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Autore: Herm97    18/01/2017    1 recensioni
Elizabeth è una accanita lettrice dei romanzi di Jane Austen. Proprio mentre sta scrivendo una fanfiction sui suoi personaggi preferiti, i Darcy di Pemberley, un rumore cattura la sua attenzione.
Un incontro, un'avventura che le cambieranno per sempre la vita.
Cosa faresti tu, se avessi la possibilità di incontrare il Dottore? Quale sarebbe la tua prima meta?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Doctor - 11, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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1. Pilot

 

Italia – 2016

Elizabeth era alla sua scrivania, concentrata per dare uno splendido inizio ad una fanfiction che, secondo la sua modesta opinione, sarebbe stata una delle più difficili che avesse mai scritto. Accanto al suo portatile, sul quale c'era una pagina ancora vuota di Word, vi era il suo libro preferito: "Orgoglio e pregiudizio" di Jane Austen.

Alla ragazza era balzata in mente l'idea di poter scrivere un continuo a quel libro, voleva immaginare come stesse andando avanti la vita dei Darcy di Pemberley – sebbene il libro si fosse concluso con il matrimonio dei due – e, nello stesso istante, viaggiava con la fantasia e chiudeva gli occhi per immaginare meglio il tutto.

Se si sforzava, proprio come stava facendo in questo momento – stringendo più forte le balpebre – riusciva a percepire il dolce canto degli uccellini, poteva sentire il calore del sole estivo sulla sua pelle e poi eccola là, infondo al sentiero che stava percorredo, la dimora di Mr. e Mrs. Darcy. L'aveva amata attraverso i libri, guardando il film e la mini serie tv prodotta dalla BBC nel '95; l'aveva ammirata in parecchie fotografie su internet e la stava ammirando anche adesso, sebbene quel viaggio fosse frutto della sua immaginazione.

Quando Elizabeth riaprì gli occhi, si scrocchiò le dita di entrambe le mani e iniziò a scrivere:

A due anni dal loro matrimonio, i Darcy si godevano la loro felice e tranquilla vita in quella che era la splendida Pemberley. Si intrattenevano in lughe passeggiate, invitando quasi sempre Georgiana ad unirsi – la quale declinava gentilmente, poiché il suo scopo era quello di lasciare un po' di intimità ai due innamorati – , o sedevano ai piedi del loro piccolo lago a mangiare carne fredda e a scambiarsi qualche occhiata dolce.

Elizabeth, ogni qualvolta le capitava di rimanere da sola, vagava per la sua ormai amata dimora e respirava a pieni polmoni quell'aria che, ormai, sapeva di casa; ne era sempre più felice. Inoltre vi era la compagnia di Georgiana, sorella e amica fidata, alla quale poteva parlare di tutto e con la quale poteva confidarsi in mancanza della sua amata Jane.

Elizabeth si fermò un attimo, rilesse ogni parola della sua fanfiction – o di quella misera parte che aveva appena scritto – e cercò di scovare anche il minimo errore. Quando non ne trovò alcuno, si alzò dalla sedia e si diresse alla finestra di camera sua: il cielo che la sovrastava era molto diverso da quello che aveva visto nel suo viaggio immaginario; tutto era così scuro e pieno di nuvole cariche di pioggia. Quella vista le metteva tristezza, malinconia. Sebbene quella era una di quelle giornate che ti fanno sparire la voglia di fare qualsiasi cosa, Elizabeth non si demoralizzò e con un sorriso si riavvicinò al suo computer.

Il mattino aveva l'oro in bocca, il sole riscaldava la Terra ed Elizabeth Darcy si svegliò grazie ad un delicato profumo di té caldo appena fatto, posto su un grazioso vassoio che apparteneva alla famiglia da generazioni.

«Buongiorno, mia diletta.» mormorò il signor Darcy, sedendosi al bordo del letto matrimoniale e osservando con occhi luminosi la moglie.

«Buongiorno a voi, signore.» rispose lei con un tono pacato e dolce, sorridendo persino col suo piccolo cuoricino innamorato.

Darcy si sorprese nel sentire la sua Elizabeth dargli del lei, quindi allargò il sorriso e si allungò quel che bastava per rubarle un dolce e fugace bagio. Dopotutto erano nella loro stanza, nessuno avrebbe visto o fatto commenti – il decoro, seppur fossero sposati, lo conoscevano entrambi e in pubblico certi atti non erano visti sotto una luce positiva.

«Come mai hai usato il lei, Lizzy?» domandò lui, vedendo gli occhi che una volta – e ancora adesso –, in un momento di meditazione durante un piccolo ritrovo, aveva definito "due begli occhi nel volto di una donna graziosa".

«Non saprei, mio caro.» rispose prontamente lei, mettendosi a sedere e stiracchiandosi un poco. «Avevo voglia di darti del lei e l'ho fatto, credo.»

«In questo caso: Mrs. Darcy, vi ho fatto portare la colazione a letto.» fece notare Fitzwilliam, porgendole il vassoio e facendo attenzione che il té non le cadesse addosso.

«E con questo, Mr. Darcy, pensate di dover ricevere in cambio un qualche premio?» domandò Elizabeth, nascondendo sotto la sua espressione un sorriso compiaciuto e divertito.

«No di certo, signora.» replicò prontamente il marito, allungandosi nuovamente sul letto e avvicinando il suo viso a quello di lei. «Avere il vostro cuore è già più che sufficente.»

E detto ciò, proprio mentre la cameriera di Mrs. Darcy stava bussando alla porta perché le venisse concesso il permesso di entrare, i due si scambiarono un veloce bacio.

Nel pomeriggio Darcy dovette andare in città per delle commissioni, lasciando sole la sua amata Elizabeth e la sua adorata sorella, Georgiana. Le due passarono il tempo parlando e camminando nell'immenso giardino, ridendo a qualche piccola battuta. Alle cinque il té venne servito come di consueto:

«Oh, Elizabeth! Non smetterò mai di ripeterlo: avete reso mio fratello l'uomo più felice di questo mondo e, inoltre, mi avete fatto dono dell'amore e dell'amicizia di una sorella che desideravo fin da che ho memoria!»

Georgiana era una ragazza splendida, dal carattere spontaneo, gentile e sempre allegro. Elizabeth adorava stare in sua compagnia: lei e Jane erano molto simili e, anche per questo, le voleva molto bene.

«Georgiana, voi mi lusingate!» esclamò la Mrs. Darcy, portandosi una mano al petto e sorridendo felice. «Io, piuttosto, dovrei essere quella che vi ringrazia della vostra amicizia e del buon cuore che avete! E poi mio marito! Non c'è creatura più felice di noi!»

La conversazione proseguì in questi termini, tra una risata e l'altra. Il tempo corse così veloce che le due amiche non si accorsero che, ormai, si era fatta sera.

Elizabeth si fermò di colpo dallo scrivere e alzò il capo, direzionando il suo sguardo alla finestra. Non solo aveva incominciato a piovere, ma c'era un altro rumore in aggiunta, che rendeva il tutto più strano e curioso. La ragazza decise di alzarsi dalla sedia e, quindi, si avvicinò con cautela alla finestra.

«Che diavolo è quella cosa?» si domandò perplessa, notando una cabina blu proprio in mezzo al giardino sul retro.

Si avvolse in tutta fretta in una felpa pesante, uscì dalla sua camera e corse giù in giardino. Adesso, un uomo stava uscendo dalla cabina e questo cercava in tutti i modi di coprirsi dalla pioggia battente, usando un braccio quasi fosse un ombrello. Elizabeth lo guardò incuriosita, ancora sotto la veranda di casa sua, e allo stesso tempo intimorita: Da dove era arrivato? Chi era quell'uomo? E che ci faceva una cabina blu della polizia nel suo giardino?

«Scusa?!» esclamò l'uomo, usando un tono di voce alto perché riuscisse a sovrastare il rumore della pioggia e dei tuoni. «Non è che mi faresti entrare?»

Ma Elizabeth era ancora troppo intimorita, quindi fece un passo indietro, pronta a rientrare in casa e a barricarsi tra le sue quattro mura domestiche. Lo sconosciuto, però, con un veloce scatto, la raggiunse prima che lei potesse fare qualsiasi cosa e la implorò con gli occhi.

La ragazza sospirò, alla fine l'uomo che aveva davanti agli occhi non gli sembrava un serial killer o un ladro. Era alto e dai capelli bruni, tutti fradici per via della pioggia, i lineamenti del viso squadrato e gli occhi di una persona che ha visto troppo. Ma quel troppo era positivo o negativo? Forse entrambi. L'uomo indossava un completo marrone, anch'esso fradicio, e portava un curioso farfallino rosso scuro.

Elizabeth non seppe spiegarsi il motivo, ma lo trovava un uomo dolce e malinconico. Le ispirava fiducia e, allo stesso tempo, diffidenza. Avrebbe voluto mandarlo via, ma ancora non si rendeva conto – e non sapeva assolutamente – di cosa lui fosse capace, né che cosa fosse in realtà.

«Chi sei?» domandò Elizabeth, conducendo lo sconosciuto nel salotto di casa sua.

Non viveva da sola, questo era ovvio. Una diciannovenne che ha già una casa tutta sua si vede di rado, giusto? Beh, quello era il giorno dell'anniversario di matrimonio dei suoi genitori ed Elizabeth, con un sorriso ampio e caldo, li aveva invitati ad uscire per passare una serata romantica. I due avevano accettato quasi immediatamente, preoccupandosi però di lasciare a casa da sola la figlia.

«Ho diciannove anni, mamma. Di che ti dovresti preoccupare?» aveva detto la ragazza a sua madre, proprio mentre questa si metteva gli orecchini a perla.

«Giusto, ormai sei responsabile ed io so che mi posso fidare ti te.» aveva risposto la madre, dandosi un'ultima occhiata allo specchio e sorridendo per il risultato ottenuto.

Ora lo sconosciuto ed Elizabeth sedevano sul divano, accanto al camino acceso. Lui allungò le mani perché riuscisse a riscaldarle, mentre lei lo osservava attentamente. Sbadatamente si era dimenticata di fare gli onori di casa, di offrirgli qualcosa da bere – magari un té caldo – e prestargli un paio di vestiti di suo padre mentre i suoi li metteva nell'asciugatrice; ma come si può ricordarsi di tutto ciò quando una persona che non hai mai visto si trova nel tuo salotto, invitata da te oltretutto?

«Chi sei?» ripeté Elizabeth, alzandosi dal divano e incrociando le braccia la petto, assumendo l'aria di una che vuole sapere tutto.

«Sono il Dottore.» rispose lui con semplicità, spostando per una manciata di secondi il suo sguardo, dal fuoco a lei. E poi sorrise.

«Non... non hai un nome?» fece lei curiosa, lasciandosi un po' andare.

Il nervoso e la paura non c'erano più. Ora scorreva in tutti il suo corpo la curiosità: perché Il Dottore? Da dove veniva e come faceva a vivere in quella cabina blu che c'era in giardino? E sopratutto, come ci era finita lì, quella cabina?

«Mi è capitato, un paio di volte,» e il Dottore si fermò, come se stesse pensando a ritroso o stesse ricordando qualcosa, o addirittura stesse soppesando le parole che avrebbe detto dopo. «di usare lo pseudonimo di John Smith.»

Elizabeth annuì, dallo sguardo di lui si capiva che quel nome gli riportava alla memoria ricordi lontani, o recenti che fossero, e lei non voleva di certo farlo soffrire – qualora i ricordi fossero stati brutti o tristi. Quindi si avviò verso la cucina, senza chiedergli più nient'altro. Sapeva, o meglio sperava, che l'uomo si aprisse. Ma chi voglio prendere in giro, pensò però in cucina, mentre prendeva da un mobiletto bianco un bicchiere, non gli ho nemmeno detto il mio nome, come posso pretendere che si apra con me?

«E tu come ti chiami?!» domandò il Dottore, alzando il tono della voce perché lei la sentisse.

«Elizabeth!» rispose di rimando lei, prendendo una bottiglia d'acqua e versandone il contenuto nel bicchiere.

«E' un belo nome.» commentò lui annuendo, una volta che la ragazza fu tornata in salotto.

Lei gli porse la bevanda e sorrise. «Grazie.»

La conversazione si chiuse lì. Il rumore del temporale e del vento che si era alzato erano un perfetto sottofondo per il silenzio creatosi tra i due, il che sembrava strano. La serata, per Elizabeth, era appena iniziata e una piccola e emozionante avventura la aspettava, proprio in quella cabina blu che c'era in giardino, proprio con l'uomo che si faceva chiamare Dottore.

   
 
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