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Autore: fearlesslouis    22/01/2017    3 recensioni
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Sherlock fissa lo sguardo sull'immagine che si trova davanti: la mano di Rosie sulla sua gamba sinistra e quella di John sulla destra. Crede che sia una di quelle cose a cui pensare prima di andare a dormire, di quelle che funzionano come un acchiappasogni. E' sicuro che se pensasse alle mani rugose di John e a quelle lisce di Rosie intente ad accarezzarlo non avrebbe mai più incubi.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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You're in my veins



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Oh, you're in my veins
And I cannot get you out
Oh, you're all I taste
At night inside of my mouth.



Sono poche le cose capaci di turbare il temperamento impeccabile di Sherlock Holmes. La stupidità di alcune persone lo rende inquieto, forse, ma è una sensazione che rasenta lo stupore, piuttosto che il nervosismo. Si agita quando il tea è troppo freddo, il computer non funziona o Mycroft gli punta contro l'ombrello con aria minacciosa –nei primi due casi, però, Sherlock ammette che la sua agitazione sia talvolta voluta ed accentuata da lui stesso, perché lo diverte il modo in cui Mrs. Hudson si infervora quando lo sente urlare.

Ciò che riesce a spossarlo, comunque, l'unica cosa in grado di smuovere quella maschera vacillante di impertubabilità, è la sensazione di calore che lo avvolge al mattino, quando John fa il suo ingresso in salotto con gli occhi assonnati e Rosie saldamente stretta tra le sue braccia. Di solito borbotta un 'Buongiorno', poggia la bimba sulla sua poltrona e si dirige in cucina per la sua dose mattutina di caffeina –diventa estremamente irritabile se non ingerisce almeno una tazza di caffè. Dopo più di un anno, Sherlock non si è ancora abituato a Rosie che gli si avvicina con passi piccoli ed incerti, gli tira i pantaloni del pigiama e borbotta qualcosa di simile a “'nbrascio”. Ha il sorriso del papà, l'azzurro degli occhi che si illumina di meraviglia e il nasino tondo che si arriccia leggermente quando John le fa il solletico. Sherlock a quel punto la prende in braccio, la adagia sulle sue gambe e la lascia infilare le mani tra i suoi ricci scompigliati. Il dolore alla cute è compensato dal solito calore che si deposita al centro del petto e che sì, ha ancora il potere di turbarlo leggermente, ma è comunque la sensazione più bella che gli sia mai capitato di provare. La stessa sensazione che gli scalda il cuore la sera, quando sente la voce di John cantare a Rosie la solita ninnananna e si accosta alla porta per osservarli. Sa che John lo sente, il più delle volte. Lo vede girare leggermente la testa e osservarlo con la coda dell'occhio, mentre continua a cullare la figlia tra le sue braccia. Di solito si dilegua qualche minuto più tardi, con un piccolo sorriso a piegargli le labbra e il cuore più leggero.

Se Sherlock dovesse scegliere il ricordo più bello che ha di Rosie, sceglierebbe senz'altro quella manina minuscola e morbida che stringe la sua per la prima volta; il suo volto paffuto illuminato da un sorriso enorme e privo di denti, le gambe che scalciavano e gli occhi curiosi che vagavano per la stanza.

Con lei intorno ogni cosa è estremamente diversa, e Sherlock non pensa che riuscirebbe più a vivere senza i giochi sparsi per tutto l'appartamento, le sue urla che rompono il silenzio durante la notte e John che impreca quando le cambia il pannolino. Ora in mezzo alle loro poltrone c'è il seggiolone rosa perennemente sporco di minestrina, ed è bello avere qualcuno di cui prendersi cura –diverso e spaventoso, ma terribilmente bello.

Sherlock non sa cosa lo abbia portato al punto in cui solo John e Rosie sono in grado di dare un senso alle sue giornate. Forse è stata quella volta in cui sono andati al parco tutti insieme e Rosie si è aggrappata saldamente al suo collo e ha poggiato la guancia morbida sulla sua spalla. O forse è stato quando l'ha imboccata per la prima volta senza avere la minima idea di cosa fare, e John ha avvolto la sua mano, gli ha sorriso con il naso arricciato e ha mimato un piccolo 'E' tutto okay' con la bocca. Perché John è stato l'unico che l'ha visto da subito come una persona normale, ed è grazie al calore della sua presenza se lui stesso è riuscito a riscoprirsi un semplice essere umano, fatto di carne e difetti e sentimenti.

Sherlock scuote leggermente il campanello che Rosie sta cercando di afferrare e allunga il braccio verso l'alto per impedirle di afferrarlo. Lei sembra quasi sul punto di piangere, ma l'uomo capisce dalla sua espressione furba che in realtà sta solo cercando di riottenere il suo giocattolo.

-E' inutile che mi guardi in quel modo, Rosie-, borbotta Sherlock -Non avrai indietro il tuo aggeggio finché non dirai il mio nome.-

La bimba strascica qualche lamento, aggrotta le sopracciglia e corruccia le labbra in un broncio adorabile.

-Niente da fare, piccolina-, ridacchia lui -Non me la bevo così facilmente.-

John fa il suo ingresso in salotto con uno sbadiglio rumoroso e due tazze di tea tra le mani. Si siede sul pavimento vicino a loro, gliene porge una e -Hey-, sussurra.

-Buongiorno anche a te, dormiglione-, scherza Sherlock.

John alza gli occhi al cielo e prende un sorso di tea -Stai ancora cercando di farle pronunciare il tuo nome?-

-Mi accontenterei anche di un misero Sher, a questo punto.-

L'altro ghigna rumorosamente -Se Sherlock è un nome da donna, Sher lo è ancora di più.-

Il riccio si trattiene dal mandarlo a quel paese e sbuffa un 'idiota' sommesso, ma non riesce a nascondere il leggero sorriso che gli sporca le labbra.

-Hai avuto incubi stanotte?-, chiede cautamente.

John sospira e spinge la spalla contro la sua in cerca di contatto -Non fare finta di non saperlo.-

-Beh, mi hanno detto che chiedere è più educato che dedurre-, sussurra lui in risposta.

-E chi te l'avrebbe detto?-

Sherlock abbassa lo sguardo e sogghigna, il lato destro della bocca che si piega a formare una fossetta sulla guancia -Un idiota, ovviamente.-

-Ovviamente-, ripete scherzosamente John, portandosi la tazza alle labbra e soffiando per raffreddare un po' il tea.

Sherlock distoglie lo sguardo e lo porta di nuovo su Rosie, che intanto sembra essersi scordata del povero vecchio campanellino in favore della sua pistola finta –John ha quasi ucciso Mycroft quando gliel'ha regalata, ma poi sua figlia ha dimostrato di apprezzare il nuovo giocattolo e quindi ha deciso di risparmiargli la vita, almeno per quella volta.

-Mi arrendo-, sospira il riccio -Ho provato di tutto, non c'è verso che dica il mio nome.-

-Melodrammatico-, lo prende in giro l'altro, prima di prendere l'ultimo sorso di tea e poggiare la tazza sul pavimento.

-E' facile parlare per te. Papà è la parola più stupida che esista e pronunciarla è stupidamente facile-, sbotta lui -Invece Sherlock è-

-Da donna-, lo interrompe John, e sul volto ha un sorriso così luminoso che Sherlock quasi si scorda che dovrebbe essere arrabbiato.

Sbuffa, quindi, e decide di rimanere in silenzio. Poggia la testa sulla poltrona alle sue spalle, chiude gli occhi e incrocia le gambe sul pavimento, la tazza di tea ormai dimenticata sul tavolo lì vicino. Non è per niente giusto che John gli sorrida in quel modo.

-Papà-, sente borbottare.

Delle mani piccole e soffici vanno a poggiarsi sulle sue ginocchia, ma non presta loro troppa attenzione.

-Tua figlia ti chiama, Watson-, strascica fintamente infastidito.

-Non-, comincia John, per poi bloccarsi e schiarirsi la voce -Io non penso che stia chiamando me, Sherlock.-

Il riccio inarca le sopracciglia in un'espressione smarrita, ma poi si decide ad aprire gli occhi e sollevare la testa. Rosie è proprio lì, una mano che regge la famosa pistola e l'altra poggiata sulla sua coscia.

-Papà-, ripete con gioia.

-Io non-, borbotta, senza riuscire a trovare le parole giuste -Io non son-

-Sherlock-, lo interrompe John, la voce decisa e lo sguardo fermo.

La sua mano va a posarsi sulla coscia libera e -Va tutto bene-, continua, muovendo il pollice in carezze circolari.

Sherlock fissa lo sguardo sull'immagine che si trova davanti: la mano di Rosie sulla sua gamba sinistra e quella di John sulla destra. Crede che sia una di quelle cose a cui pensare prima di andare a dormire, di quelle che funzionano come un acchiappasogni. E' sicuro che se pensasse alle mani rugose di John e a quelle lisce di Rosie intente ad accarezzarlo non avrebbe mai più incubi.

Sherlock non sa come si faccia ad essere un papà, ma ha imparato con il tempo che non c'è un manuale di istruzioni per i sentimenti. Un semplice uomo diventa un papà quando impara a mettersi in dubbio per poi ritrovare la certezza negli occhi del figlio. Si diventa papà quando non si sa da dove cominciare eppure si trova comunque un punto di inizio.

Sherlock si sente un papà quando Rosie allunga le braccia verso di lui, e quasi piange mentre la stringe a sé con delicatezza. John fa uscire un sospiro tremante, abbassa gli occhi e sorride.

-Papà-, ripete la piccola, per poi infilare le mani tra i suoi ricci con la solita espressione furba.

-Direi che questo è decisamente meglio di un semplice 'Sherlock'-, sussurra, prendendo a lasciare dolci carezze sulla piccola schiena della bimba.

John lascia cadere la testa all'indietro e ride, ride fino ad arrivare alle lacrime. Sherlock si limita ad ascoltare, perché anche quel suono potrebbe essere un rimedio contro gli incubi. L'altro gli scivola più vicino, poi poggia una mano sulla sua spalla e l'altra sulla schiena di Rosie, ad incrociarsi con le sue dita.

Sherlock non sa come cominciare a fare il padre, ma questo sembra essere un buon inizio.

 

   
 
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