Serie TV > Sherlock (BBC)
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Autore: Padmini    20/01/2017    1 recensioni
Uno sguardo, un legame silenzioso tra due anime.
Sherlock, studente brillante ma solitario.
Gregory, studente più grande, generoso e desideroso di riparare a tutti i torti.
Un gatto e un cane che si incontrano nel cortile di una scuola.
Cosa accadrà tra di loro? Possono due anime così diverse trovare un luogo in cui incontrarsi?
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lestrade, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi qui!

Prima di iniziare vorrei fare una piccola premessa. Manca poco, molto poco alla fine della storia. Da qui in poi seguirò più o meno la trama della serie, ma si tratterà di balzi tra un episodio e l'altro, una serie di missing moments perché ciò su cui non voglio soffermarmi non è la storia di Sherlock con John ma quella non narrata, quella di Sherlock con Gregory.

Buona lettura ;)

 

 

 

Notte: regno dei sogni, regno degli incubi, regno dei gatti

 

 


 

 

Babadook è l'uomo nero che ti ruba il sonno intero…

Babadook





 

John non capiva. John non avrebbe mai potuto capire. Come avrebbe potuto, dopotutto? Non gli aveva mai detto nulla e certamente non glielo avrebbe rivelato mai, così John avrebbe continuato a pensare che ciò che i suoi sbalzi d'umore e il suo nervosismo avessero a che fare esclusivamente con l'assenza di casi sufficientemente stimolanti per lui. In effetti era vero, almeno in parte. Doversi occupare di un caso, ragionare sulle varie ipotesi, tenendo occupato il cervello, era ciò che lo aiutava a liberarsi da quel “regalo” che gli aveva fatto Irene Adler. Quella Donna, La Donna, gli aveva permesso di specchiarsi nei suoi occhi, di vedere più in profondità la sua anima, per la prima volta dopo tanto tempo … e ne aveva avuto paura. Il forziere era stato aperto e ora lui nuotava in acque torbide. Non era servito a nulla o quasi infilzare quel maiale. Era stato uno sfogo, l'unica nota piacevole di quel caso così semplice da essere risolto in una mattinata.

Per questo motivo aveva accettato il caso di Henry Knight. La sua storia era assurda, ne era pienamente consapevole,eppure lo aveva intrigato più degli ultimi casi … o forse stava solo fuggendo?

Ciò che era successo poi era ai limiti dell'assurdo, ma allora perché erano partiti? Perché Sherlock aveva bisogno di andarsene da Londra, di allontanarsi da … da chi? Da cosa? Aveva sperato di poter scappare, in realtà si era immerso ancor più nelle sue paure. Aveva sempre cercato di apparire agli altri come un essere privo di sentimenti, totalmente impermeabile a ciò che gli accadeva attorno, ma … non era vero. Le maschere che aveva scelto di indossare negli anni stavano cadendo una dopo l'altra, un domino di emozioni che lo stava devastando come una malattia. La cicatrice del suo cuore spezzato si era aperta e ora sanguinava copiosamente, lasciandolo nel torpore e nella confusione. L'unica cosa che ancora funzionava era la mente … o almeno così aveva creduto fino a quando aveva visto il mastino. Quando Henry gliene aveva parlato aveva creduto a un'esagerazione, alla mania di persecuzione di un povero pazzo … ma era reale! Reale! Lo aveva visto con i suoi occhi, quella notte … oppure no? Cosa gli stava succedendo? Le emozioni stavano contaminando, come un virus, le sue capacità intellettive? Aveva sempre pensato che provare dei sentimenti ostacolasse il pensiero razionale e, di conseguenza, il suo lavoro. Era davvero così? Perché aveva scelto di dimenticare la sua parte più umana? Era davvero solo per quello?

 

 

 

 

Da quando aveva divorziato da Haley era la prima volta che si prendeva una vacanza, ed era stata la più bella della sua vita, lontano da impegni, responsabilità e ricordi dolorosi. Si era goduto quel tempo che aveva deciso di dedicare esclusivamente a se stesso ed era partito. Si sentiva libero, soddisfatto, anche se percepiva l'assenza di qualcosa o qualcuno, per questo forse era rimasto interdetto quando Mycroft gli aveva chiesto di andare a sorvegliare il fratello a Dartmoore, ma anche piacevolmente sorpreso.

Prima di tutto si era chiesto cosa ci facesse Sherlock così lontano da Londra e inoltre il maggiore degli Holmes sembrava oltremodo spaventato dalla sua presenza lì. Sapeva che non lontano da quel villaggio c'era una base militare, Baskerville, e che si raccontava della presenza di un mastino demoniaco che andava in giro per la brughiera seminando morte e terrore … ma questi due fatti cosa avevano a che fare con lui? Sicuramente un uomo razionale come Sherlock non poteva lasciarsi coinvolgere dai deliri di qualche pazzo su un cane fantasma, giusto? Il suo obiettivo doveva per forza essere qualche segreto custodito a Baskerville … sempre che il segreto in questione non fosse proprio una qualche creatura geneticamente modificata prodotta da quei laboratori. Aveva sentito dire di tutto, perfino che addestrassero gli animali per sostituire i soldati in guerra, quindi non poteva essere così strano che circolassero voci riguardanti qualcosa di soprannaturale. Lui non doveva fare niente di particolare in realtà se non tenere d'occhio Sherlock e assicurarsi che non facesse nulla di avventato, cosa per niente semplice, vista la situazione.

Avrebbe alloggiato nella sua stessa locanda e in questo modo avrebbe potuto stargli vicino e magari, tra una chiacchiera e l'altra, sempre se fosse riuscito a fermarlo abbastanza a lungo da poter chiacchierare, sarebbe riuscito a ricavare qualche informazione. Lo scoglio principale era la diffidenza che Sherlock sembrava avere nei suoi confronti. Non aveva mai detto apertamente di lavorare per Mycroft e Sherlock non aveva nessun motivo per pensarlo, ma sentiva che il suo amico covava dei sospetti nei suoi confronti. Sospetti fondati, ovviamente, ma non lo avrebbe mai ammesso, sarebbe stato come porre fine alla loro già precaria amicizia.

Quella specie di missione sembrava partire con le peggiori premesse, ma una volta arrivato nel piccolo villaggio quasi si ricredette. Il cielo era sereno, la temperatura gradevole, l'atmosfera era tranquilla, ma condita da quel po' di eccitazione che condiva la sua quasi vacanza in modo perfetto.

 

Aveva portato il suo bagaglio in camera e, dal momento che non aveva ancora visto Sherlock, pensò di aspettarlo al pub della locanda. Se fosse stato ancora in camera lo avrebbe incontrato mentre scendeva e se era già uscito lo avrebbe intercettato al suo rientro. Nel frattempo aveva deciso di prendersela con calma, in fin dei conti quella finta vacanza doveva pur avere un senso, no? Ordinò una pinta di birra e si sedette al bancone. I proprietari erano due uomini, la cui relazione sentimentale era fuori da ogni dubbio. Il più giovane dei due gli servì la birra accompagnata da una ciotola di patatine e qualche salatino.

“Guai in paradiso, eh?” chiese al più anziano, sopraggiunto in quel momento con una cassa di bibite che iniziò a mettere nel frigorifero dietro il bancone.

“A quanto pare ...”

Senza sapere bene perché, Greg decise di origliare quella conversazione. Si voltò e fece finta di farsi i fatti suoi.

“Cosa è successo?” chiese di nuovo il giovane “Stamattina ho visto uscire solo quello basso, il biondino.”

“Ieri sera hanno litigato e il signor Holmes non è ancora rientrato.”

Sentendo il nome di Sherlock, Greg si fece ancora più attento.

“Non ci posso credere! Sono così carini insieme! Spero che facciano presto pace!”

Sembrava davvero coinvolto da quella lite, quasi conoscesse i due personalmente o volesse in ogni caso la loro felicità “Sai perché hanno litigato?”

“A quanto pare il signor Holmes era molto nervoso. Il dottore ha cercato di consolarlo, ma lui ha reagito male. Se fossi stato in lui anch'io mi sarei arrabbiato. Stamattina era anche lui molto teso.”

Gregory gioì intimamente, vergognandosene immediatamente dopo. Perché doveva essere felice per l'infelicità di Sherlock? Ricordò quando, anni prima, Sherlock si era dimostrato felice per la sua relazione con Haley, pur amandolo … ed era solo un ragazzo. Ora lui, adulto fatto e finito, esultava per il momentaneo distacco del suo amico da colui di cui era geloso? No, non era ammissibile. Finì di bere la sua birra e in quel momento sentì la voce dei due avvicinarsi sempre di più. Li vide fermarsi, stavano parlando di un qualche acronimo, una parola che non riuscì a sentire … ma vide gli occhi di lui, di Sherlock, quando incrociarono i propri.

Sherlock era bravo a nascondere i propri sentimenti, soprattutto quelli positivi, ma l'indignazione era qualcosa che traspariva dal suo sguardo come una spada. Era offeso, arrabbiato per la sua presenza lì. Come avrebbe dovuto reagire? Sapeva perché era arrabbiato e di certo non poteva non comprenderlo, ma a quanto pareva aveva appena fatto pace con John, i due sembravano tubare come una coppietta sposata da anni. Un momento. Perché stava pensando quella cosa? Ovvio, era geloso e dispiaciuto per come lo guardava Sherlock. Un sentimento molto simile alla rabbia lo fece sorridere, nemmeno lui avrebbe saputo dire il perché.

“ … cosa diavolo ci fai tu qui?!” chiese Sherlock, quasi gridando.

“Uh! Anch'io sono felice di vederti. Sono in vacanza, ci credi?” il suo tono era sarcastico, aveva voglia di litigare con lui, di dirgli che era stanco di essere ignorato così, di non essere più considerato suo amico, non dopo tutto quello che c'era stato tra di loro!

“No. Affatto.”

“Salve John” disse, vedendo arrivare anche Waston. Così era vero. Avevano davvero fatto pace.

“Greg ...” rispose lui, salutandolo, senza immaginare minimamente cosa stesse passando per la testa dell'ispettore.

“Ho saputo che eri in zona. Cos'hai in mente? Stai cercando il cane infernale, come dice la TV?”

Si sentiva cattivo, arrabbiato, ma in quel momento la sua rabbia era nulla in confronto a quella di Sherlock, che sembrava volerlo incenerire con lo sguardo. Dannazione.

“Sto aspettando una spiegazione, Ispettore. Perché sei qui?”

“Te l'ho detto! Sono in vacanza!” come se Sherlock avesse potuto credergli.

“Sei tutto abbronzato, è chiaro che sei appena tornato da una vacanza!”

Ovvio. Come aveva potuto pensare Mycroft che Sherlock avrebbe potuto credere a quella copertura? Forse non ci aveva nemmeno sperato, tanta era l'urgenza di tenere sotto controllo il fratellino.

“Volevo farmene un'altra.”

“Oh … è stato Mycroft, vero?”

Colpito e affondato.

“Ascolta ...” forse poteva ancora rimediare.

“Ma certo! Sente parlare di Baskerville e subito mi manda un controllore a spiarmi in incognito. È per questo che ti fai chiamare … Greg?”

Un istante di silenzio non sarebbe bastato per contenere l'urlo represso. Davvero si era dimenticato il suo nome? Davvero?! Stava per gridare, quando John intervenne, placandolo prima che potesse dargli un pugno.

“È il suo nome.”

“Davvero?” Sherlock sembrava sincero, si era sul serio dimenticato di lui. Un nome, il nome di una persona non importante, il suo nome, uno tra i tanti da dimenticare, sostituito dal più comodo “Ispettore”, dal momento che per lui non era altro che quello, uno strumento utile per raggiungere i suoi scopi. Era questo ciò in cui si era trasformato? Non contava più nulla per Sherlock?

“Già!” rispose, con rabbia a malapena repressa “Se ti fossi scomodato a chiederlo.” come se non lo sapessi, ipocrita “Io non sono il tuo controllore … e non eseguo gli ordini di tuo fratello.” come se non fosse vero, altro ipocrita.

“Forse puoi essere l'uomo che ci serve ...” mormorò John, attirando la sua attenzione e quella di Sherlock.

 

Uscendo dal pub, più tardi, si sentiva leggero come una piuma. Si era divertito, nonostante tutto. La presenza di Sherlock era bastata per ridargli il buonumore, come una droga che però poi ti fa precipitare in un abisso di depressione. Sarebbe andato avanti così per sempre? Lui che insegue Sherlock per elemosinare un po' della sua attenzione come un tossico qualsiasi? Drogato di Sherlock … ecco cos'era … e invidiava John che poteva respirare il suo profumo ogni giorno, ogni minuto … lui che aveva il rispetto e l'amicizia di … sì, dell'uomo che Gregory aveva capito di amare. Gli ci erano voluti anni per capirlo, ma ci era arrivato.

Una volta lontano dal paese, in mezzo alla campagna e nascosto alla vista dietro un enorme masso, scoppiò a ridere. Rise di se stesso, della sua stupidità, del tempo che aveva impiegato a capire che amava Sherlock e che lo avrebbe sempre amato. La risata riecheggiò nell'aria e si tramutò in un pianto disperato quando Gregory capì che, per quanto lo potesse desiderare, Sherlock non sarebbe mai stato suo. Non più. Era arrivato troppo tardi.

 

 

 

 

Quella notte fece fatica a dormire. I pensieri danzavano nella sua testa come fiammelle impazzite, sfuggite da un incendio che lui stesso aveva appiccato. Pensieri confusi, disordinati, senza un senso, ma sopra quelle voci, al di là del brusio, c'era una sola immagine, un solo volto … Jim Moriarty. Lo osservava oltre la nebbia, i suoi occhi brillavano della luce delle fiamme dell'inferno e lo aspettavano, famelici. Era lui il mastino, il suo mastino, la sua paura ancestrale, ciò che era riuscito a bloccarlo, terrorizzarlo. Era davvero così debole? Un solo pensiero, il mero ricordo di lui era sufficiente per paralizzarlo? Sì, a quanto pareva era proprio così. Jim era stato chiaro, lo avrebbe fermato, in un modo o nell'altro.

Si alzò dal letto e andò alla finestra. Il cielo era sereno, qualche nuvola solitaria transitava nel blu intenso della notte. Aprì la finestra, lasciando che l'aria frizzante della brughiera gli scompigliasse i capelli e lo risvegliasse da quel brutto sogno. Indossava solamente la camicia e i pantaloni scuri ma non aveva freddo, aveva bisogno di sentirsi vigile, avvolto da quel fresco che sembrava dare sollievo anche alla sua mente in subbuglio.

Voltandosi verso la stanza, vide John profondamente addormentato. Quel caso lo aveva stremato, fisicamente e psicologicamente e ora dormiva il sonno di chi non ha pesi sulla coscienza. Lui invece no, non riusciva a dormire, non con quei pensieri che lo tormentavano.

Jim. James. James Moriarty.

No, non lo voleva vedere, non voleva sentire il suo nome nella sua mente, ripetuto come un mantra a ricordargli che presto avrebbe dovuto affrontare lui e tutto ciò che rappresentava. No, doveva pensare ad altro.

Greg. Gregory. Gregory Lestrade.

Perché stava pensando a lui? Rise piano, pensando allo scherzo che gli aveva fatto quel giorno. Aveva finto di non ricordarsi del suo nome, ma era stato facile visto che era arrabbiato anzi, furioso. Gregory non era lì per lui, ma per ordine di Mycroft, per sorvegliarlo Sì, era così, ne era certo. La cosa lo aveva sempre divertito, perché invece si sentiva sul punto di scoppiare per la rabbia? Cosa c'era in fondo al suo cuore che premeva per uscire? Le emozioni già da tempo avevano preso il sopravvento, da quando era riuscito a specchiarsi nell'immagine di Irene, la Donna che era riuscita a riflettere l'immagine di un uomo non privo di emozioni, ma così colmo di esse da poter scoppiare da un momento all'altro. Lei aveva innescato la bomba e questa era esplosa, eliminando ogni cosa, perfino le emozioni, alla fine … o almeno così aveva creduto. La paura c'era, aveva resistito, ne aveva avuto numerose prove in quei giorni, aveva dovuto toccare con mano le ceneri di quella distruzione e le aveva sentite calde, come se celassero qualcosa di importante, vivo, che aveva resistito tutto quel tempo, tutti quegli anni. Cos'era? Era un sentimento vivo, vitale, sempre più presente e sempre più grande, che non poteva ignorare. Sapeva che c'era ma non ricordava cosa fosse. Chiuse gli occhi e lasciò che le lacrime scendessero libere, lucide sulla sua pelle chiara. Non voleva piangere, non stava piangendo, il suo cuore sanguinava e lui non poteva fermarlo. Una voce dentro di lui urlava e finalmente lui la sentì. Non poteva continuare a razionalizzare tutto. La mente poteva arrivare fino a un certo punto, ma se voleva davvero risolvere quell'enigma, l'unico enigma invisibile inchiodato nella mensola del suo palazzo mentale, doveva far agire il cuore e l'istinto. Come tanti anni prima, una notte ormai dimenticata.

Come un sonnambulo uscì sul balconcino e chiuse la finestra, in modo che l'aria fredda non svegliasse John. Con cautela si arrampicò sull'edera che cresceva lungo la parete.

 

 

 

 

Alla fine era riuscito a dormire. Aveva mangiato parecchio, bevuto troppo e riso come l'ubriaco che era. Ciò che aveva visto quella sera andava oltre ogni immaginazione e aveva bisogno di esorcizzarlo, in un modo o nell'altro. Il terrore che aveva provato però non doveva essere nulla se paragonato a ciò che aveva visto in Sherlock. I suoi occhi erano fissi, puntati su un demone che solo lui riusciva a vedere. Era vero, era buio e il mastino era davvero spaventoso, ma cosa poteva aver visto Sherlock di così terribile da ridurlo in quello stato? Troppe emozioni, troppi fantasmi erano emersi dalla nebbia della brughiera, e pensò che il gas tossico avesse semplicemente aiutato a tirare fuori ciò che ognuno di loro aveva dentro e, per quel che riguardava lui, a confermare ciò che aveva pensato quel pomeriggio. La stanchezza, il cibo e l'alcool avevano fatto il resto, ma il sonno in cui era precipitato era stato agitato e abitato da cani con gli occhi rossi come il fuoco, che divampava attorno a lui, accerchiandolo, facendolo quasi soccombere. I crepitii si fecero più presenti, più pressanti, vicini a lui, le fiamme lo accerchiavano … quando una semplice folata d'aria fredda fu sufficiente a spegnerle tutte insieme. Il silenzio tornò a regnare sovrano e a quel punto si svegliò.

Aprì lentamente gli occhi e si rese conto di essere più lucido di quanto avrebbe mai potuto sperare. La luce della luna filtrava attraverso le tende, mosse dalla brezza proveniente da fuori. La finestra si era aperta … ma come? Era sicuro di averla chiusa prima di dormire, o forse era troppo ubriaco e se l'era immaginato? Si alzò di malavoglia e andò a chiuderla con un sospiro.

“Gregory, vecchio mio, non puoi andare avanti così.” mormorò, rimproverandosi.

Tornò a distendersi intenzionato a dormire, nonostante temesse di ricadere di nuovo in quel pozzo di fuoco, quando si accorse di non essere solo. Accanto a lui, con gli occhi azzurri ben aperti, c'era Sherlock. Lo fissava con intenzione, quasi volesse chiedergli il permesso di stare lì ma al contempo certo di poterlo ottenere. Un deja vu o, meglio, una notte già vissuta, una delle tante di un tempo ormai passato, che aveva temuto di non rivivere più. Si rilassò con il volto sul cuscino e sorrise. Sherlock, rassicurato, chiuse gli occhi e poco dopo, cullato da una musica che solo lui poteva sentire, si addormentò.

Era tornato. Nonostante le sue paure, Sherlock era tornato da lui, come un gatto randagio nella notte. Si era perduto, ci erano voluti anni, ma era riuscito a ritrovare la strada di casa.

Gregory si beò di quella vista, incantato dal ritmo del suo respiro regolare e, senza rendersene conto, scivolò a sua volta nel sonno.

   
 
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