Non
so perché accettai l'invito, ma un pomeriggio andai con
Caroline ad
un bar poco lontano da casa. Voleva passare del tempo sola con me e
siccome aveva la giornata libera (mentre invece mio papà
sarebbe
tornato tardi da lavoro), voleva chiacchierare un po' con me. Non ci
capitava di parlare spesso, così lei mi propose di uscire
per un
caffè.
Quando entrai in quel piccolo bar mi avvolse un intenso
profumo di brioche al cioccolato appena sfornate e mi sentii a mio
agio in quel calore. L'ambiente, nonostante fosse un po' ridotto, era
molto accogliente e i tavoli e le sedie in legno erano davvero
graziosi.
- Ci sediamo qui? - mi chiese Caroline indicandomi un tavolo accanto all'unica vetrina del bar. Io annuii e mi sedetti di fronte a lei togliendomi la giacca, per poi appenderla sullo schienale della mia sedia.
- Di cosa mi
vuoi parlare? - le
domandai poggiando i gomiti sulla superficie lignea del tavolino e
incrociai le braccia.
- Volevo chiederti un po' di cose - mi confessò la donna. - Ad esempio come sta proseguendo la scuola, se hai delle amiche, se ti stai abituando a questa città... - mi fece un elenco delle sue curiosità ed io portai lo sguardo a terra.
Da
dove potevo cominciare? Dal fatto che preferivo Ottawa a Londra o dal
fatto che a scuola mi sentivo sotto pressione da diverse persone? Non
sapevo neanche se avrei risposto a quelle domande. Non mi sentivo
ancora pronta per aprirmi a Caroline, nonostante abitassi nella sua
stessa casa da circa tre settimane, ma in fondo sentivo che forse
avrei dovuto fare un tentativo.
- Vuoi la
verità? - chiesi
rialzando lo sguardo.
La donna annuì sorridendomi e guardandomi
con i suoi grandi occhi nocciola contornati da leggere linee di
espressione. Quella sua tipica aria dolce mi faceva sentire al
sicuro, libera di dire qualsiasi cosa senza la paura di essere
giudicata, eppure dentro di me non ero ancora del tutto convinta di
parlare di me e della mia vita. Alla fine, però, decisi di
buttarmi
come al solito.
- All'inizio mi
sembrava che sarebbe stato
abbastanza facile integrarmi nella nuova scuola, invece
quell'istituto è pieno di gente matta - dissi cominciando a
gesticolare guardando Caroline in faccia. A volte distoglievo
l'attenzione su di lei guardando altrove, poi ritornavo al suo
volto.
- In una scuola
d'arte non mi sembra strano che ci
siano
studenti particolari - espresse la sua opinione la donna e in quel
momento ci interruppe un cameriere chiedendoci cosa volessimo
ordinare. Io scelsi un cappuccino, Caroline preferì un
caffè
macchiato e una brioche alla crema.
- Alcuni sono
più che
particolari - ripresi il discorso quando il cameriere si
allontanò
dal nostro tavolo e Caroline mi guardò storta, senza capire.
-
Spiegami - mi incitò la donna. Gettai un respiro pensando
che stavo
per parlare di tre persone spesso presenti nella mia testa in quel
periodo: Stacie, Victor e Valentin. Sperai di non pentirmene in
futuro.
- Ho fatto
amicizia con una ragazza del terzo anno
che si
chiama Stacie e dirige il giornalino scolastico - cominciai a
raccontare. - Ma mi sto ricredendo in lei - dissi con un tocco di
delusione in voce.
-
Perchè?
- Sa parlare
solo di
pettegolezzi, del suo giornale e vuole pubblicare qualcosa su di me a
tutti i costi, anche se io le ho detto più volte di lasciar
perdere
- continuai con il mio racconto e Caroline sembrava presa dal mio
discorso. Mi faceva piacere vedere che le interessava davvero
ascoltarmi.
- Che
prepotente! - esclamò lei. - Cosa
vorrebbe
scrivere di te di tanto urgente? - mi chiese infine curiosa.
-
Vuole far credere a tutti che io ed un ragazzo potremmo essere una
coppia, ma è una cosa così assurda!
- Chi
è questo tipo? - mi
chiese Caroline, sempre più presa.
- Si chiama
Valentin, è un
finlandese del quinto anno con un oscuro carattere, dicono - risposi
introducendo un nuovo personaggio nel nostro dialogo.
- E
perché
tu e lui potreste essere una coppia? C'è qualcosa tra voi?
-
Assolutamente no! - esclamai, convinta, ma il mio petto
cominciò ad
animarsi. - Insomma, non è proprio il mio genere di ragazzo
- dissi
calmando un poco il mio tono di voce. - E poi penso ancora al mio ex
- aggiunsi infine, proponendomi successivamente la forma del sorriso
di Andrew davanti agli occhi. Sospirai per la mancanza di lui che
sentivo, ma non volli pensarci troppo.
- Penso a troppe
persone
ultimamente - dissi riprendendo a parlare. - Tra cui c'è
anche
Victor, un ragazzo a cui piaccio e che mi assilla ogni giorno! - feci
finalmente il nome della terza persona che mi toccava sopportare a
scuola in quel periodo.
- Ti assilla? -
ripeté Caroline le mie
ultime parole sotto forma di domanda.
- Sì,
tutti i giorni mi
chiede se voglio uscire con lui e mi saluta più di due volte
a
mattina!
- Oh mamma...
- E poi qualcosa
mi dice che piaccio
anche a Valentin, come sostengono Stacie e i suoi colleghi
giornalisti - dissi arricchendo di gossip le mie rivelazioni, ma ero
soltanto confusa nei miei pensieri un'altra volta.
- Vedo che fai
conquiste in poco tempo, tu - osservò Caroline guardandomi
con
malizia, ma io scoppiai a ridere ironicamente.
- Ma cosa ci
trovano in me? Sono solo una ragazza normale che si veste nel modo
più semplice del mondo, sono chiusa in me stessa e
ultimamente
rispondo male a chiunque - feci l'elenco delle caratteristiche del
mio modo d'essere non perfetto, a mio parere.
-
Però sei
bellissima - mi fece notare la donna ed io arrossii, anche se non
condividevo la sua opinione. Per me una ragazza bionda e con gli
occhi azzurri non è mai stata sinonimo di bellezza. Chiunque
può
essere bello, ma io non mi ci sentivo spesso. In me prevalevano le
insicurezze e a volte mi dimenticavo di ciò che ero io
fuori. Non ho
mai dato troppa importanza all'aspetto esteriore di qualcuno o di
qualcosa.
Dopo qualche breve minuto, un cappuccino, un caffè
macchiato e una brioche alla crema giunsero al nostro tavolo e il
loro dolce profumo mi inebriò le narici. Ci volevano proprio
quelle
piccole coccole. Avvolsi la tazza calda con le mani e vi soffiai
dentro per raffreddare il cappuccino, poi ne bevvi un piccolo sorso.
In quel momento, vidi da dietro la vetrina la ragazza rossa della
scuola che beccavo qualche volta a fissarmi nei corridoi. Era con due
amiche che non avevo mai visto prima e tutte e tre le ragazze
avanzavano ridendo tra loro verso il bar. Sperai che fossero solo di
passaggio e che una volta essere giunte di fronte alla caffetteria
fossero andate oltre, invece sgranai gli occhi appena vidi Gwen
spingere la porta in vetro. Suonò il campanellino sopra di
essa,
come quando io e Caroline entrammo poco prima.
- Oh, no - dissi
a
bassa voce mettendomi una mano sulla faccia e strizzando gli occhi.
-
Che c'è? - mi chiese Caroline aggrottando la fronte.
Avevo
dimenticato che anche Gwen rientrava in quel gruppo di persone che si
divertivano ad affollare la mia mente. I suoi sguardi a scuola mi
mettevano a disagio e non mi andava di essere fissata da lei anche
quel pomeriggio al bar.
Con una mano feci segno a Caroline di
avvicinarsi ed io mi chinai leggermente sul tavolo stando ben attenta
a non urtare la tazza di cappuccino.
- Quella ragazza
rossa che è
appena entrata frequenta la mia stessa scuola - bisbigliai alla donna
e lei si girò verso Gwen per guardarla. Mi risistemai con la
schiena
dritta sulla sedia e continuai a bere adagio il liquido caldo.
-
Anche lei è una di quelle persone che tu definisci
"particolari"?
Annuii a quella
domanda di Caroline e lei
continuò a squadrarla mentre la rossa si sedette ad un
tavolo con le
sue amiche.
- Bello stile! -
esclamò a bassa voce. -
Ma che ha di
strano, a parte il look? - mi chiese infine notando il suo capello
nero a tesa larga, la giacca di pelle color prugna, la maglietta di
una band a me sconosciuta, la gonna corta a vita alta, le calze scure
e un paio di scarpe nere dalla suola imponente.
Mi voltai verso
Gwen e, come a scuola, la beccai fissarmi. Bene, si era accorta della
mia presenza. Sbuffai quando riportai lo sguardo su Caroline.
- Mi
fissa, come adesso - risposi alla sua domanda e lei le
lanciò
un'altra occhiata.
- Credo che stia
parlando di te con le sue
amiche - mi disse indicando le tre ragazze con un pollice mentre
masticava un boccone di brioche. Una goccia di crema le
macchiò il
mento e lei si ripulì con un tovagliolo.
Mi voltai nuovamente
verso Gwen e notai che anche le altre due, una mora e una bionda, mi
lanciavano occhiate mentre condividevano qualche commento. Ma cosa
avranno avuto di tanto importante da commentare? Cosa stava dicendo
Gwen a loro?
- Non capisco
cosa voglia da me, quella rossa -
dissi
scuotendo la testa.
- Secondo me
è invidiosa!
- Di cosa? -
chiesi ridacchiando.- Semmai sono io che dovrei invidiare lei! -
esclamai considerando il suo look unico e da ammirare.
- Ma per
favore, Ellie – Caroline mi prese per una scema. - Quella
ragazza
avrà sicuramente qualcosa contro di te - mi
suggerì la
donna.
Q
ualcosa contro
di me? Non riuscivo a capire, ma ad
un
tratto mi tornò in testa quella scena in cui chiesi a Stacie
chi
fosse quella ragazza e lei mi disse che non solo era in classe con
Valentin Virtanen, ma che era persino una sua ex.
- Forse ho
capito - dissi collegando le notizie con i fatti. - Non credo che sia
invidiosa di me, più che altro penso che sia gelosa!
-
Perché?
-
Poco fa ti ho nominato Valentin, il ragazzo dall'oscuro carattere -
dissi rimettendo nel discorso Virtanen. - Sai, lui e Gwen, la rossa,
sono stati insieme - rivelai a Caroline e lei sorrise
maliziosamente.
- Ah beh, ora si
capisce tutto!
Mi misi a
ridere portando una mano sulla bocca, ma non ero poi così
sicura che
Gwen fosse gelosa del fatto che Valentin, apparentemente, mi corresse
dietro. Non ero sicura di nulla, mi basavo solo su ipotesi ed
incertezze, come sempre, ma se ci avessi visto bene quella volta?
Volevo tanto esserne convinta.
Fu davvero un pomeriggio strano,
quello. Insolito, ma piacevole. Non avrei mai creduto che parlare
apertamente con Caroline mi facesse sentire bene, eppure quel giorno
dovetti ricredermi. Lei aveva quella grande capacità di far
sentire
a proprio agio le persone. Per un paio d'ore la sentii come un'amica.
E
pensare che la prima volta che la vidi avevo paura di lei!
Durante
il tragitto a piedi, dopo aver abbandonato il bar sotto gli occhi di
Gwen e delle sue amiche, Caroline volle parlare di mio padre, ma io
non mi soffermai a lungo sull'argomento. Mi irritava ancora pensare a
lui e parlare del mio trasferimento a Londra. Dissi che abituarmi al
nuovo ambiente era ancora un po' faticoso per me e che mi mancavano
molto i miei amici. Ammisi che mi mancava anche litigare con mamma,
per poi fare pace con una sera in pizzeria o sul divano con del sushi
ordinato al negozio in fondo alla strada.
Vedere mamma e gli amici
animarsi sullo schermo del mio computer mi rattristava ogni volta, ma
Caroline mi ricordò che la mia permanenza in Inghilterra,
anche se
dopo molto tempo, avrebbe avuto comunque una fine.
Una
fine che io, giorno dopo giorno, attendevo sempre con più
impazienza.
Durante la camminata verso casa, il mio buon umore
diminuì gradualmente ad ogni passo che feci. Un po' per i
ricordi e
un po' per il pensiero che, una volta arrivata in camera, avrei
dovuto cominciare a studiare.
*
* *
Quando Valentin incrociò per la prima volta il mio sguardo a
pranzo, mi stranii nel vederlo guardarmi con quell'espressione
così dura e cupa, come se gli avessi fatto o detto qualcosa
di sbagliato che io non ricordavo. Riprese a leggere il suo libro dalla
copertina verde e morse la mela rossa del giorno, eppure lui stesso mi
aveva invitato a salutarlo il dì precedente.
Perché era lui, quella volta, a non scuotere la mano o a
mimarmi con le labbra un piccolo "ciao"?
- Oggi Valentin
è incazzato, a quanto
pare - disse Stacie masticando una forchettata di pasta. - Piede
tamburellato senza sosta a terra, sguardo spento, bocca
serrata… - elencò le caratteristiche del ragazzo
osservandolo mentre leggeva al suo tavolo. Solo, come ogni giorno.
Chissà con chi ce l'avesse, mi chiesi. Pensai addirittura
che fosse arrabbiato con me, ma non sapevo per quale motivo.
- Cosa
sarà successo secondo te? -
chiesi alla piccola giornalista.
- Non saprei,
quel ragazzo è
così lunatico che cambia umore quando meno te l'aspetti - mi
rispose lei. - E non si sa quasi mai cosa gli passa per la testa -
aggiunse infine, ed io tornai a fissare Valentin. Per quanto volessi
stargli alla larga, allo stesso tempo tendevo sempre ad appiccicare i
miei occhi su di lui. Vederlo così cupo ed agitato mi
rendeva ansiosa e preoccupata; due o tre volte interruppe la sua
lettura per lanciarmi uno sguardo né salutandomi
né sorridendomi. Rimaneva impassibile, bloccato per un paio
di secondi a trafiggermi il petto con i suoi occhi verdi per poi
continuare a leggere. Non capivo. Mi stava forse mettendo alla prova?
Avrei dovuto salutarlo io per prima? Per quanto fossi un pò
tentata a farlo, decisi di non salutarlo e di fallire quella presunta
prova. Magari mi sbagliavo, non esisteva nessun esperimento. Valentin
era arrabbiato per motivi solo a lui conosciuti, io non c'entravo
niente. O almeno, era quello che mi conveniva pensare.
- Mi guarda male
e non capisco perché -
mi lamentai.
- Non preoccuparti, quando ha la luna storta guarda male tutti - cercò di tranquillizzarmi Stacie, ma non ci riuscì del tutto. Una parte di me era sempre convinta che dietro a quello strano comportamento di Valentin ci fossi io. Ad un tratto, notai che lui si alzò prima della campanella di fine pranzo, buttò ciò che rimase della mela in un cestino ed uscì dalla mensa con il suo libro sottobraccio e una mano intenta a prendere il pacchetto di sigarette dalla tasca della sua giacca. Trovavo curioso il fatto che indossasse la giacca durante la pausa pranzo, come se nascondesse qualcosa di prezioso dentro le sue tasche. Forse il tesoro erano proprio le sigarette.
Sperai che andasse a fumare in cortile e non dentro la scuola, altrimenti qualche professore l'avrebbe rimproverato com'era successo il primo giorno di scuola. Non volevo che si creasse un trambusto come quella volta.
*
* *
- Ehi Ellie, ho cominciato a scriverti la poesia! - mi
annunciò Victor con euforia quando suonò l'ultima
campanella della giornata. Stavo riponendo le matite colorate
nell'astuccio e il mio disegno in una cartelletta di plastica.
- Bene, ma spero
che non abbia una fine - gli
risposi acidamente come, ormai, mi stavo abituando a fare.
- Oh che dolce,
ne vuoi una che sia interminabile?
- No, una che
possa essere interrotta e mai
più scritta - lo corressi e finii di preparare tutto per
uscire dalla classe e andare in macchina, ma Victor mi si
piazzò davanti.
- Detesto quando
mi rispondi male - mi disse lui,
ma io lo scansai e mi diressi verso la porta.
- Io invece
detesto quando mi parli, ciao! - lo
liquidai in quel modo. Per fortuna, Vic mi lasciò andare e
ringraziai il cielo per quello. Di tanto in tanto, mi voltavo per
vedere se Victor era dietro di me, ma ogni volta non lo vedevo.
Menomale.
Arrivata alla mia macchina, mi guardai intorno. Non ero più
in cerca di Victor, ma di Valentin. Avevo la curiosità di
sapere dove fosse. La sua macchina era ancora parcheggiata al solito
posto, ma lui non c'era, così postai lo sguardo sull'entrata
della scuola e fu lì che vidi Valentin fumare una sigaretta,
la quinta o addirittura la sesta del giorno, probabilmente.
Mi appoggiai con un fianco sulla mia macchina e presi il cellulare
dalla tasca dei jeans per far finta di scrivere un messaggio. In
realtà stavo studiando il comportamento di quello strano
ragazzo che, giorno dopo giorno, nonostante la mia volontà
di stargli lontano, mi incuriosiva sempre di più. Muovevo il
pollice sullo schermo del telefonino per imitare la digitazione di un
testo e, di tanto in tanto, lanciavo occhiate a Valentin. Stava
poggiato con la schiena sul muro grigio, una mano in tasca e una che
portava la sigaretta alla bocca. Il suo sguardo scrutava il cielo, come
se stesse cercando qualcosa tra le nuvole, poi si abbassò al
suolo, a fissare qualche sasso o qualche esile filo d'erba che cresceva
tra gli spazi che dividevano le mattonelle in pietra.
Mi sentii cadere lo stomaco in un vuoto quando Valentin si accorse di
me. I suoi occhi mi facevano sempre lo stesso effetto e lo detestavo.
Esigevo più autocontrollo da me stessa, ma a volte mi era
difficile tenere ben salde le redini.
E Valentin mi guardò due, tre e quattro volte, tutte senza salutarmi o farmi qualche cenno.
Continuavo
a non capire. Fu in quel momento che feci una delle mie stupidaggini
più grandi di tutta la mia vita: quando Valentin mi
guardò ancora
una volta, pensando che ormai avesse capito che il cellulare nelle
mie mani fosse tutta una copertura, io alzai una mano per salutarlo e
gli sorrisi.
Quando lui, anziché ricambiare il mio saluto, si
staccò dal muro e camminò verso la sua macchina,
io riabbassai la
mano vergognandomi. Cosa avevo fatto? Salutarlo, da quel che capii,
fu un grandissimo sbaglio, eppure io non ci vedevo nulla di male in
un “ciao”.
- E' inutile che
lo saluti, quando è
incazzato non
caga mai nessuno - sentii una voce femminile e intuii che, chiunque
avesse appena parlato, si stesse riferendo a me. Mi voltai alla mia
destra e vidi Gwen a due metri dal mio corpo. Deglutii non appena la
riconobbi.
- La mia
intenzione non era quella di disturbarlo,
anzi
- dissi riponendo il cellulare nella tasca dei jeans.
-
Tranquilla, prima o poi ti rivolgerà comunque la parola - mi
garantì
Gwen sorridendomi. Le sue labbra rosse a carnose erano ancora
più
belle quando lei sorrideva.
- Può
anche non parlarmi, non mi
faccio problemi - risposi mettendomi in posizione eretta staccandomi
dalla macchina. - Volevo solo salutarlo, dato che ieri mi ha detto
che gli farebbe piacere un mio saluto.
A quella frase, Gwen
ridacchiò divertita e si portò una ciocca di
capelli dietro un
orecchio.
- E' sempre il
solito - disse lei. - Prima fa il
carino
e il giorno dopo fa come se non esistessi, è tipico di lui -
continuò Gwen a parlarmi di Valentin.
-
Perché fa così? - le
chiesi, curiosa, sicura che lei mi avrebbe risposto.
- Se
riuscirai a farci amicizia, te lo dirà direttamente lui - mi
suggerì
la rossa facendomi rimanere nel mistero. Piegai la testa da un lato e
aggrottai le sopracciglia.
- Tu lo sai,
vero ?- le chiesi.
-
Conosco Valentin molto bene, ma è meglio se non ti racconto
altro -
disse Gwen incrociando le braccia al petto. - Non mi piace dire in
giro fatti personali di altra gente, lo trovo scorretto - mi
confessò
ed io le diedi ragione nonostante volessi conoscere il motivo per cui
Valentin avesse quel comportamento.
- Capisco,
allora non insisto
- mi arresi.
- Comunque io
sono Gwen - si presentò
lei porgendomi
una mano dalle dita piene di anelli ed io la strinsi.
- Lo so, me
l'ha detto Stacie Peters.
- Anch'io so
come ti chiami, ma pensavo
che presentarsi fosse più formale che conoscersi attraverso
altra
gente - mi disse lei con un altro dei suoi teneri sorrisi.
Pensai
che quella ragazza fosse di un'educazione esemplare e faceva piacere
avere davanti una persona così controllata e di buone
maniere.
-
Lo trovo giusto - concordai il suo parere e le nostri mani si
staccarono.
- Comunque ti do un consiglio, stai attenta a Stacie
Peters - mi avvertì agitando un dito in aria.
-
Perché dovrei? -
chiesi, preoccupata.
- Farebbe di
tutto per trovare un grande
scoop per il giornale, non raccontarle niente di te - mi
consigliò
infine indietreggiando di qualche passo.
-
Farò attenzione - le
assicurai. - Grazie.
- Non dirle che ti ho parlato, altrimenti scrive anche questo sul giornale - scherzò Gwen ridendo e mi contagiò con la sua risata.
La ragazza tirò fuori dalla tasca della giacca di pelle un pacchetto di sigarette, ne sfilò una e l'accese.
- Ne vuoi una anche tu? Ho il pacchetto pieno - mi offrì Gwen, ma io scossi la testa.
- No grazie, non fumo.
- Ah, capisco - annuì lei e ripose l'accendino in tasca. - Indovina chi mi ha fatto cominciare?
Non
mi ci volle molto per capire, poiché il suo sorriso amaro
seppe
parlare da solo. Sorrisi anch'io quando intuii che stesse parlando di
Valentin e in un lampo mi tornò in mente quella volta che
cercò di
far cominciare anche me; infine mi salutò ed io la ricambiai
con un
cenno di mano.
Non credevo che Gwen fosse simpatica. O almeno,
quella era l'impressione che mi dette in quel momento. Avrei dovuto
dirle e chiederle altre cose, ad esempio: perché mi fissava
ogni
volta che capitavamo nello stesso corridoio? Cosa disse alle sue
amiche il pomeriggio precedente al bar?
Se
non fosse stato per Valentin e per la mia curiosità di
sapere
qualcosa su di lui, quelle domande mi sarebbero sicuramente uscite di
bocca.
E Stacie? Era davvero così incontenibile in fatto di
gossip e notizie interessanti? Un po' l'avevo notato anch'io, ma dopo
l'avvertimento di Gwen decisi di stare più attenta e di non
confidarmi più con la piccola giornalista. Sapevo
già che rischiavo
di finire sul primo numero del giornale che sarebbe uscito ad ottobre
e non volevo peggiorare le cose.
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I'M STILL ALIVE!
Buondì a tutti, scusate la mia lunga assenza ma tra feste e robe varie non ho più avuto l'occasione di postare il nuovo capitolo, ma finalmente eccolo qui.
Questo episodio è incentrato su Gwen e finalmente la vediamo in azione. E' un po' misteriosa, non trovate? Nasconde tanti segreti e se siete curiosi di scoprirli, bé... non vi resta che attendere i nuovi capitoli ;)
Per Ellie è un periodo piuttosto incasinato, come vi avevo anticipato la scorsa volta. Intorno a lei ronzano un po' di persone, ognuna di loro con qualcosa che più in là vi stupirà. Pareri su Vic, Val, Gwen e altri personaggi?
Vi ringrazio per essere arrivati fin qua, ci saranno tantiiissime altre cose da scoprire, sia belle che brutte, perciò... STAY TUNED.
Kisses and heartgrams,
Julie Darkeh.