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Autore: Mala Mela    29/05/2009    7 recensioni
“Se qualcosa può andar male, con il mio aiuto lo farà”.
Questa semplice massima è una costante nella vita di Charlie, ma non solo.
Perché quando una ne pensi e un miliardo ne fai, quando sogni una brillante carriera di batterista –oltre che di incontrastata Signora del Male-, quando la tua propensione alla matematica è pari allo zero e quando hai al tuo fianco una sorella maggiore da coinvolgere in astrusi pianti autodistruttivi, un cugino degenere, una band di musicisti scalcinati, un inquietante genio della matematica e un essere inutile e abbietto all’ennesima potenza…
Beh, è difficile che la tua vita continui a scorrere serena e tranquilla.
No, non è il giudizio finale: è solo la Legge di Charlie!
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Tenere fuori dalla portata dei bambini, non somministrare al di sotto dei sei anni, prima della lettura consultare un medico

Tenere fuori dalla portata dei bambini, non somministrare al di sotto dei sei anni, prima della lettura consultare un medico.

 

 

La Legge di Charlie

“se qualcosa può andar male, con il mio aiuto lo farà

 

 

 

 

 

1. Di fumetti intoccabili, malvagi parenti e cene mortali

 

 

Con precisione quasi chirurgica ripongo il volume trentanove tra il numero trentotto e il numero quaranta, poi controllo che sul ripiano siano stipati esclusivamente le ultime serie edite dalla X-Comics, infine mi allontano con un sorriso soddisfatto.

Piena di orgoglio e totalmente appagata ammiro le due librerie contenenti i miei manga, ordinati rispettivamente per casa editrice, serie e numero: uno spettacolo che non mi stancherei mai di osservare!

Non posso fare a meno di complimentarmi con me stessa, ignorando il resto della stanza, dove regna il caos primordiale. Non importa che la sedia della mia scrivania sia ricoperta da tutti i vestiti che ho indossato negli ultimi tre mesi o che dal mio zaino provenga un odore non propriamente salubre (probabilmente imputabile alla merendina senza confezione che vaga sul fondo da qualche settimana), ma finché i miei fumetti sono in perfetto ordine, io mi sento in pace con il mondo.

« Charlie! » un urlo belluino raggiunge le mie orecchie, sconvolgendo in un istante la mia calma interiore.

« Che vuoi? » biascico, lasciandomi andare stancamente sul letto, rimpiangendo la serenità di poco fa.

Con pochi, pesanti passi l’autrice del soave grido fa la sua apparizione in camera, fiondandosi verso le mie librerie.

Nel mio cervello comincia a lampeggiare furiosamente un cartello con la scritta “Allarme rosso!” a caratteri cubitali.

« Hai visto in giro il segnalibro che mi ha regalato Eric? » mi chiede impaziente, mentre scruta torva i miei manga. « Lo stavi usando l’altro ieri, mentre leggevi Tsu... Tsu  insomma, leggevi una di queste cose ».

Non faccio a tempo a rispondere, che la sciagurata in questione comincia a prendere i miei amati volumetti e a scagliarli uno ad uno a terra, mentre io assumo la posa dell’Urlo di Much per gridare: « Christine!! ».

« Che tu sia maledetta! » aggiungo aggredendola anche fisicamente. « Fermati o ti uccido! » sbraito, mentre la trascino a terra e rotoliamo entrambe per qualche metro sulla moquette verde. Finiamo per cozzare contro l’armadio, infine decido di risparmiare la sua inutile vita e tolgo le mie mani dal suo collo.

« Come hai osato? » sibilo guardandola con cattiveria.

« Non ti sembra di esagerare? Sono solo dei fumetti ».

Come-cosa-come?

« Eh?! No! » esclamo oltraggiata.

Christine annuisce con convinzione, rialzandosi.

« Sì. E se proprio vogliamo indagare, la colpa è tua: se non avessi preso il mio segnalibro… ».

« Il tuo stupido segnalibro ».

« …che era nei tuoi stupidi fumetti! ».

« No è vero! ».

« Ma ieri era lì! ».

« Ma ora no! ».

« Perché l’hai perso, come fai con qualsiasi cosa ».

« Tanto Eric era un deficiente… ».

« Questo che c’entra? ».

« Per la proprietà transitiva dei regali, il regalo di un deficiente è un regalo deficiente » concludo saccente, correndo a mettere in salvo i miei preziosi manga.

Christine sbatte i suoi occhioni verdi e incrocia le braccia nella mia direzione.

« Come fa un segnalibro ad essere deficiente? ».

« Questo io non lo so, potresti chiedere delucidazioni al tuo stupido ex-ragazzo, nonché fautore del regalo ».

« Oh, lo faro… quando riuscirò a stare in sua presenza senza sentire il bisogno di strozzarlo ».

Cerco di rispondere per le rime, ma la voce di mia madre che ci chiama dal salotto segna il time-out. Avete appena assistito ad una pregevole scena di amore fraterno.

 

Chris ed io abbiamo spesso opinioni diametralmente differenti, ragioniamo in modi differenti e, soprattutto, agiamo in modi differenti.

Non si direbbe affatto che siamo sorelle, ma nemmeno cugine di secondo grado se è per questo; sta di fatto che abbiamo in comune molto più di quanto sembri. Buona parte del patrimonio genetico, ad esempio.

A proposito di patrimonio genetico, c’è parecchia con cui mi scoccia dividere anche solo una minima parte delle molecole del mio DNA, e a questo si ricollega il discorsetto che nostra madre vuole –presumibilmente- propinarci.

La zia Ellie ha quattro anni più di lei ma sembra più giovane, miracolo che sembra dovuto, come sostengono certe malelingue identificabili con me e Chris, ai numerosi interventi chirurgici ad opera del marito, Zio Marcus.

Lui è appunto un chirurgo estetico e grazie al suo lavoro può permettersi una villa degna di “the O.C.” e vacanze da urlo, mentre papà è un semplice cuoco, noi viviamo in una banale villetta a schiera nel Surrey e ogni estate andiamo nella vecchia casa dei nonni, a Widecombe.

Se a tutto ciò aggiungiamo Arthur, il figlio modello di Zia Ellie, il quadro è finalmente completo: apparentemente perfetto sotto ogni aspetto, è l’ asso della squadra di basket alla Esher Church of Englad High School.

Inspiegabilmente si dimenticano sempre di ricordare che, nonostante la prestanza nello sport, il caro Artie è stato bocciato per due anni di seguito, grazie al suo cervello subnormale. Cosa di poco conto, comunque.

Per quanto mi riguarda potrei vincere il premio per la studentessa meno matematicamente dotata, mentre Chris un riconoscimento per i peggiori ex-fidanzati al mondo. Non c’è storia, mi capite?

Comunque sia, una volta al mese questa simpatica combriccola si unisce a noi per la cena del Venerdì, ammorbandoci per più di due ore con la loro molesta presenza.

« …mi raccomando, trattate bene Arthur, evitate di fare battute sugli zigomi di zia Ellie o sulla sua abbronzatura arancione… ».

Come al solito le parole di mamma raggiungono le mie orecchie in modo ovattato, mentre io fisso con sguardo vuoto un punto imprecisato al di sopra della sua spalla destra. Malgrado i suoi avvertimenti, finirà come tutte le altre sere: gli zii arriveranno attorno alle venti, io e Chris apriremo la porta esibendoci in un sorriso di plexiglass, infine arriverà lei che guardando Artie gli dirà sconvolta “ma quanto sei cresciuto!”.

Ora, sinceramente. Arthur ha diciotto anni, ha passato da un po’ l’età dello sviluppo… di quanto diavolo può essere cresciuto in un mese? Cos’è, un essere umano o una piantina di fagioli magici? Oppure gli zii lo innaffiano con uno speciale concime chimico? In tal caso me ne procurerò almeno un ettolitro.

Non so, qualcosa mi dice che le mie domande non troveranno mai risposta.

Papà dal canto suo non coglie a fondo le problematiche che queste cene scatenano all’interno della famiglia: si limita a sedere a tavola con espressione gioviale ma vagamente apatica ed annuisce ogni volta che mamma lo coinvolge in un discorso; in realtà tutti sappiamo che sta pensando alle prossime partite dell’Arsenal o si sta chiedendo se il sugo del brasato è abbastanza speziato. Se fosse per lui rinuncerebbe al suo unico giorno libero pur di evitare questa ricorrenza forzata, ma alla fine accetta ogni cosa in modo abbastanza passivo.

« …e cercate di sorridere un po’, per favore! » la particolare enfasi che mamma pone su quest’ultima frase, seguita da un eloquente silenzio, mi fa capire che il discorso è terminato. Christine ed io annuiamo convinte, quando il campanello ci fa sobbalzare.

Sono arrivati: che la fine abbia inizio.

 

La prima ad entrare in casa è la zia Ellie; il rumore dei suoi tacchi risuona nell’ingresso mentre ci raggiunge per salutarci.

Quando si china su di me per baciarmi le guance, posso vedere chiaramente ogni muscolo del suo volto paralizzato dal botox. Ah, i miracoli della medicina estetica!

« Ciao zia » mormora Chris, facendo altrettanto. Nel frattempo arrivato anche lo zio e l’adorato Artie, con facce tutt’altro che sorridenti, ma dubito che la tossina botulinica c’entri qualcosa.

« Arthur, ma quanto sei cresciuto! » esclama mamma, correndo ad abbracciare il nipote.

Che vi avevo detto?.

Lui borbotta qualcosa di simile a un “ciao” nella nostra direzione, poi segue mamma e gli zii nella sala da pranzo. In quello stesso istante Christine mi lancia lo sguardo. Lo sguardo con l’articolo determinativo, lo sguardo che dice “sta-succedendo-qualcosa-e-noi-dobbiamo-assolutamente-scoprire-cosa”, lo sguardo che da solo può capovolgere le sorti di questa serata.

Ovviamente la ignoro.

Sono ben consapevole che Chris, in quanto mia sorella maggiore di ben due anni, è anche presumibilmente più saggia e io, piccola e ingenua come sono, dovrei darle sempre retta; ma questo non è il caso.

Cogliere lo sguardo significherebbe illudersi che questa cena possa diventare anche solo minimamente interessante, ma non credo di poter reggere la delusione che ne deriverebbe se così non fosse. Ergo mi dirigo anch’io nell’altra stanza, ansiosa di affogare i miei problemi nel succo d’arancia.

In un attimo mi accorgo che gli zii sono seduti ai capi opposti del tavolo, silenziosi come non mai, mentre Art fissa il proprio piatto –vuoto- con espressione annoiata.

Ecco, in questo preciso istante mi pento di non aver risposto allo sguardo.

Quando mamma porta in tavola il pollo arrosto, i nostri ospiti non hanno ancora spiccicato una parola, e questo è relativamente un bene. Generalmente quando gli zii e Art si dimostrano poco loquaci non posso che definirmi contenta, ma questo non accade quasi mai.

Sento che il caro, vecchio cartello con scritto “allarme rosso” si illuminerà a breve, complice la poderosa gomitata che Christine mi ha rifilato di nascosto.

« Allora, com’è stato il week-end a Dover? » chiede papà, stranamente ciarliero.

Il resto accade in una frazione di secondo, come in una di quelle stupide sit-com che trasmettono in replica la domenica mattina. Ed è il caos.

Se dovessi rivedere il tutto a rallentatore, sono certa che la scena inizierebbe con un primo piano di Art che rotea gli occhi con esasperante lentezza, seguito dallo zio che sbatte il bicchiere sul tavolo facendolo tremare. Successivamente uno zoom sulle labbra gonfie e lucide di zia Ellie scandiscono la palora “orribile”, mentre quelle dello zio esclamano “voglio il divorzio, brutta gallina!”; infine ci sarebbe nuovamente un’inquadratura di Art che si porta entrambe le mani alle tempie e fa training autogeno per non compiere un parenticidio.

Mentre Chris, io, mamma e papà rimaniamo con gli occhi sgranati, quasi immobili, visto che per nessuna ragione al mondo smetterei di masticare i miei salatini.

« Non ne voglio parlare davanti a tutti! » gracida zia Ellie, artigliando la tovaglia con le unghie laccate.

« Vorrà dire che ne parleremo davanti ai nostri avvocati » ribatte lo zio, sporgendosi oltre il proprio piatto. « Non ti sopporto più. Se ti fai tirare ancora un po’ la faccia, il giorno che smetterai di sorridere ti si aprirà uno squarcio nella nuca! ».

Oh mio Dio. Con tutto il rispetto per la drammaticità della situazione, ma questa immagine è decisamente disgustosa. Lo giuro, è l’ultima volta che ignoro lo sguardo.

« Charlie… Christine… » balbetta mamma, visibilmente a disagio. « Che ne dite di andare in camera? Magari viene anche Arthur e ordinate una pizza, ok? ».

Io faccio per rispondere che no, per nulla al mondo mi vorrei perdere uno spettacolo come gli zii che litigano, ma Chris mi afferra per un braccio e mi trascina verso le scale prima che io possa emettere un solo suono. Lo sapevo, gli adulti si vogliono sempre godere tutto il divertimento da soli.

Anche Art si alza, apatico, e ci segue senza fare storie.

La cosa buffa di casa nostra è che, pur di avere una bella stanza per gli ospiti, mamma costringe mia sorella e me a dormire nella stessa camera, ricavata dalla vecchia mansarda. Ok, è spaziosa e non mi posso lamentare, ma avete presente di quanti scalini devo salire ogni volta che dimentico qualcosa? Non è per nulla comodo.

Comunque sia, per una volta il tragitto salotto-camera si rivela utile: riesco finalmente a ricambiare lo sguardo e a sentire la voce di Chris che ringhia: “riunione strategica! Ora!”.

Finalmente saliamo anche l’ultima rampa di scale e la nostra stanza si rivela all’occhio dell’indesiderato visitatore.

« Che schifo » si limita a commentare Arthur, a mezza voce, lasciandosi andare pigramente sulla mia poltrona rossa (sono una persona piuttosto possessiva).

« Spero tu ti stia riferendo alla situazione e non alla nostra camera » lo avvisa Chris, aggrottando infastidita le sopracciglia.

« La camera, la situazione, questa tremenda poltrona rossa… che differenza fa? » risponde lui, atteggiandosi a filosofo esistenzialista. « Tutto fa schifo, a prescindere ».

« Anche tu! » commento io, contorcendo il volto in una smorfia disgustata e mostrandogli la lingua. « Quindi alzati subito dalla mia bellissima poltrona, prima che la contamini ».

Art non mi riserva altro che uno sguardo sdegnoso, mentre mia sorella mi ricorda la nostra priorità.

« Scusaci se ti abbandoniamo per un istante, ma io e Charlie dobbiamo conferire in privato » dice, indicando la porta dello sgabuzzino delle scope.

« In un ripostiglio? » ci chiede lui, poco convinto.

« È intimo. E insonorizzato. E ha un delizioso profumo di detersivo per pavimenti alla lavanda » lo zittisco, mentre seguo Chris nella nostra base segreta. « Prova anche solo ad origliare ed aprirò la porta di scatto spaccandosi il setto nasale » concludo assottigliando gli occhi. Lo so, forse sto esagerando, dopotutto Art sta passando un momento difficile… ma mi susciterebbe molta più empatia se non fosse tanto insopportabile, ecco. Ho solo sedici anni, non sono mica Gandhi!

 

« Perché non hai risposto allo sguardo? » mi chiede Chris non appena chiudo la porta, dandomi un poderoso pizzicotto.

« Scusa » squittisco, massaggiandomi il livido. « Non volevo illudermi che stesse per accadere qualcosa degno di nota. Ammettilo, è stato un bel diversivo! ».

Chris mi guarda sconvolta.

« Non ti sembrato un simpatico colpo di scena? » ritento, sorridendo come un venditore porta-a-porta. « Oh, andiamo. Queste cene sono sempre una palla, era ora che succedesse qualcosa! ».

Mia sorella mi ignora, assumendo un’espressione a dir poco angosciata.

« Cosa facciamo ora? » mi chiede, preoccupata.

Io strabuzzo gli occhi.

« Noi? Noi non facciamo niente » rispondo. « Restiamo qui ed osserviamo l’evolversi delle vicende, no? ».

« Sì, magari vuoi anche una coca cola e dei pop corn da sgranocchiare nel frattempo » commenta sarcastica, alzando gli occhi al cielo.

« Sai una cosa? Questa è proprio una bella idea » concordo. « Ma se non li troviamo, possiamo sempre scendere e rubare i salatini e il succo d’arancia dalla tavola… ».

« Charlie, sto cercando di avere una conversazione seria con te. Ti sei resa conto di quanto è successo? ».

« Scusami se non riesco a vivere più attivamente i drammatici eventi di questa sera, ma il mio corpo richiede cibo. Ho il cuore di pietra, lo so».

« Come puoi essere così… così… priva di sentimenti? » esclama lei, innervosita.

« Non sono priva di sentimenti » le faccio notare. « Ho fame: la fame è sentimento! ».

« La fame non è un sentimento, scema ».

« Ok, facciamo così » le propongo. « Adesso usciamo da qui, ordiniamo una pizza e ci sorbiamo Art per il resto della serata, poi, quando questo sarà finito e potremo giudicare a mente lucida –e a pancia piena- discuteremo sul da farsi. Anche se non credo che dovremmo intrometterci ».

« Ma Art si sentirà uno schifo… » obbietta Chris. Questa volta è il mio turno di roteare gli occhi.

« Oh beh! Sai quanto volte è lui a far sentire uno schifo noi! ».

Christine finge di ponderare sulla questione, ma alla fine non può che darmi ragione.

« Ok, hai vinto » concorda. « Però niente pizza all’ananas ».

« Devi sempre rovinarmi la festa, vero? ».

Quindi minuti dopo sediamo tutti e tre di fronte ad una pizza peperoncino, acciughe e peperoni, mentre il mio fegato già medita di suicidarsi. Anche qui come in sala da pranzo nessuno parla, e dir il vero la situazione sta diventando imbarazzante.

Chris ha lo stomaco chiuso, fissa la propria fetta dandole solo qualche timido morso, Art invece mangia in silenzio, probabilmente consapevole che, se aprisse la bocca per dire una delle sue solite cavolate, verrebbe immediatamente defenestrato.

Mi sento quasi in colpa mentre macino fetta dopo fetta come un tritasassi ben oliato, ma non è colpa mia se questi due non hanno prontezza di riflessi.

Prima che la pizza sia finita, la soave voce di zia Ellie ci raggiunge e intima al nostro ingrato cugino di scendere. Lui, senza cambiare espressione e dire né a né ba, si alza e se ne va lasciando me e Chris attonite e sconcertate.

 

« Chris, stai dormendo? ».

« Sì ».

« Non è vero! ».

« Ti ho detto che sto dormendo, lasciamo in pace ».

« Come puoi dormire e parlare allo stesso tempo? ».

« Soffro di somniloquio ».

« Stai mentendo ».

« No ».

« Sì ».

« No »

« Sì ».

« Senti Charlie, dimmi cosa vuoi e poi lasciami in pace ».

« Non è vero che non mi importa nulla degli zii e di Art. un po’ mi dispiace, ma solo un po’ ».

« Lo so ».

« Non fare la saccente, io ti sto aprendo il mio cuore ».

« Ti stai sgravando la coscienza, è diverso ».

« Torna a dormire ».

« Lo farei volentieri se solo tu la smettessi di ciarlare ».

« Aspetta, non ho finito ».

« Cosa c’è? ».

« Hai presente il volantino che era appeso nella bacheca della scuola? ».

« Quello che cercava testimoni di guarigione dall’herpes genitale? ».

« Scema ».

« Avanti, dimmi tu quale ».

« Quello in cui si cercava un batterista per una cover band, mi pare ovvio ».

Christine trattiene una risata.

« Vorresti presentarti? »

« Ovvio! Non potrei impegnare il mio sabato mattina in un modo migliore, non trovi? ».

« Se lo dici tu… ».

« E tu mi accompagnerai! ».

« Ma anche no ».

« Tu mi vuoi bene, vero? Sarai il mio supporto morale! ».

« Ok.. può darsi ».

« Bene! ».

« E ora dormi, prima che io cambi idea ».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

_____

Salve, qui è Mala Mela, ovvero l’autrice, che comunica con voi (dall’oltretomba). Come qualcuno (?) avrà capito, La legge di Charlie non è altro che la versione MOLTO riveduta e PARECCHIO corretta di Family Troubles.

Che cosa è cambiato?

Sostanzialmente la trama è differente, ho eliminato qualche personaggio -no, non ho soppresso Sherlock come qualcuno dei miei contatti temeva-, tagliato le parti superflue e via dicendo.

Sperando che questa storia si riveli meno schifida della precedente… beh, commentate, no?

 

 

Mela

 

 

 

   
 
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