L’appiglio

 

 

        La porta del locale gli si è chiusa alle spalle gracchiando. Fuori, la notte è nera e umida e fredda, e la strada, da poco sciacquata dalla pioggia, luccica vuota sotto il lume stanco d’un lampione.
        Dean l’attraversa camminando veloce, col capo chino, una mano rintanata nella tasca dei jeans e l’altra stretta attorno al collo d’una bottiglia. Ad attenderlo dall’altra parte, parcheggiata nel fango, l’Impala.
 
        Ha la schiena poggiata contro la carrozzeria (e la testa che pulsa, le dita congelate, la gola annodata), quando butta giù il primo sorso. E il secondo, il terzo—
 
        Prima che possa concedersi il sesto, un rumore di passi lo distrae.
        Alza gli occhi, e: è buio, ma non ha certo bisogno di chissà quale luce per riconoscere il trench e la postura rigida.
        «Va’ via, Cas» ringhia; è rabbioso, acido, indisponente – e la cosa peggiore? Vuole esserlo.
        Ma Castiel non se ne va. Anzi, s’avvicina di più, gli si piazza davanti. Con aria seria, nello spento chiarore riflesso del lampione, assottiglia lo sguardo puntandolo dritto nel suo.
        «Dean», chiama, con voce grave che vibra.
 
        Il sesto, lungo sorso viene scolato in quel momento.
 
        «Dean».
        «Ho detto va’ via, Cas» sbotta quello, amaro e tagliente, perché non può farcela – non così, non adesso; ha bisogno di—
        Non completa il pensiero; non perde tempo a farlo. Semplicemente, con gli occhi fissi su un punto lontano, si limita a sollevare la bottiglia per la settima volta.
        È così che, di colpo, proprio sulla bottiglia cade tutta l’attenzione di Castiel: gli basta un istante, per decidere ed agire.
        Un secondo prima, l’altro se la stava portando alle labbra; un secondo dopo, lui gliel’ha già strappata di mano.
        «Cosa—» soffia perplesso Dean, ma la sua domanda muore sul nascere, repressa da Cas che gli preme il palmo libero contro il petto e spinge; l’incastra contro l’auto, con una forza e una nonchalance a dir poco seccanti. Lui cerca d’istinto di sbuffare un lamento, ma anche quello gli resta bloccato tra i denti, perché—
        Cristo santo, sta bevendo.
        Senza fare una piega, e completamente indifferente alla feroce resistenza di Dean, Castiel si lascia scendere in gola fino all’ultima goccia di alcol. Quando poi ha finito, e la bottiglia vuota gli scivola dalle dita per cadere a terra, non ascolta nemmeno l’insulto che gli viene rivolto; piuttosto, riportando lo sguardo in quello dell’altro, sfoggia un’espressione dura come la pietra, e mormora, assoluto: «Basta così».
 
        Può essere che Dean voglia esplodere, sputare altre cattiverie, andarsene. Per un attimo, è sicuro che lo farà.
        Invece, no: guarda Castiel negli occhi – Castiel, che non ha tempo per le sue stronzate –, ci vede dentro un ché di morbido, e sente la sua mano non spingere più, salire fin tra il collo e la spalla.
        «Torniamo indietro, Dean».
 
        Non serve altro. Dean s’arrende così, con una facilità ridicola e l’amarezza che gli si srotola dentro; s’arrende, e presto nel silenzio annuisce, perché chissà come, ha qualcosa, qualcuno a cui aggrapparsi, ancora una volta.





 

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Angolo di Tormenta
Dopo tanto tempo, sono finalmente riuscita a tornare a scrivere qualcosa. E ovviamente, non poteva trattarsi d'altro che di un po' di Dean/Castiel gratuito. c':
Mi auguro che per quanto breve, questo racconto sia apprezzabile. Sto cercando di rimettermi in carreggiata.
Grazie mille per aver letto sin qui! Baci,
T. ♪
 

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