Li
sente confabulare.
Sono
al piano inferiore, ma le loro voci risultano distinguibili come se si
trovassero nell’appartamento con lui.
Davvero
credono di essere discreti? Se gli anni non lo avessero educato all’abitudine
della loro assoluta mancanza di furbizia, lui troverebbe mortificante l’idea
che entrambi siano convinti di averlo preso in giro.
-
Deplorevole condotta. Watson, condividi il mio parere? – Il silenzio del suo
interlocutore è placido ed elusivo, come la sua espressione ermetica. Sherlock le
getta uno sguardo allusivo, puntandole contro l’archetto. - Tua madre mi avrebbe
dato ragione. –
La
piccola Watson vocalizza il suo dissenso, più concentrata sui giocattoli
educativi che sono disposti in cerchio sulla coperta colorata, con lo scopo di
stimolare il coordinamento visivo oltre alle sue capacità di riflessione.
La
crisi dei quattro mesi, come qualche stupido libro pedagogico ha deciso di
ribattezzare il salto di crescita di Rosamund, è passato senza troppi intralci.
Le sue esigenze (orari adeguati ai nuovi bisogni) sono cambiate insieme al
modo in cui interagisce con l’ambiente che la circonda. È in grado di focalizzare lo sguardo ad una distanza
maggiore, il che le permette di partecipare più attivamente. Sta imparando a
sedersi se sorretta da un supporto e questo le offre una prospettiva
completamente diversa e un’esperienza sensoriale che coinvolge maggiormente la
terza dimensione. È sempre più precisa nell’afferrare gli oggetti a distanze
differenti ed è entrata nel pieno dell’esplorazione orale. Riconosce immediatamente le loro voci. Gorgoglia
divertita quando vede un oggetto in movimento, reagisce agli stimoli e ama guardarsi
attorno quando viene messa sul suo seggiolino.
Durante l’ultima visita, la
pediatra ha eseguito gli accertamenti di prassi: peso, misura della statura e
della circonferenza cranica. Ha eseguito la manovra di Ortolani e controllato
vista e udito.
Sherlock curva le labbra in un sorriso
obliquo, riponendo il violino sul nuovo tavolino. Nuovo è un termine inesatto.
L’acquisto è nuovo, sebbene si tratti di un pezzo di antiquariato (Palissandro e
Moano. Epoca: Secondo
quarto dell'800. Origine: Francia.
Balaustro in mogano con gambe mosse. Montanti cilindrici e un cassetto nella
fascia. Piano apribile a ribalta. Intarsi floreali in acero), come il resto della mobilia che ha
monopolizzato il salotto. La vernice è ancora fresca, l’odore della colla usata
per far aderire la carta da parati impregna l’aria come i residui della polvere
da sparo e della cenere.
- John, non trova che dovremmo intervenire?
–
L’apprensione
della signora Hudson è uno stato di persecuzione che lo tormenta con una
costanza durevole, che lui trova persino ammirevole.
Sherlock
non riesce ad ascoltare la replica di John, ma, a giudicare dalla nota di
rimprovero che ora ha acquisito la voce della signora Hudson, non doveva essere
priva di una certa dose di sarcasmo.
John
dissimula meglio la sua preoccupazione e lo fa dietro un atteggiamento di
bonario e divertito distacco dalle cose, ma Sherlock sa guardare oltre le
maschere dei sorrisi fasulli, gli inganni delle parole e coglie l’ironia di
John come una constatazione dei fatti, l’espressione cruda di ciò che pensa
realmente.
- Ma è così triste! – la sente enfatizzare e può immaginare il movimento nervoso delle
mani agitate nel vuoto che ha accompagnato la sentenza. - Perché deve essere
così triste? –
Un
sussurro, questa volta, un nome preciso viene pronunciato distintamente,
scandito con chirurgica meticolosità. È subito seguito dallo sfregare delle
corde di violino che producono un suono stridente.
Un’esclamazione
soffocata lo convince della fondatezza delle sue deduzioni.
Nel
silenzio che segue, il nome di lei si infrange contro le pareti del cranio,
sbattuto con impietosa ferocia.
Il
nome, inutile a dirsi, è quello della donna a cui ha spezzato il cuore. Della
donna che gli ha salvato la vita. Il nome è quello di Molly Hooper.
(The man) Who you really
are.
--
-
Vi state evitando. Non provare a negarlo. È evidente. –
Non
era sua intenzione fare nulla di simile. Smentire servirebbe unicamente ad
avvalorare la tesi contraria, sarebbe una reazione infantile e
controproducente. Il silenzio è l’arma più efficace. La difesa
migliore è quella che non fa capire dove attaccare.
-
Non ti incolpa. – John si schiarisce la gola, guardandolo apertamente. Non fa
il suo nome e perché dovrebbe? A chi altri può riferirsi se non a lei? Lei,
che occupa ogni maledetto pensiero, come un tarlo insidioso. Lei, che riempie ogni spazio vuoto e lo
riempie di colore, rumore, calore. Lei,
che incendia ogni respiro, che è un nervo scoperto, il lento e progressivo
deterioramento di ogni logica.
-
Come lo sai? – Sherlock passa un dito sulla mensola del camino. Un rapido
sguardo allo specchio per osservare il riflesso di John e la sua mente è
attraversata da una serie di deduzioni indesiderate. Sono come vagoni di un
treno che viaggia su un binario al massimo della velocità, colpendolo
frontalmente.
Ovviamente. Un sospiro interiore.
–
Hai parlato con lei. – Una pausa scandita dal fremito delle ciglia, dal
chiudersi e riaprirsi delle palpebre. Vuole davvero conoscere la risposta? -
Cos’altro ha detto? – Sì, sì che vuole. Lo vuole disperatamente.
-
Credo che abbia capito. – John gli concede lo spettro di un sorriso privo di qualsiasi
soddisfazione. – Ti ha già perdonato. -
-
Era chiaro che lo avrebbe fatto, - lui replica scontrosamente, strofinandosi la
fronte con le dita. Non sa bene cosa prova, se sia sollievo o irritazione la
massa incandescente che gli macera i polmoni. Forse è entrambe le cose.
John
inarca le sopracciglia. - Avresti preferito il contrario? – Il sorriso infelice
che gli curva le labbra ora è autentico. -
In questo siete più simili di quello che pensi. Sarebbe tutto più
facile, vero? Riuscire ad odiarla. – Si fissa le mani, la fede, senza osare toccarla. - Lei cerca di fare lo stesso da
anni. Il fatto è che quando ami qualcuno, non puoi smettere. Non funziona così.
Donare il proprio cuore è anche questo: soffrire. Perché non importa quanti
altri sentimenti tu provi, quanto dolore ti provochi, l’amore prevale su ogni
altro. Non puoi metterlo in pausa o sospenderlo solo perché ti fa arrabbiare. –
-
Lo so. Sto cominciando a capirlo. -
Quando apri il tuo cuore, non puoi richiuderlo più.
Sherlock scaccia il pensiero con
un gesto deciso della mano. - Perché ti importa? –
- Perchè sei il mio migliore amico
e voglio che tu sia felice. Perché quel giorno, a Sherrinford, mentre
distruggevi quella bara, ho visto qualcosa. Ho visto una possibilità. I
sentimenti sono un difetto chimico della parte che perde, - lui recita
spassionatamente. - Tu eri su quel lato, lo sei da quel giorno. Dovevamo essere
soldati, era necessario per sopravvivere, ma non devi esserlo adesso. Oggi puoi
essere un uomo, puoi avere un cuore. Non devi per forza rimanere un Cyberman. -
- Scusa, un cosa? -
- Un Cyberman. Lo sai, - John
accompagna le sue parole con un lieve cenno del capo, - un essere umano convertito in
un robot senza cuore. Da Doctor Who, solo la più famosa serie televisiva britannica
di tutti i tempi. –
Il chiacchiericcio si perde in un
brusio di sottofondo mentre lui si ritira nelle ombre silenziose della propria
mente.
Molly Hooper. Un
pensiero ricorrente da cui non riesce più a liberarsi. Molly Hooper. Il mondo va in black-out. Non sa quanti minuti siano
trascorsi. Quando riapre gli occhi e allontana le mani dal volto stravolto,
Sherlock parla a voce bassa, con deliberata lentezza.
- Pensavo di essere gentile,
agendo nel modo in cui ho agito. Pensavo di proteggerla. -
John è ancora lì. Si china in avanti
sulla poltrona (una riproduzione pressoché identica dell’esemplare precedente
se non fosse per il colore, di mezza tonalità più scura), i gomiti piantati
sulle ginocchia e un acciglio che dichiara tutta l’incomprensione che gli
rannuvola lo sguardo. - Proteggerla da
cosa? -
Sherlock trae un respiro vibrante.
- Dall’uomo che sono. -
- Non sei più quell’uomo. Il senso
di colpa che provi, la devastazione… l’uomo che eri non si sarebbe mai concesso
di provarli. Non hai più bisogno di mantenere le distanze. -
- E se dovessi ferirla? Rovinare
la nostra amicizia in modo irreparabile? –
La sola idea è…
- Allora lo affronterete insieme. –
Atroce.
- Le probabilità e le statistiche sono
a mio svantaggio. In percentuale, la casistica di… –
- Non farlo. – John lo interrompe.
- Non precluderti la possibilità di essere felice solo per paura di quello che
potrebbe succedere. Sei un chimico, ogni tua decisione si basa su calcoli
precisi, ma non dimenticare che sei anche un musicista. Pensa ai sentimenti
come a delle note. Non puoi creare un concerto utilizzando una singola nota,
giusto? L’armonia nasce nel mescolarle tra loro, la sinfonia è nella
contrapposizione. Hai una scelta. Cerca di prendere quella giusta. -
Lei
è lì.
Il
suo corpo ha registrato la sua presenza prima ancora che la mente, assorbita dall’esecuzione
musicale, processasse l’informazione. Come? Pupille
dilatate, battito cardiaco accelerato, sudorazione fredda.
Guarda
cosa hai fatto a te stesso, canta remotamente una voce femminile.
-
Molly. –
Pronunciare
il suo nome e vederla fremere al suono della sua voce. Non dovrebbe sentire la
mancanza di quella reazione, eppure è ciò che prova.
Molly
non sorride. (Perché dovrebbe? Lui non merita i suoi sorrisi.) Si limita a un
breve, impersonale cenno di saluto. – Ho aspettato che finissi per non
interromperti. Non volevo disturbarti. -
-
Non disturbi mai, - lui dice onestamente perché è la verità e lei deve sapere, deve capire. Si è guadagnata quel diritto.
-
È molto gentile da parte tua dirlo. – Compita, formale, lei non lascia adito a
diverse interpretazioni. - Era
bellissimo. Il pezzo che stavi suonando, intendo. – Un complimento, l’ennesimo
immeritato.
-
Spero di finirlo in tempo. -
Molly
arriccia le labbra, come ogni volta che qualcosa la incuriosisce o cattura il
suo interesse. - In tempo per cosa? -
-
Per la mia prossima visita a Eurus. –
Oh.
La deflagrazione è silenziosa, ma avviene con esiti non meno desolanti.
Le
spalle di Molly si accasciano e la luce nel suo sguardo sbiadisce, i contorni
soffusi e morbidi del suo viso si assottigliano in qualcosa di affilato,
severo. Lui le ha appena ricordato perché è lì, la sua missione.
-
Sono venuta perchè dobbiamo parlare. John mi ha raccontato tutto di tua sorella
e di Redbeard. – Stringe le mani davanti a lei in un atteggiamento di difesa e
di sfida. - Avrei preferito saperlo da te, ascoltare la storia direttamente da
te. -
Sherlock
prova un’immediata sensazione di repulsione verso se stesso e il desiderio di
fare a pezzi qualcosa (e quello, non meno lancinante, di toccarla e di perdere
un po’ della disperazione in qualcosa di piacevole, ma non meno straziante).
-
Volevo dirtelo, - si affretta a replicare, ma senza muovere un passo verso di
lei. - Era mia intenzione farlo. -
-
Allora perché non sei venuto? – lei chiede, implacabile come la giustizia,
inesorabile come la vendetta.
La
repulsione aumenta, ora gli attanaglia lo stomaco, gli martella nelle vene come
se si trattasse di una sostanza tossica. - Devo chiederti scusa. -
-
Sì, dovresti, - lei dice, - ma non voglio che tu lo faccia. Non è stata colpa
tua. -
-
Mi dispiace, - lui ripete ancora una volta. Non smetterà mai di ripeterglielo
se servirà a riportare le cose alla normalità. La vergogna sul suo viso deve
essere evidente.
Molly
fa una risata amara e dal suono sgradevole. - Ti senti in colpa perché pensi di
avermi spezzato il cuore? – Ormai lei ha stretto le dita con tanta forza che
lui teme di sentire da un momento all’altro lo schiocco di quando si
spezzeranno. - Sì, l’hai fatto, ma non sarebbe la prima volta. Pensi che basti
così poco a spezzarmi? Un cuore infranto? -
Lui
tace mentre lei lo fissa con occhi scuri come la notte, penetranti e fieri. C’è
così tanta dignità in questa donna ferita dal sorriso timido e la tempra
d’acciaio, che ha visto imputridire le sue speranze in un mare di marciume, che
una catena di eventi avversi avrebbe dovuto piegare già da tempo, a cui lui ha dato
il colpo di grazia. C’è così tanta fragilità e così tanta bellezza in lei.
Quando
solleva il mento e indurisce la mandibola, il quadro è completo. – Nessuno può
spezzarmi. Neanche tu, Sherlock. -
Il
suo cuore emette una nota discorde, sorda.
-
Alla fine sono una codarda, - Molly ammette quietamente, il turbamento in fondo
ai suoi occhi è un particolare che contesta l’illusione della sua calma
apparente. - Pensavo che se non lo avessi mai ammesso a voce alta, neppure a me
stessa, allora avrei evitato… – esita, pressando le labbra in una linea sottile
come una cicatrice. – Evitato il dolore del sapere che tu non mi avresti mai
corrisposto. Che tu non puoi, non potrai mai amarmi. Non volevo rendere il
dolore reale. -
-
Ma lo era. –
-
Certo che lo è! – La veemenza della sua risposta sorprende lei per prima. Molly
si passa una mano sul viso, come se volesse mitigare la sua reazione,
l’intensità dei suoi sentimenti. - Mi dispiace. Non sono venuta qui con
l’intenzione di litigare. –
L’ondata
di orrore è così potente che, finalmente, lo scuote dal torpore e dal
congelamento. Perché si sta scusando?
Perché è lei a scusarsi?
-
No, non scusarti. Non devi. Se c’è qualcuno che deve farlo sono io. – Sa di
parlare a raffica, che le sue parole devono suonare accavallate, troppo veloci
e impetuose perché lei ne colga appieno il significato. - Mi dispiace, Molly,
sinceramente. Se ci fosse stato un altro modo, un’altra soluzione… –
-
Lo so, Sherlock. – La tristezza sul suo viso è un pugno nello stomaco. Perché
non grida? Perché non lo attacca? Perché deve essere così generosa? Perché? - Non
ti incolpo. È solo che mi occorre del tempo per smaltire questa situazione, per
dimenticare. –
-
Quanto tempo? – lui chiede in fretta, di nuovo troppo in fretta. - Di cosa hai
bisogno? –
-
Ho bisogno di un po’ di tempo lontana da te. –
Lei
evita il contatto visivo.
-
Capisco. –
Davvero? Davvero capisci?
Oh, Sherlock, questa è una bugia.
-
Molly. – E’ la forza della disperazione a spingerlo a parlare. - Credi che
riuscirai mai a perdonarmi? –
Il
sorriso che gli rivolge è una miniatura sciupata. - Non c’è nulla da perdonare.
–
C’è tutto da perdonare,
invece. Sin dal principio.
-
Non era così che lo avevo immaginato, sai, - lei dice in tono leggero, quasi
stessero conversando di cose frivole come il tempo.
-
Cosa? – lui si costringe a domandare.
-
Confessare ciò che provo per te. Non era come lo avevo immaginato, ma ha senso,
no? In quale altro contesto sarebbe potuto succedere? -
-
Molly, per piacere, perdonami. – Questa volta la sua voce ha una sfumatura
urgente, incalzante.
-
Solo se tu farai lo stesso. -
Di
cosa diavolo sta parlando?
-
Dopo che John mi ha raccontato quello che era successo, ho riflettuto e sono arrivata
a una conclusione. Sono davvero migliore di lei? Io non credo. In fondo sono
stata io, Sherlock, non lei. – Gli occhi di Molly sono lucidi come specchi,
velati dalle lacrime. Appare pallida e colpevole e lui deve sopprimere il
desiderio inopportuno di baciarla, deve costringersi a chiudere le mani a pugno
per evitare di allungarle verso di lei. - Io
ti ho costretto a dire quelle parole, anche se sapevo che non erano vere, non
per te, anche se sapevo che in quel modo ti avrei ferito. Ero arrabbiata e mi
sentivo così umiliata e per un istante ho ceduto alla rabbia, volevo solo che
per una volta tu provassi quello che provavo io, che capissi come ci si sente a
stare dall’altro lato del fiume. Tu lo hai fatto per salvarmi la vita, è stato
ingiusto e crudele, ma la tua era una scelta impossibile. Quello che ho fatto
io è stato peggio. Sono stata meschina ed egoista e – si copre la bocca con il palmo
della mano, sopraffatta.
Stupida, stupida donna!
Come può anche solo pensare…
-
C’è solo una cosa che… una curiosità. Perché due volte? Perché hai dovuto dirlo
proprio due volte? – Senza dargli l’opportunità di rispondere, lei raddrizza
le spalle in un gesto risoluto. - Lascia stare, non è necessario. Alla fine non
ha davvero molta importanza, no? – Un’altra risata, amara come fiele, fredda
come la neve che cadeva due inverni prima, camminando lontano da lei, da quello
che rappresentava. (Alternative, ognuna appetibile e pericolosa e spaventosa in
modi meravigliosi.)
Sono
quelle parole. Sempre quelle parole. Dannate, odiate parole. Io non conto.
Quando
si riprende dallo shock, si muove più rapidamente che può. Prima che sia troppo tardi. Afferra l’opportunità. Sii l’uomo che hai
scelto di essere.
Il
suo braccio ostruisce il passaggio, si interpone tra lei e la porta. Sherlock
cerca il suo sguardo febbrilmente prima di parlare e lo fa in modo chiaro,
impossibile da fraintendere. - La seconda volta era per te. –
-
Cosa? – Per un istante la sorpresa scalza ogni traccia di amarezza in lei.
-
La prima era per Eurus, per darle l’impressione che stesse vincendo. Dovevo
lasciarle credere che mi avesse manipolato, che avesse in pugno la situazione.
–
-
Sherlock, cosa stai dicendo? Io… - Molly è chiaramente confusa e frastornata.
Se la prospettiva non fosse sconfortante, lui ammetterebbe che appare quasi
terrorizzata dalla sua confessione. - Cosa
stai dicendo? –
-
Non l’ho fatto per convincerti. All’inizio era quello il motivo, certo, ma a
pochi secondi dalla fine, quando ho creduto che fosse tutto finito – che ti
avrei persa – non potevo sprecare l’unica occasione per dirtelo, non se era
l’ultima. –
-
Tu… - Molly fa un passo indietro, sgranando gli occhi. - Non puoi essere serio.
Non puoi amarmi. Perché dovresti? –
-
Perché non dovrei, Molly? – lui domanda. Cerca di imprimere nella sua voce la
giusta dose di dolcezza, di sincerità. Non
sto mentendo. Ti prego. Ti prego, credimi. - Perché non te, proprio te? –
-
Perché io sono solo… solo io. Cosa
dovresti amare? –
Cosa
c’è che lui non debba amare?
-
La tua gentilezza, il tuo spirito di sacrificio, la tua lealtà, la tua nobiltà
d’animo, la tua capacità di perdono, il tuo pessimo senso dell’umorismo, il tuo
daltonismo quando si tratta di abbinare capi di abbigliamento, la tua mente perspicace
e sensibile. –
-
Sherlock, nessuno ti costringe a… – Molly scuote la testa energicamente. - Questo
è un madornale errore. –
-
Non riesci a vedere? – Lui le poggia le mani sulle spalle, abbassando il viso
all’altezza del suo, costringendola a capire. Lei deve capire. - Guardami, Molly. Hai sempre saputo farlo, non è vero?
Sei sempre stata in grado di notare aspetti di me che nessun altro riusciva a vedere.
Hai visto la mia solitudine e hai cercato di guarirla. –
[- Non può permettersi
di perdere qualcun altro. Non può permettersi di perdere te. – Il finale della storia di John, lo strano sguardo che le aveva
indirizzato, pieno di parole non dette, di sottointesi. E poi un altro
frammento: - Non puoi immaginare in che stato era. Era devastato, semplicemente
terrorizzato. -]
-
Stai dicendo la verità? –
Sherlock
la guarda come l’ha guardata in due altre occasioni, la notte prima che morisse
per il mondo intero e il giorno trascorso insieme a risolvere casi. Con tenerezza,
attaccamento, malinconia. E grazie a quello sguardo lei sa che John ha ragione,
che Sherlock sta dicendo la verità (o almeno, ciò che lui si è convinto che sia
vero). La cruna delle sue più intime inquietudini.
Molly
prende un respiro profondo. Il cuore sembra troppo piccolo per contenere tutte
quelle emozioni. Com’è che John lo ha chiamato? Contesto emotivo. Ecco, è
semplicemente troppo da accettare. Troppo, tutto assieme.
Con
gentile fermezza, lei si scosta, rimuovendosi dalla presa di Sherlock, dalla
sua presenza ingombrante. - Anche se è vero, non posso. Non così. Non adesso.
Ho bisogno di spazio. – Dio, suona come una battuta rubata a una commedia
romantica di pessima qualità. – Io… devo andare. –
Scappa
via e non si volta indietro neppure una volta, neppure per gettare il più piccolo
sguardo alle sue spalle. Non può osservare un secondo di più la desolazione che
lui ha stampata in viso, la disperazione e l’angoscia. Soprattutto perché sa
che sarebbe come osservarsi allo specchio.
*
-
Sherlock, perchè Molly non viene più a trovarti? –
Sherlock
dà le spalle alla finestra. Se esiste qualcuno in grado di capire, decide con
una rapida stima, questa è la signora Hudson.
-
L’ho ferita. Le ho detto la verità, ma lei non mi ha creduto. E’ convinta che
mi stessi prendendo gioco di lei, che stessi mentendo. –
-
E? – lei domanda imperiosamente, le braccia incrociate sul petto. – Lo hai
fatto? -
Lui
rotea gli occhi, irritato dall’insinuazione. C’è stato un tempo in cui sarebbe
stato plausibile, ma quel tempo è sparito nella contaminazione dei sentimenti
che corrompono ogni cosa. – Certo che no! Quale sarebbe il punto? -
-
Oh, caro, sei davvero un uomo stupido. Non capisci? Molly ti sta mettendo alla
prova. Sta testando la tua dedizione, la tua sincerità. Chi può biasimarla? –
La signora Hudson scuote la testa, indurendo lo sguardo. - Vuoi davvero convincerla?
Non ti stai impegnando abbastanza. Cosa pensi di ottenere ristagnando così
sulla poltrona? Invitala alla festa per la fine dei lavori di ristrutturazione.
Qual è la cosa peggiore che possa succedere? -
-
Potrebbe dire di no, - lui quasi grugnisce per la frustrazione.
-
Ma potrebbe anche dire di sì, - lei persevera. - Tentare è sempre una scelta
migliore. -
-
Rispetto a quale? -
L’espressione
della signora Hudson è quella stoica e consapevole tipica delle persone che traggono forza
dall’esperienza. – Rimpiangere. -
*
Avevi
torto.
SH.
Riguardo
cosa?
MH
Sai
di cosa sto parlando.
SH
No,
DAVVERO, non lo so.
MH
Sei
la parte migliore dell’uomo che sono.
SH
John
lo è.
MH
John
fa parte della famiglia. E’ normale che lo sia. Alti e bassi inclusi.
SH
Tu
sei diversa. Lo sei sempre stata. Tu sei la parte migliore, quella gentile,
sensibile, romantica.
SH
La
porta di Baker Street è sempre aperta. Quando e se vorrai.
SH
Venerdì
pomeriggio. Inaugurazione del 221B. Verrai?
SH
La
risposta è sì.
MH
Sai
dove trovarmi.
SH
N/A:
[Ooookay.
Chi è eccitato da tre giorni e mezzo a questa parte, incapace di dormire,
lavorare, mangiare, svolgere le basilari e necessarie azioni quotidiane senza
che il pensiero di QUELLA scena la faccia scoppiare in una poltiglia delirante
di lacrime isteriche e risatine eccitate? (IO. IO. IO. Urlo e saltello in preda
a un’irrefrenabile gioia con un sorriso sgargiante che mi va da un orecchio
all’altro.)
Non
credevo che fosse possibile, non credevo che sarebbe mai successo, ma è
successo, l’impensabile è accaduto e lo Sherlolly è canon!]
Ora,
espletato il mio dovere nei confronti della fangirl che vive dentro di me,
passiamo al lato pratico e logico. Svisceriamo la scena in questione. In questi
giorni ho bazzicato come al solito il fandom inglese, leggendo già piccole
meraviglie, perle di incommensurabile, preziosa, tragica bellezza. Blog,
recensioni, opinioni, le solite lotte clandestine che trovo incredibilmente
irritanti, ma che, questa volta, nel mio stato di esaltata euforia, non mi
hanno disturbato più di tanto. Hanno attaccato Molly, l’hanno chiamata patetica,
hanno definito degradante la sua scena, è stato scritto che il suo personaggio
meritasse di meglio e che la scelta degli sceneggiatori sia stata una mera
crudeltà priva di alcun senso logico. Ci sono state cattiverie gratuite, frecciatine,
ho visto persino la splendida persona che Louise Brealey è perdere le staffe e
cominciare a reagire e difendere con orgoglio e fierezza il suo personaggio, a
spada tratta l’amore che Molly prova per Sherlock.
Ora,
ecco la mia personale opinione su come credo che vada interpretata quella
scena. Lo scopo di Eurus, attraverso tutte quelle prove, era testare le
capacità deduttive di Sherlock sottoponendolo ad un forte stress. Il contesto
emotivo non aveva funzionato nelle prime due occasioni. Ha funzionato per John
e per Mycroft, ma non per Sherlock. Ed ecco che nella terza stanza qualcosa
cambia inequivocabilmente. Perché nella terza stanza c’è una bara e su questa
bara, sulla targhetta apposta, sono state incise tre parole precise, un codice
di sblocco. Non sprecherò il vostro tempo, dilungandomi a descrivere l’espressione
di pura angoscia di Sherlock nel momento in cui capisce che la vittima
designata è Molly né la nota disperata e supplice dopo che le ha detto ‘Ti amo’
per la seconda volta, il timer è agli
sgoccioli e tutti noi spettatori siamo con il fiato sospeso davanti allo
schermo, tremanti, quasi aspettandoci che lei chiuda la telefonata.
Vi
ruberò del tempo, invece, parlando di Eurus, del suo completo trionfo. A lei
non importava nulla di Molly. Cosa avrebbe guadagnato dalla sua morte?
Assolutamente niente. Non era Molly il suo bersaglio e perché avrebbe dovuto
esserlo? L’obiettivo era Sherlock, è sempre stato Sherlock. Farlo esporre,
costringerlo ad aprirsi. Una volta aperto
il tuo cuore, non puoi più richiuderlo. Una volta svelato un segreto,
pronunciate le parole, non puoi rimangiartele, non puoi più ‘non dirle’. Qual è
la cosa peggiore che tu possa fare ai tuoi migliori amici? Svelare il tuo
segreto più oscuro.
Eurus è
geniale, le basta trascorrere pochi minuti con una persona per soggiogarla al
suo volere, comprendere il suo carattere, carpire le sue debolezze. Il punto
debole di Sherlock è Molly e ferendo lei, Eurus sa che ferirà principalmente
Sherlock. La donna che è importante, la persona che conta più di qualsiasi
altra, quella invisibile ma sempre presente, la donna che lo ama
incondizionatamente, che ha mentito per due interi anni ai suoi amici, la donna
che gli ha salvato la vita.
Molly
governa l’intera scena, è lei a gestirla. Non si piega a Sherlock, alla sua
richiesta e al massimo dell’esasperazione pretende che sia lui a pronunciarle
per primo. In fondo cosa sono, per lui, se non parole vuote? Per lei sono vere,
per questo le è impossibile pronunciarle a cuor leggero, ma per Sherlock, che
non prova alcun sentimento romantico nei suoi confronti, perché dovrebbe essere
così difficile pronunciarle? Ed eccolo, il contesto emotivo nella sua enormità.
Le parole sono vere. Devono esserlo. Sherlock
è comprensibilmente stravolto, (cosa dire dell’orrore di quando Molly gli dice
che lei non è un esperimento e lui capisce che ha commesso un passo falso? Che
deve rimediare al più presto o tutto sarà perduto, Molly sarà perduta?) ma nel
momento in cui pronuncia quelle parole, soprattutto la seconda volta, mi è
venuto in mente il finale di Lamù, non so se avete presente, la scena in cui
Ataru pensa che Lamù è una stupida perché come può, costringendolo a dirle che
la ama per salvare la Terra, capire o sapere se è vero? In un contesto del
genere, ma anche dopo, quel primo ‘ti amo’ è segnato per sempre, associato a
una sensazione che è completamente agli antipodi rispetto a quella che dovrebbe
essere. Sherlock, come Eurus dice, ha perso. Guarda cosa hai fatto a lei.
Guarda cosa hai fatto a te.
Il
codice di sblocco è stato attivato da Molly, ma il ‘Ti amo’ sulla bara non era
per Molly, era destinato a Sherlock. Non parole di qualcuno che lo ama, ma
parole per qualcuno che lui ama. Un percorso lungo, non senza intralci, a volte
sputando lacrime e sangue, rompendoci le ossa, ma alla fine ne è valsa la pena.
Sherlock è diventato l’uomo che era destinato a diventare, ha un cuore e non lo
lascerà più andare.
Insomma,
per farla breve, sono in un brodo di giuggiole e non credo che mi riprenderò a
breve. Intanto ascolto questo pezzo meraviglioso non stop (https://www.youtube.com/watch?v=uorGmVFwNQI&index=1&list=PLePPhQozIVbj7XLwqf2BV584aqhIEYdn7) e sogno ad occhi aperti un bambino di
nome Hamish e una bambina il cui secondo nome è Aethra <3.
Una
pioggia di fiori d’arancio per tutti! :)
Godiamoci insieme questa
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