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Autore: Nana_Osaki_    25/01/2017    0 recensioni
La vicenda, ambientata nell'Antica Grecia delle Poleis e dei conflitti tra Sparta e Atene, narra di una giovane schiava, le cui origini sono andate perse da generazioni, e di un giovane scultore senza apparente successo. In una vita dove il Fato gioca solo a sfavore di Eleuna gli Dei decideranno di cambiare le carte in tavola. Ciò che verrà fuori sarà bene o male?
Il genere della vicenda rientra in quello Tragico e si adatta agli antichi canoni delle Tragedie greche.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Eleuna

"Il coraggio dei vinti e la gloria dei vincitori dinnanzi ad un evento memorabile è ciò di cui necessita un vero Eroe, che sia un semidio o che sia nato da una donna non ha alcuna importanza. E se tali doti siano proprie di un uomo non sono poi così grandi doti, ma se gloria e coraggio stanno nel petto di una donna la carta deve far posto al suo nome. Ma ricordate questo: il passato talvolta è come un pesante fardello da cui vorremmo per sempre liberarci e non dà pace, perseguita e opprime, soffoca e sfinisce. Quando l’Eroe crederà di aver per sempre dimenticato si ripresenteranno i medesimi ricordi e lì, piegato sulle proprie ginocchia, cadrà."



E così scrisse l'oracolo su di un vecchio papiro riposto in un piccolo scrigno in legno, ricoperto da stoffe pregiate color rosso scuro e nero corvino, con venature in oro e argento che conferivano ad esso una certa importanza. Il vaticinio è stato dato dall'Oracolo di Delfi, noto per le sue grandi doti da indovino, si dice che sia infallibile tanto quanto la potenza degli dei olimpici. E tra le alte e massicce colonne doriche di quel tempio antico, costruito sulle vecchie rovine del tempio di Apollo, si cela una profezia che rimarrà nascosta negli anni e agli occhi onniscienti del tempo implorerà pietà.
Non so scrivere, non conosco altre lingue al di fuori del mio dialetto ma non mi è permesso usarlo, le mie corde vocali vibrano al comando del mio padrone e della mia padrona. Non conosco i miei genitori, non ho amici, non ho nessuna certezza nella mia vita... Anche il mio nome è un immenso e doloroso dubbio.
Poche sono le cose che mi sono concesse fare, una di queste è vivere, avere un tetto sopra la testa che mi protegga dai pericoli che gli Dei olimpici scagliano contro noi esseri mortali o per punirci o per metterci alla prova. Io non conosco il loro volere e non so che destino hanno in serbo per me, ma se nelle loro bocche la parola compassione è recitata non chiedo altro che sia composta per me.
La casa dei miei padroni è un continuo via vai di gente importante come poeti, scultori, aedi e filosofi. Tocca a me servirli e soddisfare i loro bisogni, ma ciò non mi dispiace poiché permetto alle mie orecchie di ascoltare il verbo, alla mia mente di ricordare storie e ragionare su parole che spesso e volentieri non mi sforzavo neanche di capire. Ogni tanto riuscivo a guadagnare qualche moneta ma essi non capivano che ogni grammo d'oro e d'argento che si trova tra le mie mani va e andrà sempre a finire tra gli avidi artigli di chi sta in alto a me.
La solitudine assale i miei giorni, le mie ore e i miei minuti, non ho mai provato altro sentimento al di fuori di questo... Se ciò non fosse vero non ne ho davvero memoria. 
Elèuna! Un'incessante voce chiama il mio nome a qualunque ora del giorno e della notte, con incessante foga e senza alcuna pietà mi vengono assegnati i lavori più faticosi e logoranti come se non avessi alcuna resistenza e soglia del dolore... Come se fossi un pezzo di carne sostenuto da ossa, pronto ad eseguire il volere di chi mi ha comprata.
Il sole, durante il meriggio, splendeva alto e batteva con violenza sul mio capo e su quello degli altri servi che a quest'ora erano nel pieno della loro giornata lavorativa. Non un lieve soffio di vento spirava quest'oggi tra i piccoli cunicoli di pietra della città e nella mia mente riuscivo solo a sperare di poter dissetarmi dell'acqua della fonte verso cui procedevo, portando con un'anfora di terracotta. L'acqua sgorgava dalla fonte e alimentava una vistosa fontana di una certa eleganza dipinta di colori sgargianti che trattenevano figure geometriche che con lo sguardo seguivo. Scorre limpida davanti ai miei verdi occhi che riflettano le lucenti venature e la libertà di quel liquido dissetante. La tocco e percepisco: fresca, fugace, dolce... È la libertà. Riempio la mia anfora senza troppa fretta, stando ben attenta a non far traboccare l'acqua della terracotta rossastra. Osservandola meglio riesco a notare il nero della cottura ed alcuni errori nei temi geometrici come un quadrato diverso dagli altri o un cerchio che assomiglia più ad un uovo. Mi vien da sorridere a notare l'imperfezione delle mani dell'uomo, mi fa sentire meno sola nella mia imperfezione. L'anfora pesa e le mie gracili braccia tremano al peso di questo oggetto. Ma non posso far nulla, non una lamentela, non una parola di troppo. Torno a 'casa', se così posso permettermi di chiamarla, ma come altrimenti? -Eleuna! Rapidamente...- La mia padrona, sottolinea con un tono di voce più forte e fastidioso "rapidamente", ma io rimango inespressiva -... Porta del vino ai nostri clienti- poi abbassa lo sguardo e osserva l'acqua chiusa tra le mie braccia ed improvvisamente esclama -Ma ancora qui?! Oh per gli Dei, l'acqua non serve più! Portala nelle cucine, sapranno loro cosa farne- Non ho parole da spendere neanche pensieri nella mia mente, fisso solo per qualche istante il mio riflesso sull'acqua. Se piangessi le mie lacrime salate si mescolerebbero con il dolce dell’acqua, ma la quantità sarebbe così minima che nessuno le percepirebbe. Sorrido e proseguo. Altri servi mi porgono le piccole anfore con il vino composto da due parti di acqua e una di vino, questo per permettere a chiunque lo beva di mantenere una certa lucidità. –A te, Eleuna!- mi dice Apòlones porgendomi il vino, il ragazzo aggiunge anche un occhiolino che un po’ mi aspettavo. E’ il più audace dei servi della famiglia, la sua schiena è coperta dalle cicatrici causate dalle fruste e dalle bruciature, ma lui riesce a vantarsene sostenendo di avere come una sorta di armatura composta da croste, pelle dura, calli e sangue coagulato; Io lo trovo piuttosto disgustoso ma per non farlo notare mi limito a sorridere.


 
   
 
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