Fumetti/Cartoni americani > Avatar
Segui la storia  |       
Autore: Marge    15/01/2017    2 recensioni
Questa è una storia particolare, diversa dalle solite, un’idea che mi è venuta qualche anno fa ma solo ora ha trovato la via della luce.
L’umanità – o almeno quel che ne resta – vive in Navi organizzate in una grande Flotta spaziale. La Terra è perduta per sempre a seguito di una grande Catastrofe Naturale, e il Gran Consiglio controlla e coordina la vita delle persone, portandole alla ricerca di un nuovo pianeta dove vivere. Ma questo succede ormai da quattrocento anni, e Shui è depresso e triste di questa vita; Mahi invece sogna la terra e l’erba e il sole sulla pelle, con testarda speranza; oltre a loro una professoressa single quarantenne che forse ne sa un po’ di più degli altri, una quindicenne in piena crisi adolescenziale, navi spaziali, universo profondo, lotte di potere, e, ovviamente, i Domini. Ma che fine ha fatto l’Avatar? Come mai da secoli nessuno ne sente più parlare?
Una storia particolare per la quale serve un po’ di fiducia iniziale; non so dove arriverò, ma vi prometto un autentico stile Avatar; pubblicherò un capitolo a settimana e offro biscotti pieni d’amore a chi vorrà farmi avere il suo parere :)
Genere: Avventura, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
LIBRO PRIMO: ACQUA



II
La Grande Catastrofe



Rin era sconcertata. Stringeva tra le dita il cartoncino e guardava l’uomo dall’altra parte della scrivania senza riuscire ad emettere un fiato.
L’altro sorrise intrecciando le dita davanti a sé.
“Dunque, una mezzora, direi, per non annoiare troppo i nostri ospiti. Cosa ne pensa?”
Dovette inghiottire la poca saliva che aveva in bocca e schiarirsi la gola prima di rispondere.
“Io… non saprei, si potrebbe fare, immagino. Ma perché io…?”
“Professoressa, al momento lei non è forse la massima esperta delle popolazioni terrestri originarie?”
Rin spostò ancora lo sguardo sul cartoncino: rappresentava Ten Sen, l’ultimo uomo nato sulla Terra, deceduto esattamente duecento anni prima. Il Gran Consiglio voleva organizzare una giornata di commemorazione in suo onore.
“Quest’uomo è salito su una nave spaziale all’età di soli due giorni, signore, non ha praticamente mai vissuto sulla Terra. Perfino quand’è morto non è stato realizzato che un trafiletto in fondo alla pagina, perché mai ora avremmo bisogno di commemorarlo?”
“Oh, suvvia, non sia così pignola. Abbiamo bisogno di una festa, una giornata speciale, per rianimare le truppe, sa come si dice.” Ridacchiò in maniera sgradevole, mostrando denti non del tutto sani. “Verrà celebrata in contemporanea su tutte le Navi e trasmessa in video conferenza. È un onore, quello che le offriamo!”
“Capisco. Ma di cosa dovrei parlare? Quest’uomo non ha fatto nulla di particolare, nella sua vita. Era una persona ordinaria.”
“Perfetto, allora parli di questo! Di come sia fondamentale per il benessere comune che ognuno faccia la sua parte, anche se umile!”
Rin non riuscì a trattenersi dallo storcere la bocca. “Piuttosto, visto che la mia cattedra si chiama Storia delle popolazioni originarie e non Come siamo bravi sulle Navi, propenderei a parlare delle tradizioni della popolazione da cui proveniva quest’uomo.”
L’uomo, un semplice inviato del Gran Consiglio, corrugò la fronte.
“Purché non si scada nel raccontare mere leggende senza alcuna base storica.”
Lei fremette di indignazione. “Purtroppo, con il poco materiale sopravvissuto all’esodo, è difficile ad oggi dire cosa sia leggenda e cosa verità” ribatté. “Perfino le sue cause rimangono piuttosto oscure. Non è così?”
Fu lieta di averlo messo in difficoltà. Non le riusciva particolarmente ostico, quando cominciava a parlare della Terra e dell'esodo, ma la maggior parte dei suoi interlocutori (gli uomini del Consiglio, ovviamente, ai quali relazionava le proprie ricerche) erano preparati e sapevano come smontare le sue teorie. L’idea che molti secoli prima la popolazione terrestre vivesse divisa in tribù, che a caratterizzare queste tribù fossero delle tradizioni molto specifiche come le arti marziali praticate, faceva ridere i piani alti. Talmente ridere che finora non avevano autorizzato mai alcuna pubblicazione sull’argomento. Per difendersi adducevano come spiegazione il fatto che, al momento dell’esodo, la popolazione mondiale viveva unita esattamente come ora sulle navi, non vi erano divisioni, e le arti marziali erano un hobby da casalinga disperata tanto quanto il lavoro a maglia e la cucina. “Vuole dividere le persone in base al modo in cui preparano un piatto di spaghetti?” aveva scherzato una volta un funzionario.
E le fonti erano così scarse. Pochissime vecchie pergamene erano sopravvissute ed erano state digitalizzate. Rin le conosceva a memoria, passava le sue ore a ripercorrere con il dito le scritte ed i disegni che vi erano tracciati, cercando la verità. Sapeva che c’era, da qualche parte, ben nascosta. Doveva solo imparare a leggerla, ecco tutto. E di tempo ne aveva in abbondanza visto che, da qualche mese, sembrava che nessun giovane volesse più seguire il suo corso. Non teneva lezioni da moltissimo tempo e per questo, quando era stata contattata per quella conferenza, inizialmente aveva gioito.
L’ometto davanti a lei, ad ogni modo, non era che un infimo messaggero dei piani alti, probabilmente non aveva alcuna idea del lavoro che lei svolgeva. Ora se ne stava zitto, a labbra strette, senza sapere come ribattere. Ad un tratto, però, parve illuminarsi.
“La Grande Catastrofe Naturale, ecco cosa è successo. Il nostro pianeta è stato colpito da…”
Rin sorrise. Stava ripetendo la lezione imparata alle elementari. Lo interruppe con un gesto della mano.
“Lasci perdere. Credo di saperne più di lei sull’argomento. Preparerò la mia conferenza, sarà un onore contribuire.”
“Il Direttivo per la Giornata dedicata a Ten Sen vuole averne una copia almeno una settimana prima, così da poterla approvare.”
Sentì il gelo scenderle dentro.
“Ma certo” annuì sorridendo. “Non dubitavo.”


Quando l’uomo fu uscito dal suo studio, Rin si sciolse i capelli e passò la mano tra i ricci scuri. Scosse la testa per sentire il solletico delle punte alla base del collo. Poi sospirò e guardò il soffitto; i piaceri fisici si erano ridotti a quello, da qualche anno: fingere che non fossero i propri capelli ma le dita di qualche amante focoso. Ormai non provava neanche più tristezza per se stessa, sebbene negli ultimi mesi, senza neanche il conforto delle lezioni con i giovani studenti, era stata dura. Probabilmente di lì a poco avrebbero chiuso la sua cattedra, senza tante cerimonie, e lei si sarebbe potuta ritirare in pace su qualche Nave meno pretenziosa della Nave Universitaria, per invecchiare in silenzio. Le sarebbe piaciuto finire su qualche Nave Orto, sì, dove un delizioso sole artificiale scaldava la pelle. Poteva quasi immaginare di essere sulla Terra, no?
Si chiese ancora una volta cosa veramente avesse spinto le ultime popolazioni a lasciare il pianeta. Flotte intere partivano da anni, per cercare di colonizzare l’universo, e questo sembrava logico da quando la tecnologia aveva scoperto come poter sopravvivere per anni lontani dalla superficie, ma molta gente era rimasta, a condurre esistenze normali.
I libri ufficiali riportavano che una terribile Catastrofe Naturale (una cometa? Un terremoto? Non era chiaro) avesse talmente devastato la Terra da non rendere più possibile la sopravvivenza, così anche gli ultimi si erano imbarcati. Del resto sembrava che il Gran Consiglio fosse a un passo dallo scoprire un nuovo pianeta adatto a ospitarli tutti.
Invece, nell’arco di quasi trecento anni, la popolazione umana si era ridotta (avevano perso alcune navi, nascevano meno bambini) e, di quattro atterraggi, neanche uno era andato a buon fine.
Rin aveva quarant’anni e aveva capito, da almeno una decina, che non avrebbe dovuto aspettarsi nulla dalla propria esistenza. Se mai la popolazione umana avesse trovato un altro pianeta in cui insediarsi, di sicuro non sarebbe stato nei prossimi decenni.
Scosse ancora la testa, si godette la pelle d’oca che attraversò la sua spina dorsale, poi si alzò e si stiracchiò verso il soffitto.
Da quando aveva interrotto le lezioni aveva cercato un altro modo per passare il tempo, qualcosa che fosse anche fruttuoso per le sue ricerche, e per la prima volta aveva deciso di esercitarsi nelle forme che erano disegnate sulle pergamene digitalizzate. Le aveva provate tutte: quelle colorate in azzurro con i ghirigori d’acqua intorno e la luna incisa in alto, quelle verdi e marroni, quelle decorate da sbuffi di vapore e quelle con lame di fuoco tutt’attorno le figurine. Queste ultime le piacevano maggiormente senza che sapesse spiegarne il perché. Alla fine dei suoi esercizi si sentiva piena di energia e di ottimismo e questo era particolarmente ironico perché non vi era nulla, nella sua vita, che andasse per il verso giusto.
Il problema era che quelle figure erano concepite come una serie armoniosa, ma lei non aveva idea di come passare dall’una all’altra. Provava a seguire la logica, ma a volte si sentiva così ridicola da scoppiare a ridere da sola.
Dopo quella conversazione, aveva decisamente bisogno di un po’ della sua panacea. Accese le candele sparse nello studio, un po’ perché le piacevano da sempre, un po’ perché le sembravano ben abbinate agli esercizi che intendeva fare; non erano forse circondati di lame di fuoco, quegli antichi terrestri?
Spinse la scrivania verso la porta, giusto per assicurarsi della privacy, e vi incastrò la sedia sotto, così da creare lo spazio adatto. Con il telecomando proiettò la pergamena scelta sul muro alla sua destra, mosse il collo per scioglierlo e si posizionò speculare alla prima figura. Rifletté un momento e passò alla seconda con il movimento che le sembrava, da qualche giorno, il più adatto. Continuò ad andare avanti fino ad arrivare alla fine della prima riga, sentendosi subito già meglio. Si slacciò la giacca e la abbandonò in un angolo, accaldata.
“Dai, Rin, ancora una volta” si incitò con un paio di saltelli sul posto. Ripeté la prima riga più velocemente, cercando di armonizzare piedi e mani, di piegarsi più a fondo sulle ginocchia, di fendere l’aria. Lanciò un gridolino di giubilo e attaccò la seconda riga. Ormai la sapeva a memoria, non aveva quasi più bisogno di controllare la pergamena.
Questo la fece decidere. Spense il proiettore e chiuse gli occhi. Sorrise mentre ripeteva le due righe, senza sbagliare una mossa, decisa e… forte. Non era mai stata una persona fisica, aveva passato anni china sulle carte (e di questo Vade l’aveva rimproverata a lungo, prima di andarsene per sempre), ma ora si sentiva tutta muscoli e sangue.
Dopo la giravolta finale atterrò agile sulle punte e decise di attaccarci subito un’altra serie, senza soluzione. Le sembrava di riempire i polmoni di aria ardente, scoppiettante. Non aprì gli occhi finché non fu di nuovo ferma, pochi secondi dopo, e subito avvertì il calore. Ce n’era troppo. Sembrava quasi che…
Inorridì alla vista delle fiamme che, in un cerchio attorno a lei, divoravano la stanza. Possibile che con lo spostamento d’aria avesse fatto cadere una candela e quella avesse dato fuoco a tutto?
Nella propria testa non ebbe nemmeno il tempo di obiettare. Le fiamme raggiunsero il soffitto e lì il sensore d’incendio; un momento dopo era tutto bagnato, lei e le sue carte e i computer e i mobili, la sirena le trapanava le orecchie e le sembrava di aver trasformato il proprio studio in una sala della sauna locale, tra l’acqua che cadeva dall’alto e il vapore che si alzava.
“Ecco fatto” pensò. “Ora avranno una scusa in più per mandarmi in pensione anticipata. Vecchia professoressa senza alcuno studente dà fuoco al proprio studio. Si sospetta una demenza precoce.


  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > Avatar / Vai alla pagina dell'autore: Marge