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Autore: Carla Marrone    25/01/2017    0 recensioni
Botan x Kurama, nulla di troppo evidente e per niente volgare. I due, semplicemente, si incontrano una sera, al chiosco di Yusuke e si parlano amichevolmente. Scoprono di avere qualcosa in comune, oltre al bisogno di andare oltre determinate barriere troppo formali che la società impone. Kurama avrà, inoltre, l’occasione di vedere un lato sconosciuto di Botan e, capitato al momento giusto, saprà porgerle una benevola mano.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kurama
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Kurama sbadigliò. L’ufficio era chiuso da un pezzo, ma lui se ne stava ancora lì. Tutti erano tornati a casa, alle loro vite ripetitive e monotone. 

Non che lui potesse vantare un’esistenza migliore. Da quando aveva cominciato a lavorare, nell’azienda del nuovo marito di sua madre, aveva trascorso tutti i suoi giorni più o meno alla stessa maniera. 

Era il primo ad arrivare e l’ultimo ad andarsene. 

Il suo “secondo padre” si fidava di lui a tal punto da avergli affidato, da subito, una copia delle chiavi dell’ufficio. Kurama, ad ogni modo, aveva presto dimostrato di meritare la sua fiducia. Aveva elaborato un nuovo sistema di analisi dei dati di produzione dell’azienda, più semplice ed intuitivo. L’aveva chiamato Kepler, come il nome del pianeta ai confini della nostra galassia, ritenuto il gemello della Terra, in quanto, scoperto abitabile. Possedeva un’atmosfera simile a quella terrestre, o, almeno, questo era quello che sosteneva Focus, la sua rivista preferita. 

 

Comunque, una volta introdotto Kepler nei sistemi operativi della ditta, lui era diventato il genio indiscusso del gruppo. Situazione-tipo, per i suoi standard. Tutti sapevano che sarebbe stato lui ad ereditare l’attività. Il suo nuovo fratello, d’altronde, s’interessava a tutt’altro. 

 

Smise, per un attimo di digitare sulla tastiera del computer e rifletté. “Chissà se anche su Kepler esistono i demoni?” Sorrise, rendendosi conto di quanto lontano l’avesse portato il suo flusso di coscienza. 

Basta, era ora di rientrare a casa. Non che fosse stanco, era un Akuma, dopotutto, ci voleva ben altro, per stancarlo. La sua fittizia vita da umano era noiosamente semplice, per lui. Il fatto era che sua madre si preoccupava molto, quando lui tardava troppo.    

 

Salvò le modifiche al documento su cui stava lavorando ed effettuò il logout. Abbassò lo schermo del computer e prese le chiavi, poggiate accanto alla targa col suo nome. “Signor Minamino”, recitava. Sorrise mesto. 

 

La notte precedente, gli era capitato di sognare sé stesso, nei panni di Yoko, mentre saccheggiava la villa di un re dei demoni. Quando si era svegliato, il bottino, però, non c’era.

In poche parole, gli ci era voluto un attimo, per fare mente locale e realizzare la situazione presente.

A volte, gli capitava.

Cinquecento anni trascorsi come demone-ladro, non erano facilmente rimpiazzati, da diciannove di vita da umano. 

 

Secondo sua madre, era ora di trovare una compagna. Meditò. Il lavoro l’aveva, dopotutto. 

 

Ma, era contento così. Non desiderava di più. 

 

Aveva una splendida famiglia, una casa accogliente, con un ampio giardino, la sua grande passione. A volte, quando nessuno lo vedeva, si divertiva a far crescere a dismisura le piante. Per poi riportarle, prontamente, a dimensione normale, prima di venire scoperto. 

Non si faceva mancare alcuni piccoli sfoghi di libertà. Quando c’era il plenilunio, si rifugiava tra i cespugli e riprendeva la sua forma originaria. 

Mai nessuno aveva sospettato della sua doppia vita. Era una volpe, dopotutto. 

 

Per questo motivo, si sentiva già abbastanza soddisfatto. 

 

Inoltre, le donne, umane o non, erano tutte uguali. Salvo qualche rara eccezione, rappresentata dalle ragazze liberamente ed apertamente folli. Quelle non mancavano di stuzzicare un po’ la sua fantasia. Ma, se si fosse presentato a casa, con una schizzata, avrebbe, indubbiamente, fatto strage di cuori. Nel senso che tutti i suoi familiari sarebbero morti d’infarto! 

Per tanto, aveva deciso di passare. Il treno dell’amore non l’avrebbe preso. Si trattava, probabilmente, dell’unica esperienza da umano che aveva scelto di precludersi. Inoltre, se avesse avuto una fidanzata, avrebbe potuto rischiare di metterla in pericolo. C’erano giusto un paio di “persone” che ce l’avevano a morte con lui… Avrebbero potuto rivalersi sulla sua donna, nel tentativo di colpire lui. E le donne umane erano decisamente deboli. Se avesse dovuto scegliersi una partner, sarebbe, come minimo, dovuta essere in grado di difendersi da sola. 

Non conosceva nessuna in grado di assolvere a tale compito, fra la schiera delle ragazze che gli erano andate dietro. 

 

Uscì e chiuse a chiave l’ufficio. Stranamente, quel giorno, non aveva voglia di tornare a casa. La routine cominciava un po’ a pesargli. Decise che, tanto per cambiare, avrebbe fatto qualcosa di diverso, qualcosa che non faceva da tempo. Sarebbe passato a fare un salutino a Yusuke e, magari mangiato una ciotola del suo ottimo ramen. Anche sua madre era contenta, quando mangiava fuori. Non l’aveva mai rimproverato, quando l’aveva fatto. Anzi, Yusuke le era simpatico, lo apprezzava e le faceva piacere fossero amici, con suo figlio. 

 

Anziché svoltare a sinistra, nella strada che lo avrebbe condotto a casa, tirò dritto. Non gli andava di prendere l’autobus, ma, in fondo, lui era un veloce camminatore. Si spostava con i mezzi, solo quando aveva davvero fretta. 

 

L’aria frizzante di quella serata limpida d’inizio primavera giovava ai suoi polmoni e ai suoi occhi, affaticati da una giornata d’intenso lavoro al chiuso. 

Respirò a pieno. 

Ancora due isolati e c’era. Allungò il passo.

 

Quando giunse al chiosco, scoprì che anche a Botan andava di mangiare lì, quel giorno. 

I tre amici si salutarono allegramente. 

“Anche tu ramen, stasera, vedo.” Fece con un sorriso, rivolto alla ragazza.

“Non direi solo stasera. Io qui sono praticamente ospite fissa!” Cinguettò lei, felicemente.

Yusuke sbuffò. 

“Allora, ti preparo il solito, signor Minamino?” 

“Volentieri.” Kurama ignorò, volutamente, l’ironia dell’amico. 

“Ti ricordi dei tuoi amici solo quando stai per svenire dalla fame, eh?!”

“Ho una faccia così famelica?” Kurama mimò un’espressione sorpresa ed ingenua.

“No, è lui che s’illude che il suo cibo sia il migliore di tutto il Giappone.” Sentenziò Botan.

“Non mi illudo. E’ così.” Replicò Yusuke, piccato. Poi, rivolto all’amico, aggiunse:- Torni adesso dal lavoro?-

“Già.” 

“E tu Botan? - Le parlò girato di schiena, senza alzare la testa. Stava mescolando il brodo dei noodles. - Ti sei resa utile in qualche modo, oggi, o sei scesa tra i comuni mortali senza motivo?” 

 

“Perché, venire a vedere te che lavori, mentre io me ne sto comodamente seduta ad insultarti, non è, forse, un buon motivo?” Strizzò gli occhi più volte. Kurama rise di gusto. Aveva sempre apprezzato la vena comica della ragazza. 

 

“Và all’inferno!” Yusuke la liquidò in poche parole.

“Veramente, sono diretta in paradiso, giusto adesso.” 

“Tsk.” 

Botan si alzò con uno scatto dallo sgabello ed annunciò con energia i suoi commiati:- Allora, siamo d’accordo, stasera offri tu!-  Prese ad allontanarsi di corsa. 

“Che cosa, quando ti ho detto che offrivo io? Botan, torna subito indietro, a pagare quello che ti ho cucinato! Mi hai sentito?!” 

Prima di svoltare l’angolo, la ragazza urlò un gioioso:- Metti tutto sul conto di Enma!- E se ne andò, a passo sostenuto. 

 

“Ma tu guarda quell’idiota. - Yusuke grugnì, gli occhi ridotti a fessure. - Ha anche lasciato qui il suo pacchettino.” Disse indicando un piccolo involucro bianco, poggiato sul bancone, con un cenno del capo.

“Sei sicuro sia suo?” S’intromise timidamente Kurama. 

“Sì, sono semi. - Sollevò il labbro inferiore, come a voler mostrare incertezza nel ricordare. - Mi ha detto che lì ha presi dal fioraio, giusto adesso. Io non posso lasciare il chiosco incustodito. Non è che, per caso, potresti…” 

“Non preoccuparti, ci penso io.” Kurama bevve in fretta l’ultimo sorso di brodo, pagò la cena ad entrambi, prese il pacchetto e si mise sulle tracce dell’amica. 

Non poteva essere andata tanto lontana. 

 

Come volevasi dimostrare era a pochi metri da lui. La vide di schiena all’ingresso del parco. Era ferma, la testa abbassata. 

“Botan.” Richiamò la sua attenzione, una volta che l’ebbe raggiunta. 

Quando la ragazza si voltò, uno strano luccichio sulle sue guance catturò la sua attenzione.

Stava piangendo. 

Kurama si preoccupò, era davanti ad una scena piuttosto insolita. “Botan, cos’hai? - Fece una pausa, durante la quale, provò a riflettere sulle possibili cause di una simile reazione, da parte dell’amica. Poi, credette di aver compreso. - Dai, conosci Yusuke. Più ti adora e più fa il burbero. - Sventolò una mano in aria. - Non dovresti dare peso alle sue parole.” 

La giovane dai capelli turchini si affrettò a passarsi una mano sulle guance, cancellando ogni traccia della sua sofferenza. Gli occhi ancora un po’ rossi. Poi, fece qualcosa che Kurama non si sarebbe aspettato. Rise. Non che la cosa dispiacesse al ragazzo. 

“Non è per Yu che piango. - Abbassò il capo e ponderò bene quanto stava per dire. - Sai, oggi ho accompagnato una mia cara amica nell’Oltretomba.” 

“…Capisco.” Minamino non sapeva cosa dire. Non se l’aspettava.

Fu lei a continuare il discorso. “Enma me lo dice sempre, che non devo lasciarmi troppo coinvolgere dagli esseri umani. - Guardò l’amico dritto negli occhi. - Ma io ci casco sempre.” 

Il suo sguardo si fece vitreo. “E’ che, a volte, è così difficile fare il mio lavoro.”

 

“Non si tratta di semplice lavoro, credo. Nel tuo caso si può parlare di vocazione. Hai come una missione nella tua vita.” Neanche Kurama sapeva perché aveva pronunciato quella frase. Non aveva, affatto, riflettuto, prima di farlo. Si trattava, forse, di ammirazione per la giovane?

 

Quando la giovane traghettatrice di anime poggiò la fronte sul suo petto, egli riuscì a stento a trattenere un sussulto. I due, pur essendo amici, non erano mai stati così vicini. Il demone dovette ammettere, con sé stesso, che la cosa gli creava non poco imbarazzo. Ma perché? Non era la prima volta che abbracciava un essere umano. Anche se Botan, di umano, aveva ben poco. Era una creatura del regno degli spiriti, anche se, momentaneamente, in forma umana. 

 

Il suo corpo agì per lui, senza dargli il tempo di riflettere sulle azioni che compiva. 

 

Sollevò una mano e la portò alla testa della ragazza. 

Lentamente, un pò per volta, cominciò a muovere le dita sul suo capo. Movimenti impercettibili e delicati. Era come se stesse cercando di rilassarla. Stava trattando il suo corpo come avrebbe fatto con un fiore pregiato. 

Non appena comprese l’analogia che la sua mente stava producendo, arrossì un po’. 

Rimasero così, per diversi minuti.

La situazione stava decisamente diventando troppo imbarazzante, per lui. Doveva darci un taglio. Ne sentiva il bisogno. 

“Hai scordato questi, al chiosco di Yusuke.” Fu la prima cosa che gli venne in mente. 

E funzionò. La ragazza si allontanò di qualche passo, un’espressione decisamente più sollevata sul suo volto. 

Prese il pacchetto che le veniva porto. 

“Grazie, non me n’ero accorta. Ma dove avrò la testa?” 

“Sei giù di morale, è comprensibile.” Kurama si rese conto di stare apprezzando molto il tentativo della traghettatrice di anime di apparire felice e su di giri, quando avevano cenato insieme. 

Era brava a nascondere le emozioni che non voleva mostrare. Ed era brava a proteggere i suoi amici dalla tristezza. Ma era altrettanto brava a farlo con sé stessa? Forse, era semplicemente parte della deformazione professionale. Il lavoro di Botan era, quanto mai, difficile. Ed insolito. Non c’erano molte ragazze come lei, in giro. 

 

La osservò, per qualche attimo, rigirarsi il pacchetto tra le mani, con aria compiaciuta. Era incredibile quanto poco bastasse per farle tornare il buon umore. Botan era sempre stata una ragazza allegra, dopotutto. 

 

“Yusuke mi ha detto che sono dei semi. Cosa vuoi coltivare?”   

“Voglio aggiungere questa varietà alla mia collezione di peonie.” Botan sorrise. 

“Davvero?” Kurama era decisamente incuriosito. Non gli capitava spesso di trovare altre persone con il pollice verde come il suo. La moderna vita frenetica ti allontanava sempre di più da tutto ciò che era naturale e non artefatto. 

“Sì, mi chiamano Botan perché coltivo peonie. Tutti abbiamo un, chiamiamolo pure, nome d’arte nel mondo degli spiriti.” 

“Non lo sapevo. Beh, funziona un po’ così anche nel regno dei demoni.” Kurama annuì un paio di volte. 

“Ho anche delle peonie della varietà Reikai. - Si portò le mani alle guance, un’espressione estasiata sul volto. - Sono strane, sai?! Sono capaci di rubarti l’anima, per qualche secondo, mentre le annaffi. La trattengono fra i petali per un po’ e poi, te la restituiscono. Me ne accorgo, quando lo fanno, perché, prima di dargli da bere, guardo l’orologio. Un piccolo trucco del mestiere. - Si coprì la bocca con una mano e sgranò gli occhi, come si fosse improvvisamente ricordata di qualcosa di essenziale. - Ah già. Cosa te lo racconto a fare? Sicuramente, tu lo saprai già. Ih, ih!” 

 

Kurama le sorrise, benevolo. “Sì, conoscevo questa tipologia di pianta. Anche io ho delle peonie, nel mio giardino. Non quelle che rubano l’anima, però. Tengo molto a mantenere invariato il numero dei membri della mia famiglia!”

 

Risero insieme. 

Continuarono a chiacchierare di fiori ed alberi ancora per diversi minuti, poi, lei si congedò. 

“Grazie, Kurama. Parlare con te mi ha davvero tirato su il morale. Adesso sto meglio.” 

“Figurati, quando vuoi.” Lei annuì.

“Adesso vado. Meglio che controlli se Enma sta lavorando.”

“Preparati adeguatamente alla battaglia.” 

“Sembra la frase di un videogioco d’azione. - Botan gli strizzò l’occhio. - E, invece, pensa, è la storia della mia vita!” 

Non c’era dubbio, era proprio una ragazza speciale. Ameno, così sembro a Kurama. 

 

Botan riprese la sua forma spirituale e, imbracciato il remo, decollò verso l’alto. Si volse, quando già era a mezz’aria, per salutarlo ancora una volta. Kurama ricambiò. 

 

Una volta a casa, andò in giardino. Non poté fare a meno di osservare le peonie. Uno strano formicolio, all’altezza del petto, lo informava che qualcosa in lui era cambiato. Aveva le mani fredde, eppure, provava una sorta di calore. Si ripromise di essere più gentile con Botan, quando l’avrebbe rivista. Neanche lui sapeva il perché. O, per meglio dire, il demone che era in lui, rifiutava di saperne il perché. 

 

Andò a prendere l’annaffiatoio e lo riempì d’acqua. Bagnò i fiori. Non c’era dubbio: le piante del mondo umano erano tutte uguali. Tutte egualmente belle, per carità. 

 

Ma, forse, lui era destinato ad altro. Forse, l’unico fiore che poteva possederlo, era quello che avrebbe saputo rubare la sua anima per qualche istante. Un ladro, esattamente come lui. Una volpe, come lui.

Kurama si stupì della stranezza delle sue riflessioni. Era come se non fosse più in lui. Forse, la peonia del Reikai se n’era andata, portando via la sua anima. 

   
 
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