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Autore: __roje    18/01/2017    0 recensioni
-- QUESTA STORIA CONTIENE SCENE DI SESSO ESPLICITE! --
Aki Nomura è solo un ragazzo di 16 anni che ha sempre sognato di poter condurre una vita scolastica del tutto normale, fatta di amicizia e nuovi amori. Tuttavia la realtà in cui si trova non è affatto così; a causa di diversi eventi il suo carattere è diventato molto più rude e introverso e i primi due anni di scuola non sono stati esattamente ciò che credeva ed una delle ragione è la continua presenza nella sua vita di quello che una volta era il suo migliore amico: Hayato Maeda. Un ragazzo di straordinaria bellezza che viene definito da tutti "Principe" per i suoi tratti e i suoi modi, ma la realtà è ben altra infatti Aki scoprirà presto i nuovi gusti sessuali della persona che credeva di conoscere bene e da quel momento tutta una serie di strani eventi cominceranno a susseguirsi nella vita di questo giovane ragazzo.
IKIGAI: è l'equivalente giapponese di espressioni italiane quali "qualcosa per cui vivere" o "una ragione per esistere" o "il motivo per cui ti svegli ogni mattina".
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi, Slash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Non-con, Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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CAPITOLO 2
Era sempre la stessa storia quando arrivava l’ora di educazione fisica. Sebbene tutti avessero altro da seguire, o da fare, intorno al campo sportivo posto non lontano dall’edificio principale si faceva sempre una gran folla e tutto solo per vedere il Principe fare un pò di esercizio. C’era uno starnazzare continuo, e fare una qualsiasi figuraccia proprio lì era vietato o tutti l’avrebbero visto, e non c’era mio compagno che non fosse intimorito dalla cosa eccetto Yoshida.
Yoshida, diversamente da tutti, se ne stava tranquillo e salutava addirittura la folla di ragazze sebbene queste nemmeno lo stessero guardando, ma sembrava non importargli e ci scherzava.
“Piantala!” gli dissi a bassa voce per farlo smettere.
Mi fissò confuso con i suoi grossi occhi castani, “E perchè?”
“E’ già abbastanza imbarazzante per tutti, ti ci metti pure tu a fare lo scemo.”
Tuttavia non feci in tempo a parlare e dagli spogliatoi uscì lui, Hayato Maeda con il suo completo da palestra: una semplice tuta, ordinaria da scuola e improvvisamente si scatenò il boato.
Molti dei presenti si nascosero, o si spostarono con la paura che da un momento all’altro quella folla piena di ormoni impazziti piombasse su di noi.
“Ok fanciulli, vediamo di finire presto e di concludere anche questo teatrino” sopraggiunse il professore munito di tuta e fischietto, guardando tutta la scena con disgusto.
Hayato ci raggiunse, salutò il docente e questo gli rifilò un occhiataccia. Lo sapeva anche lui che il motivo di tutto quel caos era quel ragazzo, eppure non faceva nulla, non interveniva. Che razza di insegnante.
“Visto che non possiamo fare dei giri di corsa” osservò il perimetro del campo completamente occupato dalle ragazze, “faremo qualche esercizio sul posto, un pò di salto e dello stretching.” Un lamentò si sollevò tra noi, nessuno voleva fare tutta quella roba a parte coloro che già praticavano qualche sport, per esempio Yoshida ne fu molto contento, “Dividetevi in coppie.”
La faceva semplice lui. Non volevo certo fare brutte figure davanti a tutto quel pubblico, ed ero impedito in ogni attività che richiedesse il corpo, che si aspettava.
“Non voglio spezzarmi in due” borbottai ad alta voce.
“Tranquillo ti aiuto io.”
Intervenne Yoshida pieno di energia, ma mi spaventava a morte. Di solito quando si trattava di allenamenti diventava un altra persona, e non volevo assolutamente farci coppia così feci finta di non aver ascoltato e mi rivolsi verso Wasashi. “Ehi con chi fai coppia?”
Il ragazzo – altro mio compagno di classe – mi fissò imbarazzato a morte e due sciocche rosse apparvero sulle sue guance. Che avevo detto di strano. “Ehm i-io..”
“Nomura!” gridò il professore, “Smettila di perdere tempo e fa coppia con Maeda, visto che amate tanto starvene a parlare tra di voi.”
“Cosa?!”
Perché. Cos’era una settimana nera? Prima il blackout, poi l'andare a chiedergli una torcia e adesso questo, ma stavolta c’era mezza scuola a guardarci e avrei fatto di tutto per evitare la cosa. Feci dunque finta di non aver sentito nulla, ma proprio mentre me la filavo apparve il Principe davanti a me. Lo fissai perplesso, e lui mi sorrise in faccia. “Hello!” mi salutò con una vocina antipatica.
“Non voglio fare coppia con te.”
Hayato salutò qualcuno lontano da noi, non vidi chi. “Tranquillo nemmeno io ne ho voglia, cerchiamo di farla durare poco e nessuno avrà problemi.”
Mi sembrò tanto una minaccia quella, o forse era semplicemente una mia impressione. Cercai però di non darci peso, accettai a malincuore quell’accoppiata e iniziammo a seguire le indicazioni del professore.
Fui costretto a sedere a terra, gambe spalancate e Hayato mi stava dietro, spingendomi sulla schiena affinchè potessi simulare una sorta di spaccata. “Fa piano mi fai male!” lo sgridai.
“Cazzo che sei fatto di burro.”
“Ah si? Fallo tu dai, vediamo quanto sei elastico.”
Ci fissammo con disprezzo, nessuno dei due amava stare in compagnia dell’altro e si finiva sempre così: a litigare, solo perché il suo modo di fare era antipatico, per nulla gentile come quelle oche credevano.
“Che invidia! Vorrei essere al posto di quel ragazzo” sentii dire da lontano, tra la folla da qualcuno, “Già, come osa farsi toccare dal nostro Principe!” disse un altra.
“Piantatela!” urlai contro quel maledetto gruppetto. Non ne potevo più, ogni volta la stessa storia. Principe di qua, Principe di là, ma non provavano vergogna? Le ragazze mi fissarono perplesse, senza dire una parola, forse ero riuscito a zittirle e mi sentii meglio.
“Ma che problemi ha?”, “Chissà, è solo geloso del Principe!”, “Che pazzo..”
Era inutile, perché ci perdevo del tempo dietro. “Oi alzati, tocca a me” e mi ero completamente dimenticato di avere Hayato accanto. Mi ordinò di alzarmi, e prese il mio posto praticando una spaccata perfetta senza alcuno aiuto e le ragazze impazzirono. Beh era ovvio che si riuscisse, aveva fatto judo per anni.
Hayato mi fissò con un ghigno sul volto, Pallone gonfiato pensai dentro di me.

Quella estenuante tortura terminò presto, e il suono della campanella non mi era mai sembrata così dolce. Dopo tutto quello stretching mi sentivo a pezzi, e così anche altri. Il Principe invece stava una favola, e si godeva le fanciulle e le loro attenzioni: bottiglie d’acqua, salvietta per il sudore etc.. era spaventoso. Ignorai quella pessima scena e mi rifugiai nello spogliatoio seguendo Yoshida che, tutto sudato, era felice di aver fatto così tanto esercizio. “Ci voleva un pò di esercizio come si deve.”
Lo guardai male, “Sono contento che almeno uno dei due sia felice” dissi mentre prendevo l’asciugamano per doccia. Che mi aspettavo, quel Yoshida non sembrava mai infelice o arrabbiato per qualcosa, cos’è aveva un vita così perfetta?
“Ti sei trovato così male con Maeda?”
“Non è questo, sta diventando uno stress venire a scuola con tutto sto caos in giro.”
Yoshida la prese a ridere ma ero serio, ma non parve accorgersene ed entrò nella doccia dopo aver preso le sue cose. Cos’è, perché venivo preso poco sul serio? Eppure non mi ero mai neppure distinto per particolari doti ironiche, perché quel tipo non mi credeva.
Di punto in bianco nello spogliatoio entrò anche Hayato, seguito da alcuni nostri compagni che scherzavano con lui. Non era la prima volta che quelle pecore che gli andavano dietro a leccargli i piedi, e lo facevano solamente perché volevano anche loro quel corteo di fighe.
“Quindi è vero che hai fatto judo per dieci anni!” esclamò uno di loro, come se non lo sapessero.
Hayato tuttavia sembrava ignorare le loro domande, rispondeva con un secco sì un pò a tutto senza prestarvi particolare attenzione. Nei confronti dei ragazzi non mostrava particolare gentilezza, anzi sembrava essere se stesso con loro e stranamente la cosa non mi irritò, perché non lo faceva con tutti?

Sollevando un pò la testa e tornando al mio armadietto mi ritrovai davanti lo specchio, e di conseguenza la mia faccia. Sembravo essere così giù, dov’era finito l’entusiasmo del primo giorno o che ne avevo fatto delle mie aspettative. Ormai tutto si susseguiva senza che me ne accorgessi, e non c’era persona lì che suscitasse il mio interesse. Che noia, mi dissi e mi si leggeva in faccia.
Guardai ancora una volta la mia faccia, pelle bianca ma leggermente arrossata per il sudore e la fatica, i capelli castani spiaccicati sulla fronte e gli occhi stanchi, di chi non dormiva bene la notte ma si poteva benissimamente intravedere il loro colorito strano: un giallino nel verde. Ero davvero tenebroso a vedermi così, forse era il momento di accorciare un pò i capelli anche se non mi coprivano ancora gli occhi, né mi davano particolare fastidio se non quando facevo ginnastica.

Quel pomeriggio, finite tutte le lezioni decisi bene di restare ancora un pò a scuola e di rifugiarmi nella piccola biblioteca all’ultimo piano, un posto dove manco l’addetto alle pulizie andava perché non se la sentiva di fare tutte quelle scale. Ero il solo masochista lì, ma era un posto tranquillo dove perdere un pò di tempo e non andavo certo per leggere libri, ma semplicemente per rilassarmi e magari schiacciare un pisolino, lontano da tutto quel caos.
Una volta lì mi crogiolai nel silenzio di quel luogo, e del fatto che non ci fosse anima viva in giro. Che posto perfetto per avere un pò di pace, oh se la scuola fosse stata fin dall’inizio così perfetta, sicuramente avrei avuto più piacere di andarci ma le cose erano andate diversamente.
Che nessuno li amasse leggere era chiaro come l’acqua, non c’era neppure un addetta per l'affitto dei libro o qualcuno che controllasse il tutto affinché non fosse rubato nulla. Che scuola, pensai. Eppure che mi aspettavo... nessuno faceva nulla per quel corteo di oche, perché avrebbero dovuto prendersi cura di un luogo del genere dopotutto.
Un tonfo. Provenì dagli scaffali di quella stanza, e pensai addirittura di essermelo immaginato visto che di solito li non c’era mai nessuno, e con il cuore in gola mi addentrai cercando la sua provenienza e affacciandomi nei vari corridoi ciò che vidi mi lasciò perplesso, c’era Hayato intento a raccogliere un libro da terra (probabilmente cadutogli) e nel farlo lo guardò attentamente, lo aprì e parve leggerne qualche rigo.
Che diamine ci faceva lì? Ma senza rendermene conto mi ero fatto notare, e quest’ultimo sussultò nel vedermi. “Nomura! Che diamine fai qui?”
“Potrei farti la stessa domanda, Maeda...” Il Principe mise subito via il libro, riponendolo sul suo scaffale e camminò verso di me, mi superò con tutta l’intenzione di andare via da lì. “Che c’è, temi che in giro si sappia che sai leggere?”
Hayato si fermò dandomi le spalle, “Non provocarmi” asserì con tono basso. Il Principe si voltò verso di me, uno sguardo glaciale di chi si sentiva infastidito, eppure fino a poco prima era sembrato così mansueto nello sfogliare quel libro, quasi incantato da qualcosa.
Cercai di mantenere la calma, non mi spaventava affatto. “Ah! Il principe e le sue minacce. Lo dovrebbero sapere le tue fan girls che hai un pessimo carattere, ci resterebbero molto male.”
“Sai quanto me ne frega di loro.”
Mi stupì quella risposta, eppure non ebbi il tempo di chiedere altro che se ne andò via. In quella risposta non era sembrato aggressivo piuttosto annoiato, apatico come se la cosa non gli importasse e non che gli desse fastidio. Improvvisamente sentii che qualcuno, forse, si sentiva esattamente come me. Annoiato.



“Mamma devo pulire altro?” le domandai con lo straccio e il secchio ancora in mano. Ah sì, in casa nel tempo libero e sopratutto la domenica mi trasformavo in cenerentola.
“Puoi anche smettere, non c’è altro da fare.” La mamma si guardò intorno felice che tutto fosse perfettamente in ordine, manco avesse vinto alla lotteria.
La lasciai stare, persa nella sua gioia e posai guanti e secchio nel ripostiglio. Finalmente potevo godermi un pò di domenica, e l’avrei trascorsa a guardare la tv o a leggere qualche manga, tanto che altro avevo da fare? Ero solo un ragazzo di sedici anni che passava così i suoi piatti pomeriggi.
Come sono triste, mi dissi da solo mentre me ne stavo in camera a giocare ai video giochi. Poi però un impeto di rabbia con me stesso mi fece lanciare tutto per aria. Possibile che dovesse andare così, possibile che nulla potesse cambiare?
Afferrai il cellulare, scorrendo la rubrica cercai il numero di Yoshida. Il perché lo stessi facendo era ignoto anche a me, ma ne avevo voglia, volevo fare qualcosa di diverso e forse lui aveva qualche idea. Decisi dunque di chiamarlo, sebbene non l’avessi mai frequentato al di fuori della scuola.
Bussava, e attesi una risposta. – Pronto?
“Ah.. Yoshida! Sono io Aki”
- Aki? Ma allora ce l’hai il mio numero!
Era imbarazzante che in due anni non lo avessi mai chiamato, me ne vergognai un pò. “S-si, senti un pò... che ne dici se facciamo qualcosa di diverso oggi pomeriggio?” Era incredibile che lo stessi davvero chiedendo questo a lui, al suo posto mi sarei mandato al diavolo.
- Davvero? Vuoi davvero che usciamo insieme? –
Sembrava più stupito di me della cosa. “Sì, beh prima o poi dovevamo farlo no?” ridacchiai nervosamente non sapendo che dire o come comportarmi, “Allora che facciamo?”
- Beh... io avevo intenzione di uscire con un gruppo di amici oggi pomeriggio, sono tutti ragazzi del judo e sono simpatici, perché non ti unisci a noi?
E tanti saluti alla mia idea. Non avevo intenzione di uscire con un gruppo di sconosciuti, persino Yoshida era un estraneo per me ma un estraneo quanto meno vicino. Non era proprio nella mia natura legare con persone che non mi interessavano, e se erano tutti come lui beh, non avrei avuto molto di cui parlare.
- Aki?
“Ecco...”
Ci fu silenzio. – Lo sapevo, ci hai ripensato.
Sembrò dispiaciuto. Ah che guaio..., “Va bene vengo!”
- Davvero?! Evviva, allora per le cinque da me non fare tardi. E riattaccò.
Avevo sul serio accettato una cosa del genere.. io. In cuor mio me ne stavo pentendo amaramente, ma era troppo tardi poi un problema ancora più grave mi piombò addosso. DOVE CAVOLO VIVEVA?!

Fui costretto a richiamarlo e a chiedere con molto vergogna il suo indirizzo, ma parve non prendersela affatto anzi era davvero contento che andassi, che lo avesse sempre voluto?
Fino all’ultimo momento l’idea di dare buca bussò alla mia porta ma cercai di resistere alla tentazione, mi preparai, indossai qualcosa di molto casual e dissi alla mamma di non aspettarmi per cena immaginando che ci fosse addirittura l’eventualità di mangiare fuori e sperai di no.
Seguendo le indicazioni di Yoshida mi resi conto che non viveva affatto lontano da me, com’è che lo scoprivo solo adesso che abitavamo praticamente nella stessa zona? Ero il peggiore.
Domandai più volte a dei passanti se quella fosse la via giusta e mi dissero di si, e finalmente dopo un quarto d’ora di passeggiata arrivai da lui con l’ansia che mi cresceva in corpo. Che cosa dovevo fare.
Non dovetti però bussare a casa sua perché trovai Yoshida fuori ad aspettarmi, nel vedermi mi venne incontro pieno di entusiasmo e mi sentii a disagio. “Pensavo non venissi più!” disse.
“Ma che dici ha-ha-ha” l'idea era stata quella fin dall’inizio, ma avevo resistito, “E i tuoi amici?”
“Ci aspettano in una piccola caffetteria qui vicino, vedrai, ti saranno molto simpatici”, sfoderò ancora quel suo sorrisone. Ne dubitavo altamente che mi sarebbero piaciuti e ricambiai con un sorrisetto e lo seguii fino alla famosa caffetteria con l’ansia che continuava a crescere dentro di me. Improvvisamente mi ero pentito di quella scelta e della pazza idea di fare qualcosa quel pomeriggio.
La caffetteria in questione era piccina, sempre in zona, costruita con ampie vetrate che mostravano l’interno pieno di tavolini e lo stile era moderno. Lo trovai davvero un posto carino e non l’avevo mai visto prima, aveva aperto da poco o ero così orso da non uscire di casa da un pò?
“Ti avverto, potrebbero farti un pò di domande ma non sono cattivi.”
Domande? Inarcai un sopracciglio e lo fissai ma fece finta di nulla e spalancò la porta della caffetteria gridando a squarciagola: “Guyssssss!!” Attirando un pò l’attenzione di tutti, che vergogna. Ero talmente imbarazzato che cercai di nascondere il volto con le mani e di svignarmela, però Yoshida mi afferrò per un braccio e mi indicò “Ho portato un mio compagno di classe, si chiama Aki!” continuò a gridare.
Il disgusto mi si leggeva in faccia, era evidente e nonostante ciò in lontananza c’era un tavolino occupato da tre persone che avevano ascoltato tutto e guardavano verso di noi sventolando le mani in aria. Erano chiaramente i suoi amici, pensai. Perchè l’avevo fatto.
Fui trascinato con la forza fino a quel tavolo, che forza assurda possedeva Yoshida per farlo ma ormai era troppo tardi per scappare e dovetti far finta di essere a mio agio.
Le tre persone presenti erano in realtà due ragazzi e una ragazza molto bella, che mi colpì subito per il suo portamento elegante e quasi maturo, mi puntò addosso i suoi occhi felici neri e ne rimasi affascinato. Possedeva delle piccole labbra a cuoricino, zigomi definiti e folti capelli ricci rossastri che le cadevano disordinati da una coda fatta al momento. Era davvero bella.
“E’ un pò timido quindi non bombardatelo di domande” raccomandò Yoshida, e la ragazza si trasformò completamente appena si fu messa in piedi.
Mi afferrò le mani, me le strinse entrambe e fece gesto di saluto sorridendomi come un ebete. Ecco mi ero sbagliato, era un idiota anche lei. “Piacere mio, sono Saori” sorrise ancora.
“Aki, questi due invece sono Hiroto e Kuro” e nel sentirsi chiamare i due ragazzi fecero un cenno di capo, ma senza troppo fronzoli come invece stava facendo la ragazza di nome Saori.
Hiroto sembrava molto timido, e mi spaventò moltissimo. Era enorme, spalle larghe, massa muscolare sviluppata come quella di Yoshida per la palestra e uno sguardo freddo e tenebroso, forse era anche dovuto al fatto che li avessi neri e piccoli e buona parte del viso gli era coperto dai lunghi capelli neri che gli cadevano lungo la testa e in parte sul viso. Sembrava un becchino.
Kuro invece sembrava più normale, più attento al suo cellulare che a presentarsi. Aveva un viso tondo, rosato, una faccia piacevole da vedere sebbene portasse non so per quale ragione due cerchi ai lobi proprio come una donna e i capelli tinti di arancione, anche lui rasati. E agli occhi sembrava portare delle lenti a contatto perché erano di colore viola. Che cazzo di tipi erano.
“Bene, allora ragazzi avete già ordinato?” domandò Yoshida prendendo posto di fronte a Saori.
Dovevo farlo anch’io, sedermi e sopportare finché quell’agonia non fosse finita. “Si, ho preso per te il solito ma non sapevo che avresti portato un amico. Aki che cosa prendi?”
“Eh? Ecco... non lo so.” Hiroto con fare agghiacciante fece scivolare fino a me il menù, viscido come un serpente e sussultai per il gesto. Mi stava fissando, ma senza dire una parola. “G-grazie...” sorrisi.
“Scegli quello che ti piace anche se io ti consigli un bel gelato doppio!” mi consigliò la ragazza. Cercava di essere cordiale ma il suo modo di fare mi metteva ancora più in difficoltà.
Finalmente Kuro lasciò cadere sul tavolo il cellulare “Che mi sono perso?” domandò e notò la nostra presenza guardandoci un pò perplessi, “Chi è questo?” aggrottò la fronte confuso.
Yoshida rise “E’ un mio amico. Sei sempre il solito Kuro, sempre sui social.”
“Ehi, è ovvio fare il modello richiede tanta fatica e occuparsi anche della parte social è importante.” Modello. Quel tipo così stravagante e colorito faceva sul serio il modello, ma per quale rivista? Di tutto pensai, ma l’unica cosa che mi venne da immaginare è che posasse per i costumi di carnevale. Cercai di trattenere una risata, dovevo farlo assolutamente. “Come hai detto che si chiama?” chiese ancora.
“Mi chiamo Aki.”
“Aki eh, non è un nome da femmina?”
... silenzio. Ancora una volta qualcuno aveva notato la cosa, e chissà perché faceva sempre ridere; infatti Saori non riuscì a trattenersi e cercò di soffocare una risata mentre Yoshida non lo fece e lo fulminai con lo sguardo. “Perdonami non volevo essere poco delicato” ridacchiò quel Kuro.
“Ha-ha figurati.”
Sopporta Aki, mi ripetevo, non li vedrai mai più è solo per qualche ora ancora.
“Sei Aki Nomura?” una voce sinistra e stridula ci raggiunse, e mi voltai verso Hiroto, che in maniera molto spaventosa mi avevo posto una domanda ancora più spaventosa. Come sapeva il mio nome. Immaginai che fosse davvero un qualche mostro travestito da ragazzo.
“S-si perché?”
Saori parve stupirsi della cosa, “Aspetta ma anch’io so chi sei, non ti ricordi di me?”
Yoshida e io ci stupimmo della cosa e ci guardammo perplessi, “Scusami, davvero, ma io non vi ho mai incontrati prima di adesso.”
“Ma sì invece, da bambini. Venivi sempre al dojo per guardarci, ah ed eri sempre con quel tuo amichetto aspetta come si chiamava... mmmh” ci pensò un pò.
“Hayato Maeda” intervenne in suo aiuto Hiroto come un soffio di vento freddo.
“Bingo! Maeda, quel bambino che sembrava uno straniero e poi scoprimmo che aveva il padre americano o una cosa del genere. Eh ti ricordi? Venivi a vedere i suoi allenamenti, all’epoca avrai avuto tipo sette o otto anni. Ahh che tempi, eri un amore anche allora.”
Io non mi ricordavo affatto di lei e il fatto stesso che avesse tirato in ballo Hayato mi creava uno strano fastidio dentro, le avrei voluto rispondere male ma non lo feci solo perché lì accanto a me c’era Yoshida.
“Non sembra ricordarsi di te però” osservò Kuro divertito.
“Beh sono cambiata molto, è ovvio e nemmeno io l’avevo riconosciuto. Come hai fatto Hiro?” e si rivolse all’amico in fondo al tavolo. L’ombroso ragazzo la fissò senza rispondere, “Sei stupefacente, che memoria!” e la ragazza si rivolse di nuovo a noi, “E quindi? Come sta Maeda? Non lo vedo dai tempi del judo, spero che abbia continuato, era davvero molto bravo.”
“Ma come, avevi detto di non conoscerlo” mi fissò sbigottito Yoshida.
L’unica circostanza che avrei voluto evitare in quel momento, “Ecco io..” non sapevo che farfugliare.
Saori si allungò fino a me urlando “Idea!”, mi fece davvero paura, improvvisamente me la trovai ad un palmo dalla faccia con uno strano fuoco negli occhi. “Sai al vecchio dojo stiamo organizzando una giornata di beneficenza e vorrei che i vecchi allievi venissero per dare spettacolo di ciò che hanno imparato. Ci saremo tutti, io, Yoshi, e loro due, che ne dici di dirlo anche a Maeda?”
“Prego?”
“Si, sarebbe una buona idea” commentò l’inquietante Hiroto verso l’amica.
Saori si sentì talmente fiera di quella idea che arrossì contenta della cosa. Continuarono a parlare tra loro di quanto brillante fosse quella proposta fregandosene altamente della mia risposta. “V-vedi io non parl-“
“Allora domenica prossima alle 3.00 al dojo, mi raccomando.” Vidi Saori alzarsi di colpo, raccogliere le sue cose in tutta fretta e scappare via di lì dicendo di avere un impegno e con lei andò via anche Hiroto.
Che cosa era successo? Ne rimasi talmente sconvolto da non riuscire a fare un riepilogo di tutte le cose che avevano detto, e l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che mi avevano chiesto di invitare Hayato per un qualche evento di beneficenza. Cazzo!
“Tutto bene Aki?” domandò Yoshida vedendomi in silenzio.
“No che non va bene!” sbottai, “Quella tua amica mi ha appena chiesto di invitare Maeda e non posso farlo ti rendi conto?”
In tutto questo ci eravamo completamente dimenticati che uno di loro era ancora lì, infatti Kuro aveva osservato tutta la scena in silenzio ma con aria molto divertita. Lo fulminai con un occhiataccia sperando che andasse via anche lui, e parve fare così lasciando i soldi sul tavolo.
“Non so proprio di cosa abbiate parlato negli ultimi minuti” cominciò a dire, “ma sembra divertente, mi raccomando portarci questo famoso amico” e ci congedò con un occhiolino.
Ero rimasto di sasso anche per il suo commento. Improvvisamente la mia voglia di tornare a casa era aumentata ancora e Yoshida parve accorgersene e acconsentì alla mia richiesta senza farmi altre domande, per fortuna almeno lui mi capiva un pò.
Sebbene quella Saori mi avesse chiesto una cosa del genere, se lo poteva scordare che andassi a dirgli di quella giornata di beneficenza. Per me le persone conosciute quel giorno erano già state cancellate dalla mia mente, la mia vita sarebbe tornata come prima e di conseguenza tutto alla normalità.
  
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