Tenere fuori dalla portata dei
bambini, non somministrare al di sotto dei sei anni, prima della lettura
consultare un medico.
“se qualcosa
può andar male, con il mio
aiuto lo farà”
1. Di fumetti intoccabili, malvagi parenti e cene
mortali
Con
precisione quasi chirurgica ripongo il volume trentanove tra il numero
trentotto e il numero quaranta, poi controllo che sul ripiano siano stipati
esclusivamente le ultime serie edite dalla X-Comics,
infine mi allontano con un sorriso soddisfatto.
Piena di
orgoglio e totalmente appagata ammiro le due librerie contenenti i miei manga,
ordinati rispettivamente per casa editrice, serie e numero: uno spettacolo che
non mi stancherei mai di osservare!
Non posso
fare a meno di complimentarmi con me stessa, ignorando il resto della stanza,
dove regna il caos primordiale. Non importa che la sedia della mia scrivania
sia ricoperta da tutti i vestiti che ho indossato negli ultimi tre mesi o che
dal mio zaino provenga un odore non propriamente salubre (probabilmente
imputabile alla merendina senza confezione che vaga sul fondo da qualche
settimana), ma finché i miei fumetti sono in perfetto ordine, io mi
sento in pace con il mondo.
«
Charlie! » un urlo belluino raggiunge le mie
orecchie, sconvolgendo in un istante la mia calma interiore.
«
Che vuoi? » biascico, lasciandomi andare
stancamente sul letto, rimpiangendo la serenità di poco fa.
Con pochi,
pesanti passi l’autrice del soave
grido fa la sua apparizione in camera, fiondandosi verso le mie librerie.
Nel mio
cervello comincia a lampeggiare furiosamente un cartello con la scritta “Allarme
rosso!” a caratteri cubitali.
«
Hai visto in giro il segnalibro che mi ha regalato Eric? »
mi chiede impaziente, mentre scruta torva i miei
manga. « Lo stavi usando l’altro ieri, mentre leggevi Tsu... Tsu… insomma,
leggevi una di queste cose ».
Non faccio
a tempo a rispondere, che la sciagurata in questione comincia a prendere i miei
amati volumetti e a scagliarli uno ad uno a terra, mentre io assumo la posa
dell’Urlo di Much per gridare: «
Christine!! ».
«
Che tu sia maledetta! » aggiungo aggredendola
anche fisicamente. « Fermati o ti uccido! » sbraito, mentre la trascino a terra e rotoliamo
entrambe per qualche metro sulla moquette
verde. Finiamo per cozzare contro l’armadio, infine decido di risparmiare
la sua inutile vita e tolgo le mie mani dal suo collo.
«
Come hai osato? » sibilo guardandola con
cattiveria.
«
Non ti sembra di esagerare? Sono solo dei fumetti ».
Come-cosa-come?
« Eh?! No! » esclamo oltraggiata.
Christine
annuisce con convinzione, rialzandosi.
«
Sì. E se proprio vogliamo indagare, la colpa è tua: se non avessi
preso il mio segnalibro… ».
« Il
tuo stupido segnalibro ».
«
…che era nei tuoi stupidi
fumetti! ».
«
No è vero! ».
«
Ma ieri era lì! ».
«
Ma ora no! ».
«
Perché l’hai perso, come fai con qualsiasi cosa ».
«
Tanto Eric era un deficiente… ».
«
Questo che c’entra? ».
«
Per la proprietà transitiva dei regali, il regalo di un deficiente è un regalo deficiente »
concludo saccente, correndo a mettere in salvo i miei preziosi manga.
Christine
sbatte i suoi occhioni verdi e incrocia le braccia
nella mia direzione.
«
Come fa un segnalibro ad essere deficiente? ».
«
Questo io non lo so, potresti chiedere delucidazioni al tuo stupido ex-ragazzo,
nonché fautore del regalo ».
«
Oh, lo faro… quando riuscirò a stare in
sua presenza senza sentire il bisogno di strozzarlo ».
Cerco di
rispondere per le rime, ma la voce di mia madre che ci chiama dal salotto segna
il time-out. Avete appena assistito
ad una pregevole scena di amore fraterno.
Chris ed
io abbiamo spesso opinioni diametralmente differenti, ragioniamo in modi
differenti e, soprattutto, agiamo in modi differenti.
Non si
direbbe affatto che siamo sorelle, ma nemmeno cugine di secondo grado se
è per questo; sta di fatto che abbiamo in comune molto più di
quanto sembri. Buona parte del patrimonio genetico, ad esempio.
A
proposito di patrimonio genetico, c’è parecchia con cui mi scoccia
dividere anche solo una minima parte delle molecole del mio DNA, e a questo si
ricollega il discorsetto che nostra madre vuole –presumibilmente-
propinarci.
La zia Ellie ha quattro anni più di lei ma sembra
più giovane, miracolo che sembra dovuto, come sostengono certe
malelingue identificabili con me e Chris, ai numerosi interventi chirurgici ad opera del marito, Zio Marcus.
Lui
è appunto un chirurgo estetico e grazie al suo lavoro può
permettersi una villa degna di “the O.C.”
e vacanze da urlo, mentre papà è un semplice cuoco, noi viviamo
in una banale villetta a schiera nel Surrey e ogni
estate andiamo nella vecchia casa dei nonni, a Widecombe.
Se a tutto
ciò aggiungiamo Arthur, il figlio modello di Zia Ellie,
il quadro è finalmente completo: apparentemente perfetto sotto ogni
aspetto, è l’ asso della squadra di
basket alla Esher Church of
Englad High School.
Inspiegabilmente
si dimenticano sempre di ricordare che, nonostante la prestanza nello sport, il
caro Artie è stato bocciato per due anni di
seguito, grazie al suo cervello subnormale. Cosa di poco conto, comunque.
Per quanto
mi riguarda potrei vincere il premio per la studentessa meno matematicamente
dotata, mentre Chris un riconoscimento per i peggiori ex-fidanzati al mondo.
Non c’è storia, mi capite?
Comunque
sia, una volta al mese questa simpatica combriccola si unisce a noi per la cena
del Venerdì, ammorbandoci per più di due ore con la loro molesta presenza.
«
…mi raccomando, trattate bene Arthur, evitate di fare battute sugli
zigomi di zia Ellie o sulla sua abbronzatura
arancione… ».
Come al
solito le parole di mamma raggiungono le mie orecchie in modo ovattato, mentre
io fisso con sguardo vuoto un punto imprecisato al di sopra della sua spalla
destra. Malgrado i suoi avvertimenti, finirà
come tutte le altre sere: gli zii arriveranno attorno alle venti, io e Chris
apriremo la porta esibendoci in un sorriso di plexiglass, infine
arriverà lei che guardando Artie gli
dirà sconvolta “ma quanto sei cresciuto!”.
Ora,
sinceramente. Arthur ha diciotto anni, ha passato da un po’
l’età dello sviluppo… di quanto diavolo può essere
cresciuto in un mese? Cos’è, un essere umano o una piantina di
fagioli magici? Oppure gli zii lo innaffiano con uno speciale concime chimico?
In tal caso me ne procurerò almeno un ettolitro.
Non so,
qualcosa mi dice che le mie domande non troveranno mai risposta.
Papà
dal canto suo non coglie a fondo le problematiche che queste cene scatenano
all’interno della famiglia: si limita a sedere a tavola con espressione
gioviale ma vagamente apatica ed annuisce ogni volta che mamma lo coinvolge in
un discorso; in realtà tutti sappiamo che sta pensando alle prossime
partite dell’Arsenal o si sta chiedendo se il
sugo del brasato è abbastanza speziato. Se fosse per lui rinuncerebbe al
suo unico giorno libero pur di evitare questa ricorrenza forzata, ma alla fine
accetta ogni cosa in modo abbastanza passivo.
«
…e cercate di sorridere un po’, per favore! »
la particolare enfasi che mamma pone su quest’ultima frase, seguita da un
eloquente silenzio, mi fa capire che il discorso è terminato. Christine
ed io annuiamo convinte, quando il campanello ci fa sobbalzare.
Sono
arrivati: che la fine abbia inizio.
La prima
ad entrare in casa è la zia Ellie; il rumore
dei suoi tacchi risuona nell’ingresso mentre ci raggiunge per salutarci.
Quando si
china su di me per baciarmi le guance, posso vedere chiaramente ogni muscolo
del suo volto paralizzato dal botox. Ah, i miracoli
della medicina estetica!
«
Ciao zia » mormora Chris, facendo altrettanto. Nel frattempo arrivato
anche lo zio e l’adorato Artie, con facce
tutt’altro che sorridenti, ma dubito che la tossina botulinica
c’entri qualcosa.
«
Arthur, ma quanto sei cresciuto! » esclama
mamma, correndo ad abbracciare il nipote.
Che vi avevo detto?.
Lui
borbotta qualcosa di simile a un “ciao” nella nostra direzione, poi
segue mamma e gli zii nella sala da pranzo. In quello stesso istante Christine
mi lancia lo sguardo. Lo sguardo con
l’articolo determinativo, lo sguardo che dice “sta-succedendo-qualcosa-e-noi-dobbiamo-assolutamente-scoprire-cosa”,
lo sguardo che da solo può capovolgere le sorti di questa serata.
Ovviamente
la ignoro.
Sono ben
consapevole che Chris, in quanto mia sorella maggiore di ben due anni, è
anche presumibilmente più saggia e io, piccola e ingenua come sono,
dovrei darle sempre retta; ma questo non è il caso.
Cogliere
lo sguardo significherebbe illudersi che questa cena possa diventare anche solo
minimamente interessante, ma non credo di poter reggere la delusione che ne
deriverebbe se così non fosse. Ergo mi dirigo anch’io
nell’altra stanza, ansiosa di affogare i miei problemi nel succo
d’arancia.
In un
attimo mi accorgo che gli zii sono seduti ai capi opposti del tavolo,
silenziosi come non mai, mentre Art fissa il proprio piatto –vuoto- con
espressione annoiata.
Ecco, in
questo preciso istante mi pento di non aver risposto allo sguardo.
Quando
mamma porta in tavola il pollo arrosto, i nostri ospiti non hanno ancora
spiccicato una parola, e questo è relativamente un bene. Generalmente
quando gli zii e Art si dimostrano poco loquaci non posso che definirmi contenta,
ma questo non accade quasi mai.
Sento che
il caro, vecchio cartello con scritto “allarme rosso” si
illuminerà a breve, complice la poderosa gomitata che Christine mi ha
rifilato di nascosto.
«
Allora, com’è stato il week-end a Dover? »
chiede papà, stranamente ciarliero.
Il resto
accade in una frazione di secondo, come in una di quelle stupide sit-com che
trasmettono in replica la domenica mattina. Ed è il caos.
Se dovessi
rivedere il tutto a rallentatore, sono certa che la scena inizierebbe con un
primo piano di Art che rotea gli occhi con esasperante lentezza, seguito dallo
zio che sbatte il bicchiere sul tavolo facendolo tremare. Successivamente uno
zoom sulle labbra gonfie e lucide di zia Ellie
scandiscono la palora “orribile”, mentre
quelle dello zio esclamano “voglio il divorzio, brutta gallina!”;
infine ci sarebbe nuovamente un’inquadratura di Art che si porta entrambe
le mani alle tempie e fa training autogeno per non compiere un parenticidio.
Mentre
Chris, io, mamma e papà rimaniamo con gli occhi sgranati, quasi immobili, visto che per nessuna
ragione al mondo smetterei di masticare i miei salatini.
«
Non ne voglio parlare davanti a tutti! » gracida
zia Ellie, artigliando la tovaglia con le unghie
laccate.
«
Vorrà dire che ne parleremo davanti ai nostri avvocati » ribatte
lo zio, sporgendosi oltre il proprio piatto. «
Non ti sopporto più. Se ti fai tirare ancora un po’ la faccia, il
giorno che smetterai di sorridere ti si aprirà uno squarcio nella nuca!
».
Oh mio
Dio. Con tutto il rispetto per la drammaticità della situazione,
ma questa immagine è decisamente disgustosa. Lo giuro, è
l’ultima volta che ignoro lo
sguardo.
«
Charlie… Christine… » balbetta mamma, visibilmente a disagio.
« Che ne dite di andare in camera? Magari viene
anche Arthur e ordinate una pizza, ok? ».
Io faccio
per rispondere che no, per nulla al mondo mi vorrei perdere uno spettacolo come
gli zii che litigano, ma Chris mi afferra per un braccio e mi trascina verso le
scale prima che io possa emettere un solo suono. Lo sapevo,
gli adulti si vogliono sempre godere tutto il divertimento da soli.
Anche Art
si alza, apatico, e ci segue senza fare storie.
La cosa
buffa di casa nostra è che, pur di avere una bella stanza per gli
ospiti, mamma costringe mia sorella e me a dormire nella
stessa camera, ricavata dalla vecchia mansarda. Ok, è spaziosa e non mi
posso lamentare, ma avete presente di quanti scalini devo salire ogni volta che
dimentico qualcosa? Non è per nulla comodo.
Comunque
sia, per una volta il tragitto salotto-camera si rivela utile: riesco
finalmente a ricambiare lo sguardo e a sentire la voce di Chris che ringhia:
“riunione strategica! Ora!”.
Finalmente
saliamo anche l’ultima rampa di scale e la nostra stanza si rivela
all’occhio dell’indesiderato visitatore.
«
Che schifo » si limita a commentare Arthur, a mezza voce, lasciandosi
andare pigramente sulla mia poltrona
rossa (sono una persona piuttosto possessiva).
«
Spero tu ti stia riferendo alla situazione e non alla nostra camera » lo
avvisa Chris, aggrottando infastidita le sopracciglia.
«
La camera, la situazione, questa tremenda poltrona rossa… che differenza
fa? » risponde lui, atteggiandosi a filosofo
esistenzialista. « Tutto fa schifo, a prescindere ».
«
Anche tu! » commento io, contorcendo il volto in
una smorfia disgustata e mostrandogli la lingua. « Quindi alzati subito
dalla mia bellissima poltrona, prima che la contamini ».
Art non mi
riserva altro che uno sguardo sdegnoso, mentre mia sorella mi ricorda la nostra
priorità.
«
Scusaci se ti abbandoniamo per un istante, ma io e Charlie dobbiamo conferire
in privato » dice, indicando la porta dello sgabuzzino delle scope.
«
In un ripostiglio? » ci chiede lui, poco
convinto.
«
È intimo. E insonorizzato. E ha un delizioso profumo di detersivo per
pavimenti alla lavanda » lo zittisco, mentre
seguo Chris nella nostra base segreta. « Prova anche solo ad origliare ed
aprirò la porta di scatto spaccandosi il setto nasale » concludo
assottigliando gli occhi. Lo so, forse sto esagerando, dopotutto Art sta passando
un momento difficile… ma mi susciterebbe molta più empatia se non
fosse tanto insopportabile, ecco. Ho solo sedici anni, non sono mica Gandhi!
«
Perché non hai risposto allo sguardo? »
mi chiede Chris non appena chiudo la porta, dandomi un poderoso pizzicotto.
« Scusa
» squittisco, massaggiandomi il livido. «
Non volevo illudermi che stesse per accadere qualcosa degno di nota. Ammettilo,
è stato un bel diversivo! ».
Chris mi
guarda sconvolta.
«
Non ti sembrato un simpatico colpo di scena? »
ritento, sorridendo come un venditore porta-a-porta. « Oh, andiamo. Queste cene sono sempre una palla, era
ora che succedesse qualcosa! ».
Mia
sorella mi ignora, assumendo un’espressione a dir poco angosciata.
«
Cosa facciamo ora? » mi chiede, preoccupata.
Io
strabuzzo gli occhi.
«
Noi? Noi non facciamo niente » rispondo. « Restiamo qui ed osserviamo l’evolversi delle
vicende, no? ».
«
Sì, magari vuoi anche una coca cola e dei pop corn
da sgranocchiare nel frattempo » commenta sarcastica, alzando gli occhi
al cielo.
«
Sai una cosa? Questa è proprio una bella idea »
concordo. « Ma se non li troviamo, possiamo sempre scendere e rubare i
salatini e il succo d’arancia dalla tavola… ».
«
Charlie, sto cercando di avere una conversazione seria con te. Ti sei resa
conto di quanto è successo? ».
«
Scusami se non riesco a vivere più attivamente i drammatici eventi di
questa sera, ma il mio corpo richiede cibo. Ho il cuore di pietra, lo so».
«
Come puoi essere così… così… priva di sentimenti? » esclama lei, innervosita.
«
Non sono priva di sentimenti » le faccio notare. «
Ho fame: la fame è sentimento!
».
« La
fame non è un sentimento, scema ».
«
Ok, facciamo così » le propongo. «
Adesso usciamo da qui, ordiniamo una pizza e ci sorbiamo Art per il resto della
serata, poi, quando questo sarà finito e potremo giudicare a mente
lucida –e a pancia piena- discuteremo sul da farsi. Anche se non credo
che dovremmo intrometterci ».
« Ma
Art si sentirà uno schifo… » obbietta Chris. Questa volta
è il mio turno di roteare gli occhi.
«
Oh beh! Sai quanto volte è lui a far sentire uno schifo noi!
».
Christine
finge di ponderare sulla questione, ma alla fine non può che darmi
ragione.
«
Ok, hai vinto » concorda. « Però niente pizza
all’ananas ».
«
Devi sempre rovinarmi la festa, vero? ».
Quindi
minuti dopo sediamo tutti e tre di fronte ad una pizza peperoncino, acciughe e
peperoni, mentre il mio fegato già medita di suicidarsi. Anche qui come
in sala da pranzo nessuno parla, e dir il vero la situazione sta diventando
imbarazzante.
Chris ha
lo stomaco chiuso, fissa la propria fetta dandole solo qualche timido morso,
Art invece mangia in silenzio, probabilmente consapevole che, se aprisse la
bocca per dire una delle sue solite cavolate, verrebbe immediatamente
defenestrato.
Mi sento
quasi in colpa mentre macino fetta dopo fetta come un tritasassi ben oliato, ma
non è colpa mia se questi due non hanno prontezza di riflessi.
Prima che
la pizza sia finita, la soave voce di zia Ellie ci
raggiunge e intima al nostro ingrato cugino di scendere. Lui, senza cambiare espressione
e dire né a né ba, si alza e se ne va
lasciando me e Chris attonite e sconcertate.
«
Chris, stai dormendo? ».
«
Sì ».
«
Non è vero! ».
« Ti
ho detto che sto dormendo, lasciamo in pace ».
«
Come puoi dormire e parlare allo stesso tempo? ».
«
Soffro di somniloquio ».
«
Stai mentendo ».
« No
».
«
Sì ».
« No
»
«
Sì ».
«
Senti Charlie, dimmi cosa vuoi e poi lasciami in pace ».
«
Non è vero che non mi importa nulla degli zii e di Art. un po’ mi
dispiace, ma solo un po’
».
« Lo
so ».
«
Non fare la saccente, io ti sto aprendo il mio cuore ».
« Ti
stai sgravando la coscienza, è diverso ».
«
Torna a dormire ».
« Lo
farei volentieri se solo tu la smettessi di ciarlare ».
«
Aspetta, non ho finito ».
«
Cosa c’è? ».
«
Hai presente il volantino che era appeso nella bacheca della scuola? ».
«
Quello che cercava testimoni di guarigione dall’herpes genitale? ».
«
Scema ».
«
Avanti, dimmi tu quale ».
«
Quello in cui si cercava un batterista per una cover band, mi pare ovvio
».
Christine
trattiene una risata.
«
Vorresti presentarti? »
«
Ovvio! Non potrei impegnare il mio sabato mattina in un modo migliore, non
trovi? ».
« Se
lo dici tu… ».
«
E tu mi accompagnerai! ».
« Ma
anche no ».
«
Tu mi vuoi bene, vero? Sarai il mio supporto morale! ».
« Ok.. può darsi ».
«
Bene! ».
« E
ora dormi, prima che io cambi idea
».
_____
Salve, qui
è Mala Mela, ovvero l’autrice, che comunica con voi (dall’oltretomba).
Come qualcuno (?) avrà capito, La legge di Charlie non è altro
che la versione MOLTO riveduta e PARECCHIO corretta di Family Troubles.
Che cosa è
cambiato?
Sostanzialmente
la trama è differente, ho eliminato qualche personaggio -no, non ho soppresso
Sherlock come qualcuno dei miei contatti temeva-, tagliato le parti superflue e
via dicendo.
Sperando
che questa storia si riveli meno schifida della
precedente… beh, commentate, no?
Mela