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Autore: MC_Gramma    21/01/2017    0 recensioni
Ebbene sì, non ho saputo resistere al cliché della perdita di memoria ^^
Per la seconda volta nella vita Marley è vittima di una sparatoria, questo la riporta indietro fino alla (mia versione rivisitata della) 4x18 e si ritrova così catapultata sette anni avanti in un futuro molto diverso da quello che immaginava per sé al liceo.
-.-.-
Ho ripreso gli aggiornamenti. Stay tuned!
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing | Personaggi: Hunter Clarington, Jake Puckerman, Marley Rose, Santana Lopez, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt, Finn/Rachel, Quinn/Rachel
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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A/N: qualsiasi lieve riferimento alla 13x09 di Grey's Anatomy non è puramente casuale.


Col passare delle settimane Kitty comprese di stare solo perdendo tempo.
Aveva capito che Marley le nascondeva qualcosa già alla seconda seduta, annullò la successiva in cerca di conferme e passò la giornata a pedinarla. Forse non era un metodo etico, sicuramente era il più efficace per capire se partiva prevenuta e caso strano aveva ragione!
Stava addentando una ciambella ricoperta di crema pistacchio e rischiò di non vederla, la seguì fino ad un cinema, dove Jake la stava aspettando fumando la sigaretta elettronica.
Le sarebbe potuto bastare, poi considerò che se avesse avuto un quadro completo le sarebbe stato più semplice l’indomani registrare il comportamento della ragazza quando mentiva. In parte riconobbe che erano solo scuse, la verità era che voleva riuscire ad ascoltare cosa le diceva Jake; aveva voluto tranquillizzare Hunter ma era la prima a sapere quanto fosse sbagliato e rischioso quel gioco.
In sala sentì lo stomaco rivoltarsi ed era sicura che non fosse la ciambella a nausearla, bensì le sagome di quei due, tre file più sotto, che si baciavano ignorando completamente gli attori sullo schermo; ogni tanto, si capiva, lei lo fermava e cercavano di riprendere il corso del film ma poi, inevitabilmente, lui si appoggiava alla sua spalla e le baciava il collo e la guancia ed erano di nuovo lì attaccati. Puah! Quando poi si spostarono da Starbucks i suoi sospetti si concretizzarono. Jake non si limitava a rivangare i bei vecchi tempi, cercava di mettere in cattiva luce Hunter ma quando butto lì un commento apparentemente casuale sul fatto che avrebbe dovuto stare al fresco più a lungo, sorprendentemente, Marley gli si rigirò contro come un cane arrabbiato.
Kitty ne sorrise. Jake aveva mancato il colpo ma non le sfuggì il modo in cui strinse i pugni, si scusò, naturalmente, era chiaro però che non gli piacque la reazione di lei.
“Da come lo difendi sembra quasi che inizi a ricordare perché l’hai sposato” lo sentì commentare “Se è così dimmelo perché mi faccio subito da parte.”
“Mi danno fastidio i facili pregiudizi, non vuol dire che io e lui... si è ritrovato a diciassette anni in mezzo ad assassini, stupratori e ladri, non è una bella situazione per nessuno.”
“Hai ragione, hai perfettamente ragione.” le prese la mano “Perdonami, è solo che... vivete insieme.”
“Sì, e dormiamo in camere separate! Non provo niente per lui, lo sai che amo te”
“Forse devi solo dirmelo più spesso”
Se ne andò proprio mentre quei due ricominciavano a baciarsi.
Fu quasi divertente quando il giorno dopo chiese a Marley come avesse passato la giornata, smise di esserlo appena Kitty si rese conto che non riusciva più ad avere un giudizio imparziale; forse il suo professore aveva ragione nel sostenere che non si dovrebbe mai avere in cura un amico, fosse anche solo un conoscente ormai.
Un altro impulso che doveva reprimere, oltre a voler prendere a schiaffi Marley ogni volta che si contraddiceva rivelando implicamente di essere stata con Jake, era darle le risposte invece di indirizzarla con le giuste domande. Per esempio le aveva parlato del Tibet, del diario di viaggio, dello yoga e Kitty avrebbe voluto scuoterla violentemente e chiedere perché avesse perduto quaranta minuti in una sessione di Salice a Terra invece di rintracciare questo signor Waters, in cui era evidente avesse trovato una figura paterna. Invece aveva mantenuto la calma ed un’aria vagamente scettica all’utilizzo di simili tecniche, senza specificare che si trattasse di pratiche luciferine. Era stata davvero professionale!
I suoi sforzi erano comunque vani, doveva riconoscerlo.
Erano alla diciasettesima seduta e Marley non faceva progressi, era evidente anche solo sfogliando il suo diario dei sogni! Eppure il suo subconscio le dava tutti i mezzi per procedere... la porta simboleggia la donna, era logico che ce ne fossero tante perché rappresentavano i tanti aspetti della sua personalità derivati dalle sue esperienze e, poiché l’obiettivo finale era il recupero della memoria, lo stato della porta indicava lo sviluppo di tale progetto. Una porta chiusa era un insuccesso, come quella blu del Black Diamond che Marley non era più riuscita ad aprire. Quella del Glee aveva la maniglia coi bulloni allentati, e il fatto che ne cadesse sempre uno quando lei ci passava davanti serviva probabilmente per attirare la sua attenzione, ma dopo un sobbalzo Marley procedeva oltre. La porta di ferro che l’aveva condotta nell’appartamento che divideva con Hunter era invece un segno positivo. Molto positivo. Stava a significare che non c’era nulla da temere in quel luogo, ed infatti dietro c’era il ricordo di quando aveva deciso come disporre i quadri sui muri che Hunter aveva sempre lasciato spogli... ma a quel punto Marley non c’era arrivata, ovviamente! Non si spingeva mai troppo in là, timorosa di quello che avrebbe trovato. Prova ne era la porta della casa a Lima: malandata e distrutta nella parte superiore ma non abbastanza per farle vedere cosa c’era all’interno. Era una chiara rappresentazione della morte di sua madre, come gli orecchini di ambra nera che si infilava a forza bucando i lobi rappresentavano la perdita della verginità con Jake.
A loro modo entrambe le esperienze erano state traumatiche e per questo rielaborate ma Kitty non sapeva proprio come procedere. Per la prima volta fare il proprio lavoro le era molto difficile.
Non poteva che incolpare se stessa per essersi messa in una simile situazione. E Hunter, certo, per averla chiamata. Stava facendo tutto questo per lui in un certo senso, in un altro... no, quella barca era affondata prima ancora di prendere il largo!  Però le faceva prudere le mani il modo in cui lo trattava Marley ed anche la condiscendenza di lui. Non era il modo giusto di procede. Soprattutto, non era quello di cui avevano parlato! Kitty si era raccomandata, che le lasciasse i suoi tempi, i suoi spazi e compagnia cantante, ma farla uscire quasi ogni giorno con Jake equivaleva ad abbandonare il campo senza lottare.
Ah, ma gliene avrebbe dette quattro! Si stava preparando un bel discorsetto mentre percorreva il pianerottolo a passo di marcia.
I cani dell’interno sette non si fecero aspettare. Sembrava volessero intimarle di tornare indietro coi loro ringhi minacciosi, per un attimo temette addirittura che riuscissero a sfondare la porta. Affrettò il passo e con un balzo - gli anni da cheerleader tornarono improvvisamente utili - afferrò la chiave di riserva sullo stipite.
La voce di Hunter l’accolse appena entrata “Sei tornata presto”
“Perché, mi aspettavi?!”
“Ah, sei tu...”
Kitty lo raggiunse in cucina, rischiando di inciampare in un paio di bottiglie vuote.
“Sul serio?” commentò.
In risposta Hunter prese un altro sorso di birra, non si girò nemmeno a guardarla.
Lei afferrò l’unica bottiglia ancora sigillata e resistendo alla tentazione di aprirla a sua volta la fece scivolare nella borsa. Non gli avrebbe permesso di farsi vedere in quello stato da… si dette dell’idiota per aver realizzato così tardi che Marley non c’era.
“Quella p...”
“Non ti azzardare!” la ammonì, la testa leggermente girata.
“Sta tranquillo, ce n’è anche per te!” ribatté Kitty, sollevando fieramente il mento “Cosa credi di ottenere facendo così? L’alcool è l’ultima cosa che ti serve, devi essere lucido”
“Risparmiami la predica”
“No, caro, sono stata zitta fin troppo. Ti ho detto che dovevi ristabilire un rapporto con lei non di farle da padre, perché è questo che sembri! Un padre incapace di dire di no alla figlia in piena crisi ormonale e che comunque la aspetta alzato guardando programmi spazzatura in TV, come Grease II”
“Ah, te l’ha detto”
“Sì ed è stato deprimente stare ad ascoltare. Un’occasione perfetta sprecata così!”
“E perché non fai qualcosa?”
“Io?! Il mio lavoro è ascoltare, sei tu che dovresti...”
“Dovrei cosa, cosa?!” sbottò lui “Segregarla, legarla ad una sedia come Alexander DeLarge e costringerla a vedere le nostre foto a ripetizione finché i ricordi riaffiorano o impazzisce?”
“Basterebbe molto meno”
“Oh! Allora dimmi, grande guru degli psicoschizzati, cosa devo fare?” abbandonò la bottiglia e il tono ironico “No, sul serio, che devo fare? Dimmi che cosa devo fare perché davvero non lo so...”
“Ma semplicemente non farle da padre! Fai il marito.”
A quel punto Hunter rise, prima sommessamente poi sempre più sguaiato, un riso falso e così forte che i cani dell’interno sette presero ad ululare. Un coro grottesco. La tensione rendeva l’aria elettrica, c’erano tutti i presupposti per un attacco d’ira, nonostante questo Kitty provò ad avvicinarsi.
“La sua mente è confusa” riprese “ma lei è sempre lei, solo più trasognata e... per tua sfortuna, ancora nella fase pre-tradimento.” e aggiunse “Di Jake.”
A questo punto lui si allontanò, diretto nella zona living.
“Crede che avere un fidanzatino che le fa tremare le gambe basti” continuò, seguendolo “Tu devi dimostrarle che potrebbe avere di più, che ha molto di più.”
“Lei. Non mi. VUOLE!” le urlò in faccia “Ho fatto di tutto per lei, per essere un uomo degno di lei! Ho smesso di fumare, di bere, seguo il codice della strada alla lettera, tutto per poter stare al suo fianco e poi? LEI. VUOLE. JAKE!”
Kitty fece un passo indietro, il dolore che trasudava da quelle parole era il medesimo che gli trasfigurava il volto.
“L’ha cercato dal primo momento che ha riaperto gli occhi, e questo mi fa pensare... se una parte di lei non avesse mai smesso di pensare a lui, di sperare...”
“No”
“Non puoi saperlo”
“Lo so invece e ti dico no, non è così, togliti quest’idea malsana dalla testa”
Lui scosse la testa e si spostò ancora, andando a sedersi sul divano. “La amo così tanto”
“Allora devi lottare, ora più che mai, per lei, per la vostra vita insieme”
“Lei è la mia vita, è il mio cuore, la mia persona, ma non posso costringerla a restare con me.”
“Non devi mollare”
“Forse dovrei lasciarla andare.”
Per una manciata di secondi, a vedere quell’uomo distrutto prendersi il viso tra le mani,  Kitty valutò la possibilità di chiamare Bree. Non era l’idea più brillante del mondo ma avrebbe fatto battere Jake in ritirata, poi rammentò di non era né un assistente sociale né una consulente di coppia.
“Sì, dovrei lasciarla andare,” ripeté Hunter “in fondo lei ha già scelto. È con lui! E se penso a quello che stanno facendo...”
Kitty stava per chiedergli di proseguire, di sfogarsi ora, qui, con lei, in modo da non partire alla carica come un toro sbizzarrito al primo giro di chiave, si accorse però di avere di nuovo sottovalutato la situazione.
Aveva pensato che i tremiti e l’atteggiamento scostante fossero un tentativo di trattenere la rabbia, invece era puro orgoglio. L’orgoglio del maschio cui è stato insegnato a non farsi mai vedere debole. E tutto quel orgoglio stava scivolando via, silenzioso come le lacrime. Le straziò il cuore vederlo così. Aveva due modi di affrontare la cosa, la psicoterapeuta però era rimasta nella sua lussuosa camera d’albergo. Restava solo la donna. Kitty si ritrovò ad abbracciarlo, a piangere con lui, a dire le peggio illusorie banalità: “Andrà tutto bene, vedrai, si sistemerà tutto... e se anche non dovesse, sarebbe davvero così male? Se davvero come dici lei non ha mai smesso di sperare, di aspettarlo, perché non dar loro una seconda possibilità?” non era nemmeno sicura di stare parlando di Marley e Jake, ma per fortuna Hunter si era addormentato e non aveva sentito la sua patetica dichiarazione.
Chissà da quanto non riusciva a fare sei ore di sonno filate. Le lunghe ore ad aspettare quell’adolescente svergognata che si crogiola nell’abbagliante primo amore. Poi l’orecchio teso per quando si sarebbe svegliata di soprassalto, per l’ennesima volta, e lui l’avrebbe raggiunta subito solo per essere respinto, per l’ennesima volta. Marley si rendeva conto di quel che gli stava facendo? Naturalmente no ma non potevano aspettare che si scottasse nuovamente. La prima volta Jake era stato paziente e aveva impiegato mesi a rivelare il suo vero volto, Kitty non sarebbe rimasta così a lungo e Hunter... non poteva reggere così tanto.
Sobbalzò all’abbaiare improvviso dei cani, anche lei s’era forse addormentata? Hunter mugolò appena ma non si svegliò. Dei sommessi risolini, appena udibili sotto il latrare per nulla attutito dalle pareti in cartongesso, le fecero puntare lo sguardo sulla porta.
Quasi riusciva a vederla... Marley,rincretinita come al liceo, che si lasciava sbaciucchiare da Jake che allungava le mani adducendo uno scherzo. E gli credeva pure!
Finalmente la chiave girò, nell’intervallo tra un giro e l’altro le sembrò di cogliere dei passi pesanti sulle scale ma non ne fu sicura finché Marley non sgusciò silenziosamente nell’appartamento. Sola.

Marley riuscì a stento a non urlare trovando Kitty che la aspettava seduta sul divano con Hunter addormentato in grembo. Stranamente quella scena le dette fastidio. Non c’era motivo, non provava nulla per quello che legalmente era suo marito e anzi, visto come procedevano le cose tra lei e Jake avrebbe dovuto vederlo come un fatto positivo, tuttavia...
Kitty le fece cenno di tacere e con delicatezza disarmante sgusciò via dalla presa di Hunter.
La bionda la condusse fino alla camera degli ospiti, dove dormiva Hunter, lei era molto a disagio lì ma prima che potesse farglielo presente arrivò lo schiaffo. Marley finì sul letto tanto impeto c’era dentro!
“Chi cazzo ti credi di essere?!” l’apostrofò Kitty, chiudendo del tutto la porta “Pensi di poter fare quello che ti pare perché hai perso la memoria, ma sai che ti dico? Tu non vuoi ricordare! E credi basti per cancellare il fatto che Jake ha una moglie e dei figli che lo aspettano a Lima. Oh, ma tu questo non lo sai. O forse non t’importa! Come non t’importa che di là c’è un uomo che ti ama tanto da fargli male, gli fa male non riuscire a lasciarti, e col tuo comportamento frivolo ed egoista sei quasi riuscita a convincerlo che saresti più felice senza di lui. Vedi di darti una regolata Marley, perché altrimenti…” fece una pausa improvvisa, con meno rabbia e più decisione concluse “altrimenti Hunter me lo prendo io”
Forse era ancora l’effetto della botta, fatto sta che quella frase la colpì e nel contempo le parole di Kitty si mischiarono confondendosi con... la sua voce, ma lei non stava parlando o sì...?

“Perché prendi sempre quello che voglio io?”
Lasciò scivolare il piatto nella schiuma quando si rese conto che, sì, l’aveva proprio detto!
Con tutta la calma del mondo, Kitty posò la borsa e si diresse fino al lavandino.
“Se vuoi avere una possibilità con lui” disse, arrivandole vicinissima “devi deciderti a fare qualcosa, Marley cara, altrimenti se lo prenderà per forza qualcun’altra… non io, ovviamente! Non sono interessata a Hunter, come non ero interessata a Jake. È complicato. Io sono complicata. Ma anche tu non scherzi!”

Marley ebbe un capogiro, portò la mano sugli occhi mentre la porta si richiudeva da sola. Non sbatté, si accostò soltanto.
Rimase così, immobile, con gli occhi chiusi, per un tempo indecifrato: il cerchio alla testa come un hula hoop le scese lungo il corpo, era una sensazione così forte e insolita che quasi le sembrava svenire, ma non accadde e poco a poco quel senso di giramento si affievolì fino a svanire. Attese ancora qualche secondo, poi si alzò e tornò in salotto. Kitty non c’era naturalmente, l’aveva sentita uscire anche se i suoi passi le erano sembrati il residuo di un sogno.
Ora un braccio spuntava dal divano, proteso nella sua direzione. Marley si avvicinò, a passi incerti, e sbirciò oltre lo schienale: Hunter aveva cambiato leggermente posizione, come per seguirla... no, scacciò quell’idea assurda! Eppure dopo qualche istante lui sbatté le palpebre, aveva aperto gli occhi quasi del tutto che lei veloce si accucciò dietro lo schienale fino a sedersi per terra. Possibile che si fosse svegliato perché lei era lì? Subito si diede dell’idiota, non aveva motivo di nascondersi e nel contempo non voleva affrontare il suo sguardo, non dopo le parole di Kitty che ancora le risuonavano in testa come un monito. Non era quello cui aveva sperato nelle ultime settimane? Perché avvertiva un’improvvisa agitazione all’idea che succedesse davvero?
“…more?” sentì biascicare, poi chiamare più forte “Vita… - mh, giusto” uno sbuffo, poi un nome. Non il suo però. E diavolo, le fece quasi male!
“Kitty è andata via” si ritrovò a dire.
Rivelata la propria posizione fu questione di secondi prima che Hunter sbucasse da sopra la spalliera, sovrastandola contro la luce del lampadario. Dovette ammettere che era davvero bello, anche con gli occhi arrossati dal sonno. O dal pianto?
“Che fai lì, ti senti male?” le domandò subito. Preoccupato. Premuroso. Un miele troppo dolce per lei.
“E tu?”
Parve confuso. “Mi sono solo addormentato”
“Infatti hai l’aria stanca” notò, e chissà come le venne da sollevare la mano e portargliela al viso “È colpa mia… ho sempre gli incubi, ti sveglio e poi...”
“No, che dici?”
Non sopportava che fosse così buono, avrebbe preferito che le desse della sgualdrina. Ritrasse la mano prima che potesse toccarla e dall’ombra che gli attraversò lo sguardo capì di averlo illuso.
“Continuo a farti soffrire” singhiozzò.
“No” ripeté lui.
“Sì invece! Non mentire, Kitty me l’ha detto...”
Lo sentì imprecare violentemente, per la prima volta sembrava sul punto di perdere le staffe. Per Marley fu la conferma che la bionda non le aveva mentito e la fece scivolare nell’isteria: cominciò a piangere, a battere i pugni sulla testa, passando dalla rabbia verso se stessa alle scuse “Io ci provo, davvero, ci sto provando e se non ci riesco! Non è come dice Kitty, perché io voglio ricordare. Io voglio ricordare! Ricordo ogni dannato sogno fatto di scale e porte ma non. riesco. a. ricordare.”
Hunter la raggiunse scavalcando la spalliera e nonostante le sue proteste iniziali la prese tra le braccia, la cullò e continuò a tenerla stretta finché non la sentì rilassarsi, e nemmeno allora la lasciò. Le era insopportabile quella sensazione di sicurezza e benessere che le trasmetteva, non se lo meritava.
“Parlami dei sogni” l’invitò con voce avvolgente, come té caldo e miele.
Marley si ritrovò a sospirare languidamente.
“Iniziano sempre allo stesso modo, prima vedo queste scale che vanno in tutte le direzioni e sensi poi prendo quel corridoio infinito con le porte...”
“Sono numerate come negli alberghi?”
Scosse la testa e con quel leggero spostamento si ritrovò con l’orecchio proprio sopra il suo cuore: batteva regolare, forse leggermente accelerato ma calmo. Inspiegabilmente, la commosse.
“Non ce ne sono due uguali, e ogni volta ne spuntano di nuove” riprese, tirando su col naso “Ad esempio, ieri notte ne ho vista una di ferro.”
“Tipo cassaforte?”
“No, solo del tipo impenetrabile. Ed era socchiusa.”
“Non era poi così impenetrabile!”
“Infatti sono entrata” continuò, adesso sorrideva anche lei “e portava qui”
Si aspettava qualche altro commento invece lui rimase zitto.
“Proprio qui, in questa casa” continuò “ solo che non c’era niente. Nessun mobili. Nemmeno il lampadario. Solo le pareti carteggiate e imbiancate... e le foto e i poster incorniciati, per terra, appoggiati alle pareti”
“Disposti come ora?”
Annuì e lui di rimando.
“E poi?”
“Niente. Mi sono svegliata.”
Tacquero entrambi per un po’. Non un silenzio pesante, la semplice constatazione che su tale discorso non c’era altro da aggiungere per il momento. Fu Hunter a spezzarlo: “Non sforzarti. Il corpo è guarito ma la mente è ancora in convalescenza, se esageri ti farai solo del male. Piccoli passi. E soprattutto, non preoccuparti per me”
Marley alzò nuovamente lo sguardo su di lui e questa volta incontrò i suoi occhi.
“Però...”
“Sta’ zitta, ragazzina!”
Stava per ribattere poi pensò che non aveva tutti i torti: anagraficamente li separavano solo un paio d’anni ma allo stato attuale il divario tra loro era molto più grande.
“Non sarai certo tu a spezzarmi” tagliò corto.


“Mi hanno richiamata a Seattle per una perizia psicologica su un ex chirurgo pediatrico che due anni fa ha quasi ammazzato di botte uno specializzando perché sembra andasse a letto con la sua fidanzata. Il giudice, il capo dell’ospedale, tutti vogliono sapere se può tornare a lavoro o metterebbe in pericolo la vita dei suoi pazienti e chi può valutarlo se non... oh com’era?! L’espressione che ha usato Hunter ieri sera era calzante!”
Kitty assunse un’aria pensosa e Marley ne approfittò per dire “Non puoi andartene”
“Ecco! Era: grande guru degli psicoschizzati!”
“È per quello che hai detto ieri? Io l’ho già dimenticato! L’ultima parte intendo, il resto mi è rimasto ben impresso. Volevi scuotermi e ci sei riuscita quindi possiamo continuare. Ti prego, possiamo continuare?”
Kitty le prese le mani come fece il primo giorno e si spostò sul bordo della poltrona per starle più vicino.
“Perché sei andata in terapia la prima volta?”
“Lo sai che avevo un disordine alimentare, hai praticamente ammesso di avermelo procurato tu!”
Era un colpo basso ma glielo avrebbe presto restituito, e con gli interessi.
“Sei andata in terapia perché sei svenuta durante le Provinciali” la corresse in tono paziente “Ti sei presa un bello spavento, oltre a farlo prendere a tutti noi, e hai capito che in quello che stavi facendo c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Per questo quando tua madre ti ha preso appuntamento col dottor Guzvit ci saresti andata senza bisogno che ti accompagnasse. Perché sapevi di averne bisogno.” fece una pausa perché quelle parole arrivassero bene in profondità “Anche adesso lo sai, non dico il contrario! Questa volta però la componente dello spavento è rovesciata, mi spiego: tu hai paura non tanto di quello che hai vissuto ma di quello che stai vivendo adesso. E ti capisco, dal tuo punto di vista Trump al giro di boa del suo primo mandato è terrificante al confronto del apparentemente immacolato Obama ma se grattassi la superficie vedresti che le cose non sono esattamente come sembrano... era una metafora, so che non ne capisci niente di politica! Il punto è che capisco, davvero, io capisco che sia più rassicurante per te rifugiarti nei ricordi che senti più tuoi invece di cercarne altri che potrebbero non piacerti” fece un’altra pausa, più breve in vista del colpo basso “Capisco anche che sei spaventata, che vorresti chiamare tua madre o cercare conforto nel suo abbraccio e non puoi. Capisco tutto.”
Marley sembrava sul punto di piangere, dopo un attimo però i suoi occhioni lucidi tornarono sciutti e Kitty si sentì autorizzata a procedere.
“Come ti sentivi quando me ne sono andata?”
Non si aspettava subito una risposta.
“Non ti sto parlando da terapeuta ma da amica, sii sincera con me ed io lo sarò con te.”
Marley sembrava ancora scettica, temeva nell’ennesimo bluff e Kitty capì di dover essere la prima a scoprire le carte.
“C’era un fondo di verità in quello che ho detto” ammise sorprendendo anche se stessa “Sai, come tesina finale, a psicologia bisogna stilare il proprio profilo: traumi, fissazioni, debolezze... viene tutto a galla. Io, tra le tante cose, ho la tendenza a cercare l’attenzione di uomini già impegnati sentimentalmente per gelosia verso la loro compagna, non perché mi sento inferiore sul piano fisico bensì per una semplice piccola molla che scatta nella mia testa e mi fa dire ‘Perché a lei sì e a me no?’. È il gravoso bagaglio di ogni vittima di abusi: cercare attenzioni ma esserne nel contempo spaventati a morte, non reggere l’idea, non sentirsi all’altezza di essere amata...”
“Mi ha fatto male” intervenne Marley.
Kitty gliene fu grata perché ora era lei ad essere quasi sull’orlo del pianto.
“Fisicamente, ho provato un forte malessere”
“Okay”
“Non è okay!”
“Invece sì” le assicurò, sedendosi al suo fianco “Le reazioni del tuo corpo sono istintive profonde e non filtrate dalla tua mente, il che è un bene visto che non è proprio al massimo della forma.”
“Mi stai dicendo che io non ricordo di essere innamorata di lui ma il mio corpo sì? Ma andiamo! Lui non mi fa battere il cuore come Jake.”
“L’aumento del battito cardiaco e le vampate di calore si verificano anche quando siamo in collera.”
Marley voltò la testa e incrociò le braccia, non sapeva che mettersi sulla difensiva di fronte ad uno psicologo equivale a dire ‘continua, sei sulla buona strada’
“Sei innamorata di Jake, vuoi stare con lui?”
“Sì”
“Vuoi fare l’amore con lui?”
“S-Quando sentirò che è il momento”
“Stronzate! Fosse stato per te non lo avreste mai fatto: era così al liceo ed è così adesso, questo perché tu non riesci a metterti completamente in gioco, sarebbe un rischio e tu non li corri i rischi perché sei rimasta troppe volte a mani vuote, proprio come insegna il nostro fantastico sistema scolastico! Se non rispondi ad una domanda nel dubbio ti assegnano un punto ma se dai la risposta sbagliata non ottieni niente, così tu mia cara ti crogioli in mille possibilità senza mai muovere un passo nella loro direzione.”
“Questo non è...”
“Perché non sei diventata una cantante famosa le cui canzoni passano in ogni radio?” l’incalzò “E perché non sei rimasta in contatto con questo Mark Waters tornata dal Tibet, te lo sei chiesta? Io sì, proprio un attimo prima di dirti di cercarlo. Ma se devi cercarlo, riprendere i contatti a sette anni dal viaggio che vi aveva così profondamente legato qualcosa dovrà pur dire... forse è collegato al fatto che lo yoga, quello vero, non è solo accendere un bacchetto d’incenso e finire con l’addormentarsi a gambe incrociate da quaaanto ci siamo rilassati, è una ricerca interiore, prendere coscienza di sè e andare sempre avanti senza mai tornare indietro. E forse tu non eri pronta a farlo.”
Marley si alzò, le labbra strette e i fulmini che lanciavano i suoi occhi suggerivano che ne aveva abbastanza.
Era il momento del colpo di grazia.
“Ti dico come andrà con Jake?” disse, sicura di trattenerla e infatti l’altra si fermò “Un giorno, presto o tardi, lo annoieranno le uscite film e caffé da Starbucks, e visto che non è un patito dei musei ti proporrà con un pretesto qualunque di salire nella sua camera”
“Stai zitta”
“La prima volta che gli dirai di no si mostrerà comprensivo, hai perso la memoria e tutto quanto, ma alla seconda ti farà presente che l’avete già fatto in passato” le scappò una mezza risata “E anche con Hunter, non penserai che abbiate sempre dormito in stanze separate...”
“STAI ZITTA!”
L’intera hall si girò a fissarle, se non fosse stata lei stessa ad urlare probabilmente Marley si sarebbe fatta piccola piccola ma tutta la sua attenzione era concentrata su Kitty.
Con tutta la calma del mondo, Kitty prese la borsa e si alzò.
“Vorrei avere torto, Marley cara” disse arrivandole vicinissima, col tacco dodici erano quasi alte uguali “ma se così fosse non pensi che saresti tu la signora Puckerman, con marmocchi al seguito, invece di Bree ‘con due E non come il formaggio’?”
Fece per andarsene poi si voltò alla Rita Hayworth, come suggeriva Julia Roberts in quel film che la faceva piangere ogni sacrosanta volta.
“Come ho detto all’inizio, non sono in grado di mantenere l’impegno che mi ero prefissa, perciò non posso più essere la tua terapista ma sono sempre tua amica. Un’amica scomoda e un bel po’ stronza che ti dice le cose in faccia, specie quelle che non vorresti sentire, è per questo ci siamo allontanate. Vorrei che non succedesse di nuovo.”
Questa volta si allontanò sul serio ed a grandi passi.
Alla reception le restituirono la carta di credito, avvertendola che il suo taxi era arrivato e i suoi bagagli erano già a bordo. Tirò fuori il cellulare solo quando fu dentro l’abitacolo, temeva si trattasse di Hunter che la chiamava furioso perché lo stava abbandonando in un casino peggiore di quando era arrivata: gli aveva lasciato una lista di nomi, colleghi più che qualificati e che l’avrebbero trattato con riguardo se avesse detto che era lei a… ma non si trattava di lui.
“Un bel po’?! Diciamo piuttosto che sei una gran stronza” sbottò Marley prima ancora che avvicinasse lo smatphone all’orecchio “Oggi però mi hai fatto capire che è l’unico modo che conosci per proteggerti... e anche il modo in cui dimostri alle persone di volergli bene.”
“Impressionante, e senza aver seguito nessun corso!”
“Fingerò che tu sia rimasta in silenzio”
Kitty sorrise ed ebbe la sensazione che anche l’altra stesse facendo lo stesso.
“Volevo solo dirti che ti voglio bene anch’io. E che non cercherò un altro terapista. Voglio te o nessun altro, quindi ti conviene sbrigarti con quella perizia!” concluse, interrompendo la comunicazione prima che lei potesse ribattere.
Marley Rose, così ingenua da farti tenerezza e darti sui nervi insieme. Questo non sarebbe mai cambiato.

  
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