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Autore: ElfaNike    23/01/2017    2 recensioni
Cosa succede quando degli adolescenti, rifiutati dal loro mondo e dalla loro famiglia, si ritrovano a fuggire in groppa a un drago, per salvare un prezioso potere? Quando l'incontro di mondi diversi porta a crescere e a capire...
"E’ il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante."
Il Piccolo Principe
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premesse dell'autrice:
Essendo io una persona particolarmente pignola, per preparare questa fanfiction mi sono infomata molto (!) e bene (?) sull'ambientazione. Posto che nessuna delle quattro opere d'origine coincide né come epoca storica né come ambientazione geografica, ho dovuto anticipare un po' le vicende di Jack e ritardare quelle di Merida... eccetra eccetra. 
Ci sono alcuni dettagli delle storie originali che non mi hanno convinto molto (con questo non voglio giudicare il lavoro degli artisti che vi si sono dedicati, ben lungi da me!) e quindi ho deciso di mescolarle un po' e aggiungere nel minestrone che ne è uscito alcuni punti scartandone altri (intenzionalmente).
Queste le notizie da dietro le quinte, per ora.
Buona lettura!

Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Disney, Pixar e Dreamworks; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro

 

Buio. È la prima cosa che ricordo. Era buio, e faceva freddo. Avevo paura.
...Ma poi, poi ho visto la luna. Era così grande, così luminosa. Sembrava cacciasse via il buio. E a quel punto, non ho avuto più paura.”
Jack Frost.

 

Il mondo è non è poi così grande, quando sei immortale. Questo Jack lo aveva capito subito.
Non aveva idea di come né perché fosse nato, ma questo non lo fermava di certo. All'inizio sì, ci aveva pensato, si era posto qualche domanda, ma visto che la Luna non si era mai data troppa pena per rispondergli, lui aveva smesso. Soprattutto quando aveva scoperto di essere invisibile al mondo, poiché questo voleva dire che nessuno si aspettava nulla da lui e lui non era tenuto a rispondere delle sue azioni davanti a nessuno, e questo voleva dire libertà assoluta. Aveva iniziato a viaggiare in lungo e in largo, e a utilizzare i suoi poteri per vedere se qualcuno lo notasse. Naturalmente, nessuno.
All'inizio era stata la disperazione più totale. La solitudine può essere una compagna mostruosa, e Jack l'aveva scoperto con grande dolore. Era stato sull'orlo del barato per anni, ignorato da tutti i passanti che attraversavano, lo attraversavano!, e si sentiva solo tanto quanto lo sarebbe stato in mezzo ad un bosco deserto. Ovviamente i primi anni si era isolato nei luoghi più remoti, incapace di accettare che gli altri non lo vedessero né che non lo sentissero quando parlava loro. Ma l'isolamento forzato in questo modo lo aveva portato a sentire un perenne ronzio nella testa e a vedere persone che in realtà non esistevano passargli continuamente accanto. No, i boschi senza anima viva non giovavano alla sua testa.
A ripensarci dopo anni, a mente fredda, si ritrovava a stupirsi di come soffrisse la solitudine quando in realtà non aveva la minima idea di cosa volesse dire stare in compagnia. Non ricordava di aver mai avuto dei contatti umani con nessuno.
Si era quindi trasferito nei villaggi e nelle città. Aveva provato a farsi notare da qualcuno, aveva provato a utilizzare i suoi poteri per attirare l'attenzione, ma ovunque andasse, nel momento in cui ci si accorgeva che la neve sembrava cadere secondo una certa logica, che le tempeste erano isolate e le stalattiti prendevano forme non particolarmente naturali, la gente si segnava e chiamava di corsa un esorcista, cosa che gli impedì sempre di fermarsi stabilmente in un posto.
Gli unici che sembravano non aver paura di lui erano i bambini, ma avvicinarli era molto difficile. Adorava vedere come si divertivano a guardare la neve prendere forme strane, a giocare con essa anche quando questa appariva tardivamente e in momenti totalmente illogici. Non che comprendessero che dietro c'era qualcuno. Non l'avevano mai pensato, non era mai venuto loro in mente. Tuttavia, quando i genitori notavano qualcosa prendevano per mano i loro figli e si allontanavano velocemente.
Grande Luna, se non era impazzito in quei momenti.
Fu per questo che aveva preso a fare scherzi a tutti. Inizialmente erano dispetti verso gli adulti per ripicca, quando gli portavano via i suoi compagni di giochi. Poi, notando come, se teneva un comportamento irregolare e imprevedibile, nessuno sospettava della sua presenza, ci prese gusto e cominciò a divertirsi senza remore. Nessuno gli diceva mai niente e i bambini si divertivano ancora di più a vedere gli adulti col sedere per terra.
Talvolta, quando eccedeva con gli scherzi, quando si lasciava prendere dal divertimento ed esagerava, gli capitava di essere redarguito da altri spiriti (fu così che scoprì della sua natura soprannaturale). Ovviamente non è difficile immaginare quanto la prima volta fu contento di poter parlare con qualcuno. Il primo spirito con cui aveva attaccato bottone, però, lo aveva respinto con poca grazia, forse per via dell'insistenza dovuta al suo entusiasmo: un contatto, finalmente! E fu così che scoprì anche che quelli come lui avevano, in genere, un pessimo carattere e non amavano troppo la compagnia, per cui perse quasi subito interesse per loro preferendo di gran lunga gli uomini.
La cosa più dura era vederli crescere. Arrivati ai dodici o tredici anni di età i suoi bambini cominciavano a cambiare e non si divertivano più come prima, con lui, a guardare da fuori il mondo dei grandi. Erano loro a diventare grandi. Era l'aspetto dell'essere immortali a cui non si era mai abituato, specie dopo i primi cinquant'anni, quando i bambini che aveva visto crescere cominciarono a morire di vecchiaia.
La prima volta che successe fu uno shock tale che in poco tempo non ebbe più il coraggio di seguire i suoi piccoli amici fino in fondo. In poco tempo prese l'abitudine, quando i bambini perdevano la loro innocenza, di dimenticarsi di loro come bambini e di considerarli come altre persone, come adulti, dedicandosi ai bimbi più piccoli. In questo modo era molto più facile.

Erano già parecchi anni (o secoli? Non che si desse pena a contarli) che lui girovagava per il mondo a giocare con i giovani e a prendere in giro gli adulti. La prima volta che era arrivato in quella regione, sulla costa, Corona era solo una piccola cittadella su un'isola. All'epoca fu notato quasi subito e non poté fermarsi molto. Quando vi tornò qualche anno più tardi, già un piccolo castello sorgeva sulla cima dell'isola, e un fragile ponte in legno la collegava alla terraferma. Quando poi decise di recarvisi nuovamente, il castello era cresciuto assieme alla città e si ergeva verso il cielo terso mentre il ponte era stato ricostruito in pietra. I bambini erano molti di più rispetto agli anni passati, e questo voleva dire che quell'anno si sarebbe divertito da matti.
La neve cadde copiosa già la prima notte che era arrivato lì e il giorno dopo lui già correva da una parte all'altra tra candidi pupazzi e battaglie all'ultima palla di neve. Voleva divertirsi al massimo delle sue possibilità, e questo significava anche trovare un modo per fare qualche tiro interessante a un adulto.
In men che non si dica aveva già scelto la sua vittima. Era una donna, di spalle, che stava parlando con un artigiano per farsi fare dei pennelli. Prese bene la mira e colpì. La neve cadde dal tetto e la ricoprì completamente, e lei lanciò un grido rialzandosi subito in piedi e scuotendosi il mantello tra le risa di tutti i monelli presenti. Lei lanciò loro un'occhiata seccata ma non disse nulla, e si limitò a liquidare l'artigiano con un altezzoso gesto della mano. Fu in quel gesto che Jack la riconobbe.
Quella donna era bella. Era sottile, diafana, dal portamento altero e, nonostante gli zigomi alti e la pelle senza una ruga, la bocca era serrata in un'espressione di disprezzo e gli occhi grigi esprimevano un disinteresse totale per ciò che le succedeva intorno. Il mantello scuro copriva l'abito di un rosso intenso e, quando si abbassò il cappuccio per togliere la neve, una massa di riccioli neri come pece le ricaddero sulle spalle. Quella donna era bella.
Il problema era che quella donna era già stata bella. Era già stata così, esattamente così, e questo lo sapeva perché l'aveva vista con quell'aspetto molti anni prima, all'epoca del suo primo arrivo nella regione.
La prima cosa che tentò di fare fu parlarle, credendo che si trattasse di uno spirito che non aveva riconosciuto, ma nel momento in cui si rese conto che lei non poteva sentirlo (gli passò attraverso!) realizzò che si trattava di una normalissima umana. Ma allora? Com'era possibile che non fosse invecchiata di un giorno? Era forse diventata immortale anche lei? Come? Questo potere poteva permettergli di parlarle, in un modo o nell'altro?
Con tutte queste domande in testa e preso dalla curiosità, Jack la seguì per tutto il giorno. Questa trovò dei pennelli e dei colori da un altro artigiano e poi comprò funghi e nocciole in grande quantità, le solite attività noiose da adulti. Rimase però colpito dai colori e da tutto il materiale che comprava per la pittura, e cominciò a immaginare che si trattasse di un'artista, un'anima profonda in cerca di espressione (anche se, con quella faccia, non riusciva molto a vedersela tutta impiastricciata davanti ad una tela). Non importava. Era lei, voleva essere sicuro che fosse lei. Perché questo voleva dire avere una speranza.
Quando il pomeriggio cominciò a trasformarsi in sera e il sole si avviò verso il tramonto, la donna uscì dalla città e si diresse con passo sicuro verso la foresta. Aveva davvero qualche segreto, allora!
Procedettero per un paio d'ore allontanandosi dai sentieri principali, inerpicandosi su per cammini usati pochissimo o quasi per nulla, arrampicandosi fra i massi e scendendo agilmente in piccole radure dall'erba umida scurita dal crepuscolo. Se si continuava per quella strada, sapeva Jack, si arrivava al colle che portava alla valle accanto. Era un colle ripido, poco atto all'esplorazione e quindi poco frequentato, e per arrivarvi il sentiero costeggiava tutta una serie di pareti di roccia a strapiombo da cui si sporgeva solo qualche pino coraggioso.
Ma la donna, invece di proseguire, scostò un cespuglio di rovi tra due alberi e scoprì un cammino talmente poco visibile da sembrare il canaletto di un qualche ruscello quasi esaurito. Se non si fosse saputo della sua esistenza, nessuno sarebbe mai andato a cercare oltre quel muro di spine e rami intrecciati e avrebbe proseguito per il cammino classico.
Il sentiero si infilò dentro una parete di roccia completamente ricoperta di edera che rivelò, una volta spostata, un passaggio nascosto dentro la montagna. La donna lo prese senza esitazione e Jack subito dietro di lei, immergendosi nel buio della sera. Fortunatamente lei non poteva udirlo, perché lui, non conoscendo i passaggi che evidentemente lei sembrava sapere a memoria, aveva battuto l'alluce e il mellino una quantità spaventosa di volte, finché non inciampò e cadde definitivamente. Gli ci volle un po' per rialzarsi, incastrato com'era, poiché avendo perso il bastone doveva cavarsela senza la sua solita agilità. Quando riuscì a ritrovarlo e a rimettersi in piedi decise, esasperato, di raggiungerla volando verso la luce grigia che segnalava la fine della caverna.
Quando uscì e si fermò a guardare dove fossero arrivati, la scena lo lasciò a bocca aperta: in mezzo a montagne scoscese, una piccola valle quasi incontaminata perdeva i suoi colori probabilmente vivaci in favore del nero della notte e del bianco della luce della luna. L'unica eccezione era un raggio di luce calda e traballante provenire dall'unica finestra ancora aperta di una torre costruita in mezzo alla radura.
Incuriosito si avvicinò e, sentendo provenire delle voci dalla cima, con un balzo si ritrovò sul davanzale. Nell'ampia sala che costituiva la cima della torre, la donna stava parlando con una bambina, svuotando il suo cesto delle nocciole e dei funghi. La piccola studiava con entusiasmo i colori e i pennelli nuovi, mentre la madre (dedusse Jack) si accingeva a preparare una zuppa.
La scena era così semplice e quotidiana che Jack quasi dimenticò di trovarsi in un luogo isolato dal mondo. Arrivò quasi a sentirsi in pace con se stesso e, seduto su una trave del soffitto spiovente, la schiena appoggiata ad un sostegno verticale, si godé quel momento con un sorriso.
Dopo mangiato la bambina fu subito portata a letto nel suo soppalco e, quando la donna si richiuse con dolcezza le tende alle spalle, Jack poté avvicinarsi per guardarla meglio.
Se la madre era bella, la figlia era a dir poco luminosa. La prima cosa che colpiva di lei erano i lunghissimi capelli biondi, tanto lunghi da arrivare per terra anche quando lei era sdraiata nel suo letto a baldacchino. Gli occhi erano di un verde intenso ed erano grandi, e lo sguardo era di un'innocenza che Jack aveva raramente incontrato negli altri bambini. Il volto era quello tondo tipico dell'infanzia, le guance paffute e rosate e la bocca piccola ma sorridente. Quella bambina era luminosa e serena.
Per quella notte, Jack decise di restare lì, a contemplare quel visino addormentato, in attesa del giorno dopo. Quando, giunto il mattino, la madre partì di nuovo, Jack si rese conto di quanto la piccola fosse sola. Questa, infatti, passò buona parte della mattinata a guardare il cielo chiaro del primo inverno, per poi andare alla scatola dei pennelli e provare con entusiasmo i regali ricevuti il giorno prima. Ma, dopo aver colorato un'intera parete, era ormai pomeriggio e la bambina abbandonò la sua attività per mettersi a leggere, in maniera automatica e annoiata, uno dei pochi libri che aveva sullo scaffale.
“Non si può continuare così.” sentenziò Jack, basito. E decise di fare quello che sapeva fare meglio: con un colpo di vento spalancò la finestra e in men che non si dica portò nella stanza un sacco di fiocchi di neve. La bambina, dapprima spaventata, poi perplessa, si entusiasmò subito per la novità e prese a correre e saltare per la stanza. La sua vivacità caricò ulteriormente Jack che si sbizzarrì per il resto della giornata finché lei, esausta, non si lasciò cadere ridendo al centro del pavimento.
A quel punto, incapace di sopportare ancora di stare chiuso in una stanza, Jack uscì a sdraiarsi sul tetto, e per un momento contemplò la luna, che stava iniziando ad apparire nel cielo azzurro.
Dopo un po' sentì delle voci provenire dall'interno della torre. La madre doveva essere tornata. Impaziente di scoprire il suo segreto, Jack scese a vedere. La donna guardava sgomenta i mucchi di neve sparsi per la torre, mentre la bambina attendeva, in piedi in mezzo a tutto quel pasticcio, con le manine dietro la schiena e lo sguardo interrogativo.
-Che cosa è successo, qui, Rapunzel?- chiese infine la donna.
-Non è colpa mia madre. È stata una magia!-
Jack corrugò la fronte, pronto alla tipica risposta di un genitore: “Non esiste quella robaccia, la magia!”. Invece la madre si sfregò stancamente le tempie e, con un sospiro, si mise a raccogliere la neve per buttarla fuori, dando indicazioni alla piccola perché la aiutasse. Poi si sedette su una sedia e mormorò: -Tua madre è molto stanca, Rapunzel. Ti andrebbe di cantare per lei?-
La bambina annuì con un sorriso: -Subito, madre!- e corse a prendere uno sgabello e una spazzola, per poi sedersi davanti a lei. Mentre la madre le spazzolava con dolcezza i capelli, lei attaccò una melodia dolcissima:

“Fiore dammi ascolto,
se risplenderai
con i tuoi poteri
tu mi proteggerai...
Con la tua magia
tu mi aiuterai
e non dirmi che
per me è tardi ormai...
è tardi ormai...”

Mentre cantava, una luce abbagliante illuminò i suoi capelli e investì la donna, che perse ogni traccia di stanchezza dal volto.
“Ecco come fa a non invecchiare!” realizzò Jack.
Una volta deposta la spazzola, la madre prese la figlia tra le braccia: -Brava la mia bambina. Ti voglio così bene...-
-Io di più!- rispose lei ridendo.
-E io più del tuo più.-
Dopo un momento Rapunzel, che si era abbandonata sul petto della madre, si tirò su, liberandosi dal suo abbraccio, e, guardandola negli occhi, chiese: -Domani posso venire con te, madre?-
La donna sospirò con aria teatrale: -Mi dispiace, tesoro, ma è meglio che tu resti qui. Te l'ho già detto tante volte... il mondo là fuori è pericoloso, e tutti vorrebbero rapirti per sfruttare il potere dei tuoi capelli. Fidati di me, e resta qui al sicuro. Mamma ti proteggerà da ogni pericolo.- così dicendo le accarezzava la testa e la bambina, pensierosa e forse un po' triste, tornò ad appoggiarsi alla madre.
Jack ascoltava, non percepito, seduto sul tavolo dall'altra parte della stanza. Nella sua esperienza fra gli uomini aveva appreso a capirli, e in quanto bugiardo patentato era capace di riconoscere una menzogna quando ne vedeva una. Quella donna teneva sua figlia isolata dal mondo, ma lo sguardo freddo che le rivolgeva portava a dubitare che proteggesse lei piuttosto che il potere dei suoi capelli. Se davvero Rapunzel non poteva uscire, allora rimaneva da sola per giorni interi. E Jack, figlio della solitudine, non poteva non essere solidale con lei.
Voleva aiutarla, voleva farle compagnia, per quanto lei non riuscisse a vederlo. Era impensabile per lui stare chiuso così tutta la vita in una stanza, lui che aveva vissuto sempre in movimento, senza alcun confine, però questo non gli avrebbe impedito di tornare a trovarla. Forse non tutti i giorni, o avrebbe cominciato a soffrire di claustrofobia, ma il più spesso possibile, questo sì.
Si spinse giù dal tavolo e si diresse in silenzio alla finestra. In piedi sul davanzale, si girò ancora un attimo a osservare Rapunzel, che con gli occhi chiusi si godeva fiduciosa le coccole di sua madre. Poi, con un salto, scivolò nel vento e si fece portare via, verso la città più vicina, ma la sensazione di profonda compassione che aveva iniziato a provare per quella bambina non lo abbandonò. Presto! Alla città più vicina per la via più breve. Doveva trovare la via più breve, per tornare poi da lei.

  
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