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Autore: BellinianSwan    26/01/2017    0 recensioni
"Posò poi lo sguardo su di un ritratto che lo attrasse magneticamente con cieca irrazionalità. Vide due occhi neri fieri, apparentemente impregnati di uno scopo, di un mordente per cui vivere, allargò lo sguardo all'intera figura e si sentì ancora più solo al mondo, lei, chiunque fosse sembrava esperta dell'arte del vivere, quell'arte che era sempre stata refrattaria ad adattarsi alle sue sgradevoli sembianze. Eppure, uno sguardo più attento mise in luce gli angoli della sua bocca, carnosa e ben disegnata, leggermente piegati verso il basso, in un vano sforzo di resistere. [...] Sentì quella figura nel ritratto vicina, dannatamente vicina eppure distante anni luce, a causa di quella vaga luce che le ardeva negli occhi. Lei nonostante tutto aveva trovato un mordente, o forse indossava una maschera oramai divenuta un tutt'uno con il suo volto fiero."
- Gertrude Degl'Innocenzi è stata ispirata al personaggio protagonista del manga "La Rosa di Versailles", Lady Oscar -
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
Capitoli:
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"Si hanno due vite. La seconda comincia il giorno in cui ci si rende conto che non se ne ha che una."

Confucio
 

 

 

Si erano fatte le sette, si sentirono i rintocchi del grande pendolo del salone e Giacomo decise di tornare a palazzo Degl'Innocenzi per non far preoccupare il Visconte, per quanto riguardava Gertrude, la sua unica salvezza era fingere che non esistesse. Congedò Manzoni, Viesseux e Ranieri, con la viva speranza di incontrarlo di nuovo. Gli aveva lasciato una sensazione di tranquillità e di fiducia quell'uomo, seppur non sapesse spiegarsi razionalmente per quale ragione. Fece chiamare una carrozza, la stanchezza gli impediva di camminare, ma fortunatamente rallentava pure il flusso violento dei suoi pensieri. Il Visconte aveva già ordinato che la cena fosse pronta per allora. Non sapeva se e quando sarebbe tornato il Conte, quindi aveva fatto apparecchiare solo per uno.

- Ah, Conte! Buonasera! Com'è stato l'incontro?

- È stato alquanto gradevole anche se non mi sono sentito molto bene, ahimè...

- Perbacco, dite davvero?

Chiese il vecchio, con le orbite spalancate.

- Se volete andare a riposare, siete libero di farlo...

- No, no, non intendo lasciarvi cenare per vostro conto.

Gli rispose l'altro sperando che parlasse di Gertrude.

- Oh, figuratevi, mi sono abituato, ormai. Il Granduca le fa fare spesso la ronda di notte.

- Anche stanotte?

Azzardó il poeta.

- Eh sì, purtroppo.

- Immagino che la cosa desti in voi una certa preoccupazione...

Mormorò Giacomo sbocconcellando un tozzo di pane.

- Beh, fortunatamente non è mai sola.

Rispose il Visconte stentando un sorriso, poi riprese, facendosi serio:

- Vi vedo pallido, Eccellenza, vi consiglio di prendervi un po' di riposo al più presto. Non vorrei che la vostra salute si aggravi.

Ora Giacomo stava veramente male. Si sentì sull'orlo della disperazione.

- In effetti è poco prudente che una fanciulla si aggiri sola in ore tarde... 
Disse Giacomo cercando di mascherare il disagio. Non aveva compreso l'immotivato ed improvviso ritrarsi della fanciulla ed era stato proprio ciò a fargli prendere coscienza di quanto costei fosse diventata per lui una dolce e dilaniante ossessione.

- È da un po' che lo fa... e poi, non le può accadere nulla di grave. Le guardie sono aumentate, in questi anni.

- È l'unica fanciulla ad ogni modo, ed è circondata da uomini... non per accrescere la vostra preoccupazione, stavo ragionando pensando a mia sorella, non m'ascoltate...

Disse Giacomo portandosi una forchettata di broccoletti alla bocca. Non era mai stato particolarmente amante delle verdure, ma per non disgustare il Visconte, si sforzò di ingoiare quei bocconi che il suo povero stomaco cercava di rigettare.

- Oh, beh... è normale che chi le sia affezionato stia in pensiero per lei...

- Ma... in fondo le guardie sono solite comportarsi in modo irreprensibile, n'è vero?

Giacomo lo provocò sottilmente pentendosene subito dopo ma incapace di spegnere la morbosa gelosia che lo consumava. La voleva lì. Ora.

- Che intendete? Non vi seguo...

Chiese l'altro guardandolo corrugato.

- Che... beh anche le guardie sono uomini, no? Ma non importa, sul serio non formalizzatevi su codeste contorte elucubrazioni .

- Sì, sono uomini. Ma mia figlia sarebbe capace di renderli eunuchi senza neanche che se ne accorgano.

Sorrise quello, rassicurante. Giacomo rabbrividì in parte rassicurato, in parte spaventato dalla risposta brutale.

- Non ho dubbi sulle sue capacità difensive. - Ironizzò. - Ho avuto modo di sentire il profumo di quella rivoluzione di cui m'accennavate... mi auguro apra le porte a nuovi valori...

Alcide sorrise e rispose:

- Me lo auguro anch'io, Eccellenza. Ora, se potete perdonarmi, io mi ritiro. Ho avuto una giornata parecchio piena, quest'oggi.

Quando Giacomo vide il Visconte alzarsi, si mise in piedi, lentamente e dopo averlo scrutato abbassò lo sguardo e gli domandò:

- Visconte, nel caso una sera dovessi trattenermi fuori più del previsto, quali sono i luoghi che è solita pattugliare vostra figlia? Deduco siano i più rischiosi...

Disse senza trattenere l'imbarazzo, e il visconte, dopo che gli ebbe indicato le posizioni, si congedò, lasciandolo solo coi suoi pensieri. Abbassò lievemente il capo e rifletté per un momento, non era per nulla propenso a ritirarsi nella sua camera. Desiderava vederla più d'ogni altra cosa. Sentì un lieve rumore scuotere il portone. Il disagio lo abbandonò e senza alcun indugio si alzò per raggiungere in tutta fretta l'androne: stette in cima alla scala, per vedere il portone aprirsi.

- Andiamo, apriti!

Imprecò Gertrude spingendo contro il pesante portone di legno dopo aver attraversato l'ampio cortile interno. Spinse, cercando di non farlo cigolare. Sentiva la spalla prossima alla lussazione, a forza di combattere con le cerniere indurite di quel colosso. Aveva chiesto tante volte che si sostituissero, ma suo padre insisteva che andassero bene quelle. Riuscì ad aprire una delle due ante a metà e ringraziò il Cielo d'esser magra abbastanza da poterci passare. Giacomo poté finalmente vederla, seppur in controluce. I lievi raggi lunari che penetravano tra la pioggia le illuminavano d'argento i contorni. Era bagnata fradicia e gocciolante. Si tolse la feluca, che era stata foderata per proteggerne le piume. Le suole bagnate dei suoi stivali fecero un rumore secco a contatto col marmo del pavimento, mentre scavalcava il gradone che sollevava la porta da terra. Richiuse tutto spingendo con la schiena, pregando che non scivolasse. Si tolse il mantello dalle spalle. Sentiva freddo e l'unica cosa che voleva era starsene sotto le coperte. Sollevò lo sguardo, proprio mentre poggiava un piede sul gradino della scala che dava accesso al pianerottolo. Il poeta sentì il proprio cuore schiudersi, sciogliersi dalla morsa che lo aveva crudelmente attanagliato durante tutta la giornata di fronte a quella visione a dir poco celestiale. In cima al pianerottolo dal quale si dipartivano due rampe di scale che convergevano in quello stesso punto,  la accarezzò con lo sguardo, morendo sul suo esile corpo e sui suoi deliziosi contorni.

- Gertrude... - Mormorò sottovoce. - Ero tanto in pena per voi.

Gertrude non disse nulla, chinò nuovamente il capo sugli scalini e fece per superarlo con passo felpato.

Giacomo abbassò il capo vinto dallo sconforto.

- Io... non comprendo, Gertrude... e ciò mi uccide.

Le disse sperando di smuoverla. Lei, sentendo quelle parole si fermò e si voltò, furiosa.

- Oh, non comprendete?!

Cominciò sbeffeggiandolo.

-Voi... Voi siete la mia rovina, ecco cosa siete! - Ruggì contro di lui. - Venti fottuti anni di servizio andati a puttane! Per colpa vostra!

Gli si avvicinò e gli diede uno schiaffo.

- Continuate a non capire? Forse questo vi aiuterà. Scostumato!

E voltò i tacchi, allontanandosi velocemente e quando raggiunse la sua camera, si chiuse dentro e sospirò di rabbia, lasciando cadere il mantello sul materasso. Si abbandonò sulla sedia davanti allo scrittoio dopo essersi spogliata della giacca. Il poeta rimase immobile convincendosi che era tutto dannatamente assurdo e dilaniante più della sua stessa vita. Rimpianse la noia di Recanati e il sonnolento consumarsi della sua giovinezza. Non c'era più nulla ora. O forse quello era il principio di tutto. Le guance gli dolevano, mai quanto il cuore oramai fatto a pezzi ma ancora vivo, vivo abbastanza da lasciarsi trafiggere di nuovo. Dunque quella non era la normalità, dunque una felicità seppur velata esisteva... Inspirò a fondo e sentì l'orgoglio risalire le sue vene. Nessuno poteva permettersi di umiliarlo a quel punto. Si avvicinò alla porta di Gertrude.

- Aprite, dannazione.

Mormorò poggiando la bocca alla porta

- E perché dovrei?!

Urlò da dietro la porta.

- Adesso siete voi a mentire, voi a non capire nulla, ditemi Gertrude, quante facce avete?

- Voi non sapete nulla di me! Non ne avete il diritto!

- Nemmeno voi avevate il diritto di...

S'interruppe, non voleva dirlo.

- È stata una conseguenza di ciò che avete fatto. Tutto questo è una conseguenza! Statemi lontano!

- Abbassate la voce! - le intimò esasperato - Io non vi ho fatto nulla, fossi stato altra persona...

Si alzò dalla sedia e si appoggiò alla porta con la guancia.  

- Ah, non mi avete fatto nulla? E ditemi voi, allora, cos'era quel bacio di ieri sera. Non l'ho scordato, sapete?!

Disse con tono più basso, seppur rimanesse furiosa.

- Avete iniziato voi, nel bosco.

Le rispose imbarazzato.

- Non ha importanza. E ora andatevene. Sono stanca e ho bisogno di dormire.

- Per voi è tutto un gioco, n'è vero? Per quanto rimpianga la mia fanciullezza, non sono più nello spirito di giocare... per me la questione è chiusa per sempre. Addio.

Le sibilò sperando che lei facesse di tutto per trattenerlo. Proprio mentre stava per entrare nella propria stanza, si sentì la chiave girare nella serratura. Si voltò e vide Gertrude appoggiata alla cornice, con le braccia incrociate al petto, che lo fissava.

- Mi avete forse preso per una donna qualunque della mia età? Io non gioco più da almeno vent'anni. Non si resta fanciulli facendo una vita come la mia. Come ho detto, voi non sapete nulla di me.

- Eppure avete giocato con me, seppur senza rendervene conto. Sarebbe disonesto negarlo e non voglio credervi disonesta.

Mormorò immergendosi nei suoi occhi.

- Il gioco è finito nel momento in cui vi ho riportato nella vostra camera, Conte. Non ve ne siete accorto.

- Dunque lo ammettete che era un gioco. Santi numi per chi m'avete preso? - Mormorò con una punta di rabbia. - E' sempre stato un gioco, per voi, vi stavate burlando di me, ma arriverà un giorno che qualcuno farà lo stesso con voi, ve l'assicuro.

- Non mi sono mai comportata così con un uomo, sappiatelo. Non ho mai baciato le mani di un uomo, oltre che a quelle di mio padre, nonostante mi punisse ogni giorno. Non ne ho mai accarezzato il viso. Era un gioco, sì. Ma quando mi sono definitivamente resa conto che c'erano di mezzo i sentimenti, allora mi sono resa conto che ciò che voi chiamate gioco, mi stava facendo paura. Perché in quel modo non mi sono mai sentita. 

Giacomo abbassò lo sguardo, si sentì improvvisamente felice, ma non poteva dimostrarsi così manipolabile, rimase serio.

- E non avete paura di infrangere il cuore d'un essere umano?

-Sono abituata ad infrangere qualcosa di più grande, con le mie mani.

- L'abitudine di compiere un'azione non elimina la sofferenza che ne consegue.

Mormorò guardandola negli occhi

- Vedete, Gertrude, molte persone infrangono vite, oggetti, cuori solo per coprire il rumore della propria vita e del proprio cuore che s'infrange ogni secondo, con fratture sempre più insanabili. Non sto dicendo sia il vostro caso, non fraintendetemi, com'avete detto in precedenza, io non so nulla di voi...

- Cosa volete da me, Conte?

- Nulla... oramai. - Le rispose vagamente. - E lo scopo del vostro giuoco qual era, invece? Siate onesta, Viscontessina...

- Non sono per me i sentimentalismi, Conte.

- Non fanno nemmeno al caso mio, a quanto pare... tuttavia v'ostinante a non rispondere...

Disse con una punta di sfida nel tono di voce.

- Ho già risposto. Buonanotte, Conte. 

E gli chiuse la porta in faccia. Giacomo strinse debolmente i pugni, maledicendo quella porta che lo separava da lei. Si sentì piccolo e impotente. Gli occhi gli bruciavano, era molto tardi, si arrese all'idea di offrire un po' di riposo alle sue stanche membra. Riposo, perché di dormire non se ne parlava, la sua mente non gliel'avrebbe di certo concesso.

 

 

   
 
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