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Autore: shadowofthemoon    22/01/2017    3 recensioni
La storia è il seguito della mia precedente "Per Sherlock Holmes Lei è sempre La Donna".
"Quando Sherlock, in quel piovoso pomeriggio londinese, aveva chiuso il famoso cellulare di Irene Adler in un cassetto, credeva fermamente che non l’avrebbe mai più rivista..."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Irene Adler, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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E' moltissimo che non aggiorno , quindi probabilmente nessuno leggerà questo capitolo, ma volevo tanto finire questa storia per due personaggi che amo tantissimo.

 II
 
La mattina seguente quando Sherlock si alzò verso le undici, trovò John al tavolo intendo a scrivere al computer. Prese una tazza di caffè e uno dei muffins che Mrs. Hudson aveva lasciato sul tavolo della cucina e si avvicinò al dottore.
Sbirciò restando in piedi alle sue spalle, per vedere cosa stesse scrivendo.
“Oh buongiorno Sherlock! Hai dormito un po’? “ disse John quando si accorse della sua presenza.
“ Cosa scrivi? Ultimamente non abbiamo avuto un solo caso decente. Non hai nulla di cui scrivere sul blog.”
“ Stavo solo controllando i commenti e rispondendo a qualche mail. Come è andata ieri sera?” Disse continuando a battere sui tasti del portatile lentamente.
“ Come è andato cosa? Sono stato casa tutta la sera.”
“ Dovresti tenerti occupato, altrimenti cadrai nell’apatia e nella noia come al solito. Perché non fai un salto da Molly? Non sarebbe male qualche esperimento, no?”
John era chiaramente preoccupato per lui. Temeva profondamente i suoi periodi di apatia. Questo lo sapeva. E non solo perché finiva con lo sparare al muro per distrarsi.
“ Forse ci farò un salto. O forse no. Tu esci anche stasera?”
“ Stasera sono di turno in clinica. Perché?” disse John con una punta di curiosità, distogliendo lo sguardo dallo schermo.
“ No, niente. Mi avevano invitato a teatro, ma non so se ho voglia di andare.” Sherlock fece il giro del tavolo, afferrò il giornale e si sedette.
“ Teatro? Chi ti hai invitato?” la curiosità di John cresceva.
“ Un cliente per ringraziarmi dell’aiuto, un vecchio caso.”
“ Un cliente? Chi? Che caso?” disse incalzando con le domande.
“Una cosa vecchia. Morta e sepolta.” Rispose , cercando di evitare di tradirsi con la voce, e aprendo il giornale davanti a sé. “ Di certo sarà uno spettacolo noioso e di scarsa qualità…”
“ Temi che vada come l’ultima volta?” lo apostrofò John ridendo.
“ Con l’assassinio di uno del cast, come per Mr. Paget? Magari!! Allora si che sarebbe uno spettacolo degno di interesse. Anche se forse stavolta si rischiano più morti tra il pubblico.” Considerando l’attrazione di punta della serata, in effetti, tutto era possibile, pensò.
“ Uh, è così brutto lo show? Beh, non ti farebbe male uscire. Se non dovessi lavorare verrei con te.” Continuò John.
Sherlock non rispose, continuando a leggere il giornale. Certo ci mancava solo che John vedesse la donna che riteneva morta da mesi canticchiare su di un palco, probabilmente poco vestita.
Da una parte sperava di trovare un articolo tra la cronaca nera che suggerisse un caso in grado di distrarlo dalla Donna. Una scusa che gli permettesse di evitare di andare a teatro quella sera. Ma purtroppo non la trovò.
 
Erano passate poche ore quando si risvegliò dal torpore dei suoi pensieri. Era steso sul divano e fissava il soffitto. Non aveva ancora deciso cosa fare. Ma quale era il problema? Non poteva semplicemente ignorare l’invito e mettersi a fare qualcos’altro?
No.
Non riusciva a decidersi a non andare. Lei sarebbe potuta sparire di nuovo.
Voleva vederla di nuovo quindi?
Continuava ad interrogare se stesso. Non aveva nessuno motivo di desiderare di incontrarla di nuovo.
Eppure. Eppure non riusciva a decidersi. In fondo, in un remoto angolo del suo cervello sapeva che sarebbe andato. Che non avrebbe saputo resistere alla tentazione di confrontarsi di nuovo con quella Donna.
Forse era il caso di uscire, distrarsi. Andare al St. Bart per qualche esperimento sui cadaveri forse poteva aiutarlo a schiarirsi la mente. Ma l’idea dello sguardo inquisitore di Molly su di lui e delle sue continue domande lo fece desistere. Quella ragazza a volte riusciva a cogliere al volo alcuni pensieri nella sua testa. Presentarsi da lei oggi avrebbe sicuramente l’avrebbe sicuramente portata a tempestarlo di domande.
Si mise seduto al portatile, tirò fuori dalla tasca il biglietto per lo show e iniziò a fare qualche ricerca. 
Quella Donna era stata così sciocca da mettersi in pericolo di nuovo?
Solo il pensiero di come avesse mandato all’aria tutto il suo piano così  ben congeniato lo infastidiva. Sherlock Holmes non si disturba per chiunque. Avrebbe dovuto esserne grata. Per un attimo gli passò per la mente che avesse potuto farlo per poter tornare più vicina a lui. In questo caso sarebbe stata davvero folle. La storia del telefono non le aveva insegnato nulla? Mai farsi dominare dal cuore.
In rete in realtà c’erano pochissime informazioni sullo spettacolo. Poche righe in qualche sito, in cui si descriveva l’interprete principale come una soubrette americana, il nome era quello che le aveva dato lui. Alice Iron. Non trovò foto, né descrizioni che potessero far intuire che si trattasse di Irene Adler.
Senza accorgersene iniziò a prepararsi. Indosso senza pensare la camicia viola, cercando di ignorare il fatto che fosse la preferita di Lei. Prese la giacca e uscì.
Quando il taxi si fermò davanti al teatro si meravigliò. Per essere un teatro minuscolo in una zona periferica di Londra, c’era già un po’ di pubblico all’ingresso.
Forse si era sparsa la voce nel quartiere. Il manifesto dello spettacolo ricordava quei manifesti Art Nouveau. C’era la figura di una donna avvolta da un abito bianco, col viso coperto da un ventaglio di piume bianche. Il volto della Donna non compariva da nessuna parte. Meglio così . Pensò, non è stata poi tanto sventata. Da una donna simile non ci si poteva aspettare altro. Il teatro era piccolo ma elegante e curato. Tende di velluto rosso chiudevano la scena. Velluto rosso e oro decorava anche le poltrone. 
Il suo posto era uno dei migliori. Era vicino al palco, e godeva di un’ottima visuale, perfettamente centrale.
Dopo una decina di minuti di attesa, le luci si spensero.
Nei primi minuti lo spettacolo non era altro che uno di quei soliti varietà, ispirati agli spettacoli d’altri tempi, con ballerine con vestiti vistosi, piume e balletti che gli sembravano abbastanza noiosi. Si era già alzato ed era in procinto di andarsene, quando vide La Donna uscire dall’oscurità , avvolta in  un vortice di luci.
Indossava un abito nero impalpabile, i capelli raccolti. Il viso si distingueva appena dietro ad un velo di pizzo nero che le faceva praticamente da maschera. Si sentì immediatamente ridicolo per il fatto di essere rimasto a bocca aperta, ma non appena iniziò a cantare il suo stupore si moltiplicò. Non immaginava che fosse dotata anche di questo talento. Era sempre stato affascinato dalla musica, ovviamente, per questo aveva iniziato a suonare il violino. Amava la musica classica e anche l’opera. Non tanto per le sensazioni che potevano trasmettere quando per il loro perfetto equilibrio, la loro complessità. E Lei aveva una voce perfetta. Una voce contralto, che emergeva forte ed espressiva da quel corpo minuto. Avrebbe potuto tranquillamente dedicare la vita all’Opera, o al Cabaret ma evidentemente non era abbastanza emozionante per una Donna come Lei.
Il brano d’apertura era un pezzo tratto da un vecchio film, come quelli che Mycroft amava guardare nella sua sala di proiezione privata. Gilda. Persino lui, ricordava la scena in cui cantava “Put The Blame On Mame” fasciata in un abito nero, come Irene stasera. Sembrava essere nata per il palco. Perfetta.
Ovvio. Con quella presenza, quella sicurezza innata, quell’eleganza che si sforzava di non notare ogni volta che il suo sguardo si posava su di Lei.  
Si destò dal torpore in cui era sprofondato non appena Lei uscì di scena e le luci si spensero. Continuava a pensare che l’idea di essere la protagonista di uno spettacolo a Londra, pochi mesi dopo la sua presunta morte fosse folle. Ma lo spettacolo era decisamente di livello, e La Donna reggeva la scena indiscussa, passando da una scena all’altra, da un costume all’altro, da un brano musicale all’altro senza mai perdere di fascino o di grazia. I numeri musicali si susseguivano con ritmo veloce, alcuni con altre attrici e ballerine, tutti tratti da vecchi film o famosi musical.
Ma ogni volta che Lei lasciava il palco, Sherlock non poteva fare a meno di sentire immediatamente il vuoto che lasciava. Nessun altro riempiva la scena come Lei.
Ad un tratto arrivo a chiedersi se fosse così anche per gli altri spettatori, o se la parte del suo essere che cercava sempre di tenere sotto controllo gli stesse facendo qualche brutto scherzo.
“E’ solo uno stupido spettacolo,” -ripeté a se stesso- “Ricomponiti, dannazione”.
E ci era quasi riuscito quando Lei riemerse sul palco per l’ultimo numero, immersa nella luce, vestita con un lungo abito bianco, stretto sui fianchi e largo e vaporoso in fondo. Sembrava camminare su una nuvola. Il volto era coperto da una maschera di pizzo bianco, come era rimasto per tutta la durata dello show, ma la bellezza dei suoi occhi glaciali e limpidi era visibile anche a quella distanza.
Sherlock cercò nuovamente di ricomporsi , si sentiva così dannatamente stupido. Bastava un attimo per fargli perdere la concentrazione. E’ vero, quella Donna continuava a svelare lati di sé che lo lasciavano di sasso. Ma doveva comunque proteggersi da tutto ciò, non lasciar mai trapelare nemmeno un briciolo di quella ammirazione che provava nel profondo. Doveva riprendere il controllo di sé.
Intanto Lei cantava, “I am a Vamp”con fare ironico e ammiccante.
La canzone perfetta per lei- sorrise Sherlock tra sé e sé .
E in un attimo si ritrovò con gli occhi azzurri di Lei che lo guardavano. Intensamente. Come sempre.
La vide scendere tra il pubblico, e mentre lentamente si sfilava uno dei guanti bianchi , improvvisamente se la trovò di fronte.
Un sorriso compiaciuto e sfuggente, una carezza sul viso mentre lasciava cadere il guanto sulle sue gambe. Per una frazione di secondo l’emozione di avere il viso di Lei così vicino, quella carezza gli fece mancare il fiato.
Ma rimase immobile, come se nullo fosse accaduto. Era ancora immobile quando calò il sipario, tra gli applausi del pubblico. Immobile nel buio finché non si riaccesero le luci. Il pubblico aveva già cominciato lentamente a lasciare il teatro. Era tornato padrone di se stesso quando gli si accostò un dipendente del teatro , porgendogli un bigliettino.
Rimasto solo aprì la piccola bustina bianca e lesse il contenuto del biglietto.
Vi aspetto in camerino. IA”
Il gioco evidentemente non si era ancora concluso. Avrebbe dovuto saperlo.
 Infilò guanto e bigliettino nella tasca del cappotto e si alzò dalla poltrona.
Ad aspettarlo poco distante c’era uno degli addetti del teatro che gli fece cenno di seguirlo.
Davanti alla porta del camerino su cui era semplicemente scritto “Alice”, si fermò per un attimo, cercando di restare focalizzato su se stesso. Di creare un muro tra lui e La Donna, quel muro che finora lo aveva protetto, anche se solo in parte, dai suoi ripetuti attacchi. “E’ solo un gioco.”
Bussò leggero sulla porta e Lei aprì dopo pochi secondi. Era avvolta in una vestaglia di seta azzurra che faceva risaltare in modo incredibile i suoi occhi. Indietreggiò lentamente per lasciarlo entrare nella stanza e richiuse la porta dietro di lui.
Il camerino era piccolo ma ben arredato, pieno di vestiti appesi in ogni angolo, una toletta con specchio e un separé.
In ogni angolo vi erano fiori, e in mezzo ai mazzi nei vasi ve ne era uno enorme. Rose rosse. E un bigliettino bianco emergeva in mezzo ai petali vermigli.
“Grazie per essere venuto a vedermi, Mr Holmes.” Sorrise, e il sorriso gli sembrò sincero, e anche dolce.
Gli riportò alla mente alcuni di quei momenti trascorsi insieme in giro per il mondo, dopo che l’aveva salvata da morte certa. Ma dolce non è un aggettivo che si addice a Irene Adler. Questo cercava di ricordarselo sempre.  
 “ E grazie per la camicia, mi fa piacere che vi siate ricordato le mie preferenze.” Aggiunse.
“ Ora volete dirmi il vero motivo per cui siete qui, Ms Adler? E perché io sono qui?”
“ Volete dire che non l’avete ancora capito? Il motivo per cui siete venuto, intendo” rispose , sorridendo ancora. Stavolta il sorriso era malizioso e un po’ beffardo.
“ Non credo che siate qui solo per dare sfoggio delle vostre notevoli qualità artistiche.” Disse, ignorando totalmente l’insinuazione di Lei.
“Trovate che sia notevole? Vi ringrazio. Temevo trovaste il repertorio troppo frivolo per i vostri gusti.” Continuava ad evitare l’argomento in modo irritante.
“ Ms. Adler, che ne dice di lasciar perdere i convenevoli? Voi non dovreste essere qui, volete farmi credere che è solo la vostra vanità a muovere le vostre azioni? In questo caso temo di avervi sopravalutato”
Ed ecco finalmente quel bagliore accendersi nei suoi occhi, quello sguardo di sfida che così spesso Sherlock aveva visto brillare sul volto di Lei.
“Di questo parleremo in un altro momento.” Rispose calma.
“Non ci saranno altri momenti.” Affermò calmo Sherlock. Si appoggiò al bordo del tavolo da toletta , fronteggiandola. Non avrebbe mai commesso l’errore di incontrarla di nuovo da solo.
“Non ora non qui.” Disse Lei  avvicinandosi a lui. “ Domani sera…” Sicura, come sempre, avvicinò lentamente la mano sinistra  al suo volto, per accarezzarlo. Ma Sherlock , pronto, le afferrò il polso, delicatamente ma con fermezza.
Stava cercando di controllarsi.
Anche senza volerlo il suo cervello aveva continuato ad osservare ed elaborare, e quello che aveva capito non gli piaceva affatto. Ma il perché non gli piacesse non poteva accettarlo. Non poteva accettare di sentirsi tradito e ferito ancora da Lei. Non era una persona di cui ci si poteva fidare, e non aveva motivo di sentirsi in quel modo.
“ Pensi che non lo abbia già capito? Pensi che basti nascondere la fede per nascondermi che ti sei sposata?” La guardava ora con occhi di ghiaccio.
“Sherlock…”Irene sgranò gli occhi, ma poi un accenno di sorriso comparve a fior di labbra.” Avrei voluto parlartene con più calma…non intendevo nascondere nulla. ”
“ Non vedo perché dovresti. E’ per questo che sei venuta? Per annunciarmi che sei sposata, con questo tale? Come si chiama? Norton? Non dovevi scomodarti” No, non era rabbia quella che sentiva. E perché avrebbe dovuto? Continuava  a stringere il suo polso tra la mano, cercando di non tradire nessuna emozione, neppure involontariamente.
“Come sai il suo nome? Oh già. I fiori, i biglietti. Comunque, no. Non sono qui per questo. Devo parlarti. In privato, seriamente.” Continuò Lei, senza neppure cercare di divincolarsi dalla sua stretta.
Lasciando andare la sua mano Sherlock si avviò verso la porta, cercando di non farla sembrare una fuga. “ Non credo che abbiamo nulla da dirci, Ms. Adler”. Il muro era di nuovo in piedi , e lui al sicuro dietro di esso. O almeno così sperava.
Irene si mosse veloce verso di lui, appoggiando una mano sul suo braccio.
“ Domani. Alle 22. Ti prego.”
 Era già in strada diretto verso casa quando ripensò all’ultimo sguardo che Lei gli aveva lanciato prima che lui le voltasse le spalle. Uno sguardo di paura, uno sguardo sinceramente preoccupato. Ma per cosa? Per chi?
E quel Ti prego?
L’unica volta che l’aveva sentita supplicare era quando c’era in gioco la propria vita.
Era questo? Era nuovamente in pericolo? Nonostante tutti i suoi sforzi per darle una nuova vita si era di nuovo messa nei guai? Era questo Norton? Doveva per forza sposarlo? Ovviamente non era il matrimonio ad infastidirlo. Ma il fatto che Lei vanificasse tutto il suo lavoro, tutti gli sforzi fatti per aiutarla. Era davvero così? O questo sentimento così simile alla rabbia, ma misto ad una sensazione diversa, più triste, era dovuto ad altro? E cos’era?
Stava ancora pensando a tutto questo quando si rifugiò in camera sua.
Domani.
Si, ma dove?
Ovviamente non intendeva andare, non voleva vederla ancora. Continuava a ripetere che non voleva, che non doveva assolutamente darle altro potere su di lui.
Sfilando dal cappotto il guanto e il bigliettino per gettarli via, o meglio per riporli nel suo cassetto chiuso a chiave, vicino a tutto quello che gli ricordava Lei, trovò appallottolato un pezzettino di carta con un indirizzo e un numero.
Stringendo il bigliettino tra le mani si gettò sul letto. Ora non aveva nemmeno una scusa per mettere a tacere il proprio cervello. Dormire, anche stanotte, sarebbe stato impossibile.
 
 
  
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