Fanfic su artisti musicali > Mötley Crüe
Segui la storia  |       
Autore: vincey_strychnine    24/01/2017    1 recensioni
" “E io cosa sono?” mi chiese rigirandosi in mano il tappo della bottiglia.
L’animo poetico. L’Anticristo. Il lato oscuro. Vicious e Rotten racchiusi in una persona sola. Un demone in fiamme.
“Beh… tu scrivi i testi e suoni il basso, no?”
(..)
Mi guardò negli occhi da sotto la frangia. “Wow biondina, grazie mille, non sprecarti.”
“Non lo so rockstar, dimmelo tu cosa sei.”
“Sono quello che vedi, bimba.”
“Ah sì? Vuoi dire che non si nasconde nulla dietro agli strati di trucco, alle birre e alle groupie? Vuoi dirmi che questa non è una maschera, che la tua essenza, i tuoi desideri più profondi, sono visibili a tutti alla luce del sole?” Nikki non rispose per un bel po’.
(..)
“Che cos’è che vuoi davvero, Nikki Sixx?” "
Los Angeles, 1983: Rebecca è scappata di casa, da un'Italia che le va stretta, ed ora, nella città dei suoi sogni e con un nome inventato trovato in una canzone, è pronta a farsi una vita che sia come la vuole lei. L'incontro con una rockstar le cambia la vita ancor più del trasferimento, trascinandola in vortice di eventi da cui uscire sarà difficile.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mick Mars, Nikki Sixx, Nuovo personaggio, Tommy Lee, Vince Neil
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 II

 

L’aria dentro al locale era stagnante di fumo, gli altoparlanti trasmettevano una roba inascoltabile, qualcosa di psichedelico o proto-punk, non avrei saputo definirla bene, ed ovunque erano accatastati vinili di ogni tipo. Ci doveva essere stato, un tempo, un tentativo di ordinarli in base al genere, e c’erano ancora le targhette con le scritte: POP, MOTOWN, HEAVY METAL, NEW WAVE… ma era evidente che ora quell’ordine era andato allegramente a quel paese. I muri erano talmente coperti di locandine e poster che non se ne vedeva l’intonaco ed in alcuni punti gli annunci di lezioni di chitarra per principianti mezzi strappati si sovrapponevano ai volti di Dylan ed Elvis. 

Il proprietario, che presumevo essere il Robb citato nell’insegna ‘ROBB’S EMPIRE RECORDS’ che troneggiava fuori dal negozio, era un uomo sulla cinquantina che non sembrava mai essersi ripreso del tutto da Woodstock e se ne stava appoggiato al bancone leggendo, o meglio, dormendo su una copia di Rolling Stone del mese precedente.

 

Los Angeles si era dimostrata all’altezza delle mie aspettative fin dal momento dell’atterraggio: scintillava talmente tanto da chiedersi se pervaso il cielo e la terra non si fossero scambiati di posto e se quella fosse davvero una città o piuttosto una galassia, la superstrada si dipanava in ogni direzione come la scia luminosa di una cometa e gli agglomerati più grandi sembravano supernove infuocate.

Non potendo spendere i soldi per un taxi, avevo optato per una corriera greyhound, economica e piena di persone in cerca di fortuna come me. Che poi, io forse nemmeno cercavo la fortuna: cercavo soltanto una vita, che fosse come volevo io. Lontano dai tappeti persiani e dalle sbronze di mia madre, lontano dal piovoso Nord Italia, e cosa c’era di più lontano se non l’America?

 

Tossii un paio di volte per attirare la sua attenzione e Robb si svegliò di soprassalto e mi puntò addosso gli occhi gonfi ed inespressivi.

“Sì?” mi chiese con la voce impastata dal sonno.

“Ha davvero una selezione impressionante qui,” gli dissi, sfoderando tutto il brio di cui ero capace. Ed era vero, in quel minuscolo negozio di dischi sul Victory Boulevard c’era di tutto, dagli ultimi successi radiofonici a pezzi da collezione usati a singoli di complessi punk pressoché conosciuti.  “Dev’essere difficile gestirla da solo.” Robb mi guardò stralunato, cercando di capire se lo stessi prendendo in giro.

“Oh sì,” mi rispose infine allargando le braccia, “guarda quanta gente che c’è!” Mi guardai attorno: ero l’unica cliente nel negozio, e a giudicare dalle persiane mezze abbassate dovevo essere la prima che entrava quel giorno nonostante fossero le quattro passate e di sabato pomeriggio, per di più.

“Magari ti serve una commessa..” azzardai io, fingendo di non cogliere il suo sarcasmo. L’uomo scoppiò a ridere come se avessi appena raccontato la barzelletta più divertente del mondo, intervallando alle risate colpi di tosse grassa e rantoli.

“Senti, bellezza, so dove vuoi andare a parare, ma credimi, qui sono di troppo persino io,” mi disse quando si fu ripreso.

 

Il motel dove mi fermai era nella San Fernando Valley, non lontanissimo da Hollywood, ed era gestito da un’anziana donna che sembrava non si fosse mossa da dietro alla reception per almeno trent’anni, tant’era decrepita. Forse, nemmeno l’arredamento veniva cambiato dalla stessa quantità di tempo, a giudicare dalle tende gialle sbiadite della mia camera da letto.

Non poteva fregarmene di meno: era economico e non richiedeva dati personali di alcun tipo, il posto perfetto per una fuggitiva come me. Da cosa diavolo fuggivo poi? Nessuno sarebbe venuto a cercarmi, a nessuno importavo abbastanza. Forse Alessandro si sarebbe chiesto che fine avevo fatto, e a scuola si sarebbe fatto un gran parlare di come ero scappata nel cuore della notte ed ero sparita. Magari sarei diventata una leggenda per i ragazzini del primo anno, chi lo sa.

Ci avevo messo quasi una settimana ad abituarmi all’idea di essere in un altro Paese, e per buona metà di questa avevo dormito tutto il giorno nel minuscolo e scomodo letto in ferro battuto del motel, per poi rendermi conto che dovevo trovarmi un lavoro se non volevo finire a vivere letteralmente per strada.

 

“Me la cavo bene con le persone, riuscirei a vendere qualsiasi cosa, persino questa merda che stiamo ascoltando ora.”

“E’ uno dei miei album preferiti dei Pink Fairies,” mi guardò truce. Bella figura di merda.

“La prego, mi serve un lavoro..” Non avevo intenzione di demordere. La musica era l’unica cosa di cui sapessi abbastanza, non sapevo fare i conti e non avevo qualifiche di nessun tipo per altri lavori, e i soldi iniziavano a scarseggiare. Sentii gli occhi bruciare, chiaro segno che stavo per mettermi a piangere come una bambina. Robb dovette accorgersene, perché addolcì lo sguardo.

“Ti piacciono i New Animals?” mi chiese poi. Riflettei un secondo cercando di ricordare chi fossero e dove li avessi già sentiti nominare, cosa abbastanza difficile data l’ansia che avevo di dare la risposta sbagliata: erano un complesso underground anni ’60 di quelli che Ale mi costringeva ad ascoltare quando eravamo strafatti. 

“Oh sì, tanto. Li ascoltavo sempre con un mio amico e…”

“Paga minima, lavori dal lunedì al sabato. Dalle nove alle sei e mezza, anzi sette perché il negozio lo chiudi tu. Io sto di sopra a catalogare i nuovi arrivi e scelgo la musica da ascoltare, tu servi gli stronzi alla cassa. Cominci lunedì.”

Provai l’impulso di abbracciare quell’hippie dai capelli unticci, ma riuscii soltanto ad emettere un suono strozzato che doveva assomigliare ad un grazie.

“Non ringraziarmi, ti annoierai a morte..”

 

Avevo deciso, ora che ero in un altro Paese e in un’altra vita, che sarei stata anche un’altra persona. Il mio nome vero, così borghese e tradizionale, si portava dietro troppi ricordi passati, troppe delusioni. Mentre pensavo al nome che mi sarei scelta, in un pomeriggio torrido sdraiata a pancia in su nella stanza del motel semibuia, mi era venuta in mente Strychnine, una canzone dei Cramps che ascoltavo sempre un paio d’anni prima, un pezzo allucinante sulle droghe ululato dalla voce cavernosa di Lux Interior sulla chitarra graffiante di Poison Ivy, una canzone trascurabile di per sé, ma adoravo il suono del titolo. Strychnine, stricnina: uno dei veleni più letali presenti in natura, suonava bene anche come nome. Suonava bene per una come me. 

 

“..Strychnine. Mi chiamo Strychnine.” 

 

**

 

In meno di un mese ero riuscita a farmi benvolere da Robb, e il compito alla fine era stato abbastanza facile: la mia storia di scappata di casa alla ricerca del sogno americano lo faceva impazzire, diceva che gli ricordava lo spirito della Summer of Love a cui aveva preso parte e che non mancava mai di raccontarmi per filo e per segno nei rari momenti in cui scendeva dal magazzino, e per andare d’accordo con lui era sufficiente fare tutto il lavoro sporco mentre lui se ne stava al piano superiore immerso nei suoi amati vinili e non contestare mai le sue scelte opinabili sulla musica di sottofondo. I clienti erano scarsissimi e, quando c’erano, o si trattava di attempati signori in cerca di regali per i nipoti o di appassionati di qualche genere specifico che passavano ore a spiegare con quell’aria da tuttologi la differenza tra il punk americano e quello inglese, per ammazzare il tempo avevo preso a fumare il doppio rispetto al passato e in un giorno particolarmente noioso mi ero persino messa a riordinare tutti i dischi esposti e pulire ogni anfratto di quel tugurio. 

Quel sabato, dovevano essere le cinque nemmeno, come al solito c’era calma piatta e non si vedeva nessuno da un paio d’ore. Robb doveva sentirsi più smielato del solito, perché non ascoltavamo altro che Juice Newton dalle nove del mattino, una scelta bizzarra persino per lui. Seduta al bancone, fumavo la millesima sigaretta del giorno fissando senza osservarla davvero la gigantografia di Janis Joplin sul muro dietro la cassa e dondolavo la testa al ritmo di Angel Of The Morning, quando all’improvviso entrò un cliente. Per un bel po’ lo fissai senza dire nulla mentre camminava lento e dinoccolato leggendo i titoli sugli scaffali: era alto, circa uno e ottantacinque, portava un paio di jeans consunti e un chiodo di pelle gli fasciava le spalle, mentre una massa di capelli lunghi e corvini gli copriva parte del volto. Da come era conciato e dal sorriso sardonico con cui osservava tutti i dischi da più di cinque minuti, cominciai a temere che avesse intenzione di rubarne uno. Raccolsi coraggio a due mani e nonostante qualcosa in lui mi intimorisse, decisi di parlargli.

“Posso aiutarti? Cerchi qualcosa in particolare?” Gli chiesi cercando di nascondere il tremore nella mia voce. Si voltò e venne verso il bancone. Quando mi fu di fronte notai le sue iridi verde chiaro coperte dalla frangia che mi fissavano senza pudore.

“No, no, sto solo dando un’occhiata.” Ai dischi o a me? pensai, mentre tentavo di sostenere quello sguardo. Alla fine persi la battaglia e abbassai gli occhi sul pacchetto di sigarette con cui stavo nervosamente giocherellando, sentendomi le guance in fiamme.

“A dire il vero, potresti fare qualcosa per me. Sì, ti scoccerebbe cambiare questo schifo? Juice Newton non si può proprio sentire.”

Lo guardai di nuovo: aveva uno stupido sorrisetto stampato in faccia come se credesse di aver appena fatto l’osservazione più sagace della storia. Feci una smorfia: “Lo so, lo so. Ma la musica la sceglie il capo, non posso contestare.”

Si piegò verso di me e mi tolse il pacchetto dalle mani, sfilandone una Marlboro. “Ti scoccia?”

“Oh, no, fai pure, straniero,” risposi sarcastica. Da quando ero arrivata a LA mi ero messa a chiamare tutti quelli che non conoscevo così. Mi sembrava un modo più interessante di rivolgermi alle persone di cui non avevo intenzione di chiedere il nome.

“Nikki,” biascicò tenendo la sigaretta fra i denti mentre la accendeva con uno zippo d’argento.

“Ti prego, sul serio, leva questa merda,” disse poi esalando una boccata di fumo.

Roteai gli occhi e mi voltai ad armeggiare con il giradischi, sentendo gli occhi di… Nikki, nome bizzarro… mai quanto Strychnine, però… sentendo gli occhi di Nikki puntati sul mio fondoschiena. Forse mettere gli shorts quel giorno non era stata una grande idea, ma nonostante fosse quasi Ottobre faceva ancora un caldo infernale.

“Robb mi ucciderà, cazzo,” borbottai, levando il disco e mettendone su un’altro che potesse andar bene a quello squilibrato. Love It To Death, di Alice Cooper. A tutti piaceva Alice Cooper, soprattutto ai metallari come quel tipo.

“Nah, non avrai problemi: sei una bionda figa, il capo non ti dirà nulla,” aveva ancora quella faccia da schiaffi. Spalancai gli occhi e lo fissai dal basso del mio metro e sessanta scarso: “Come mi hai chiamata scusa?” non mi ancora ero abituata ai calorosi apprezzamenti dei giovani di strada di Los Angeles.

“Biondina. Figa.” scandì lui, scuotendo i capelli dal viso.

“Oh, adoro voi Americani,” dissi spegnendo la sigaretta nel posacenere.

“Non sei di qua, vero?” disse Nikki avvicinandosi di più. Troppo vicino, per i miei gusti. Mi soffiò in faccia il fumo.

“A dire il vero, no. Senti bello, o compri qualcosa o te ne vai, come vedi ho un sacco di gente da servire,” dissi gesticolando per mostrargli il locale vuoto.

“Ce l’avete della roba heavy metal?”

“Certo che sì. Non è proprio il mio genere preferito, ma te la faccio vedere,” dissi scivolando da dietro il bancone. Ero così esaltata dall’idea di avere un cliente che per un attimo mi scordai di quanto mi fosse parso arrogante e di quanto mi mettesse a disagio.

“Questi sono i classici, Blue Oyster Cult, Van Halen e simili, quelli gli ultimi arrivi.”

“Ah non ti piace? E che ascolti, di solito? A parte Alice Cooper,” chiese ignorando completamente la mia spiegazione mentre gli facevo strada nel negozio.

“Oh, un po’ di tutto: Sex Pistols, Ramones, Kinks, i Led, amo le Runaways..”

In quel momento, attirato dal cambio di musica e dalle voci provenienti dal locale principale, Robb decise che era ora di risorgere dal suo cimitero di vinili per assicurarsi che non fossi impazzita e non stessi parlando da sola. Una volta mi aveva rivelato che quando si sentiva troppo solo parlava al poster di Dylan. 

Scese le scale con in mano due o tre scatoloni. “Strychnine, non ti pago per ascoltare questo casino e chiacchierare con i..”

Quando mi vide con Nikki, lasciò cadere il carico e un mare di cubetti di polistirolo si riversò ai suoi piedi.

Oh santo Dio.. mi scusi, la sta importunando?” per cinque minuti buoni stette a fissarlo con le braccia ancora a mezz’aria come se gli scatoloni fossero ancora stati fra le sue mani. “La scusi… non abbiamo mai clienti, figurarsi un personaggio del suo calibro, signor Sixx..” disse, pallido in viso e con gli occhi più stralunati del solito.

Lo guardai interrogativa, poi spostai lo sguardo su Nikki, che aveva dipinta sul volto un’aria di imperturbabile soddisfazione, e di nuovo su Robb, che tentava di darsi un contegno.

“Posso fare qualcosa per lei?” gli chiese, ora quasi tremante.

“Robb, torna pure in magazzino, ci stavo pensando io qui..”

“Sì, non preoccuparti,” mi fece eco Nikki. “Ero passato solo per vedere che effetto faceva vedere il nostro nuovo disco sullo scaffale di un negozio. Mi piace farlo, ogni tanto.” Nuovo disco? Forse per la mancanza di ossigeno nel locale o per la sua aria stantia, forse per la voce disperata di Alice Cooper che sbraitava dagli altoparlanti I’m eighteen and I like it yes I like it oh I like it love it like it… ma per qualche motivo faticavo a processare quello che stava succedendo.

Nikki si avvicinò alla sezione dei nuovi arrivi e prese in mano un album, Shout At The Devil, dei Motley Crue. Avevo sentito un paio di pezzi alla radio, ma non sapevo assolutamente nulla di loro. L’hair metal non era esattamente il genere più popolare a Bologna. Quando Nikki lo aprì, nell’interno della copertina quattro ragazzoni iper truccati facevano bella mostra di sé, e uno di quelli gli assomigliava incredibilmente, ma non poteva essere lui. Lo osservai meglio: era proprio lui, stessa massa di capelli neri, stesso piglio arrogante. “Sai che ti dico? Quasi quasi me lo compro. La casa discografica ci manda una copia gratis, ma non c’è gusto a non comprarlo,” disse porgendomi il disco. Robb, ancora allucinato, osservava la scena dal terzo gradino delle scale.

Nikki pagò ed uscì dal negozio: dal vetro lo vidi salire su un’Harley nuova di zecca e sparire in un lampo lungo il Boulevard.

E’ ora di tornare alla solita noia, mi dissi. Quella strana rockstar aveva dato, anche se per una breve ventina di minuti, una scossa a quella monotonia che partendo avevo sperato di aver abbandonato per sempre.

Nemmeno un’ora dopo, il telefono squillò. Wow, un cliente che è pure una rockstar e addirittura una telefonata, quella giornata era decisamente più movimentata del solito.

“Pronto, Empire Records, come posso esserle utile?” chiesi con la voce da segreteria telefonica che avevo messo a punto in quel mese.

“Parlo con la biondina?”

La sua voce mi fece ribollire il sangue nelle vene: riusciva ad essere irritante persino al telefono.

“Sono Sixx.. ehm, Nikki.”

 

Note dell’autrice: Ssssalve! Ecco il secondo capitolo, a meno di una settimana di distanza dall’ultimo (quasi quasi mi commuovo per la mia puntualità) e finalmente ecco Nikki che entra nella storia anche se non proprio con gioia di Rebecca/Strychnine, ma non preoccupatevi, avranno tempo per andare d’accordo..

Ci tenevo a dire che il nome del negozio di dischi è preso da uno dei miei film preferiti, Empire Records (ovviamente) e che invece il negozio in sé è vagamente ispirato a quello di Alta Fedeltà di Nick Hornby, nel caso in cui qualcuno notasse delle somiglianze.

Vincey

Canzoni citate nel capitolo: The Cramps-Strychnine

Juice Newton-Angel Of The Morning

Alice Cooper-Eighteen (ho trovato solo una versione live)

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Mötley Crüe / Vai alla pagina dell'autore: vincey_strychnine