccolarsi sotto un portico in pieno inverno fosse l’esito di qualcuno che avesse il lusso di scegliere; come se all’ente benefico della Chiesa non gli avessero sbattuto la porta in faccia, come se non l’avessero già fatto smontare da un lettino del pronto soccorso per lasciare il posto a un ragazzino che quella sera aveva alzato troppo il gomito.
«Ma dove vado?» Aveva domandato conseguentemente, sentendosi rispondere soltanto che non poteva stare lì perché erano al completo, ‘manco si stesse trovando nella hall di un albergo.
Col tempo, però, aveva smesso di chiedere; non spendeva parola con nessuno, nemmeno per racimolare i soldi di un pezzo di pane. Chi glieli voleva concedere lo faceva senza troppi preamboli, dato che ormai era conosciuto da tutti. Lui era il barbone di Piazza dell’Unità e mai Giorgio. A volte doveva chiamarsi da solo per nome per ricordare quale fosse.
Nessuno si era mai chiesto come mai era lì, né chi in realtà fosse Giorgio; a tutti bastava sapere che era il barbone di Piazza dell’Unità.
La neve si stava infittendo ancora e ancora, imbiancando la tessitura urbana della città, le temperature erano scese ulteriormente.
«E ora dove vado?» Domandò. Ancora nessuno rispose.
A poco a poco, come un velo, delle voci chiare quanto il cielo d’inverno si adagiarono sul viale deserto, intonando note semplici e melodiose.

 
Tu, neve scendi ancor, lenta
Per dare gioia ad ogni cuor.
È Natale, spunta la Pace Santa,
l’amor che sa conquistar.

 
Giorgio non riusciva a scorgere i volti padroni di quelle voci, così contrastanti con quella tempesta, con quel freddo che ormai gli aveva penetrato il debole tessuto del giaccone liso.
«Dove vado?» Si chiese ancora una volta, l’ultima.

…È Natale, non soffrire più.
 
*
 
Se fino a mezz’ora prima la neve scendeva a timidi fiocchi, ora era in atto una vera e propria bufera. Che evento assurdo, quello! Esisteva davvero un freddo simile?
Soufian non voleva proprio saperne di andare a letto, quella sera; decise che avrebbe osservato tutti quei fiocchi di ghiaccio brillante appoggiarsi delicatamente al suolo.
Quello era il suo primo Natale in Italia e, da quello che gli veniva raccontato, doveva proprio essere come in una fiaba.
Quel giorno tutti i membri della famiglia sono soliti unirsi per mangiare ogni tipo di prelibatezza, senza badare a spese, e scartare i regali che un uomo barbuto e gentile gli consegna scendendo giù dal camino di casa.
In Somalia quella poteva essere la prospettiva di vita di uno sceicco, mica la tradizione di tutti i bambini di un Paese intero!
Non si esprimeva molto bene in italiano, ancora, ma riusciva a capire tutto quello che gli veniva detto, tanto che le educatrici lo avevano definito un giovanotto così sveglio da essere in grado di iniziare a frequentare la scuola con i suoi coetanei, l’anno successivo.
Sentì raccontare dai suoi compagni di dormitorio che erano riusciti addirittura ad avvistare il signore dei regali, nella piazzetta del paese.
Ricevettero persino dei doni da quell’uomo così gentile, che rese tutti così felici da ignorare i borbottii della suora, che ripeteva quanto il Natale andasse dedicato alla nascita Gesù e non ai beni materiali.
A Soufian, inoltre, era stato spiegato che per parlare con le persone che non gli erano vicine fisicamente, bastava unire le mani e concentrarsi su di loro.
Ora era Natale e avrebbe dovuto passarlo con i genitori, ma dal viaggio non li aveva più rivisti.
Avevano passato i loro ultimi giorni insieme su una nave, cullati dalle onde del mare, per poi esserne inghiottiti.
Soufian non sapeva nuotare, ma i suoi genitori lo tennero a galla fino a che non arrivò un signore con una curiosa tuta arancione a raccoglierlo e portarlo sulla terraferma con altri bambini.
Una volta approdato in Italia, il piccolo rivide mamma e papà sdraiati su un canotto, insieme a tanti altri genitori. Quando chiese all’uomo che l’aveva portato in salvo che cosa stessero facendo quelle persone, gli venne detto che erano stanche dal viaggio e quindi stavano dormendo. La suora, in più, gli aveva spiegato che stavano riposando in un posto speciale con Gesù e che stavano festeggiando il Natale insieme a tante altre persone buone.
L’unica cosa che Soufian sapeva era che Gesù viveva molto lontano da dove era lui adesso, ma non si rattristava troppo perché sapeva che i suoi cari stavano bene e che anche lui sarebbe stato in grado di essere felice. In Italia aveva conosciuto nuovi amici e presto avrebbe avuto una nuova famiglia pronta a volergli bene, così il Natale successivo avrebbe potuto aggregarsi a un coro simile a quello che stava passeggiando non tanto lontano da lui, di cui riusciva a sentire l’eco melodioso.

Tu dici nel cader, neve
il Cielo devi ringraziar!
Alza gli occhi e guarda lassù.
È Natale, non soffrire più.

 
Note autrice:
Se siete arrivati fin qua vi ringrazio davvero tanto.
Dunque, ciao a tutti,
chi già mi conosce sa che con questo piccolo scorcio di vita mi sono messa in gioco in particolare maniera.
Qualche settimana fa, quando mi hanno dato la notizia di dover essere presente al lavoro per tutta la giornata di Natale, mi sono rattristata particolarmente. Al ché, è partita una breve ma intensa riflessione su chi passa sempre il Natale in solitudine per questioni ben più grandi di uno stupido turno... ed ecco quanto scaturito in sovraimpressione.
Più che fare moralismi della serie "Sì alla solidarietà" o "Abbasso la discriminazione razziale", mi sono concentrata sui sentimenti dei soggetti presi in considerazione, in modo tale da raccontarli nella maniera più pragmatica possibile. Tutto ciò, dunque, non ha nessun messaggio finale, ma ho deciso di pubblicarlo lo stesso.
Detto questo, vi auguro un sereno 2017, sperando di rimanere in contatto con voi il più frequentemente possibile.

Un abbraccio,
Daphne
 
  
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