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Autore: amimy    30/05/2009    2 recensioni
Quando due persone sono completamente dedite l’uno all’altra, non c’è nulla che possa dividerli. Nemmeno la più devastante delle guerre, nemmeno le più radicate differenze. E in quei casi in cui il mondo sembra voler far del suo meglio per voler dividere i due innamorati, loro non possono fare altro che cercare di ritagliarsi qualche istante solo per stare insieme, per viversi a vicenda. E persino quando il fato si accanisce contro gli amanti, l’amore trionfa sempre. Sempre. Ambientata dopo il volume 52. Si tratta di alcuni frammenti di vita insieme di Rachel e Tobias, di come affrontano l’attrazione reciproca che provano…
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rachel, Tobias
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Birthday


I piedi della ragazza si posarono sul legno duro della trave con un tonfo secco. Le sue braccia volteggiarono con grazia accanto al suo corpo per ridarle equilibrio, mentre i lunghi capelli biondi le danzavano intorno al viso, giù per il collo, lungo le spalle…Il body rosa le aderiva talmente al corpo da confondersi con la sua pelle, le metteva in risalto la corporatura delicata e perfetta.
Già, delicata. Era così ingannevole il suo corpo, così bugiardo: trasmetteva solo bellezza, fragilità. Anche ingenuità, forse. Ma dopotutto, quale corpo avrebbe potuto lasciar vedere l’energia combattiva instancabile che si celava dietro a quel viso incantevole? Esisteva un corpo umano che mostrasse quello che lei era veramente, dopotutto? Di certo, quelle fattezze da modella che aveva lasciavano trasparire soltanto la sua bellezza interiore, ma tralasciavano tutto il resto.
Ancora una volta, la ragazza aveva fatto un volteggio impeccabile ed elegante, eseguito alla perfezione con una sinuosa scioltezza degna di un gatto. Ma improvvisamente, mentre tornava eretta, un piede le scivolò sul legno e lei roteò freneticamente le braccia, per mantenere l’equilibrio. La sua schiena s’incurvò per un istante, poi il suo piede si posò tornò sulla trave e le sue braccia si fermarono, mentre in corpo ondeggiava ancora lievemente. Che peccato, sarebbe stata un’esecuzione perfetta…eppure, non m’importava come eseguisse gli esercizi.
Non mi sarei mai, mai stufato di starla a guardare. Non avrei mai voluto, ne potuto, smettere di seguire ogni suo singolo movimento, ogni ondeggio della sua chioma dorata. Mai.
E soprattutto, in un'altra situazione, non le avrei mai permesso di scoprire le mie visite clandestine nella sua palestra.
Lei…Rachel. La mia Rachel. La mia Rachel che quel giorno compiva sedici anni.
D’accordo, ora devo precisare che io non sono mai stato quel tipo di persona sdolcinata o possessiva. Non sono mai stato incline a moine o manifestazioni d’affetto in pubblico, da bravo timidone impacciato quale ero. A dirla tutta, non sono mai stato il genere di ragazzo che ci s’immagina a introdursi di nascosto in una palestra per osservare una ragazza. E invece, eccomi lì appostato sulle gradinate nella mia forma umana, a coltivare pensieri tremendamente sdolcinati e zuccherosi su Rachel.
All’improvviso, un brusco battito di mani riecheggiò nell’immenso locale. La signorina Brickman, l’imponente insegnante di ginnastica, si avvicinò alla trave con il volto paonazzo.
<< Più concentrazione, Rachel, più concentrazione, accidenti. Dove sei con la testa oggi? Sei quasi caduta, e questi sono errori che non puoi permetterti se vuoi arrivare in finale. Riprova. >> sbraitò la donna.
Non era giusto. Non era affatto giusto. Rachel aveva eseguito un esercizio praticamente perfetto, tranne che per quel piccolo errore alla fine. E quel pezzo non faceva nemmeno parte dell’esercizio! Insomma, era come affermare che George Washington era stata una persona inutile solo perché era caduto da cavallo. Se mai fosse davvero caduto da cavallo, in effetti. Io come potevo saperlo? È il genere di cose che non è riportata nei libri di storia, appunto. Be’, comunque avete afferrato il senso dell’esempio, no?
Mi aspettavo quasi che Rachel avrebbe dato in escandescenze, invece si limitò ad annuire mesta, stendendo una gamba e un braccio in avanti per prepararsi a eseguire di nuovo il volteggio. Se c’era qualcosa in cui Rachel era disposta ad accettare qualunque critica pur di migliorarsi, quella era la ginnastica. Come se ne avesse avuto bisogno.
Le sue mani toccarono di nuovo il legno, mentre le gambe tracciavano invisibili cerchi in aria per poi posarsi nuovamente sull’attrezzo ancor più velocemente di prima. Senza nessuna esitazione, senza nessun errore. Come sempre. E stavolta, atterrò perfettamente, stendendosi verso l’alto dritta come un fuso, senza la minima oscillazione.
Sorrisi, allegro. Avevo voglia di applaudire…ma temevo che qualcuno mi avrebbe cacciato dalla palestra.
Ero felice, davvero felice, che Rachel non avesse rinunciato alla ginnastica. Avevo scoperto molto tempo prima che aveva seguito ogni singola persona che frequentava la palestra per assicurarsi che non fosse un Controller, prima di iscriversi. Con un cognome falso, ovviamente. Certo, ormai non avremmo più dovuto preoccuparci degli Yeerk, almeno in teoria. Ma anche se dopo l’esplosione della vasca non avevamo più avuto notizie né captato informazioni, non potevamo rischiare di esporci troppo. Mai. Motivo per cui la palestra di Rachel era circa a cento chilometri dal nostro accampamento, in effetti. E a una cinquantina di chilometri dalla nostra vecchia città. << Bene, così ti voglio. Ma non smettere di allenarti, perché nemmeno adesso hai fatto del tuo meglio. Sei più brava di così, lo sai. Ora va’ a cambiarti, la lezione termina qui. >> esclamò la signora Brickman, e il suo prominente doppio mento tremolò. Poi la signora Brickman si girò verso una ragazza pallida che stava eseguendo una spaccata su un materassino azzurro cielo, e aggiunse: << Sì, vai a cambiarti anche tu. Vi aspetto domani, tutte e due. >>
La ragazza si alzò con grazia, e si fermò un attimo a osservare Rachel, esitante. Quest’ultima si sedette elegantemente sulla trave, appoggiò i piedi per terra e con un breve saltello raggiunse la compagna, che le sorrise. Insieme si avviarono verso una larga porta nelle tribune, numerosi gradini sotto di me. Bene, nessuno mi aveva visto. Sorrisi, sentendomi un po’ una spia in missione segreta. Non che mancassero sedute di spionaggio o missioni fatali nella mia quotidianità, in effetti. Però, stare lì, seduto, senza dovermi preoccupare di salvarmi le penne - anzi, la pelle, in quel caso- mi faceva sentire bene. Umano.
Accidenti, come si chiamava quella ragazza che frequentava il corso con Rachel? Una volta lo sapevo, ne ero certo… non che m’interessasse conoscere il suo nome, effettivamente, ma avrei dovuto. Dopotutto, quella ragazza oltre a essere una compagna di Rachel era anche la figlia del vicepreside Chapman, uno dei Controller più pericolosi e di rilievo che conoscevamo. Inoltre, non mi faceva sentire bene rendermi conto di quanto mi fossi allontanato dalla mia vecchia vita. Insomma, Yeerk e metamorfosi a parte, mi sentivo come se i giorni in cui avevo frequentato la scuola appartenessero ad un’altra vita.
Forse, essere un falco mi stava davvero creando qualche problema nel ricordare nomi e persino volti di persone che avevo conosciuto un tempo. Dopotutto, non ci sono molti visi o nominativi da ricordare in una sperduta radura in un bosco. A parte, forse, i musi dei conigli …
Un rivolo di sudore mi corse lungo la fronte, al pensiero della mia radura. Era lì che avrei dovuto trovarmi, non in una palestra satura dell’odore di sudore e di calzini usati. Stupido, mi dissi. Ero un umano. Un ragazzo, per di più. Le palestre, con i fiumi di ormoni e di virilità che le impregnavano, avrebbero dovuto allettarmi invece di farmi desiderare di volare via.
Letteralmente.
Eppure…eppure, stare lì in quella palestra chiusa, senza un filo d’aria, mi faceva sentire quasi claustrofobico: sognavo ancora il cielo, le termiche calde che mi arruffavano e piume mentre mi sostenevano, l’ebbrezza di una picchiata, perfino il sapore del sangue caldo di una preda che mi colava dal becco… e, più di ogni altra cosa, mi rendeva nervoso la penosa vista del mio vecchio corpo. Del mio vero corpo, mi corressi. Vedevo a distanze così brevi, così limitate… ero certo che non sarei riuscito a leggere l’ora sull’orologio da polso di quel grasso uomo che stava sollevando pesi a soli quaranta metri da me…
Ad un tratto, la porta degli spogliatoi si spalancò con un colpo secco, strappandomi alle mie riflessioni macabre. Impossibile non capire chi l’avesse aperta: la porta rimbalzò contro il muro con un sonoro tonfo, e richiudendosi sembrò tremare e gemere nei cardini.
Era il momento che stavo aspettando. Mi alzai di scatto del gradino dov’ero seduto e corsi agilmente giù dalle tribune, saltando qualche scalino. Ero tremendamente nervoso.
Rachel uscì dagli spogliatoi, chiacchierando animatamente con la figlia di Chapman. Chissà di cosa stavano parlando…
Il quel momento, desiderai avere il mio udito da falco per poter capire ciò che dicevano…ma fu solo per un istante.
Finalmente, scavalcai con un balzo l’ultimo gradino e le rincors correndo, arrivando alla porta della palestra nel loro stesso istante. Nei giorni in cui ancora frequentavo la scuola, ormai anni prima, non ero mai stato un vero asso in atletica. In realtà, me la cavavo piuttosto male. Ma non ero nemmeno una schiappa totale, specialmente nei cento metri. Infatti, ansimavo e il cuore mi batteva forte specialmente per l’ansia, ma almeno ero riuscito a fare l’entrata teatrale che avevo programmato, comparendogli proprio davanti e sfruttando l’effetto sorpresa.
<< Tobias. >> esclamò Rachel, stupita. Il body di poco prima era stato sostituito da una maglietta attillata che le metteva in risalto le forme e da un paio di pantaloni neri che le avvolgevano le gambe. Bellissima…
<< Ehi…ciao Rachel. Ciao…ehm… >> balbettai. Dov’era finita la disinvoltura? La sicurezza che stava nel ripetere un discorso che mi ero già preparato? La figlia di Chapman mi fissò.
<< Melissa.>> mi ricordò lei un istante dopo, sfoggiando un sorriso vuoto. Poi si rivolse all’amica << Scusa, Rachel, ora devo andare. I compiti non si fanno da soli, purtroppo. Ci vediamo… >> . Rachel le lanciò un’occhiataccia, per metà divertita, poi sospirò.
<< Ciao, Melissa. A domani. >> replicò.
L’altra la salutò con la mano, poi si voltò e sparì dietro la porta d’uscita.
E Rachel si girò verso di me, fronteggiandomi.
<< Da quanto tempo sei qui? E soprattutto, cosa ci fai qui? Non ti hanno insegnato che non si spia la gente? Oppure i conigli sono diventati troppo noiosi da osservare e hai deciso di passare a qualcosa di più grosso, ad esempio me? >> mi sgridò amichevolmente, senza mai smettere di sorridere. Era così bella…bella, perfetta, in tutto quello che faceva.
Ed io non riuscivo a levarmi quel sorriso idiota dal volto.
Lei alzò un sopracciglio, come se fosse preoccupata per le mie condizioni mentali.
<< Tobias…Allora, seriamente, come mai sei qui? Ti manda Jake? C’è qualche problema? Notizie degli Yeerk? Una nuova battaglia in vista? >> domandò Rachel tutto d’un fiato. I suoi occhi s’illuminarono quando nominò la battaglia, ma per una volta non vi feci caso.
<< Quante domande… No, nulla di tutto questo. Avevo solo voglia di vederti, ecco tutto… sai, per…dirti una cosa. E…farti vedere un posto…>> mormorai, pentendomene all’istante: mi stavo comportando da ebete, lo sapevo. Anzi, in realtà mi sembrava addirittura di sentire la voce di Marco che mi prendeva in giro, roteando gli occhi :“ Per l’amor del Cielo,Tobias, tu mangi topi a colazione! Possibile che tu non riesca a mettere più di due parole in fila quando c’è la nostra Xena?”.
Scossi la testa, scacciando quel pensiero insistente. Grandioso, iniziavo anche a sentire le voci nella testa. Peggio di così non potevo essere messo…
Rachel mi fissò, sorpresa, poi emise una bassa risata divertita.
E afferrò la mia mano. Lo fece così, con naturalezza, senza pensarci.
<< Bene, andiamo. Dove? >> chiese lei. Probabilmente immaginai soltanto la punta di malizia che le comparve per un istante negli occhi, ma ciò bastò a sconvolgermi ancora di più.
Feci un respiro profondo.
<< Be’, tu pensavi che me ne fossi dimenticato, ma non è così. Cioè, volevo dire… oh, insomma, buon compleanno Rachel! >> esclamai infine. Oddio… avevo davvero detto quello che avevo detto? Eppure sembrava un così bel discorso quando l’avevo pensato il giorno prima…
Lei mi fissò a lungo. I suoi occhi si dilatarono. Le sue labbra s’inclinarono, e vi si dipinse un sorriso estatico.
Mi guardò ancora, radiosa, e fece qualcosa che non mi sarei mai aspettato: si avvicinò a me e mi avvolse le braccia intorno al torace, abbracciandomi stretto.
La palestra era pressoché vuota, ad eccezione di qualche ragazza che si esercitava alle parallele e qualche ragazzo che faceva due tiri a canestro. Nessuno ci stava guardando, ma se anche fosse stato, non mi sarebbe importato.
<< Ti ho preso un regalo… >> borbottai, sentendomi uno sciocco fra le sue braccia. Dopotutto, quand’era stato il mio compleanno lei non aveva fatto grandi programmi. Una torta, due chiacchiere, un augurio sussurrato. Di certo non il pasticcio che stavo combinando io…
Ma – ehi – quel giorno non era solo il suo compleanno che volevo festeggiare.
Rachel sorrise, e il suo viso sembrò cambiare. Non era mai stata molto dolce. Né comprensiva. Ma quel giorno, mi capì. Capì che c’era qualcosa di più grande sotto, e capì che non avevo intenzione di rivelarle nulla.
<< Andiamo, allora! >> esclamò, allontanandosi da me e iniziando a tirare la mia mano con forza insospettabile. Avrei dovuto essere io a guidarla, ma fui felice che fosse lei a condurmi, almeno per quel breve tratto. Spalancò la porta, e mi trascinò allegramente fuori dalla palestra. Corremmo insieme fuori, così, semplicemente …noi. Io e lei. Il falco e l’assassina. Il ragazzo uccello e la spietata guerriera. Marco non si sarebbe mai lasciato sfuggire l’occasione per una delle sue battutacce, ne ero certo, ma in quel momento lui non c’era. C’eravamo noi.
Uscimmo nell’aria fresca della sera, mano nella mano, e continuammo a correre.
I capelli dorai di Rachel danzavano nella brezza serale, mi sferzavano il viso. Ero contento che non li avesse mai tagliati, nemmeno dopo essere diventata… cos’era diventata? Una guerriera? Una spietata amazzone?
Rachel si fermò nel piccolo cortile erboso davanti alla palestra. La luna splendeva ormai sulle nostre teste, donava un pallore irreale alla scena. Sapevo cosa saremmo apparsi a qualunque eventuale passante: una coppietta, due fidanzatini che si teenevano per mano e ridevano, godendosi la spensieratezza della vita. Errore. Noi non eravamo una coppietta di fidanzatini. Eravamo molto, molto di più. << Allora, dove si va? >> domandò Rachel, guardandomi. I suoi occhi blu splendevano più di qualunque stella. Anzi, no, quegli occhi non erano stelle: erano l’universo intero, mi tenevano ancorato a loro con una forza mille volte più potente della gravità. Mi impedivano di andare alla deriva.
<< Lo vedrai. >> risposi, e mi sentii orgoglioso di me stesso. Finalmente le cose scivolavano nel verso giusto, tutto andava esattamente come doveva andare. Persino i miei discorsi traballanti sembravano incastarsi nella situazione.
<< Non è un posto accessibile a piedi, giusto? >> intuì lei. Io le annuii, semplicemente. E sotto i suoi occhi carichi d’aspettativa, inziai a invertire la metamorfosi.
Con mio grande sollievo, i miei occhi furono i primi a cambiare. Sentii i miei bubli oculari rimpicciolirsi, venire quasi assorbiti nel cranio e, infine, la mia vista si acuì. Le mie gambe vennero assorbite nel corpo, sostituite da due solide zampe artigliate. La pelle si fuse, s’intrecciò, si trasformò in un reticolo di piume colorate, mentre le mie ossa si svuotavano e i miei organi cambiavano, diventando più semplici ed elementari. Grazie al cielo avevamo imparato a includere qualcosa di più dei pantaloncini da ciclista nella metamorfosi… l’idea di spogliarmi lì, nel mezzo di un cortile che dava sulla strada, non mi allettava granchè.
Riuscii a scorgere una fitta trama di piume disegnarsi sulla pelle di Rachel e il suo corpo restringersi, prima che il suolo mi venisse incontro a velocità vertiginosa. Le braccia mi si allungarono, si fecero leggere e si ricoprirono anch’esse di piume. Ero di nuovo me stesso. Un paio di penetranti occhi da predatore mi fissarono, incorniciati da una testa ricoperta di piume candide. Un’aquila.
Qualcuno avrebbe potuto vederciesclamò lei, ma non sembrava risentita. Eccitata, piuttosto. Quasi entusiasta all’idea di nuovi guai.
Mi sembrò sbagliato, a quel punto, rivelarle che avevo già passato più di un’ora in ricognizione sopra l’intero quartiere, per assicurarmi che nessuno fosse nei paraggi. E che l’oscurità avrebbe giocato a nostro favore. Mi avrebbe accusato di uccidere la sua euforia…
Sorrisi a quel pensiero. Era bello pensare che, nonostante tutto, io e lei saremmo rimasti sempre io e lei. Una considerazione senza senso, eh? Benvenuti nel mio mondo.
Scoccai un’occhiata alla metamorfosi da aquila di Rachel. Era mastosa, più bella e carica che mai. Sbattei le ali, captando un alito residuo di una termica che si stava ormai dissolvendo nella notte. Non sarebbe stato facile volare così, ma cosa importava? L’importante era la destinazione, dopotutto. Rachel mi imitò, spalancando le sue enormi, sproporzionate ali. In confronto, io ero poco più che un neonato.
L’aria debole della sera mi accolse fra le sue braccia, delicata e gentile. Mi sollevai in aria, con Rachel al seguito. Ci innalzammo sopra il cortile, sopra la palestra, sopra il piccolo paese e verso le nuvole…
Sarebbe stato un lungo volo, ma non lo prevedevo particolarmente difficile. Avevo già calcolato tutto. Ogni distanza, ogni secondo necessario, ogni accelerazione…persino ogni imprevisto era già stato preso in considerazione.
Tutto doveva essere assolutamente perfetto.
Il silenzio regnava nel cielo. La distesa di inchiostro nero che era il cosmo sebrava osservarci dall’alto, cullarci fra le sue braccia. Le grandi al d’aquila di Rachel sbattevano ritmicamente. Su, giù, su, giù…rimasi ipnotizzato dal movimento rassicurante e regolare.
Dove stiamo andando? Questo posto mi sembra…familiare considerò lei, mentre sospitni dalla brezza sorvolavamo una costa frastagliata che talvolta si buttava a picco nell’Oceano, talvolta scivolava a si addolciva in lunghi lembi di sabbia che si protendevano verso l’acqua. Vedrai le risposi semplicemente, cercando di essere più vago possibile. Dovevo giocare sull’elemento sorpresa… Mi sentivo un po’ l’Ellimist a puntare su frasi incomplete e quasi mistiche, ma il mio obiettivo era importante.
Oh esclamò Rachel, avvicinandosi ancora di più a me. Di notte, chi avrebbe mai notato due rapaci che volavano insieme? Nessuno. Almeno, mi auguravo fosse così.
Osservai gli occhi d’aquila di Rachel dilatarsi un poco. Aveva capito.
Sorridendo con la mente, iniziai la picchiata. Strinsi le ali al corpo, e mi lasciai cadere a velocità folle verso il suolo. Roteavo, sbandavo, cadevo come un missile piumato. Ma ovviamente, era una caduta controllata. Rachel mi seguì a ruota, esultando. Yuppie! urlò, superandomi in velocità grazie al suo peso. La lasciai fare. In un'altra occasiona, non avrei permesso a nessuno dei miei compagni di battermi in velocità in volo. Ma quel giorno, era un giorno speciale… I palazzi ci venivano incontro a velocità quasi disperata, confondendosi e mescolandosi insieme. Ma con quella vista, era più che impossibile non notare la struttura che svettava verso il cielo proprio sotto di noi. E che si avvicinava sempre di più. Scheletri di gru arrugginite si protendevano verso l’alto come rami spettrali, mucchi di mattoni diventavano sempre più nitidi, grosse betoniere abbandonate dominavano il paesaggio…
All’ultimo momento, quando il suolo sembrava incombere su di me, spalancai le ali all’unisono con Rachel. Lei si posò sul terreno umido e cosparso di calcinacci. Si voltò e ,quando vide che anch’io mi stavo appoggiando per terra, fece iniziare i primi cambiamenti. Le sue membra si allungarono, si tinsero di rosa, mentre le piume candide veniviano ricucchiate senza un suono dentro al suo corpo. I suoi capelli d’oro riapparvero,insieme ai penetranti occhi blu.
Anch’io iniziai a trasformarmi. Mi concentrai sul mio vecchio corpo, quel corpo sempre accompagnato da capelli spettinati che l’Ellimist mi aveva ridonato. Il mio corpo.
Lei incrociò le braccia, aspettando che finissi la metamorfosi. Non distolse mai lo sguardo. Mai. Ben presto, fui di nuovo il ragazzino spaesato provvisto di jeans all’ultima moda e t-shirt abbinata. Regali di Rachel, ovviamente. Non avrei mai indossato abiti firmati in altre occasioni– perfino la biancheria intima portava il marchio di un qualche noto stilista.
Ma dopotutto, quel giorno era per lei.
<< Cosa ci facciamo qui? >> domandò la ragazza alla fine, girando rapidamente su se stessa per abbracciare il luogo spettrale con lo sguardo. Non era certo il posto più romantico del mondo, naturalmente, ma era significativo.
Eravamo nel cantiere abbandonato. Quel cantiere dove tutto era iniziato e, in un certo senso, finito. Quello stesso cantiere dove per la prima volta avevo incontrato e al contempo perso mio padre. Quel cantiere dov’era iniziata la nostra guerra. Le luci soffuse dei lampioni lontani rendevano il luogo più tetro che mai, come se un sentore di morte ancora vi alegiasse sopra. Eppure, sentivo che era quello il luogo giusto. Era così che doveva essere…
<< Rachel…io vorrei…parlarti. >> azzardai. Parlare. Un eufemismo a dir poco sproporzionato. I suoi occhi si spalancarono per l’eccitazione, la sorpresa ela curiosità. << Ti ascolto. >>
Il cuore mi rimbalzava nel petto con forza insospettabile. Misi a forza la mia mano tremante dentro una grossa tasca dei jeans, cercando di attenermi ai programmi. E…ne estrassi una scatolina foderata di velluto blu. Mi avvicinai a Rachel, consapevole del suo sguardo stupefatto, e le presi una mano.
<< Buon compleanno, Rachel. >> esclamai, ma la voce m uscì come poco più di un respiro. I suoi occhi si spalancarono ancora di più. Io tossii, presi un respiro profondo e riprovai.
<< Buon compleanno, Rachel. Ecco il mio regalo per te, anche se non è sufficiente per dirti ciò che penso da tanto tempo. Io ti amo, e vorrei che tu fossi la mia fidanzata. >>

   
 
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