Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: SherlokidAddicted    21/01/2017    4 recensioni
- John, tu chi sei per me? – Si asciuga le lacrime con il palmo della mano. Mi sembra di guardare un bambino indifeso e impaurito. E quel bambino indifeso ha bisogno di qualcuno che lo aiuti e che lo sostenga, ed anche se non mi riconosce voglio essere io quel qualcuno che lo prende per mano e lo guida. Accenno un sorriso ed abbasso lo sguardo sulla punta delle mie scarpe.
- Vuoi davvero saperlo? – Lui annuisce. Il velo di paura nei suoi occhi sta pian piano svanendo, sembra ricominciare a fidarsi di me. – Ci arriverai da solo, con calma. -
Cosa mi passa per la testa, dite?
Perché non ho semplicemente detto “Sherlock, io sono tuo marito”?
Non lo so. Ho come l’impressione che questo sia il modo giusto per affrontare la cosa. In fondo non sa chi sono, credo che avrebbe reagito male se avesse saputo già da subito la verità. E questo non è mentire! Semplicemente lascerò che sia lui a capirlo… o spero a ricordarlo.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Maledetta meravigliosa creatura



 
- Perché c’è anche Mycroft? –
- L’ho chiamato io. – Dico mentre Sherlock si siede barcollante sulla poltrona di pelle nera. Io e Mycroft siamo in piedi davanti a lui, in attesa che finisca di strofinarsi gli occhi per via della confusione… in attesa che parli.
- Era necessario? –
- Io e John abbiamo fatto un accordo, Sherlock. – Dice lui mentre si poggia con le mani al manico del suo fidato ombrello. – Se ci fossero state novità mi avrebbe avvertito. – Il minore degli Holmes si sta ancora strofinando gli occhi, quindi mi avvicino in modo da potergli togliere la sciarpa ben annodata al collo. – Mi ha detto che ti sei ricordato qualcosa, quindi vorrei che ne parlassi. – Mi rigiro la sciarpa di Sherlock fra le mani e torno ad affiancare mio cognato, che non la smette di battere nervosamente il piede sul tappeto. Mio marito è ancora troppo scosso e confuso per parlare, vorrei proprio che Mycroft ci andasse piano con questa sua impazienza, non vorrei che ciò turbasse ancora di più l’uomo che ci sta di fronte. – Sherlock… -
- Non dire altro, Mycroft! – Lo rimprovero, puntandogli contro il dito e ricevendo in cambio un’occhiata sconcertata.

Al Governo inglese non piace che lo si contraddica?

- Non vedi in che stato è? Deve riprendersi un attimo! Quindi se vuoi che lui parli ti siedi e aspetti. – Mycroft apre la bocca contrariato, ma il mio sguardo truce è abbastanza per fargli morire le parole in bocca, tanto che si accascia rassegnato sulla mia poltrona e accavalla le gambe in attesa.
Soddisfatto di aver zittito Mr Perfettino, mi dirigo subito da Sherlock e mi abbasso alla sua altezza mentre ancora si sta massaggiando le tempie. Avverte la mia presenza perché apre gli occhi e si perde quasi subito nei miei.
- Stai bene? – Chiedo con tono pacato e paziente, praticamente l’opposto di quello che Mycroft aveva utilizzato. Le mie mani si poggiano delicatamente sui suoi polsi per carezzarli (e sì, ho anche intenzione di controllare il suo battito). Vedo le sue pupille dilatarsi appena, poi annuisce piano.
- Mi gira solo un po’ la testa. – Falso allarme. Nessun attacco di panico, semplicemente ha avuto un flashback e la sua mente debole si è sforzata troppo nel ricevere tutte quelle informazioni all’improvviso.
- Quando te la senti di raccontare, io sono qui, va bene? – Lui annuisce, ancora perso nelle mie iridi, poi fa in modo che le sue dita si intreccino alle mie.
- Credo di potercela fare anche adesso. – Gli sorrido rassicurante e lui fa lo stesso, quasi quasi ci scordiamo della presenza di Mycroft, che di sicuro starà roteando gli occhi, disgustato da tanta sdolcinatezza. – Però resta qui. – Aggiunge in sussurro, con voce timida e tremante. Per risposta mi accomodo sul bracciolo della sua poltrona, e lui fa scivolare la mano sul mio ginocchio. Non la sposta da lì nemmeno quando Mycroft si accorge della fede al dito, che in questo modo è completamente in bella vista. Però sembra non avere reazioni al riguardo, piuttosto è ansioso di sentire cosa Sherlock abbia ricordato.
- Con calma. – Dico notando i suoi occhi stringersi per un momento, così poggio il palmo aperto sulla sua mano per dargli maggiore conforto, e ciò sembra restituirgli un po’ di pace.
- Ho iniziato a provare una strana sensazione già mentre raggiungevamo l’ingresso. Dapprima non ci ho fatto caso, né ci ho prestato particolare attenzione, ho solo pensato fosse una normale reazione dovuta al fatto che stessi cercando di risolvere un caso che mi perseguitava da settimane. – I suoi occhi si posano sulle nostre mani unite e sembra stia cercando le parole adatte per continuare. – La libreria. È successo appena ho posato lo sguardo sulla libreria. –
- Cosa hai visto? – Mycroft è insistente, ma capisco dal suo tono di voce che sta cercando in tutti i modi di risultare rassicurante.
- Ho visto me e John. Stavamo entrando in casa di Ellen. – Mi sta guardando adesso, si sta totalmente rivolgendo a me. – Tu hai esclamato un “bizzarro!” quando sul tavolo hai notato della biancheria intima maschile, ed Ellen stava morendo di imbarazzo. –

Sì, qualcuno lassù mi ha ascoltato. Si ricorda.

Una piccola cosa, ma se la ricorda!

Io gli sorrido felice e lui solleva appena l’angolo delle labbra, voltando la mano e stringendo la mia. Sono così entusiasta che sento gli occhi pungere, probabilmente potrei iniziare a piangere di gioia, ma non voglio farlo davanti a Mycroft.
- E poi ricordo… di aver passato il tempo a soffermarmi su quella libreria, dicevo che mi distraeva, avevo notato qualcosa che non riuscivo a vedere. È la stessa cosa che ho sentito quando l’ho osservata oggi. –
- Credi sia inerente al caso? – Gli chiedo io.
- Sì… se solo avessi scattato delle dannate fotografie! – Mormora scuotendo la testa, lasciandola poi ricadere esasperato sullo schienale della poltrona.
- Ci ho pensato io. – Lui mi guarda sorpreso, i suoi occhi strabuzzati mi fanno sfuggire una leggera risata mentre prendo il cellulare dalla tasca. Apro la galleria con le ultime foto scattate e gliele mostro immediatamente, con una nota di soddisfazione in viso. – Sapevo che ti avrebbe fatto piacere. – Lo vedo scorrere tra le immagini e mi sento completamente bene quando mi guarda con quegli occhi colmi di riconoscenza.
- John Watson, sei un genio! –
- Bene, fratellino. Credo che il dottor Portman sarà soddisfatto di questi tuoi miglioramenti. – Mycroft si alza e mi rendo conto che anche lui è presente nella stanza. Il suo silenzio e la mia attenzione sul fratello minore mi aveva quasi fatto dimenticare di lui.
A quel punto Sherlock lascia, con mio disappunto, la mia mano e si alza rivolgendo uno sguardo furioso al maggiore.
- A proposito di questo! – Esclama recuperando il prezioso diario poggiato ordinatamente sul tavolino. – Tu hai ficcanasato nella mia terapia, hai esplicitamente voluto sapere cosa scrivessi! – Gli dice con la rabbia straripante da ogni poro mentre gli sventola quel diario sotto al naso, come a sottolineare ciò che lui aveva fatto di nascosto. Mycroft non batte ciglio, anzi, segue con lo sguardo il movimento della mano di Sherlock… e lo trovo talmente buffo che mi ritrovo a ridacchiare fra me e me. Sembra un cagnolino che fissa intensamente l’osso che il padrone è pronto a lanciargli. – Non sarebbe stato meglio chiedere a me, invece di agire senza farmelo sapere? –
- Non vedo perché ti scaldi così tanto! –
- Sono faccende private! –
- Beh, non dovresti prendertela, visto che le mie azioni ti hanno solo giovato. – Sherlock rimane in silenzio per un attimo, con un sopracciglio sollevato.
- Giovato? –
- Beh, a quanto pare ha risolto un paio di cose fra te e John, o mi sbaglio? – Il rossore che affiora sugli zigomi di Sherlock mi rimarrà impresso in testa per sempre, come una bella fotografia che non smetterei mai di guardare. Mycroft fa riferimento alla fede, che poco dopo non esita ad adocchiare con un sorrisetto vincitore. Il minore non riesce a dire altro per due motivi ben precisi: è fin troppo imbarazzato, ed in più Mycroft ha appena lasciato la stanza con un cenno di saluto.

E così anche lui ha capito che il matrimonio è venuto a galla.

Non smetto di ridacchiare nemmeno quando Sherlock va a sedersi sul divano con evidente disappunto, guardandomi di sottecchi e fulminandomi. Se avesse potuto sparare laser sarei di sicuro un cumulo di cenere sul tappeto che la signora Hudson avrebbe fatto fatica a pulire.
- Che ci trovi di divertente? –
- Oh, non so… - Dico passandomi una mano fra i capelli per sistemarli meglio all’indietro. Il gesto non passa inosservato, perché lo vedo deglutire nervosamente non appena lo compio.

A quanto pare potrei usarlo come arma di seduzione… se mai lo volessi.

- Mi ha sempre divertito vedervi battibeccare. – Confesso recuperando il mio telefono dalla sua poltrona e prendendo poi posto accanto a lui.
- Era frequente? –
- I battibecchi? Beh, in un certo senso… - Lui annuisce e si lascia sfuggire un sospiro, poggiando la testa sullo schienale e guardando il soffitto. – Ti mando le foto allora… così puoi lavorarci sopra quando vuoi. – Lui annuisce senza smettere di guardare l’intonaco che ci sovrasta. – Ma promettimi che ci andrai piano… -
- Oh, sì tesoro, lo prometto! – Il suo tono risulta ironico e divertito mentre pronuncia quelle parole. Giocare sulla nostra relazione non mi dispiace affatto, data la situazione di stallo in cui ci siamo ritrovati.
- Benissimo, caro. Cosa vuoi per pranzo? – Chiedo, nascondendo un sorrisino e stando volentieri al gioco.
- Tutto ciò che le tue adorabili mani sono in grado di preparare, pasticcino. – L’ultimo appellativo mi fa sfuggire una risata che contagia anche lui.

Dio, la sua risata. Potrei voler sentire quel suono per tutta la vita e non esserne mai stanco.
 
***
 
Sono passati due giorni. Continuo a dormire nel suo letto… beh, il nostro letto. Il divano non ospita più i miei sogni perché Sherlock sembra sentirsi più sicuro con me accanto, e non posso nascondere che la cosa non mi piaccia, perché per tre volte di seguito mi sono risvegliato avvolto dalle sue braccia, ed è una sensazione così bella che al mattino mi risulta un’impresa impossibile voler abbandonare le lenzuola.
Oltre agli abbracci e le carezze durante la notte il nostro rapporto non è cambiato. Dentro di me so già che lui prova lo stesso che provo io. Sento ogni forma di affetto che è in grado di dimostrarmi e ne sono fottutamente felice. Io sono determinato a mantenere la parola che ho dato, ovvero quella che non voglio assillarlo, quindi se non se la sente di fare un passo avanti non sarò di certo io ad imporglielo.
Invece abbiamo continuato a scherzare coi nomignoli sdolcinati. Quando mi ha chiamato “cucciolotto” per poco non ho perso tutta l’aria dei miei polmoni.
Nemmeno prima eravamo soliti darci nomignoli, (il massimo forse era “amore”), i nostri nomi di battesimo bastavano, e per me è sempre stato bellissimo quando lui lo pronunciava. Sembrava quasi stesse pronunciando il nome di un angelo, perché il tono che utilizzava era dolce, sereno, pieno di amore… e quando lo diceva in determinate situazioni fra le lenzuola, per l’amor del cielo! Sembrava talmente erotico, con quella voce spezzata e piena di piacere somigliava a una supplica, ad un sussurro devastante in grado di farmi rabbrividire come un bambino. Non lo pronunciava neanche tanto bene mentre era travolto dalla passione, dal normale John si passava ad un dolcissimo “Jawn” che mi faceva impazzire. Di sicuro lo preferisco a tesorino, pasticcino e cucciolotto.
Scherzarci su era comunque divertente, soprattutto quando lo facevamo davanti agli occhi sorpresi dei signori Holmes e davanti a Lestrade.
A proposito di quest’ultimo! La stampa lo ha torturato per sapere delle condizioni di mio marito. La sua fama è cresciuta abbastanza dopo il salto dal tetto, quindi la notizia del suo incidente e della sua amnesia si è diffusa a macchia d’olio. Adesso tutti vogliono sapere come sta, tutti vogliono le sue dichiarazioni dal vivo. Greg non ce lo aveva mai rivelato perché aveva paura che questo potesse turbare Sherlock, ma adesso i giornalisti sono arrivati al punto di seguirlo fino a casa e, esasperato, ci ha detto tutto.
Sherlock ha accettato di parlare con uno di loro, nonostante io sia contrario e dell’idea che è ancora troppo presto per rilevarsi alla stampa. Ha insistito, dicendo che non avrebbe permesso che per colpa sua i suoi amici venissero torturati.
Infatti adesso siamo qui, davanti al giornalista e al suo cameraman, alla stazione di polizia, con Lestrade che guarda uno Sherlock stranamente tranquillo. Prima che potessero iniziare, ho chiesto all’intervistatore di non fare domande sul suo passato inerenti a qualche caso, l’ho quasi pregato in ginocchio e lui è stato talmente gentile da approvare la mia richiesta.
Alla fine, non sono poi così invadenti. Il succo della questione è soltanto sapere il suo stato di salute. Ovviamente sono ancora contrariato, ma Sherlock ha saputo gestire ogni cosa ed è riuscito a mantenere la calma, rispondendo sinceramente e senza esitazioni.
Ci sono state anche domande su di me. Gli hanno chiesto come avevo reagito alla sua condizione e la sua risposta mi ha fatto sorridere e saltare un battito:

“John, lui… di certo all’inizio non l’ha presa benissimo, era sconvolto. I primi momenti era l’unica cosa che di lui riuscivo a notare. Sapevo si sentisse perso ma non gliel’ho mai detto perché aspettavo che si riprendesse da solo. Quando mi sono svegliato dal coma è stata la prima persona che ho visto e anche se non l’ho riconosciuto io sapevo che qualcosa ci legava, per questo riuscivo a leggere i suoi sentimenti. Adesso è forte, è la mia roccia, si comporta come il marito che tutti vorrebbero e non sarei qui senza di lui.”

Anche Lestrade ha sorriso, intenerito da quelle parole… perfino quella vipera di Sally Donovan!
Poi gli hanno chiesto se stesse seguendo un caso e lui ha risposto che avrebbe dovuto andarci piano ma che, sì, stava lavorando a qualcosa, ma non ha aggiunto altro, anche perché l’intervista stava già durando abbastanza, e poi Sherlock ha la visita dal dottor Portman oggi e mi ha chiesto di accompagnarlo. Di solito non me lo chiede, si era abituato ad andare da solo, ma oggi ha insistito abbastanza.
Quando mi sono ritrovato nella stanza in cui Sherlock e lo psicologo erano soliti parlare sono rimasto spiazzato. Credevo volesse soltanto che lo accompagnassi, ma a quanto pare voleva anche che fossi presente alla seduta.
Sherlock si accomoda sulla poltroncina, mentre io faccio lo stesso quando noto il divanetto in pelle bianca (maledettamente pulito come quello in salotto). Mio marito si sporge quel tanto che basta per consegnare il diario nelle mani del suo terapista, che non esita a leggere e ad appuntarci sopra qualcosa con una penna rossa, ricopiando poi il tutto nel suo taccuino.
- Quindi ha avuto un ricordo abbastanza importante che riguarda il suo lavoro… - Mormora giocherellando con la penna che stringe fra le dita. – Vuole parlarne? – Sherlock rimane un attimo in silenzio, poi mi guarda come a cercare sostegno ed io annuisco con un sorriso rassicurante che basta a dargli la forza di rispondere.
- Ho visto delle chiare immagini, si sono risvegliati dei momenti ben specifici. Le ho già parlato del caso, ma quando ho visto quella libreria sono andato in confusione e ho avuto questo flashback. – Portman sistema le mani al grembo e continua ad ascoltarlo. – Ho capito subito che è un elemento importante per le indagini. –
- Signor Holmes, come mai ha lasciato che il dottor Watson assistesse alla seduta? – A quel punto apro bene le orecchie anche io. Non me lo ha spiegato e non ho saputo che avrei dovuto assistere se non nel momento in cui sono entrato nella stanza. Sherlock punta lo sguardo su di me per dei momenti che sembrano interminabili, poi picchietta le dita sul bracciolo della poltrona e si volta nuovamente verso di lui.
- John è mio marito, la mia famiglia. Ho pensato che gli avrebbe fatto piacere, visto che parleremo anche di lui. Ed in un certo senso la sua presenza mi tranquillizza. – Ed anche questa volta le sue parole riescono a sorprendermi e a farmi sorridere come un ebete.

Dio, quanto ti amo.

Quanto vorrei dirtelo.

- Per caso è un problema? –
- Affatto, questo vuol dire che si ricorda del legame che ha con suo marito ed è una cosa del tutto positiva. Il fatto che voglia coinvolgerlo potrebbe aiutarla molto. –
La seduta prosegue ed il loro argomento slitta su di me un bel paio di volte, ma non ho niente di cui sorprendermi perché ormai Sherlock mi racconta tutto e non esita a dirmi la verità sui suoi sentimenti e sulle sensazioni che spesso gli risultano familiari. E quelle sensazioni, per la gran parte delle volte sono provocate da me, sensazioni belle e felici.
Alla fine il dottor Portman mi ha coinvolto in una sorta di terapia di recupero. È stata una mia idea: dato che vedere quella libreria gli aveva fatto tornare in mente qualcosa, allora io avrei voluto portare Sherlock in posti familiari, in luoghi in cui sono successi i momenti più significativi della sua vita. Avrei voluto anche parlare, fare riferimento a dei dialoghi passati, sperando che qualcosa nella sua testa si potrà accendere.
Portman ha accettato con grande orgoglio la mia idea, e sarò pronto a metterla in atto in qualunque momento.
Quella stessa sera mi sono ritrovato a lavare i piatti con il sottofondo del suo violino. Non ricorda altre melodie a parte il walzer che aveva già avuto modo di far riaffiorare, si limita a suonare i classici di Bach o Mozart, classici che ho imparato ad amare anche io grazie a lui.
Sono così assorto dalla macchia di sugo su questo dannato vassoio che non mi rendo conto che il dolce suono dello strumento di Sherlock è cessato, e forse anche da un bel po’. Quando me ne accorgo mi giro subito per controllare e lo vedo seduto sulla sua poltrona. Sulle gambe ha un album aperto che riconosco subito. Riesco ad intravedere la foto su cui non riesce a staccare gli occhi e mi mordicchio le labbra quando capisco cosa sta guardando. Mi asciugo le mani e lo raggiungo in poco tempo, aspettando una qualche reazione da parte sua, ma non ha ancora mosso un muscolo. Quell’immagine ci ritrae al nostro matrimonio, una meravigliosa foto di un bellissimo bacio mentre siamo seduti al nostro tavolo, felici e con la mia mano stretta nella sua sulla tovaglia, le fedi scintillanti che risaltano agli occhi.
Tenevamo quell’album proprio nella nostra libreria ma sembrava non averlo mai notato, almeno fino ad ora.
Quando una piccola goccia cade sulla foto, mi affretto ad abbassarmi alla sua altezza, notando che i suoi occhi sono pieni di lacrime.
- Sherlock… -
- Dovremmo farla ingrandire. – Mormora con la voce rotta dal pianto. – Mi piace molto, dovremmo appenderla in camera… -
- Sai, è stata la stessa cosa che hai detto quando l’hai vista la prima volta. – Confesso portando le dita ad asciugare quelle maledette lacrime dalle sue guance calde e lisce. A quel punto lui mi guarda ed è come se volesse parlare, come se volesse dire qualcosa di importante ma non ci riesce.
- Perché piangi? – Chiedo, aspettandomi una risposta che probabilmente mi avrebbe spezzato il cuore, dato il dolore che riesco a leggere nei suoi occhi.
- Mi sembra così strano vedermi mentre ti bacio. – Mormora incontrando il mio sguardo preoccupato e portando una mano a carezzare piano la mia.
- Perché? –
- Perché io non me lo ricordo, John. Sembra di vedere qualcun altro in questa foto, sembra che non sia io. – A quel punto mi accingo a chiudere l’album e a poggiarlo sul tavolino, poi mi alzo e trascino anche Sherlock con me, accogliendolo fra le braccia e cullando la sua evidente disperazione. Lui ricambia il mio abbraccio con forza, stringendosi a me come se ne valesse la sua vita. Il suo viso è poggiato sulla mia spalla e riesco a sentire chiari e tondi i suoi singhiozzi. – John, tu sei l’unica cosa che vorrei ricordare. – Mormora tra una lacrima e l’altra, mentre stringe possessivamente il maglione che ho addosso. – Lo capisci, vero? – Mi chiede poggiando poi la fronte contro la mia, per poi fare un respiro profondo che vorrebbe servire a placare la sua disperazione. – Io mi sono innamorato di te ancora prima di sapere che fossi già mio. – Lo avevo capito, certo, le sue azioni parlavano… ma adesso lo ha detto, lo ha esplicitamente confessato a cuore aperto e per un momento sento le gambe cedere, mi aggrappo ad ogni briciolo di forza che mi è rimasta per continuare a restare in piedi. Stare incollato e allacciato al suo corpo mi aiuta abbastanza. – Capisci perché è così importante per me? – Viene improvvisamente bloccato da alcuni singhiozzi incontrollati che mi trafiggono il cuore.
- Lo capisco Sherlock, certo che lo capisco. – Mormoro prendendo il suo viso fra le mani e guardando i suoi meravigliosi occhi azzurri e lucidi. – Anche io voglio che tu lo ricordi… -
- Tutti i nostri momenti, John, le nostre prime volte! –
- Lo so, lo so. Ma tu ricorderai ogni cosa. – Non è una frase detta tanto per tranquillizzarlo, io so che lui ricorderà, so che la sua memoria tornerà come prima e che in essa ritroverà ogni sorta di bel momento passato, ne sono sicurissimo. – Quando andremo sui luoghi del tuo passato inizierai a ricordare. –
- E se non fosse così, John, se non ricorderò nulla? – Io continuo a scuotere la testa e ad accarezzare le sue guance umide. Sono convinto di ciò che dico. – Ti stancherai di me… - Mormora poi con un filo di voce, scioccandomi ancora una volta e facendo fermare il movimento dei miei pollici sulla sua pelle.

Oh, Sherlock…

Maledetta meravigliosa creatura che non sei altro.

- Non dirmi che è questo che ti preoccupa… - Sussurro ricevendo in cambio uno sguardo pieno di timidezza, le sue guance diventano adorabilmente rosse e non riesce affatto a mantenere gli occhi su di me, quindi poco dopo essi sono puntati su un punto indefinito della parete. – Oh, sei proprio un idiota. – Dico facendo combaciare le nostre fronti e stringendo forte gli occhi. – Neanche in un universo parallelo sarei in grado di lasciarti, nemmeno sotto tortura. – Non lo sento reagire minimamente e allora non smetto di parlare. – Tu hai ragione, so come ti senti… perché vivendo ogni giorno al tuo fianco ho capito cosa ti passa per la testa, Sherlock. Tutte le nostre prime volte e i nostri bei momenti… so che li rivorresti indietro, ma non hai calcolato che se anche quei ricordi non dovessero tornare, noi due avremmo tutto il tempo per costruirne di nuovi, per riavere le nostre prime volte e i nostri bei momenti. – A quel punto apro gli occhi e noto il suo labbro inferiore incastrato fra i denti e gli occhi ancora velati dal pianto. Asciugo dolcemente i suoi zigomi e accenno un piccolo sorriso. – Posso portarti fuori a cena ed organizzare un primo appuntamento formale come si deve, posso portarti al cinema o farti conoscere di nuovo Angelo. – Accenno una risata, ma lui non ha ancora aperto bocca. – Posso farti i primi regali sdolcinati, come una volta e… -
- Sei maledettamente romantico. – Sta accennando un sorriso anche lui e la cosa non fa altro che sollevarmi il morale.
- Lo dicevi sempre. – La sua risposta è la cosa migliore che potessi desiderare: le sue labbra carnose si poggiano con delicatezza sulla mia fronte e da lì non si staccano finché non sono proprio io ad interrompere quel dolce contatto. – Sottolineiamo questo concetto. – Mormoro poi spostando le braccia attorno ai suoi fianchi. Poco dopo i miei movimenti ricordano un lento scoordinato, ma Sherlock non mi segue ancora, anzi… mi guarda piuttosto confuso.
- Che stai facendo? –
- Sto ballando con te. – La sua leggera risata arriva come una dolce melodia alle mie orecchie, mentre le sue braccia si allacciano al mio collo. Ora sta seguendo i miei movimenti ed io ho poggiato la tempia contro la sua guancia liscia. Il suo profumo inonda le mie narici e potrei benissimo morire qui, in questo momento, ne sarei felice.
- Senza musica? –
- Ne abbiamo bisogno? – Lui scuote deciso la testa ed io sorrido mentre un mio braccio va a circondare del tutto il suo busto.
- Questo me lo chiami ballare? – Il suo sussurro arriva al mio orecchio e per un attimo rabbrividisco.
- Non fare storie, mi hai insegnato tu a ballare! –
- Beh, o sono un pessimo insegnante o tu sei un pessimo allievo. – E andiamo avanti ancora, forse per minuti, forse per ore, ridacchiando per qualche battuta di tanto in tanto, e restando in silenzio per sentire il battito del cuore altrui.




Note autrice:
Bene, siamo tutti sopravvissuti al finale di stagione? Io ci provo a sopravvivere.
Questo capitolo è stato scritto durante una settimana intensa di lavoro della sottoscritta, per questo è arrivato un po' tardi, ma alla fine eccolo qui.
Ho deciso di cambiare anche da "sentimentale" a "fluff", perchè ammettiamolo... c'è molto fluff qui lol
Spero possa piacervi, cercherò di essere puntuale, ma vedremo.
Alla prossima ragazzi, un bacio!
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: SherlokidAddicted