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Autore: Amatus    25/01/2017    0 recensioni
C'era una volta e non c'è più una piccola repubblica stretta tra due fiumi. I suoi abitanti furono molte cose, sudditi, contadini, cittadini e briganti. Furono fortunati più di molti altri e si trovarono ad esser padroni di loro stessi in un tempo in cui solo i re lo erano. Questa storia non vuole raccontare cosa davvero accadde, per quello ci sono documenti e libri di storia, molti pochi, a dir la verità. Questa storia racconta attraverso molti occhi l'esperienza unica di un paesino di 300 anime. Racconta le possibilità, i sogni, le sconfitte. Racconta Cospaia.
[Questa storia partecipa alla Challenge Trasformazioni elementali indetta dal forum Torre di Carta]
Genere: Avventura, Introspettivo, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Epoca moderna (1492/1789)
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Lo Scalpellino

E' vero ho studiato. Nella mia giovinezza fui un giovane viziato, ricco e colto. Ma questo fu in un'altra vita, una vita sepolta lontano che vorrei poter dimenticare ma che torna a bussare alla porta ogni volta che il silenzio scende pesante su questo mio vecchio corpo.
Che se ne fa di un villaggio di duecento anime un uomo colto che teme il silenzio? Sarebbe facile dire che vi è stato costretto, ancor più facile comprendere che se lo sia scelto come castigo. Eppure da qualche anno il mio confino mi si è ritorto contro, non vi è più silenzio in queste strade, neanche quando uno lo desidererebbe per poter chiudere gli occhi e allontanare le fatiche del giorno.
Ma a Cospaia sembra che nessuno debba più dormire. Ad ogni ora e dietro ogni porta c'è sempre un crocchio di gente pronta a discutere, a parlare, a gridare e a far la pace. Questo villaggio di contadini si è trasformato in un foro in fermento e Dio solo sa quanto strenuamente ho cercato di sfuggire il foro nella mia vita.

I miei mi vedevano avvocato, erano pronti per questo a pagar fior fior di quattrini ed io ero abile nel spenderli tutti, lungi da me l'idea di smentirli.
Quando arrivai a Bologna però, le occasioni mi sembrarono infinite e studiar le leggi non era interessante quanto disquisire coi maestri in merito alle origini del mondo o alla natura di Dio. Mi lasciai affascinare da discorsi che aprivano davanti agli occhi di un giovane curioso, meraviglie sterminate. Avrei votato la mia vita al sapere, alla ricerca, alla conoscenza e perché no, a Dio. Ma i miei genitori non stimavano di gran valore il prestigio che viene dalla cultura e ancor meno dalla tonaca, erano affamati di gloria e successi ben più terreni, volevano un figlio da sfoggiare a Firenze per consolidare un nome di famiglia che faceva ancora storcere il naso ai nobili più eleganti e a coloro che potevano valutare con la purezza del sangue la propria nobiltà.
Scienze, filosofie e teorie avevano forgiato presto il mio cuore ma non certo il mio carattere e il cipiglio di mio padre mi aveva facilmente riportato sulla retta via. Diventai avvocato, mi feci forza pensando a chi mi aveva preceduto, pensai che il grande Cola di Renzo fu leguleio prima di divenire guida del popolo, pensai che Firenze poteva offrire a chi conosce la legge e si interessa di uomini, un terreno di ricerca vasto quanto e più di quello racchiuso in una polverosa biblioteca. Credetti per un poco di poter metter il mio sapere al servizio dello stato. Ma i fiorentini son gente gretta, chiusi a contar fiorini nei propri studioli bui, con occhi buoni sono a studiare il prossimo per leggervi inevitabilmente intenzioni maligne. E quelli che li governano non son certo da meno, essendo anzi campioni fra tutti per vizi, prim'ancora che per virtù.
La mia speranza infatti, fu presto sommersa da beghe meschine, gente che si accapigliava per un capro o una vigna ed io che volevo riformare lo stato, ero costretto a far da pacere tra mercanti truffaldini e nobili spietati.
Le voci dei maestri mi additavano nel mio lavoro giornaliero, sentivo il loro disdegno alimentare la mia frustrazione.
I mie genitori preoccupati si affannarono a trovarmi moglie, certi che questa avrebbe potuto rischiarare le mie giornate e placare la mia inquietudine. Mi presentarono un giorno una ragazza tanto graziosa da stregarmi. Era delicata e fresca come un fiore, i suoi occhi erano intelligenti e mi sfidavano a catturarne l'attenzione con l'arguzia più che con le lusinghe, a cui era avvezza e che anzi l'annoiavano.
Lo giuro davanti al cielo, l'amai con tutto me stesso. L'amai nell'unico modo in cui un giovane uomo innamorato della vita può amare una donna, in modo assoluto e disperato. Vissi solo per lei per sei intensissimi mesi. C'era solo lei nei miei pensieri, i miei studi non mi attraevano più, le giornate di lavoro trascorrevano lievi, i miei pensieri erano sempre e comunque con lei.
Devo ammettere che anche lei mi amava. Ma mi amava come una giovane di buona famiglia, che riconosce nell'amore l'unica possibilità che le verrà mai offerta nella vita, mi amò con parsimonia e lungimiranza. Quando io l'accusai di non amarmi nel modo giusto lei, per paura di vedermi andare via, mi amò a modo mio. Mi concesse il suo corpo come non avrebbe mai potuto concedermi il suo cuore, ma quello fece ardere in fretta il mio amore. Le meraviglie dell'amore fisico non mi erano nuove e la delusione che la realtà produce su un animo romantico gettò sabbia sul fuoco ardente.
Presto le giornate tornarono a farsi tediose e gli studi tornarono a richiedere la mia attenzione.
Il giorno delle nozze dovette essere anticipato, per celare alle genti volgari la fretta con la quale ci eravamo amati, ma quell'urgenza per me era scomparsa. Passai una notte insonne prima delle celebrazioni, attanagliato dall'orrore di una vita grigia e con l'animo stracciato dai sensi di colpa. Raccolsi infine i pochi fiorini che avevo nella mia stanza, il poco che avevo davvero guadagnato con il mio lavoro, lo misi in un sacchettino di seta e lo lasciai davanti l'uscio della mia amata.
Fuggii da Firenze mentre albeggiava. Provavo ribrezzo per me stesso, ma ne avrei provato altrettanto se fossi rimasto, e in ogni caso non avevo modo di evitare di rovinare due vite.
Fuggii e sperai nel destino, per la bella donna che avevo condannato alla rovina, più che per me stesso.
Ero solo e senza soldi, non avevo più un nome o una professione. Feci appello ai miei studi per sfuggire alla disperazione. Il Dio che un giorno avevo sperato di poter servire, non poteva essermi d'aiuto in quelle circostanze, avevo tradito tutti i suoi comandamenti e lo avevo fatto deliberatamente. Molti dei filosofi che avevo studiato facevano appello all'umanità dello studioso per essere compresi, e la mia viltà non me ne lasciava neanche un briciolo. Lo stoicismo, quello invece mi venne in aiuto. Mi ricordai di scritti antichi che non mi avevano mai davvero convinto ma che in questo momento calzavano come un guanto la mia vita.
Mi feci pietra per allontanare da me il rimorso e la paura, mi feci pietra per dimenticare di aver tradito una vita che poteva portare il mio spirito ad innalzarsi verso vette di sapere inesplorato, ma che la viltà aveva reso inerte e infruttuoso. Mi feci pietra e della pietra divenni servo.
Affamato e sull'orlo della disperazione, trovai un primo incarico in una bottega di uno scalpellino. Non dovevo far altro che spostare grosse lastre di pietra inizialmente, ma poi il livello più infimo della mia istruzione si rivelò il più utile. Saper leggere e far di conto non è un'abilità comune ed è molto apprezzata soprattutto negli ambienti più umili. Appresi l'arte vagando di bottega in bottega finché arrivai a Cospaia. Compresi di aver trovato il posto adatto per ritirarmi e iniziare a ripagare i miei crimini. L'espiazione non è un concetto molto stoico, ma avevo ben presto dovuto riconoscere che se Dio avesse voluto farci di pietra, non ci avrebbe dato un'anima. Non avrebbe avuto senso continuare a nascondersi. Mi fermai a Cospaia e accettai che il silenzio mi raggiungesse e agisse su di me come un boia spietato. Lasciai che il rimorso consumasse la mia vita, mentre giorno dopo giorno le mie mani lasciavano impresse nella pietra parole senza valore. Sembrava un giusto contrappasso per chi aveva avuto la possibilità di forgiare i cieli e l'aveva invece rifuggita per codardia.

Poi Cospaia si è trasformata. Mi sono tenuto lontano quanto ho potuto da tutto il rumore e il fermento, ma in fondo, le vie del Signore sono imperscrutabili, e io non voglio tirarmi indietro di nuovo.
Dopo dieci anni di anarchia la gente del posto agogna un po' di ordine, vuole un governo, vuole delle regole. Ha messo in fuga il curato ed ora brancola completamente nel buio.
Sono venuti da me una notte a chiedere consiglio, sanno che ho studiato, che so leggere e scrivere, credono che io debba avere le idee più chiare di tutti su come si governa una città.
Si dà il caso che abbiano ragione e che io abbia davvero le idee chiare su come si governa una città. Si dà il caso che io abbia immaginato la mia Repubblica, come un Platone dei nostri tempi. Ebbene eccomi qui ora, a trascrivere sulla carta ciò che il popolo sotto la mia guida ha deciso.
Il popolo, ha ascoltato, ha compreso ed elaborato, ed ora Cospaia, un villaggio miserrimo sperduto nel nulla, ha forse il governo più evoluto che mai l'uomo abbia visto realizzato.
Ogni famiglia avrà un seggio nel consiglio, il consiglio deciderà come amministrare i beni che appartengono a tutti. Verrà eletto uno tra gli anziani con il compito di armonizzare le decisioni e facilitare le discussioni. Non ci sarà distinzione tra uomini e donne, avranno pari dignità e pari responsabilità. Non vi sarà necessità di un esercito o di una forza di polizia, ciascuno sarà il guardiano del proprio fratello.
Tutto questo ho visto divenire realtà sotto i miei occhi. Cospaia, non è Firenze questo è certo, ma gli uomini son sempre uomini e se tutto questo dovesse persistere, allora gli studiosi di tutti i tempi avranno finalmente la prova che la natura dell'uomo è realmente intrinsecamente buona. Io in questo momento lo credo e se Dio mi lascerà morire prima che anche questa idea si infranga al contatto con la realtà, allora saprò per certo di aver espiato il mio debito e di essere rientrato nella grazia del Signore, di nuovo puro e innocente come un bambino.



Prompt: Spiritualità/Immaginazione


Terzo capitolo di questa strana storia. Scrivere di questo personaggio mi è piaciuto molto, ho un debole per i personaggi ambigui e spero di averlo reso al meglio.
La repubblica intanto prende forma, ci tengo a precisare che la forma di governo di cui parlo è reale, non avrà visto la luce grazie ad uno scalpellino un po' infame, ma secondo le carte che ci sono arrivate il governo era davvero in mano al consiglio degli Anziani e dei Capifamiglia che eleggeva un presidente e prendeva collegialmente le decisioni. Ogni carica era su carta accessibile a uomini e donne. Il non avere un esercito è limitato ai primissimi anni della repubblica. Andando avanti e arrivando attorno al 1700 credo che ogni cittadino di Cospaia avesse armi, e sebbene non vi fosse una vera e propri milizia organizzata non stupisce sapere che forze mercenarie difendevano i confini e il commercio. Ma a questo ci si arriverà con calma, se avrete la bontà di continuare a seguire questa storia.
Un grazie ancora una volta al forum LaTorre di Carta per aver dato vita alla challenge Le Trasformazioni Elementali, da cui questa storia prende spunto.
Grazie a chi legge in silenzio, preferisce, segue o ricorda. Grazie davvero.

   
 
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