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Autore: Carla Marrone    22/01/2017    0 recensioni
Angelica era una graziosa e timida ragazzina alto borghese… prima che la vita la trasformasse in un disumano abominio. Aveva un’amica, Serena. Nome che suona piuttosto ironico, considerato che la giovane coetanea le ha inferto il più grande dolore della sua vita. Ora come ora, comunque, la dottoressa Angelica etichetta quell’ accadimento come un semplice incidente di percorso. Un piccolo insuccesso professionale. Considerazioni che capita di esprimere, quando hai rinunciato a parlare con la voce del cuore.
Genere: Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Le era già capitato di notarla, poco dopo il suo trasferimento, nella nuova città. Mentre osservava l’immagine dell’interno del corpo di una rana, sul libro di biologia, lei le era passata accanto. Molte teste si erano voltate nella sua direzione. Alcuni ridevano. Angelica pensò fosse, semplicemente, perché era una ragazzina piuttosto graziosa. Quindi, tornò ad immergersi nel suo libro preferito, tra quelli che doveva studiare, in quel liceo. Da grande, sognava di fare la dottoressa. Tutto quello che riguardava il funzionamento di un corpo, umano, o non, l’affascinava profondamente. Inoltre, c’erano ancora troppi interrogativi da risolvere, circa la comparsa dell’uomo in questo mondo. Era, questo, un altro soggetto che solleticava, immancabilmente, la sua immaginazione. Ci si scervellava sopra, da quando era piccola. Avrebbe voluto essere in grado di trovare le risposte da subito. Ma capiva che era questione di tempo. Per non parlare, poi, dell’interazione tra i corpi ed i macchinari che vi venivano posti all’ interno, per garantire la sopravvivenza alle persone con gravi patologie. Quello sì che era un argomento che avrebbe voluto approfondire! Altro che le storielle d’amore delle ragazzine della sua età. Non ci trovava nulla di attraente. Non capiva come, la stragrande maggioranza delle persone ignorasse l’importanza della scienza, pur avendone, praticamente, un costante bisogno. 

 

Per tanto, una volta finite le scuole Superiori, si sarebbe iscritta a medicina. Il sogno di una vita. 

 

Quando la rivide, capì tutto. Era seduta per terra, con un’espressione adirata sul volto. Da dove si trovava, dentro la veranda che dava sul giardino della scuola, Angelica riusciva a sentirla ruggire. Piangeva. L’ampia e lunga gonna a fiori era sollevata e le sue gambe, mozzate all’altezza del ginocchio, facevano bella mostra del proprio inquietante dolore. Le protesi erano state gettate lontano da lei, dai compagni di classe. 

 

Strisciando, riuscì a portarsi abbastanza vicina da recuperarne una. Angelica si sentì in dovere di andare ad aiutarla, vincendo persino la proverbiale timidezza, con cui tutti l’apostrofavano.

 

Raccolse l’altra gamba e gliela porse. La giovane la strappò via dalle sue mani. 

“Faccio da sola!” Ringhiò una voce infantile. 

“Posso chiederti cosa ti è successo?” Domandò Angelica titubante. Proprio non riusciva a tenere a freno la curiosità. Di conseguenza, anche la lingua. 

“Ho un cancro alle ossa.”

La giovane appassionata di scienza non seppe cosa dire. Era sorpresa e dispiaciuta. Quindi, lì per lì, inventò qualcosa che le sembrò calzare a pennello in quell’occasione. 

“Allora, devi iscriverti a medicina l’anno prossimo. Magari, se diventi una ricercatrice, puoi trovare una cura per la tua malattia. Migliaia di persone te ne sarebbero grate, tra l’altro!” Sorrise benevola. 

“Vaffanculo!” La ragazzina, espressasi con voluta mancanza di grazia, finì di aggiustarsi le protesi, si trasse in piedi, senza, apparentemente, fare fatica, le voltò le spalle e s’ incamminò nella direzione opposta.  

Giunta alla porta della veranda, si voltò. Squadrò Angelica per un minuto buono, poi, le disse:- Tu sei quella nuova, Angelica, vero?- 

Angelica si affrettò ad annuire col capo. 

“Io sono Serena.” Detto ciò, andò via. 

Angelica ci mise un po’ a capire che non si riferiva alla sua condizione mentale, ma che si era semplicemente presentata. 

 

Col tempo, ad ogni modo, ebbe modo di riflettere sul fatto che, la sua nuova amica si sentisse esattamente nel modo in cui si chiamava. “Serena", di nome e di fatto. 

 

Fu un po’ stupita, comunque, quando se la vide prendere posto accanto a lei, al banco della facoltà di medicina. 

Quando si parlavano, durante l’intervallo scolastico, Serena non le raccontava mai di cosa avrebbe voluto fare, una volta grande. Anche quando avevano cominciato ad uscire insieme, dopo la scuola, la minuta ragazza non faceva altro che ascoltare i deliri di Angelica sugli articoli di Focus, che compravano insieme, facendo la colletta. Di quello che piaceva a lei non parlava molto. Non parlava e basta. Fatta eccezione per qualche rara battutina caustica, ai danni dell’amica. Quando esagerava con i voli pindarici, ad esempio. Non aveva mai chiesto di andare in un posto, piuttosto che in un altro. Si adattava, semplicemente, ai desideri dell’altra. Per questo, ad Angelica era sempre sembrato che potesse interessarle tutt’altro; quello di cui non le parlava. E che non la considerasse una vera amica, come, invece, faceva lei. 

 

Nel periodo dell’università, Serena aveva preso ad indossare gli shorts, fregandosene grandemente di mostrare le protesi. Ma, lo faceva apposta. Così come, alle due giovani non interessava di ciò che pensavano le persone, che si voltavano a guardarle, mentre camminavano per i corridoi della facoltà, mano nella mano. Si tenevano la mano, persino quando assistevano, raggianti di felicità, alle vivisezioni. 

 

Ed infatti, una volta laureatesi, entrambe, con il massimo dei voti, erano ancora rimaste amiche. 

 

Fu durante il praticantato, che la vita e la mente di Angelica cambiarono. Serena le chiese di effettuare su di lei una difficile operazione chirurgica. Se fosse riuscita, le avrebbe salvato la vita. Ma se così non fosse stato…

“Ma no, sei pazza! E’ da troppo poco che opero. Non può funzionare, Serri.” Fu l’istantanea risposta apprensiva dell’amica. 

“Allora fatti aiutare dal dottor Pennetta.”

“E solo lui con la sua equipe non ti basta?” Angelica si tormentava le mani.

“Voglio che ci sia anche tu. Per me è importante, capisci?” Quella di Serena non era una semplice richiesta ad un’amica. Era, praticamente, un ordine. 

 

Che non avrebbe dovuto darle. 

 

Quando uscì, trascinata dagli infermieri, dalla sala operatoria, Angelica aveva il volto coperto di lacrime. Si era accanita sul corpo esanime di Serena, col defibrillatore, nel vano tentativo di riportare in lei la scintilla della vita. 

Il dottor Pennetta le si era avvicinato cautamente, per non farla sussultare. Era immersa nel suo dolore, fatto di oscuri pensieri e guardava fuori dalla finestra della sala d’attesa, senza vedere nient’ altro che il corpo senza vita di Serena, rimasto nella stanza accanto. 

 

Quello che Angelica disse a Pennetta colmò l’anziano primario di ammirazione. Ma, anche di sorpresa. 

“Io diventerò un bravo medico, professore. - si pulì il volto, strofinandolo malamente col dorso della mano - accetterò di effettuare la specializzazione in bio-meccanica, che mi ha proposto. Troverò una cura per tutto, anche per la morte.” E qui, fu colta da una nuova ondata di singhiozzi. 

Pennetta sorrise. “Oh, mia cara - si rivolse a lei col tono dolce di un padre che consola la propria figlia - ma la morte non è una malattia. E’ una condizione umana. La più umana di tutte. Solo i mostri non muoiono…” 

Fu in quel momento, che al primario parve di vedere, finalmente, un nuovo sorriso sul volto della giovane Angelica. Ne fu contento. Quello che non sapeva, è che aveva scelto le parole sbagliate, per tirarla su di morale. Quello che non sapeva, era che quello non era un sorriso, bensì, un ghigno. Il bel volto dell’algida giovane tradiva ciò che aveva cominciato a bollire dentro di lei. 

 

Per molto tempo, aveva tenuto nascosto al mondo lo scuro marasma che aveva dentro. Era necessario. Ma, nel suo laboratorio segreto, che aveva costruito da sola nel luogo più isolato dell’Africa nera, poteva essere sé stessa. O, per meglio dire, quella che, nel corso del tempo, era diventata. 

 

Una volta che la porta, sigillata elettronicamente, ebbe riconosciuto l’impronta del suo iride, si spalancò con l’usuale solerzia. I neon presero vita, automaticamente. Per qualche minuto, nel corridoio non si udì altro che la sinistra eco dei passi della dottoressa Angelica. La donna di mezza età sfilò davanti alle giare, nei cui liquidi erano sospese diverse tipologie di chimere. Due occhi, connessi tramite dei nervi, ad una sorta di cervello, si spalancarono al suo passaggio. Se l’essere contenuto in quell’ampolla avesse avuto un volto, l’espressione su di esso sarebbe stata atterrita. 

 

La scienziata fece il suo ingresso in una stanza molto simile ad una sala operatoria. Ad attenderla, al suo interno, vi era una bambina, mani e piedi legati. Somigliava molto a Serena. Quando si volse a squadrarla, con sguardo truce, la placca di metallo sulla sua tempia destra fu visibile. La luce artificiale vi si riflesse, mandando un improvviso bagliore. Il dispositivo elettrico era connesso direttamente al suo cervello ed alimentava il braccio meccanico, dallo stesso lato.

 

La dottoressa Angelica prese una siringa e la riempì con dell’anestetico. Poi, si avvicinò alla bambina. Le parlò in un sussurro, con voce apparentemente dolce. 

 

“Allora, Serri, sei pronta ad andare a nanna?” 

 

Se la vera Serena fosse stata lì, non avrebbe approvato ciò che vedeva. Ma questo Angelica aveva scelto di ignorarlo molto, molto tempo prima. 

   
 
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