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Autore: Carme93    22/01/2017    0 recensioni
Anno 2020.
L'ombra sta nuovamente calando sulla comunità magica inglese (o forse europea) ed ancora una volta toccherà ad un gruppo di ragazzi fare in modo che la pace, con tanta fatica raggiunta, non venga meno.
Tra difficoltà, amicizie, primi amori e litigi i figli dei Salvatori del Mondo Magico ed i loro amici saranno coinvolti anche nel secolare Torneo Tremaghi, che verrà disputato per la prima volta dal 1994 presso la Scuola di Magia e stregoneria di Hogwarts.
Questo è il sequel de "L'ombra del passato" (l'aver letto quest'ultimo non è indispensabile, ma consigliato per comprendere a pieno gli inevitabili riferimenti a quanto accaduto precedentemente).
Genere: Avventura, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, James Sirius Potter, Un po' tutti | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Capitolo ventottesimo
 
Nelle mani della Signora Oscura
 
 
James percepì la presenza di qualcuno alle sue spalle e non ebbe dubbi che fossero i suoi migliori amici, ma era troppo arrabbiato per fermarsi. Doveva sfogarsi in qualche modo. Inconsciamente i suoi piedi lo condussero nel luogo segreto dove l’aveva portato diverso tempo prima Benedetta. Sentì i due ragazzi sussurrare dietro di lui, ma ancora non aveva la forza di dire nulla. Raccolse un po’ di pietre e iniziò a lanciarle con violenza nel Lago. Peter gli aveva detto che il braccio non era rotto, ma comunque aveva preso una bella botta. E come no? Che cos’è che non avevano capito in “ci ha attaccati una banda di troll inferociti”? Alle volte proprio non capiva gli adulti. E dire che della McGranitt, zio Neville e Williams si fidava ciecamente. Tirò con foga un altro sasso e il braccio sinistro ne risentì. Strinse i denti: non sarebbe tornato indietro a elemosinare una pozione. Non con tutta quella gente. Pensò ai suoi genitori. Perché non erano venuti ad assistere alla prova? Suo padre avrebbe potuto avere qualsiasi emergenza, visto i tempi che correvano, ma sua madre? Lanciò ancora un sasso e lo vide infrangersi contro la superficie del Lago. Chissà se i Maridi erano suscettibili come i Centauri.
Ben presto, troppo presto, il cielo si tinse di rosso e il freddo divenne quasi insopportabile. James continuava a lanciare con sempre minor forza e convinzione, ma non voleva fermarsi.
 
«Basta, ti prego» mormorò una voce dolce e triste allo stesso tempo. Benedetta gli fermò il braccio e il ragazzo ubbidiente lasciò cadere la pietra a terra, mentre lei lo abbracciava. «Va tutto bene, siamo qui con te».
 
«James, raccontaci per bene che cos’è accaduto. Noi siamo arrivati in tempo per sentirti urlare contro Vulchanova» disse Robert.
 
Si sedettero, incuranti dell’umidità della terra e James iniziò a raccontare. Ormai era stanco e non si alterò ulteriormente, ma aspettava con ansia il giudizio dei suoi amici. Benedetta non l’aveva mollato un secondo e il suo calore lo faceva sentire meglio. «Mi credete?» chiese alla fine.
 
«Certo, che domande!» replicò Robert. Benedetta si limitò ad annuire. «Ora, andiamo però. È tardissimo». I tre ragazzi si alzarono e tornarono indietro in silenzio e lentamente. Le luci del castello divennero sempre più evidenti man mano che si avvicinavano. «Stiamo attenti ora. Non è il caso di farci beccare da Sawyer» disse Robert e si avviò per primo nella Sala d’Ingresso, consapevole che James avesse ormai abbassato totalmente la guardia.
 
«Eccovi, finalmente! Sono ore che vi cerchiamo! Dove eravate andati?». Robert trattenne un’imprecazione, soprattutto per lo spavento preso. James e Benedetta, dietro di lui, sobbalzarono. La McGranitt era apparsa in cima alla scalinata di marmo e nonostante l’età scese velocemente. «Per un attimo abbiamo temuto che foste rientrati nella Foresta Proibita! Ma gli Auror che sono andati a catturare i troll non hanno trovato nessuno! Vi rend-».
 
«Mio padre è qui?» chiese James interrompendola.
 
«No, Potter. Le sue veci le fa il sotto vice-Capitano Fenwick».
 
«Perché non è qui?» insisté il ragazzo.
 
«Potter, gli Auror non vengono a riferire a me che cosa fa il loro Capitano!» replicò la Preside spazientita. «E torniamo a voi! Dove eravate?». Con sorpresa dei due ragazzi fu Benedetta a rispondere e raccontarle della sponda nascosta del Lago Nero, ora non più tanto segreta. La McGranitt inspirò con forza e li scrutò uno a uno con sguardo di fuoco. I ragazzi chinarono il capo incapaci di reggerlo.
 
«Comunque è colpa mia. Erano preoccupati per me» disse James stancamente, sperando che li lasciasse andare il più velocemente possibile.
 
«Date le circostanze» sospirò infine, e la sua voce era più calma, «sarò clemente. 30 punti ciascuno saranno tolti a Grifondoro. E ora, Merinon, Cooper filate al vostro dormitorio immediatamente. Devo scambiare due parole con Potter». Robert e Benedetta tentennarono un attimo, ma sotto lo sguardo inflessibile della donna si diressero verso le scale senza aggiungere altro. La McGranitt fece per riprendere a parlare solo quando il rumore dei passi dei due ragazzi prima divenne un’eco lontana e poi sparì completamente, ma il ragazzo la precedette.
 
«Perché non mi ha creduto?» non riuscì a trattenersi James. La Preside lo incenerì con un’occhiataccia.
 
«Io ti ho creduto» ribatté. «Ma la parola di un sedicenne senza alcuna prova, non ha più valore di quella di un mago adulto come Vulchanova. Che cosa avremmo dovuto fare? Il Torneo non si può annullare. Né io né Madame Maxime ci possiamo mettere contro di lui. Abbiamo il dovere di proteggere i nostri studenti».
 
«E quindi?» domandò James. «Professoressa» aggiunse in fretta.
 
«E quindi tu sconterai una punizione per aver mancato di rispetto al Preside di Durmstrang e gli chiederai scusa».
 
«Che cosa?!» sbottò James. «No. Non chiederò scusa a quell’uomo!».
 
«Potter» iniziò in tono di avvertimento la McGranitt, ma James la interruppe. «Non mi può costringere».
 
«Vedremo. Ora è meglio che vai nel tuo dormitorio».
 
James la seguì in silenzio fino al settimo piano, poi non riuscendo più a tacere chiese: «L’ho delusa?».
 
«Prego?» replicò la donna fermandosi e fissandolo.
 
«Sono ultimo in classifica e pomeriggio ho fatto un macello» sospirò James. Almeno si sarebbe sentito men in colpa se l’avesse rimproverato anche per quello. Forse.
 
«Potter, sai che cosa significa deludere?». James fu preso in contropiede. Insomma tutti sanno che cosa significa deludere, no? Eppure si ritrovò a boccheggiare non trovando le parole giuste. «Significa venir meno alle aspettative di una determinata persona. E tu non l’hai fatto» spiegò la McGranitt.
 
«Come no?» chiese James incredulo.
 
«Sei come tuo padre. Il tuo comportamento di questo pomeriggio, l’ha dimostrato ulteriolmente. Sarei rimasta sorpresa se fossi rimasto buono buono di fronte a Vulchanova. Per quanto riguarda la prova, l’hai portata a compimento proprio come la prima. Non è colpa tua se il demiguise è stato ferito. Sei stato sabotato e quei troll avrebbero dovuto ucciderti. Merlino sa, quanto sono stata sollevata di vederti uscire dalla foresta sulle tue gambe».
 
James fu colpito da quelle parole e non seppe cosa dire. Ripresero a camminare e si fermarono solo di fronte al ritratto della Signora Grassa. «Il signor Lux ha detto che puoi dormire nella tua stanza questa notte, ma domani mattina prima di colazione ti vuole vedere. Mi raccomando, vedi di andarci. Un elfo domestico a quest’ora avrà già portato qualcosa da mangiare per te e i tuoi compagni. Inoltre troverai una fialetta con della pozione. Il signor Lux vuole che tu la beva prima di andare a letto. Chiaro?».
 
«Sì, Preside. Grazie».
 
*
 
Stava albeggiando. Harry si strinse il mantello addosso e osservò il sole sorgere. Erano ore che navigavano e non avevano ancora avvistato nulla.
 
«Signore» disse un Auror avvicinandosi. «Il babbano vuole sapere quanto ancora volete rimanere in mare. L’equipaggio vuole rientrare per il cambio di guardia».
 
«Ancora un po’. Mezz’ora e poi rientriamo».
 
«Come desidera, signore. Vado a riferire».
 
Si passò una mano sul volto stanco e probabilmente pallido. Non amava il mare. Aveva ripensato più volte ad Albus durante la notte. Suo figlio l’avrebbe trovato divertente. E aveva pensato anche a James. Come se l’era cavata? Sentiva uno strano peso sul cuore. Era inquieto. Nella prima prova non avevano fatto nulla, ma era sicuro che avrebbero tentato di fargli male durante la seconda. E lui non era potuto andare. Imprecò contro il mare che continuava a essere inesorabilmente deserto.
 
«Signore, una barca. A destra!» lo richiamò uno degli uomini della Guardia Costiera.
 
Harry si voltò di scatto e seguì con gli occhi la direzione che l’uomo gli indicava. In effetti c’era una piccola barca che si avvicinava.
«Fermatela» ordinò.
 
«Che cosa cercate, signore?» gli chiese l’ufficiale, che comandava la nave. Non era stato molto felice di dover portare con sé quelli uomini senza essere informato della loro missione.
 
«Voi limitatevi a chiedere tutti i documenti e a fare le domande di rito. Il resto lo faranno i miei uomini, se sarà necessario».
 
L’ufficiale rispose con un cenno d’assenso e si congedò bruscamente. Harry non poteva dargli torto: lui stesso avrebbe odiato se qualcuno si fosse comportato così con lui. Non poteva farci nulla, però. Aveva altre priorità. Strinse la bacchetta, nascosta sotto il giaccone e attese. Odiava attendere. Il peschereccio, così l’avevano identificato gli uomini della Guardia Costiera, obbedì all’alt imposto dagli ufficiali e si accostò. Sembrava che gli unici uomini a bordo fossero due di colore, che, come si aspettava, mostrarono subito i permessi di navigazione, i documenti di identità e a quanto pare i permessi di soggiorno. Harry fece un cenno a uno dei suoi Auror, perché facesse quanto concordato. Improvvisamente un telone, fino a quel momento invisibile, si sollevò dalla prua della nave rivelando un gruppo di uomini legati e imbavagliati.
Beccati pensò Harry vittorioso. Gli Auror misero immediatamente al sicuro i Babbani scioccati. Avrebbero dovuto chiamare gli Obliaviatori una volta tornati a riva. I due uomini, che avevano prontamente reagito, furono disarmati e ammanettati senza alcuna difficoltà. Non parlavano inglese.
 
«Andiamocene» disse Harry. Li avrebbe interrogati al Ministero, ora non ne aveva la forza e poi aveva fretta di rientrare. «Appena arriviamo chiamate gli obliviatori e i medimaghi per visitare quelli uomini. Non hanno una bella cera».
 
«Sì, signore» ribatterono i suoi uomini.
 
Quando attraccarono ormai il sole era sorto del tutto. Harry saltò fuori dalla barca di slancio, ma quando le ossa gelate gemettero se ne pentì.
 
«Capitano! Sei tornato finalmente».
 
Harry andò incontro ad Adrian Wilson. «Li abbiamo presi. Occupatevi di loro e fa’ in modo che gli uomini che erano con me vadano a riposarsi. È stata una lunga notte» ordinò.
 
«Capitano, devi vedere il giornale di oggi» disse Adrian consegnandoglielo. «Tua moglie ti ha cercato».
 
Harry imprecò. La prima pagina era occupata dalla foto di Apolline Flamel che schiaffeggiava Vasilij Dumbcenka e il titolo recitava: Potter accusa il Preside Vulchanova: “Ha sabotato la seconda Prova”.
 
«Tuo figlio è stato attaccato da una banda di troll insieme alla ragazza francese. Sembra che stia bene, almeno fisicamente. Fenwick si è occupato dei troll».
 
«Che vuol dire almeno fisicamente?» domandò Harry fissando preoccupato una foto di James che si agitava contro Vulchanova.
 
«Dopo che è stato annunciato il punteggio lui e i suoi amici si sono allontanati. Per un po’ non sono riusciti a trovarli. Ci hanno provato anche gli uomini di Fenwick insieme agli insegnanti. Sul tardi sono rientrati al castello da soli, la McGranitt ce l’ha riferito poco dopo. A quanto pare ha chiesto di te».
 
«Come sono arrivati dei troll nella foresta?».
 
«James e la francese dicono che li ha evocati Dumbcenka».
 
Harry sgranò gli occhi e imprecò.
 
*
 
«Jamie? Che pensi?» chiese Benedetta.
 
«Sono preoccupato per i G.U.F.O. La prova nella foresta mi ha fatto riflettere parecchio. Sono un disastro. Non li supererò mai!».
 
«Non dire così. Sei solo sconfortato» tentò Benedetta.
 
«No, non mi prendere in giro» ribatté James amaramente. «Non sono stato in grado di fare una semplice trasfigurazione, non ho riconosciuto neanche la valeriana! Non diventerò mai un Auror se continuo così. Ho S in Erbologia e D in Trasfigurazione».
 
«È solo un momento!» ripeté Benedetta. «Andrà meglio, ora che ti sei tolto il pensiero della seconda prova!».
 
«Benedetta, ha ragione. Mettiamoci sotto e ce la faremo. Non sei stupido, James» intervenne Robert.
 
James sospirò.
 
«Mettiamoci a studiare» insisté Benedetta, prendendo per prima i libri dallo zaino, «Avanti». Robert la imitò e insieme fissarono eloquentemente James e Demetra. I due ragazzi dopo un attimo di titubanza si unirono a loro.
 
«E sia, non può essere peggio che affrontare una serpentona» sospirò James, suscitando le risatine degli altri.
 
*
 
«Frank? Possiamo parlare?».
 
Il ragazzino distolse l’attenzione dal libro che stava leggendo e fissò il coetaneo.
 
«Che vuoi Hans? Non ti vogliamo vicino a noi» disse subito Roxi.
 
«Vorrei che facessimo pace definitivamente».
 
«Ma credi che siamo degli ingenui? Gira al largo!» ripeté Roxi.
 
«Sono sincero! Facciamo pace. Da me non dovrai temere più nulla» ribatté il ragazzino porgendo la mano a Frank.
 
«No» si impuntò Roxi, spingendo via la mano.
 
«Non ti impicciare!» sbottò infastidito Halley Hans.
 
«Che succede qui?».
 
I ragazzini sobbalzarono all’arrivo improvviso del loro Direttore.
 
«Nulla» si affrettò a rispondere Roxi, ma Neville si rivolse, inaspettatamente, ad Hans.
 
«Halley?».
 
«Volevo solo fare pace con Frank, ma Weasley non me l’ha permesso».
 
Roxi lo fulminò con lo sguardo. «Non siamo mica stupidi. Sappiamo che c’è una trappola».
 
«Non c’è nessunissima trappola» si infervorò Halley Hans.
 
«Roxi, Gretel andate in classe. I vostri compagni vi raggiungeranno a momenti».
 
«Cosa?!» sbottò Roxi. «Non se ne parla! Frank non resta da solo con lui!».
 
«Adesso» disse con sguardo serio Neville, facendole capire che non avrebbe ammesso altre repliche. «Bene, avete cinque minuti e poi filate a lezione entrambi» aggiunse appena rimasti soli.
 
«Grazie, signore» disse Halley Hans. Frank si limitò ad annuire, ancora non comprendendo il comportamento del padre, che li lasciò da soli.
 
«Voglio davvero chiederti scusa» iniziò Halley. «Mi dispiace per come mi sono comportato in questi anni». Frank era sorpreso e non sapeva che cosa dire. Aveva passato due anni e mezzo d’inferno a causa sua, di Calliance e Granbell e ora tutto si stava risolvendo in quel modo. «Capisco che tu ce l’abbia con me. Ti prometto che non ti darò più fastidio in nessun modo… Mmm vabbè ora è meglio andare in classe».
 
«No, aspetta» lo fermò Frank. «Accetto le tue scuse».
 
«Grazie» replicò Halley e sembrava sollevato.
 
«Però adesso è meglio andare a lezione o faremo tardi».
 
I due ragazzini si affrettarono e raggiunsero l’aula di Storia della Magia proprio mentre suonava la campanella. Istintivamente
si sorrisero. Sotto lo sguardo benevolo della Dawson presero posto.
 
«Pretendo che mi racconti tutto per filo e per segno quello che ti ha detto» gli sibilò Roxi.
 
«Non c’è molto da dire. Mi ha chiesto scusa» replicò Frank, mentre la Dawson richiamava l’attenzione della classe per iniziare la lezione.
«E tu? Non mi dire che lo hai perdonato! Insomma dopo tutto quello che ti hanno fatto!».
 
«Ho accettato le sue scuse. Il perdono non lo so… è più complicato, no?».
 
«Ragazzi!» sbottò la professoressa.
 
A Frank dispiaceva perché era molto brava, ma anche troppo buona e tutti tendevano ad approfittarsene.
 
«Vi ho riportato la verifica sulle guerre dei giganti. Non mi pare che ci sia molto da ridere» sospirò. «È stato un disastro. Vorrei sapere perché non vi applicate per nulla. Mi avete chiesto di non assegnarvi troppi compiti e vi ho accontentati, ma proprio perché ve ne assegno pochi dovreste farli meglio, no? E, invece, voi non aprite nemmeno il manuale. Perché?» domandò dopo aver distribuito le verifiche. Naturalmente nessuno rispose. Roxi continuava imperterrita a imprecare contro Halley Hans e ogni tanto lanciava occhiatacce al compagno che si era seduto in fondo alla classe e appariva altrettanto distante con la mente. «Non dite nulla? E dire che eravate migliorati dall’inizio dell’anno!».
 
«Professoressa, è che quel giorno avevamo anche compito di Incantesimi e…» tentò Mabel Minchum di Tassorosso.
 
Frank si voltò verso Roxi e le disse: «Dai smettila. Non gli ho promesso amicizia eterna, ho solo accettato le sue scuse. Mi è sembrato giusto. Poi hai visto mio padre, non sembrava sorpreso».
 
Roxi sbuffò, ma non trovò nulla da ribattere e si mise a disegnare. «La Minchum poteva starsene zitta. La Shafiq fa verifiche un giorno sì e l’altro pure».
 
«Avreste potuto anche dirmelo» sospirò la professoressa. «Comunque recupererete con le interrogazioni, state tranquilli».
 
Erano tranquillissimi, era questo il problema pensò Frank. Mise da parte il suo compito dopo aver letto le correzioni ed essersi dato del cretino: aveva confuso due delle guerre dei giganti. Pazienza, era andato comunque bene. Aprì il manuale, mentre l’insegnante interrogava una Tassorosso. La sua attenzione, però, fu colta dal libro sulla storia celtica che gli aveva regalato il nonno. Quella mattina Halley l’aveva interrotto proprio sul più bello. Aveva trovato la Leggenda del Dodici, molto probabilmente la stessa di cui aveva parlato Virginia. Per un attimo fissò la sua migliore amica, tutta intenta a fare una caricatura della Minchum. Qualche giorno prima aveva provato a toccare anche lei le rune: era una dei Dodici. E Frank, nonostante si preoccupasse per lei, non poteva fare a meno di essere sollevato di averla al suo fianco anche in quel caso. Sapeva che non avrebbe dovuto leggere in quel momento, ma la tentazione era troppo forte. Doveva solo finire la storia. Era troppo importante per loro. Roxi gli lanciò un’occhiata maliziosa e gli prese il libro dalle mani. Frank la fissò interrogativo per un attimo senza capire. La ragazzina mise il libro aperto sotto il manuale di storia.
 
«Sì fa così. O vuoi leggerglielo davanti? Anche se sei il suo preferito rischi comunque un richiamo» disse Roxi alzando gli occhi al cielo e poi si rimise a disegnare come se nulla fosse, mentre la Dawson interrogava Halley Hans, per la gioia di Roxi e Gretel, e Alan Avery di Tassorosso.
 
«Roxi!» disse all’improvviso, appena conclusa la lettura.
 
«Abbassa la voce!» replicò ella sorpresa. «Che c’è?».
 
«Qui ci sono le risposte alle nostre domande!».
 
Roxi gli tirò una gomitata e lo costrinse a fare attenzione a quello che succedeva loro intorno. Halley e Alan avevano ripreso posto e la professoressa cercava di ottenere la loro attenzione.
 
«Allora ragazzi, prima che andiate, volevo dirvi che il Ministero ha indetto un concorso, aperto a tutti. L’obiettivo principale è la Cooperazione Internazionale. Il Torneo Tremaghi non va più bene e bisogna trovare un nuovo modo per mettere in contatto i giovani maghi. Vorrei che anche voi provaste a partecipare. Vi dò una settimana per presentarmi un progetto serio. Potete farlo anche in gruppo se lo desiderate». Alle sue parole il brusio in classe aumentò e la donna li congedò immediatamente al suono della campanella. Frank fece segno alle amiche di aspettarlo fuori. «Cosa c’è, Frank?» gli chiese la Dawson notandolo. «Dovresti andare a lezione».
 
«Sì, professoressa. Volevo chiedervi solo una cosa».
 
«Dimmi».
 
Frank si accostò alla cattedra. La Dawson non poteva definirsi una bellezza, tipo le modelle babbane che ogni tanto si vedevano nelle riviste o in televisione, ma aveva dei tratti fini e dolci, e soprattutto dei caldi occhi castani che mettevano subito a proprio agio. «Lei ha detto che le leggende hanno sempre un fondo di verità. Come si fa a capirlo? Insomma per i Babbani anche noi siamo solo fantasia. Per noi qual è il limite?».
La professoressa lo fissò vagamente perplessa. Un’altra sua caratteristica, o forse dei Tassorosso in generale, era la schiettezza e non era capace di celare i suoi sentimenti. «È una bella domanda la tua, Frank. Se vuoi una risposta dal punto di vista storico, l’unica soluzione è fare ricerca. Vagliare con attenzione tutte le fonti che si hanno a disposizione».
 
«E come si fa a cercare le fonti?».
 
«Nelle biblioteche e negli archivi per esempio. Dipende. Ci sono diversi modi. Devi tenere in considerazione anche il contesto storico in sé e per sé. Per esempio, se hai dubbi su un qualche avvenimento dell’ultima guerra, una buona fonte sarebbe quella di rivolgerti a tuo padre o uno dei suoi amici. La memoria è anche molto utile, naturalmente può essere fallace e un buono storico deve tenerlo in conto e non basarsi esclusivamente su di essa».
 
«E se si tratta di un periodo molto lontano?».
 
«Posso sapere perché questo improvviso interesse per la ricerca?» ribatté la professoressa, ora palesemente sorpresa.
 
«Ho letto una leggenda celtica e mi chiedo quanto ci sia di vero» spiegò, mostrandole il libro che ancora teneva in mano.
 
«Ah, quindi questo è il libro che prima leggevi con tanta attenzione? È molto prezioso. Di certo non lo vendono al Ghirigoro» disse la Dawson dopo averlo osservato e sfogliato. Frank alla sue parole era arrossito. La strategia di Roxi non aveva funzionato. «Mi scusi» iniziò, ma ella lo interruppe. «Anche io lo facevo spesso» disse con sorriso malinconico. «Spesso e volentieri. Non ti dico le ramanzine che mi beccavo! Tu hai avuto la professoressa Macklin, vero?».
 
«Sì, al primo anno».
 
«Quindi saprai benissimo come fosse terribile quando si arrabbiava, ma era più forte di me. Non ero molto brava quando si trattava di usare la magia e mi scoraggiavo facilmente dopo i primi inutili tentativi di eseguire un qualsiasi incantesimo e mi consolavo nei miei libri. A maggior ragione quando una materia non mi piaceva o mi annoiavo».
 
«Io non mi annoio… solo che stavate interrogando e volevo tanto conoscere la fine e…».
 
«Capisco» lo interruppe la professoressa. Il sorriso malinconico non aveva abbandonato il suo volto. «Non fa niente, però ti pregherei di non farlo in futuro. Chi non ti conosce potrebbe pensare che ti senti troppo superiore per degnare di attenzione i tuoi compagni che hanno più difficoltà».
 
«Io non…» tentò di dire Frank, ma ancora una volta non ebbe l’opportunità di concludere.
 
«Lo so. Ho detto chi non ti conosce, infatti. Ho avuto modo di notare quanto ti prodighi per aiutare i tuoi compagni, anche quando non dovresti» disse indicando eloquentemente le verifiche. Frank arrossì ancora di più, ma la professoressa non sembrava minimamente intenzionata a rimproverarlo. «Spesso gli adulti si dimenticano com’è essere bambini, ma per fortuna io non l’ho ancora fatto. Vorrei solo dirti che non devi aspettarti che tutti ricambieranno o si mostreranno grati nei tuoi confronti».
Frank rimase sorpreso alle sue ultime parole. La Dawson era diventata più seria. «Non sono sicuro di aver capito» mormorò perplesso. Che cosa voleva dirgli?
 
«Tu sei un ragazzo molto generoso, non voglio che ti illudi che siano tutti così. Molti di quelli che cerchi di aiutare, si gireranno dall’altra parte quando sarai tu a chiedere aiuto».
 
«Lo so. L’ho già imparato» mormorò Frank.
 
«Mi dispiace».
 
«Ho degli amici che mi vogliono bene».
 
«Lo so. Ho visto la premura di Roxanne nei tuoi confronti». Per un attimo scese un silenzio imbarazzato tra i due: Frank non si aspettava che la discussione avrebbe mai preso quella piega e la Dawson probabilmente attendeva da tempo di parlargli. «La prossima settimana andrò in biblioteca con i ragazzi del settimo anno, proprio per spiegarli come si compie una corretta ricerca storica. Se lo desideri, sarai il benvenuto». Frank sgranò gli occhi: lui fare lezione con quelli del settimo? «Per quanto riguarda, invece, la tu leggenda, questo è uno dei lavori migliori che sono stati scritti sulla storia celtica. Sono sicura che vi sia un ottimo commento, che risponderà alle tue domande. Basta che cerchi il capitolo relativo alla tribù di cui parla».
 
«Sono stato uno stupido a non pensarci da solo. Grazie, professoressa».
 
«Di niente, Frank. Mi raccomando, pensa alla mia proposta».
 
Il ragazzino annuì e raggiunse di corsa le amiche. Roxi e Gretel avevano origliato e quindi non li fecero alcuna domanda, ma gli lasciarono l’onere di trovare una giustificazione con suo padre quando entrarono nelle serre con più di dieci minuti di ritardo.
 
Alla fine delle lezioni non perse tempo e cercò tutti gli altri, costringendoli a riunirsi nella Stanza delle Necessità. «Si può sapere che Merlino vuoi?» sbottò Rose, contrariata per dover ritardare la cena.
 
«Ho letto la Leggenda dei Dodici di cui parlava Virginia» rispose sventolando il volume sotto i loro occhi e lasciò che la ragazza lo prendesse per sfogliarlo.
 
«Hai trovato qualcosa di utile?» chiese Albus serio.
 
«Sì. Ora vi leggo la leggenda» rispose Frank, mentre Virginia li restituiva il libro. «“Una leggenda a lungo tramandata dalle tribù celtiche è senz’altro quella delle rune che proteggevano i Cornonaci. Nota anche come Leggenda dei Dodici. I Cornonaci erano vissuti per secoli in pace e in armonia sia tra loro sia con le altre tribù. L’oscurità, però, iniziò a infiltrarsi tra loro. Dapprima alcune famiglie presero a scontrarsi e nacquero tensioni. Il problema principale è che molti pensavano sarebbe stato più conveniente sfruttare la natura. Il punto di rottura si ebbe quando ebbero motivo di entrare in conflitto con una tribù più vicina. Allora i Cornonaci conobbero la guerra e le armi. Niente fu come prima e la loro stessa sopravvivenza vicino al lago Loch A’an fu messa in dubbio. I saggi della comunità erano preoccupati per la strada che i loro giovani avevano intrapreso. Le guerre si erano moltiplicate e non erano più solo di difesa. Ai giovani piaceva la gloria e nemmeno il sangue che scorreva riusciva a fermarli. Allora gli anziani interrogarono gli spiriti della Natura per trovare un modo di salvare la tribù. Gli spiriti vaticinarono la nascita di una bambina, dai grandi poteri, che avrebbe salvato la comunità permettendole di sopravvivere ancora per molti secoli. Avrebbero distinto l’eletta per una sua capacità fuori dal comune, che si sarebbe mostrata fin dalla nascita. La cercarono per anni, poi finalmente una notte una donna diede alla luce una bambina. Lei e il giovane marito rimasero sgomenti di fronte alla figlioletta. L’allora capo della tribù fu convocato immediatamente nonostante la tarda ora e l’anziano comprese subito che era l’eletta: l’unico ciuffetto che aveva la bambina in testa cambiava colore. Gli anni trascorsero e il vecchio educò personalmente la bambina. Le insegnò a comprendere e ad ascoltare la Natura. La piccola Kyla crebbe e con lei i suoi poteri: imparò a modificare non solo il colore dei suoi capelli, ma anche i tratti del suo viso. L’anziano capo tribù in punto di morte la scelse come suo successore. Kyla, ancora giovane, si ritrovò ad affrontare la crisi sempre più palese. Tentò di allontanare i bambini dalle idee violente e bellicose dei genitori, guidandoli secondo i vecchi principi della comunità. Non sembrò funzionare. Solo pochi di loro la ascoltavano e la seguivano. Un giorno arrivò un viaggiatore, che si era perso, per poco riuscì a salvarlo dal linciaggio ingiusto cui gli uomini del villaggio volevano condannarlo. Nonostante i malumori, era lei che aveva il comando. Fece in modo che l’uomo fosse curato e lo accompagnò personalmente al villaggio più vicino. L’uomo gliene fu grato e le consegnò un libro. Le disse che proveniva dalla Grecia. Kyla lo lesse nei giorni a venire, rimuginando a lungo sulle parole di quel babbano, che il viaggiatore aveva chiamato Aristotele. Decise allora di mettere per inscritto quei valori che la comunità ormai aveva dimenticato: il rispetto per la propria famiglia, i propri simili e la Natura.
‘Kyla, Kyla’ la chiamò un giorno con foga il più giovane dei ragazzi. Gallen, era un ragazzino mansueto e buono. La donna, che ormai iniziava a essere avanti negli anni, gli sorrise benevola. ‘Cosa posso fare per te, ragazzo mio? ’. ‘Mio padre e gli altri uomini sono furiosi. Ormai il lago è quasi asciutto e non accenna a piovere’. ‘C’è poco d’arrabbiarsi’ replicò mesta Kyla. ‘La Natura ci sta punendo’. ‘Vogliono attaccare un villaggio e abbandonare per sempre questi boschi’ ribatté spaventato il ragazzino. Kyla sospirò. Erano anni che ne parlavano, ma dal volto di Gallen capì che stavolta facevano sul serio. ‘Kyla, devi fuggire’ disse, invece, con urgenza nella voce un ragazzo sui sedici anni, appena arrivato. ‘Mils, io non fuggo’. ‘Devi farlo. Gli uomini hanno deciso. Ti uccideranno e prenderanno il potere! ’. Kyla sospirò e guardò i due ragazzi. ‘E sia. Nessuno di voi è costretto a rimanere con questi bruti. Mi troverete ai piedi della montagna stanotte. Avrete il tempo di decidere e chi vorrà potrà raggiungermi’. Il clamore fuori dalla sua capanna aumentò notevolmente e sul volto dei due ragazzi si dipinse la paura. Kyla sorrise e con un ultimo cenno del capo, ruotò su sé stessa e sparì. Riapparve in una vecchia baita, perfettamente attrezzata. Lo sapeva che sarebbe accaduto prima o poi. Si mise al lavoro. Quella notte lasciò la baita solo con un sacchetto attaccato alla cintura della veste. Non si sorprese nel vedere dodici ragazzi raggiungerla poco prima di mezzanotte. ‘Kyla, nessun altro ha voluto seguirci’. ‘Non avevo dubbi. Aspettavo ognuno di voi. Ho un dono per voi’ replicò ella prendendo il sacchetto. ‘Vi ricordate che vi ho parlato delle virtù? La nostra comunità dovrebbe fondarsi su di esse. Finalmente ho capito quale sia il mio compito e come salvare i Cornonaci. Sopravvivremo grazie a voi. Gli uomini del villaggio hanno molte più armi di quelle che noi conosciamo. Appena domani li attaccheranno, i nostri uomini moriranno. Saremo gli unici superstiti. Ho un dono per ognuno di voi. Arthur, tieni, sol rappresenta la Giustizia. Quando non ci sarò più sarai tu a guidare i tuoi compagni’. Il giovane prese la placchetta di terracotta che la donna gli porgeva, su di essa era incisa proprio la runa sol. Intanto Kyla continuò a distribuire le rune ai ragazzi. ‘Reid. La prudenza non è paura, ma indica buon senso, discrezione. Corin, sarai un ottimo e saggio consigliere per Arthur. Mils, o mio focoso guerriero, in te nessun altra dote risplende più del coraggio. Tieni wird. Mi raccomando si forte, aiuta Arthur a difendere i tuoi compagni e non ti far trascinare troppo della tua impulsività. Gaia, a te la runa che rappresenta la temperanza, il tuo compito è quello di equilibrare i caratteri dei tuoi compagni e mantenere l’armonia. Alderan, il mio sapiente, saprai sempre suggerire ai tuoi compagni come agire secondo ragione. Ecco Madr. Gallen, piccolo mio, a te tocca tyr. La mansuetudine è l’ira buona. Anche tu sarai un’ottima guida morale per la futura comunità’. Così quella notte Kyla distribuì il suo ultimo e più prezioso dono ai suoi pupilli. Quelle virtù, appena citate, insieme alla magnificenza, liberalità saggezza, arte, fortezza e magnanimità avrebbero salvato i Cornonaci per molti altri secoli. Perché Kyla aveva capito che non bastava il volere di un unico capo tribù, ma l’unione di tutte le virtù per vivere armoniosamente. I Dodici quella sera le promisero che avrebbero seguito sempre i suoi insegnamenti e così fecero. Per secoli le rune furono tramandate ai più degni della comunità”». Frank terminò la lettura e alzò gli occhi sugli amici. Ora erano loro i Dodici e il loro compito era riportare l’armonia nel loro mondo. Ma come? Gli altri erano senza parole, anche Rose era silenziosa per una volta. Li osservò uno per uno: Scorpius era pallido e si rigirava tra le mani la sua runa; Albus era pallido e stanco; James aveva un’espressione dura; Dorcas si limitava a tacere, lisciandosi i capelli con nervosismo; Brian teneva le gambe strette al petto e lo fissava in attesa, forse di qualche spiegazione; Virginia aveva le braccia incrociate al petto e rifletteva; Roxi stava disegnando e sentendo il suo sguardo, ricambiò e gli mostrò la pergamena dove dodici figure erano sedute in circolo su un prato, alcune avevano un volto chiaro e definito, il loro, altre non ne avevano.
 
«Chi sono gli altri?» chiese indicando questi ultimi. Nessuno seppe risponderle. «Allora diamoci da fare, no? Dobbia essere in Dodici! Al, non avevi detto qualcosa sul numero dodici?».
 
Suo cugino si riscosse e annuì: «Rappresenta la saggezza».
 
«Allora diamoci da fare» suggerì la ragazzina.
 
«James, sai che significa quello che ha appena letto Frank?» chiese Virginia a sorpresa.
 
«In che senso?» replicò James scrutandola.
 
«Sei tu il capo. Tocca a te guidarci».
 
«Cosa?» sbottò il ragazzo.
 
«Frank, rileggi il passo» invitò Virginia.
 
«Arthur, tieni, sol rappresenta la Giustizia. Quando non ci sarò più sarai tu a guidare i tuoi compagni’. Il giovane prese la placchetta di terracotta che la donna gli porgeva, su di essa era incisa proprio la runa sol. Virginia, ha ragione. Sei tu il capo, Jamie».
 
*
 
«Secondo voi, domani Williams interrogherà?» chiese preoccupato Drew mettendo da parte un lungo tema di Trasfigurazione e prendendo il manuale di Difesa.
 
«Non lo sappiamo, Drew. Ma Brian potrebbe sempre andare a chiederglielo. In fondo è pur sempre il suo padrino» rispose Annika.
 
«Sì, certo. Molto divertente. Potete scordarvelo» borbottò il ragazzino, senza alzare gli occhi della pergamena su cui stava scrivendo. «Piuttosto datemi una mano con Pozioni o diventerò matto».
 
«Ciao».
 
Tutti e quattro riconobbero la voce e fissarono di scatto la ragazzina che si era avvicinata al loro tavolo.
 
«Rosier, è possibile che tu sia così stupida da non capire che la tua presenza non è gradita?» disse irritata Annika.
 
«Dai, Annika smettila» le disse Louis. «Pauline, vuoi sederti con noi?».
 
«Allora io me ne vado» sbottò Annika alzandosi, ignorò i richiami di Drew e Brian e si affrettò verso l’uscita della biblioteca.
 
«Ti ho portato un regalo, Lou. Per ringraziarti del tuo aiuto. Grazie a te i miei voti sono migliorati tantissimo» disse la ragazzina, per nulla turbata dalla reazione di Annika, e gli porse un pacchetto.
 
«Non dovevi, Pauline. Io ti aiuto con piacere!» disse Louis. «Grazie» aggiunse educatamente scartando il pacchetto. Drew e Brian avevano abbandonato i compiti e lo osservavano curiosi. «Oh, una sciarpa» sorrise Louis.
 
«È dei Cannoni di Chudley. Hai detto che ti piacciono».
Brian non fece in tempo a pensare che forse si era sbagliato a giudicare la Serpeverde, che accade l’impensabile. Louis strinse la sciarpa tra le mani e dopo pochi secondi sparì sotto i loro occhi. Drew aveva la bocca aperta e fissava il punto dove fino a pochi secondi prima c’era Louis. Pauline scappò sotto i loro occhi trasecolati, scontrandosi con Annika che era tornata indietro. «Ho dimenticato il borsellino. Dov’è Lou? Che avete?».
 
«È-è sparito» mormorò Drew. «Dobbiamo chiamare aiuto».
 
«Cosa?» chiese Annika, che non riusciva a capire.
 
Brian scattò senza nemmeno risponderle. Suo padre e Maxi gli avevano detto chiaramente che Rosier era uno dei più vicini alla Signora Oscura e non erano sicuri di potersi fidare della figlia. Avevano ragione e lui l’aveva detto a Louis. Non aspettò che il panico lo invadesse e corse verso lo studio di Maxi. Con il cuore che batteva a mille scoprì che non era lì. Allora decise di andare in Sala Professori e, ignorando i Gargoyle, entrò con foga. Pessima idea. La Sala era affollatissima e tutti i presenti si voltarono verso di lui. Aveva interrotto una riunione.
 
«Signor Carter, spero che abbia una buona motivazione per il suo comportamento» tuonò la Preside.
 
Per un attimo il ragazzino si intimorì e non ebbe il coraggio di parlare. Non erano presenti solo gli insegnanti, ma anche altre persone che non conosceva.
 
«Brian, che hai?» gli chiese gentilmente il professor Paciock. Voltandosi verso di lui, colse l’occhiataccia di Maxi. Si avvicinò ai due che erano seduti vicini.
«L-Louis è s-sparito» disse con voce tremante.
 
*
 
«Jonathan, sbrigati! O Sawyer ci beccherà! Che stai facendo? Non è il momento di contemplare la luna! Non sapevo che fossi così romantico!» disse Alex Dolohov.
 
Il ragazzo, però, non la stava ascoltando. I suoi occhi erano fissi sulla luna piena. Si sentì gelare e un brivido gli percorse tutto il corpo. Un dolore fin troppo famigliare lo costrinse a piegarsi in due.
 
«Che hai? Mi fai spaventare!» disse Alex, chinandosi su di lui. Jonathan la respinse con forza, facendola cadere. «Ma sei impazzito? Che ti ho fatto?».
 
Non la sentiva più! Non riusciva più a pensare! Stava perdendo il controllo di sé e non sapeva che fare. Era stato un incosciente!
 
«Oh, Merlino».
 
Alex si voltò verso il professor Williams, sembrava sconvolto. Non l’aveva mai visto in quel modo. L’uomo senza far caso alle sue parole, fece bere di forza una pozione a Jonathan mentre questi si trasformava. Era diventato un lupo, ma grazie alla pozione si accasciò subito a terra. Come se dormisse. La ragazza era terrorrizzata e non si era accorta di star tremando. Furono raggiunti da Peter Lux. Il professore e il guaritore portarono il ragazzo in infermeria, adagiandolo su un letto che poi nascosero con un paravento. Solo allora Williams si volse verso di lei furioso. «Siete impazziti?!» sibilò, ma Alex non se ne curò. Aveva appena scoperto che il suo unico vero amico era un lupo mannaro.
 
*
 
«Jack, per favore vieni un attimo in camera mia?» chiese Samuel Vance dopo averlo buttato giù dal letto. Era da poco passata la mezzanotte.
 
«Che succede?» chiese assonnato.
 
«Non riusciamo a calmare Arthur. Non smette di piangere. Ti prego, dacci una mano».
 
Jack si alzò subito e seguì il ragazzino, anche se non aveva la minima idea di come consolare un dodicenne il cui cugino era appena stato rapito. La stanza dei ragazzi del secondo anno era illuminata sommessamente e tutti stavano intorno ad Arthur nella speranza di calmarlo. Si voltarono verso di lui quando entrò e gli fecero spazio perché potesse avvicinarsi al letto del ragazzino.
 
«Ehi, perché piangi? Se hanno rapito Louis è per uno scopo ben preciso. Non gli faranno del male». Non subito almeno aggiunse mentalmente, ma non ritenne opportuno dirlo ad alta voce.
 
«D-davvero?» chiese fermando per un attimo i singhiozzi. Arthur aveva il viso arrossato e gli occhi rossi di pianto. La sua espressione era disperata. In quel momento capì quanto i Weasley fossero uniti e provò un po’ di invidia. Forse sarebbe stato meglio chiamare Mcmillan, avrebbe senz’altro trovato un modo per tranquillizzare il ragazzino e magari avrebbe potuto dargli una pozione calmante. «Sì, sennò non l’avrebbero fatto. Tu zio Harry ha sguinzagliato i suoi uomini migliori. E sapevano che l’avrebbe fatto».
 
Arthur si mise seduto e tirò sul con il naso. «E ora?».
 
«Ora aspettiamo. Gli Auror faranno il loro dovere» disse, sperando che sarebbe stato così. Se avessero potuto prendere la Selwyn, l’avrebbero fatto già da un bel pezzo.
 
«Mi sento inutile» mormorò il ragazzino.
 
«Inutile? Tu sei il nostro Cercatore! Il migliore che Tassorosso abbia avuto dai tempi di Cedric Diggory!» disse nel tentativo di tirarlo su. Gli altri ragazzini gli diedero manforte. «Insomma c’è chi nasce per fare l’Auror, chi, invece, per essere un Campione di Quidditch. Pensa quanto sarebbe contento Louis se vincessimo la Coppa. Beauxbatons è stata stracciata da Durmstrang. Prendi il boccino contro i Francesi e noi vinciamo».
 
Tempo dopo rimettendosi a letto, era più tranquillo per averlo calmato, ma per quanto? Se i giorni fossero passati senza buone notizie Arthur e la sua famiglia avrebbero sofferto molto.
 
*
 
«Guardate, una piccola e innocente Tassorosso».
 
Dorcas si tirò indietro di istinto di fronte al Serpeverde più grande.
 
«Non la riconosci? È la figlia dell’Auror» ribatté un altro.
 
La ragazzina squadrò i due ragazzi con panico crescente. Non ebbe difficoltà a riconoscerli: Norris Avery e Augustus Roockwood, entrambi del sesto anno.
 
«Oh, sì. Hai anche un viso carino» disse Avery ridendo come un cretino. Dorcas si scostò con forza ed evitò che le sfiorasse la guancia con la mano. «Lasciami in pace!» sbottò, tentando di trovare un modo per uscire da quella brutta situazione.
 
«Non vuoi giocare con noi? Tutte le tue stupide compagne pagherebbero per stare con uno di noi» aggiunse Roockwood trattenendola per un braccio.
 
«Evidentemente hanno bisogno tutte di una visita oculistica allora» disse una voce piena di scherno che tutti e tre riconobbero all’istante. Il cuore di Dorcas prese a battere con più forza, anche se non sapeva se per paura o per sollievo. L’avrebbe aiutata? «Avanti, Roockwood la signorina non apprezza la tua compagnia mi pare ovvio».
 
«Non mi pare che siano affari tuoi, Steeval» ribatté il ragazzo. Finì a malapena la frase che fu spinto lontano da Dorcas.
 
«Allora, non ci siamo capiti. Vi dò tre secondi per sparire».
 
«Se no?» chiese in tono provocatorio Avery. Steeval si era messo tra Dorcas e i due compagni di Casa. La ragazzina lo vide estrarre la bacchetta e puntarla su di loro.
 
«Siete degli sciocchi! Non dovreste attirare l’attenzione su di voi!».
 
«Sta tranquillo, Steeval. Ce ne andiamo» disse conciliante Roockwood.
 
Dorcas non riusciva a credere che Jesse Steeval l’avesse davvero protetta.
 
«Perché non giri con i tuoi amichetti?» le chiese brusco.
 
«Dovevo prendere un libro in Sala Comune» rispose colpita dal suo tono di rimprovero.
 
«Vedi di non girare da sola, nemmeno di giorno».
 
«Grazie» replicò ella, quando Jesse le aveva già voltato le spalle.
 
«Ora siamo pari. Ai Serpeverde non piace avere debiti».
 
Dorcas sospirò osservandolo andar via. Perché il cuore continuava a batterle forte?
 
*
 
La stanza era buia e impiegò parecchio tempo ad abituarsi, senza contare che era ancora stordito. Man mano, però, iniziò a ricordarsi tutto quello che era accaduto prima di perdere conoscenza. Fece per alzarsi ma se ne pentì subito: la caviglia gli faceva male. Riprovò più lentamente e si guardò intorno. Il panico lo sopraffece. Non era stato un incubo. Pauline, la sciarpa-passaporta, gli uomini con la maschera argentata in un giardino fangoso, un cupo e antico castello. Sentì il fiato mancargli. Non era a Hogwarts. Era lontano dalla sua famiglia. In un luogo buio e lui odiava il buio. Da un’alta e stretta finestra penetrava una luce debole e suffusa. Era notte, non c’erano dubbi o meglio era vicina l’alba. Aveva dormito per diverse ore. La stanza assomigliava terribilmente alla cella di una prigione. Una porta metallica era l’unica altra via di uscita. La cella era completamente spoglia se non per un ammasso di coperte in un angolo. Si rese conto di quanto fosse freddo e umido l’ambiente: il suo corpo era tutto intirizzito. Quelle coperte, però, sembravano sporche e non le avrebbe toccate. Ragionare teneva lontano il panico, ma sentiva che stava per cedere. Si costrinse a pensare ai suoi genitori e ai suoi zii. Che cosa avrebbero fatto loro? Zio Harry, zio Ron e zia Hermione erano stati prigionieri in un maniero ed erano riusciti a scappare grazie all’aiuto di un elfo domestico. Ma lui avrebbe potuto chiamarne uno? Quelli di Hogwarts non li conosceva. In casa sua non ce n’erano. L’unico in famiglia ad avere un elfo domestico era lo zio Percy, ma gli era stato insegnato a rispondere al richiamo solo dei due adulti di casa. Figuriamoci se sarebbe mai corso da lui! Un singhiozzo gli scappò, ma ancora una volta tentò di dominarsi. Si osservò: indossava ancora la divisa, ma le tasca erano vuote. Si morse un labbro mentre tentava di ricordare bene gli eventi della sera prima. La bacchetta l’aveva riposta nello zaino, mentre faceva i compiti in biblioteca. D’altronde chi avrebbe mai dovuto attaccarlo a Scuola? Ripensando a quante volte Annika, Drew e Brian l’avevano messo in guardia da Pauline si sentì stupido e cedette sedendosi sul freddo pavimento di pietra, lasciando libero sfogo alle sue lacrime.
 
«Non piangere non serve a niente» disse una voce roca e debole.   
 
Sobbalzò e scattò in piedi allontanandosi il più possibile dall’ammasso di coperte che si era mosso.
 
«Stammi lontano» mormorò terrorizzato tra le lacrime.
 
Il proprietario della voce, però, si tolse le coperte di dosso e si alzò da terra fissandolo. Era un uomo molto anziano, con una barba bianca, lunga e sporca; la peluria più folta sopra il labbro indicava che una volta aveva avuto dei baffi. Il volto era scavato, sporco e sofferente, ma come il corpo indicava che l’uomo era dimagrito molto velocemente e all’improvviso. «Guarda che non voglio farti del male. Chi sei?» chiese l’uomo. «Sembri un bambino! Da quanto buttano qui dentro i bambini?».
 
«M-mi c-chiamo Louis Weasley». Si pentì subito della sua sincerità vedendo un guizzo negli occhi del vecchio. Che stupido, avrebbe dovuto mentire sulla sua identità! O no?
 
«Un Weasley? Non mi sorprende che tu sia qui allora. Di chi sei figlio? Percy Weasley, l’ex vice Primo Ministro?».
 
«N-no. Mio padre è William Weasley» rispose Louis, non capiva perché, ma l’uomo cominciava a non fargli più tanta paura. Si era seduto a terra e lo fissava con sguardo perso. Un occhio era gonfio e il ragazzino comprese che non doveva vederci molto e per farlo sforzava l’altro.
 
«Prendi una coperta. Qui dentro fa sempre freddo» cantilenò il vecchio.
 
«È sporca» protestò, ma si sentì profondamente sciocco e viziato nel dirlo. Il vecchio stesso sorrise amaramente. «Accontentati». Louis prese la coperta e si sedette vicino, ma non troppo, al vecchio.
 
«Tuo padre non lavora al Ministero. Cosa vogliono da te?» chiese l’uomo, ma sembrava che stesse parlando con sé stesso e non si aspettava certo una risposta dal ragazzino.
«Lei chi è signore?» si azzardò a chiedere dopo un po’ Louis. La famosa regola ‘Non parlare con gli estranei’ non valeva là dentro si disse. Inoltre l’uomo sembrava conoscere suo padre. Insomma per quanto avesse fatto parte dell’Ordine della Fenice e combattuto nell’ultima battaglia, non aveva minimamente la stessa notorietà degli zii.
 
«Oh, mi chiamo Horace Lumacorno».
 
Quel nome a Louis suonò famigliare. Doveva l’aveva già sentito? «Perché l’hanno rapita?» chiese allora, tanto per parlare. Il silenzio là dentro era terribile, anche se per fortuna stava albeggiando e iniziava a penetrare più luce. Doveva essere coraggioso, così avrebbe potuto raccontarlo a Domi e Valentin. E se non fosse più uscito di lì? La paura gli strinse lo stomaco e pensò di essere sul punto di avere una crisi di panico, ma le parole di Lumacorno lo bloccarono.
 
«Volevano che io creassi per loro la Pietra Filosofale. Come se io conoscessi gli studi di Nicolas Flamel!» disse per poi scoppiare in una risata folle che fece rabbrividire Louis.
 
Era solo colpa sua se si trovava in quel guaio.
 
 
   
 
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