«Mamma, scusa...» Non avrebbe voluto far cadere quel piatto, ma gli era scivolato dalle mani ancor prima che potesse avere i riflessi pronti per afferrarlo. Aveva guardato la ceramica in frantumi e poi, lo sguardo scuro e dilatato di Credence, si era subito rivolto alla madre adottiva. Lei gli aveva fatto un segno ben specifico che ormai il ragazzo sapeva interpretare a memoria. Si era slacciato lentamente la cintura, quasi a voler allontanare il più possibile quel dolore da sè.

«Quante volte devo dirti che non sono la tua mamma?» Credence abbassò lo sguardo, mentre si avvicinava alla donna e le porgeva la cintura. Il capo chino, la schiena incurvata in avanti ed il corpo già tremante. «Togliti la camicia.» Il moro cominciò a tremare più forte, ma obbedì. Se avesse cercato di scappare da quella situazione, le conseguenze sarebbero state peggiori. La stoffa bianca dell'indumento scivolò giù dalle sue spalle, lungo le sue braccia e poi cadde a terra senza far rumore.

«Mi costringi a farlo.» Credence chiuse gli occhi, stringendo i muscoli. Avrebbe fatto più male del previsto, ma poteva resistere; non era la prima volta che succedeva.

Il dolore della prima frustata, però, era sempre il più forte dei tutti. Si lasciò cadere in ginocchio, senza dire o fare nulla. Non le avrebbe dato la soddisfazione di sentir anche solo un flebile mugolio. Almeno questo poteva trattenerlo. Almeno questo, poteva sopportarlo.