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Autore: Robszeru    19/01/2017    0 recensioni
Il racconto di un viaggio che porterà il protagonista a camminare per un inferno dantesco moderno e rivisitato. Una storia che racchiude segreti e intrighi, e un'avvincente battaglia in forma fantasy contro il male. Il protagonista dopo essere stato derubato del suo amore da una creatura diabolica, si troverà nella selva oscura dove incontrerà proprio Dante. Il sommo poeta lo guiderà nell'inferno per volontà divina, ma la città dolente e l'ardua impresa metterà a dura prova i due viaggiatori. Dante verrà spesso messo alle strette dai suoi stessi segreti e dal vero motivo della missione.
Genere: Fantasy, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dante Alighieri
Note: Cross-over | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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4. Il disordine infernale Ancora una volta sentimmo lo stesso rumore lancinante provenire dall'arcata dell'occhio di Sirio. Dante mi incitò "ragazzo ora dobbiamo davvero andare! Le sentinelle stanno per tornare", ed io spaventato gli chiesi "come sono arrivate fin qui?","ci hanno inseguito, è ovvio!! Siamo stati gli unici che abbiamo incrociato il loro cammino" rispose il poeta.
Dopo un trambusto lancinante, le sentinelle sbucarono un'altra volta dall'arcata, così noi tempestivamente fuggimmo verso la porta infernale e la varcammo. Ci trovammo in un tunnel fatto di pietra che seguiva la forma ad arco dell'ingresso dell'inferno, mentre le sentinelle erano alle nostre spalle che ci inseguivano muovendosi agevolmente nell'aria. Io e il poeta corremmo più forte che potevamo ma le sentinelle ci stavano alle calcagne, così decisi di estrarre ancora una volta la mia rosa di spine, come fece il poeta prima di me. Non appena tesi il braccio per mostrare la rosa, le sentinelle si fermarono impaurite, quindi noi continuammo a proseguire momentaneamente indisturbati. Riuscivo a vedere davanti a me un altro arco da cui proveniva una luce, che probabilmente dava fine a quel lungo corridoio. Non appena varcai velocemente l'uscita, Dante con forza mi tirò a sè, e mi disse "Ragazzo stai attento! Non vorrai morire così". Appena fuori dal corridoio di pietra, c'era uno strapiombo vertiginoso che si affacciava probabilmente sul vasto vestibolo. Se Dante non avesse fermato la mia corsa, probabilmente mi sarei lanciato dallo strapiombo con un ovvio finale tragico. "Una volta che i dannati giungono su questo strapiombo, vengono gettati come se fossero rifiuti. Le anime private della morte, soffrono il dolore di quest'ultima, non appena si schiantano al suolo!" disse Dante, ed io inquietato dalla scena immaginata, mi sporsi per osservare il vestibolo, rimanendo praticamente senza parole. L'antinferno era una vasta campagna bruciata, che presentava una vegetazione ormai morta colmata da grossi tracciati, probabilmente formati dalla corsa eterna dei dannati che inseguono le insulse bandiere. Io mi trovavo forse a cinquecento metri dal suolo, e sopra di me per altri cinquecento metri, c'era un immenso tetto di terra e pietra che copriva interamente il girone degli ignavi. Guardando meglio, notai che nella campagna si stava consumando una battaglia, così chiesi al poeta "sommo, cosa sta accadendo lì giù?" e Dante rispose,"ragazzo, questa è la prima resistenza che oppone il creatore agli esseri infernali, e la stessa cosa la fà Lucifero qui. In questo girone ci sono i dannati dell'antiferno che combattono contro i necrofagi","i necrofagi?" chiesi io, e il poeta "mostruose creature con sambianze umane che si presentano con il corpo putrafatto, e camminano a quattro zampe. Anche se sembrano molto simili a noi, queste creature in comune con le persone hanno ben poco, e il loro unico desiderio è cibarsi di carne umana!". La descrizione dettagliata che mi fece il poeta sui necrogagi mi mise i brividi, ma non più di quando realzzai che il sistema ordinario dell'inferno era ormai perso. Osservando ancora il vestibolo, notai che c'erano i cavalieri con i vessilli neutri, che galoppavano senza meta per tutta la campagna dell'antinferno, ma nessun dannato gli seguiva. Anche i fastidiosissimi insetti che pungevano ripetutamente i dannati, ora vagavano per il vestibolo in maniera totalmente sparpagliata. La guerra aveva causato inevitabilmente la rottura dell'ordine delle cose nella città dolente, così capì subito che il creatore aveva perso il suo totale controllo nel regno dei dannati, lasciando questi ultimi nel disordine bellico. Una situazione delicata che però favoreggiava Lucifero giorno per giorno.
Dallo strapiombo, notai che le fazioni che combattevano contro i necrofagi arrancavano parecchio. Dante mi fece notare che a capo di una di queste fazioni, c'era Ponzio Pilato. Come gli altri ignavi, Pilato si destreggiava bene nella battaglia, ma era circondato da quelle creature mostruose che pian piano stavano per prendere il sopravvento. Vedendo la scena io sentì il bisogno di unirmi alla battaglia, così incitai il poeta "sommo, dobbiamo scendere! Dobbiamo aiutarli!". Dante acconsentì, ma non appena ci mettemo alla ricerca di un modo per scendere nel vestibolo, alle nostre spalle sbucarono le sentinelle che si avventarono con violenza su di noi. Io caddi per terra ad un passo dal bordo del precipizio, mentre Dante con la sua spada cercava con disperazione di fare resistenza. Le sentinelle questa volta erano tre, due delle quali cercavano di spingere Dante giù dallo strapiombo, mentre l'altra si avvicinava minacciosa verso di me. La situazione era davvero delicata. Io mi alzai velocemente e sguainai prontamente la mia spada, ma la sentinella con un attacco rapido, mi disarmò facendo cadere la mia lama giù nel vestibolo. Non mi rimase che estrarre la rosa per cercare di allontanare di nuovo le creature oscure, quando senza preavviso, dall'arco dal quale uscimmo io e il poeta, sbucò Pegaso con tutta la sua lucentezza. Così Io e Dante vedendo arrivare per nostra fortuna il cavallo alato, ci buttammo a capofitto su di lui, il quale si sollevò con destrezza in aria portandoci lontano dalle creature oscure, lontano dal pericolo. Ancora una volta Pegaso ci salvò la vita, e proprio come disse Dante, apparve nel momento del bisogno.
In volo dove quasi taccavamo il tetto di pietra, riuscii a notare che le sentinelle, incapaci di inseguire me e Dante, tornarono indietro da dove erano venute. Ora dall'alto avevo una dinamica migliore della battaglia che si stava consumando nell'antinferno, e sapevo che con Pegaso al nostro fianco, avremmo potuto dare un notevole manforte alle anime del vestibolo, i quali continuavano a battersi a fatica contro i necrofagi. Tra gli ignavi in battaglia potevo facilmente distinguere gli umani dagli angeli, per il semplice fatto che questi ultimi, a differenza degli umani, presentavano delle ali mutilate dietro la schiena, e tutti combattevano a torso nudo, mostrando una fisionomia perfetta. Gli umani invece portavano quasi tutti dei vestiti e si mostravano notevolmente meno eleganti degli angeli nel combattere, ma essendo in maggioranza nella loro fazione, costiuivano una grande potenza.
Un duello in particolare attirò la mia attenzione, una creatura molto simile ad un grosso caprone che camminava su due zoccoli e brandiva tra le mani una lunga ascia, il quale combatteva contro un angelo dai capelli lunghi castani che lottava con una spada. Sorvolando l'area della battaglia, chiesi al poeta "sommo, cos'è quel mostro?" ed egli rispose "quello, ragazzo, è un demone. Queste creature hanno il potere di comandare altre mostruosità come appunto i necrofagi. Sono possenti e dotati di poteri mistici, e possono essere sconfitti solo dagli angeli ancora beati, o con delle sacre reliquie","quindi quell'angelo dannato che lo combatte non ha speranze", replicai io, e il poeta rispose "no, se non facciamo niente per aiutarlo".
La lotta tra i due si stava consumando nettamente a favore del demone, anche se l'angelo era dotato di una grande abilità. Con un colpo micidiale, il demone fece volteggiare l'angelo per poi farlo finire al suolo, disarmandolo e rendendolo vulnerabile. Il demone si stava avvicinando all'angelo per infliggergli il colpo di grazia, quando io e il poeta scendemmo vertiginosamente in picchiata per rovesciare la situazione. Pegaso colpì con gli zoccoli il demone disarmandolo, dando così tempo all'angelo per rialzarsi e riprendersi la spada. Io e il poeta ora eravamo nel bel mezzo della battaglia, tra le grida di dolore dei feriti e gli inquietanti gemiti delle creature infernali
.
Galoppavamo tra i necrofagi da i quali traspirava una nauseabonda puzza di putrefazione, mentre Dante colpiva questi ultimi da i lati di Pegaso. Io diasarmato cercavo di ripararmi quando il demone, che colpimmo attimi prima, si rivoltò violentemente contro di noi caricando Pegaso a un fianco. Io precipitai al suolo e ormai vulnerabile, stavo per essere assalito dai necrofagi, i quali mi avrebbero divorato in pochi secondi. Per mia fortuna, l'angelo che avevamo salvato si mise davanti a me proteggendomi, e respingendo quelle ripugnanti creature con disarmante destrezza.
Ma alle nostre spalle il demone con spirito vendicativo, si avvicinava verso di noi tenendo la sua ascia tra le grosse mani. Sulla fronte la creature presentava una specie di occhio rosso che notai solo in quel momento, quando cominciò a brillare. Improvvisamente tutto divenne buio e sfocato. Le urla della battaglia erano inspiegabilmente sparite e io mi sentì disorientato, come se fossi stato abbandonato. Riuscivo solo a vedere l'occhio rosso del demone sulla sua fronte. Cominciai a sentirmi debole, e le orecchie inziarono a fischiarmi fastidiosamente, come se mi stesse esplodendo il cervello. Poi mi tornò in mente che Dante mi illuminò sui poteri mistici dei demoni, e capì che quella creatura mi stava come ipnotizzando, provocandomi dolore dall'interno per tenermi fermo al suolo e risucchiarmi ogni tipo di enregia. Decisi di tirare fuori la mia rosa per tentare di salvarmi, e così feci. Sventolai il fiore con il braccio teso verso l'alto e riusciì a fare più che salvarmi. Cominciai a rivedere la luce e a sentirmi meglio, mi accorsi che il demone emettendo versi di dolore cominciò ad allontanarsi da me, insieme a tutti i necrofagi. Il grosso demone in un lampo si dissolse nel nulla, mentre le altre ripugnanti creature scavarono delle fosse nel suolo e ci entrarono, svanendo tempestivamente. Tutti si fermarono ad osservare la scena esterrefatti, mentre la mia rosa ancora brillava di potere. L'angelo che cercò di proteggermi si avvicinò verso me e mi chiese "Chi sei tu?", ed io rimasi in silenzio, cercando di trovare le parole giuste per esporre a quella meravigliosa creatura il motivo della mia presenza. Quell'angelo era alto e possente, con un corpo scolpito e lunghi capelli neri, e un viso giovane fermo all'età di trent'anni circa.
Nella mia incapacità di comunicare, Dante si avvicinò per prendere parola, e rispose all'angelo "lui è qui per volontà divina, lui è qui per salvarci tutti, per porre fine alla guerra, per portare tutto all'ordine come all'inizio dei tempi. La sua anima ancora in vita, porterà alla morte il maligno".
Alle parole del poeta, le legioni di ignavi si riunirono intorno a noi, e con mio grande stupore le anime dannate si inchinarono tutte al mio cospetto, come se sapessero del mio imminente arrivo, e combattessero con la speranza di vedermi presto.
Improvvisamente qualcuno con un grido di battaglia disse "Il creatore ci ha mandato il suo prescelto! E' il momento di combattere!", e alle sue parole tutti emisero un grido di guerra per caricarsi. Uno scenario da brividi. Chi urlò fù Pilato che sucessivamente mi raggiunse sorridente, e notai che nella sua mano possedeva la mia spada. Pilato mi porse la lama dicendomi "questa dev'essere tua ragazzo! E' molto bella!" ed io lo ringraziai. Il prefetto romano mi chiese ancora "e adesso cosa si fà?" ed io farfugliando cercavo le parole per rispondergli, evitando di sembrare impacciato o ignorante sul da farsi. Fortunatamente, come un angelo custode, Dante accorse in mio aiuto come sempre, e prese parola per soddisfare la domanda di Pilato, e gli disse "dobbiamo raggiungere la città di Dite, e abbiamo bisogno di tutto l'aiuto possibile" e Pilato rispose "avrete tutto l'aiuto di cui avete bisogno, anche dal sottoscritto. Se volete raggiungere Dite, dobbiamo prima raggiungere la riva dell'Acheronte, ma dovrete convincere il barcaiolo a trasportarvi dall'altra parte","convincere il barcaiolo? Intendi Caronte?" chiesi io, e Pilato annuì. Il poeta confuso chiese al prefetto "di cosa dovremmo convincere il traghettatore?","bè... a traghettare" rispose Pilato a tentoni, e continuò "ormai è fermo alla riva del vestibolo da secoli, e tutte le anime dannate sono ferme lì ad aspettare che si decida a partire" ed io chiesi ancora "ma perchè è fermo lì? E soprattutto da che parte sta?","si dice che abbia paura, e che il suo terrore lo tiene fermo lì nella totale neutralità. E' rinchiuso nella sua plancia ormai da un pò" rispose Pilato.
Le parole del prefetto romano mi fecero capire che la barca di Caronte non era una semplice bagnarola, come avevo sempre creduto studiando l'opera di Dante, ma si trattava di un vero e proprio traghetto. Mi sembrò fisicamente più logico dal momento che in ogni viaggio Caronte avrebbe dovuto traghettare migliaia di anime dannate. Avevo sempre avuto un debole per la figura del traghettatore, e l'idea di doverlo conoscere mi entusiasmava molto. Non so che tipo di personaggio mi sarei trovato davanti, forse davvero un vecchio bianco per antico pelo.
"Approposito, non mi sono presentato. Io sono Ponzio Pilato", disse il prefetto "si lo avevo intuito!" risposi, e continuai chiedendo a Pilato indicando l'angelo che mi aveva salvato "puoi dirmi chi è quello? Quell'angelo?","Lui è Clion, meglio noto un tempo come angelo della protezione, prima di essere stato giudicato dal creatore per la sua neutralità". Dopo aver preso sapienza del nome dell'angelo, mi avvicinai a lui per parlargli "ti ringrazio!", gli dissi e lui "sono io che devo ringraziare te ragazzo. Se non fosse stato per te a quest'ora sarei spacciato. Saremmo tutti spacciati".
Ripensai alla battaglia del vestibolo e nella mia curiosità chiesi a Clion, "cosa ci facevano quelle creature qui?" e l'angelo rispose "sono secoli che ormai Lucifero manda le sue mistiche creature per rovesciare l'inferno sulla terra. Dopo il cataclisma diabolico il creatore ha dato una scelta a tutti gli ignavi del vestibolo. La guerra incombeva e serviva tutto l'aiuto possibile per tenere le tenebre nel suo buco. Quando tutto sarà finito, noi saremo giudicati, ancora. La vittoria significherebbe per noi la beatificazione, il ritorno nel regno dei cieli". Fui commosso dalle parole dell'angelo. Lui mi parlava mentre ripuliva la sua lunga spada dal sangue delle ripugnanti creature, e nella sua voce potetti riconoscere un barlume di speranza, che cresceva sempre di più ogni volta che incrociava il mio sguardo.
Alle nostre spalle, Dante e Pilato stavano pianificando il cammino verso l'Ancheronte, e il poeta ribadiva al prefetto che io, essendo ancora un mortale, avevo necessità di acqua e cibo. Pilato rassicurò il sommo dicendogli che con un pò di fortuna, avremmo trovato quello di cui avevamo bisogno nel traghetto di Caronte. Il prefetto ribadì che se fossimo riusciti a persuadere il traghettatore, egli avrebbe non solo acconsentito a traghettarci, ma anche a darci manforte per continuare il viaggio.
Clion richiamò di nuovo la mia attenzione, e mi disse "ragazzo ho un dono per te! In qualità di angelo della protezione ti offro un oggetto molto particolare". L'angelo mi porse una sorta di spilla d'argento circolare con al centro una ricostruzione di un'ala, e mi disse "questo amuleto ha il potere di sopperire al dolore di ferite di guerra e rimarginarle velocemente. Se ti trovassi in situazioni complicate, ti basterà stringerlo tra le mani e subito qualcuno verrà per soccorrerti". Tenevo in mano l'amuleto quando notai che le ferite sul mio braccio destro, provocate dal morso della lince, si rimarginarono e divennero cicatrici, certo ben visibili ma meglio delle grosse lacerazioni. Sorpreso dall'accaduto, ringraziai Clion con un abbraccio prolungato, e mi rattristai al pensiero che una creatura così gentile e meravigliosa come Clion, possa essere stata dannata dal creatore. Pensai, forse l'angelo non è sempre stato così, forse l'inferno lo aveva cambiato dentro, forse aveva assaggiato il male e come tutti i dannati ora bramava la beatificazione.
Sentì la voce del poeta che mi chiamava "forza ragazzo, siamo pronti, dobbiamo andare!". Salutai Clion con affetto e lui mi giurò fedeltà promettendomi che avrebbe difeso il vestibolo con la sua stessa vita. Pilato decise di proseguire il cammino al nostro fianco, e così decidemmo di rimetterci in marcia.
Passammo in mezzo alle legioni di ignavi che stavano tutti togliendosi di dosso i postumi della battaglia. Gli sguardi dei dannati erano rivolti verso di noi, colmi di speranza e gratitudine, pronti ad attendere buone notizie dai piani inferiori della città dolente.
Eravamo solo in tre, anzi in quattro con Pegaso che ci seguiva e ci metteva un pizzico di buon umore in quella campagna devastata dalla guerra.
Incuriosito da me, Pilato cominciò a farmi delle domande "allora ragazzo, di te so solo che sei il prescelto, ma chi eri prima che venissi coinvolto in questo disordine", ed io facendo una piccola pausa prima di parlare, gli risposi "sono un musicista. Sulla terra ho avuto la fortuna di imparare l'arte della manipolazione del suono, e mi guadagno il mio posto nella società in questo modo. O almeno ci provo". Pilato visibilmente compiaciuto dalla mia risposta, mi disse "non ho conosciuto molti musicisti in vita, ma credo che il fatto che tu lo sia, non è una coincidenza. Al giorno d'oggi voi siete i nuovi poeti e come il creatore fece con Dante, ha scelto la via dell'arte per illuminare il mondo sulle conseguenze della vita sulla terra","suppongo di si, anche se ora è diverso. C'è una guerra" risposi, e Pilato ribattè "hai ragione, ma vedi, la tua qualità è quasi una magia, l'unica magia di cui l'uomo è capace, la musica". Le parole del prefetto mi riempirono di orgoglio e sicurezza, e in parte aveva anche ragione. La musica è una cosa tanto astratta quanto concreta, proprio come la magia.
Poi anche io incuriosito dalla figura di Pilato, che portava un'armatura medioevale, gli chiesi "cosa... cosa hai provato a stare al suo cospetto? Al cospetto di Cristo intendo?", e lui "la verità? Nulla! Non ho provato assolutamente niente, se non la pena di quando guardi negli occhi chi ha paura del dolore, che in realtà era la sua unica paura. La singola cosa che lo distinse dagli altri, fù il fatto che non implorò pietà, non si inginocchiò ai miei piedi nella speranza della salvezza. Lo avrei anche salvato se non fosse stato per la mia difficile posizione politica. Però avrei dovuto capire chi era veramente quell'uomo, e ora mi trovo qui, com'è giusto che sia!". C'era davvero tanto rimorso nella voce di Pilato, ed intuì che dopo la sua dannazione lui ripercorse l'incontro con Cristo per cercare nelle sue parole qualunque cosa che gli avrebbe potuto far capire chi fosse veramente quell'uomo, segnato dalle percosse e dalla flagellazione. "ma dopotutto il mio destino è stato un disegno divino, e non ho potuto fare altro che inchinarmi al creatore" disse Pilato, e le sue parole mi spararono in mente ricordi della mia vita, in particolare del mio povero zio defunto. Ho sempre voluto pensare che la sua morte fosse un disegno divino che io adesso ancora ignoro, l'unico modo che ho per trovare una logica a quello spiacevole evento.
Dopo una lunga ed estenuante camminata nel nulla della vasta campagna secca dell'antinferno, giungemmo finalmente alla riva dell'Acheronte. Eravamo su una collina le cui pendici toccavano il bagnasciuga del fiume, quando assistì ad uno scenario che toglie il fiato. Migliaia di anime dannate denudate e maltrattate, che attendevano il loro turno per essere traghettate, e raggiungere finalmente il proprio cerchio della dannazione. A circa cinquecento mentri dalla riva c'era il mastodontico traghetto di Caronte. Non so descrivere cosa provai nel momento in cui vidi quel maestosto veliero, so solo che rimasi affascinato dalla bellezza del paesaggio. Sentimenti constrastanti mi invasero il cuore, da una parte il terrore per la brutalità con il quale le anime venivano gettate come profughi sulla riva del fiume, dall'altra lo stupore per la maestosità del traghetto e del fiume stesso. Pilato mi disse "ragazzo, benvenuto al cospetto della crociera dei dannati! Una delle meraviglie della città dolente. Nonostante rappresenti l'ultimo viaggio di un'anima dannata, il traghetto toglie sempre il fiato per la sua bellezza", ed io pensai che il prefetto non poteva avere più ragione di così. Capì che a prescindere dal fatto che l'inferno dovesse essere un posto sadico e brutale, il creatore non riuscì a venir meno alla bellezza e alla perfezione della sua mente creativa, plasmando la città dolente in maniera strategicamente elegante e mozzafiato. Forse un altro tipo di dannazione per le anime dell'inferno, le quali non avrebbero mai assaporato neanche lontanamente la creatività benevola del creatore.
Scendemmo lungo l'altopiano e passammo in mezzo alle anime attendenti, le quali avevano lo sguardo inchiodato sul nostro passaggio tra loro. Potevo sentire domande tra i dannati come "chi sono quelli?" o "ma quello è il sommo poeta?" o ancora "cosa ci fà qui un mortale?", così capì che quelle anime erano ignare di tutto ciò che stava accadendo nei piani più bassi dell'inferno, privati della sapienza di un destino ancor più tragico della dannazione stessa. Arrivati al bagnasciuga ci accorgemmo che avevamo bisogno di un modo per raggiungere il traghetto, una cosa che forse avremmo potuto fare in volo con Pegaso, solo che non ci saremmo mai stati in tre in groppa al cavallo alato. Pilato stava cercando qualcosa simile ad un bagnarola che ricordava di aver già visto, quando Dante trovò una corda che finiva dritta nell'acqua, e cominciò a tirarla. Pian piano la bagnarola che Pilato cercava venne fuori dalle acque intatta, come se non fosse mai affondata. Io Dante e il prefetto salimmo a bordo, mentre Pegaso ci avrebbe seguito volando, e così cominciammo a navigare per raggiungere la crociera dei dannati.
L' acqua del fiume era salmastra e scura, tanto da renderci impossibile riuscire a vedere il fondale. Ricordo che il fiume emanava uno strano odore simile allo zolfo. La presenza di quell'odore era piuttosto strana, dato che proveniva dall'acqua.
Più ci avvicinavamo al traghetto più potetti ammirare la bellezza disarmante del veliero di Caronte, illuminata a sprazzi da mistiche luci verdi. Lo scafo si presentava insellato e aveva l'aspetto di un relitto abbandonato segnato dal tempo, ma stava perfettamente a galla. Le vele erano chiuse e l'ancora gettata sulla dritta dello scafo, il tutto a confermare che il veliero era evidentemente inchiodato in quel punto. Quando arrivammo a pochi metri dalla dritta del traghetto, un portellone che stava sul pelo dell'acqua si aprì, e una strana figura apparse sull'uscio. Una creatura vestita da marinaio che presentava il viso di uno scheletro con brandelli di carne putrefatta attaccati al teschio. La creatura inquietante parlò e ci chiese"chi siete voi?" e il sommo rispose "vogliamo vedere il capitano!","il capitano non riceve ospiti!" ribattè la creatura, e Pilato esclamò "neanche un mortale!?". Ci fù un momento di silenzio, e poi la creatura ci invitò a salire a bordo. Mentre guadagnavo l'ingresso del veliero, notai che Pegaso non era più con noi, ma probabilmente ci avrebbe raggiunto più tardi.
L'interno di quel primo ponte era molto simile ad un carcere a due piani tetro e poco illuminato, ed era pieno di marinai spettri che svolgevano classici lavori da uomini di mare. Le celle erano vuote malconce e piene di ragnatele e le sbarre erano arruginite e in parte completamente rotte. Riuscì a captare un rumore simile ad una corda di una chitarra elettrica pizzicata più volte e irregolarmente, che si faceva sempre più intenso man mano che percorrevamo il ponte più basso. Stavamo salendo lungo una scala a chiocciola pericolante per raggiungere il ponte dove c'era la cabina del capitano, quando riconobbi che quel rumore che sentivo era molto simile alla nota Sol, ma era suonata male, pizzicata con troppa violenza e frustazione.
Raggiunto il ponte più in alto, notai che stavamo dinanzi ad una specie di sala di ricevimento con un lungo tavolo da banchetto al centro, sovrastato da un enorme lampadario attaccato al tetto pericolante con un aggancio di fortuna. Le mura sembravano vecchie colme di muffa e ragnatele, e il pavimento era ricamato con grandi rombi bianchi e neri, anche quest'ultimo abbastanza disastrato. In fondo alla sala c'era l'ingresso ad arco per la cabina del capitano fatto di legno ormai marcio. Il marinaio ci disse "il capitano vi sta aspettando" indicandoci l'ingresso della cabina. Il sommo senza perdere tempo strinse il pomello a forma di teschio con la mano destra, e aprì la porta. Non appena questa si spalancò, il suono che sentivo lungo i primi due ponti divenne decisamente più limpido, così capì che quella nota pizzicata proveniva proprio dalla plancia di Caronte. Varcammo la soglia arcale e una figura vestita da pirata capitano con la stessa faccia da spettro come tutti gli altri marinai, che teneva tra le mani una chitarra elettrica mal ridotta, ci accolse. La creatura che stava seduta con le gambe poggiate su un tavolo di legno e la chitarra posata sul suo addome, ci disse "benvenuti sulla mia nave. Io sono Caronte!".
   
 
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