Note
autrice: “Chi vola alto è sempre
solo” è una citazione di Rudolf Nureyev.
FF quinta classificata la contest "Alone"
indetto da Saeko no Danna.
Prestigio.
Orgoglio.
Forza.
Potere.
Un unico nome per racchiuderle tutte.
Uchiha.
Ma che prezzo ha tutto questo?
Qual è il dazio da pagare per essere degni di rappresentare uno
dei clan
più importanti di Konoha?
Chi
vola alto è sempre solo*
Camminava
lungo la via principale del quartiere Uchiha, completamente assorto nei
suoi
pensieri, lo sguardo basso, il passo lento. Era così preso dai
suoi
ragionamenti da non sentire nemmeno i soliti sguardi degli altri membri
del
clan puntati su di sé.
Il genio degli
Uchiha, colui che
rappresentava al meglio il futuro dell'intera famiglia.
Non c'era giorno in cui non gli fosse ricordata l'importanza del suo
ruolo.
Non
c'era giorno in cui quel ruolo non gli succhiasse via
l'anima rendendolo semplicemente più vuoto.
Nulla
aveva più importanza che essere il migliore, il più
forte.
Tutto
perdeva valore davanti all'infinito potere racchiuso nei
suoi occhi.
Camminava mantenendo il capo chino, mentre i complimenti e gli elogi
che gli
erano rivolti dalle persone incontrate lungo il tragitto gli
scivolavano
addosso.
Osservava
i ragazzini per strada senza potersi sottrarre ai loro
occhi adoranti. Tutti avrebbero
voluto vestire i panni di Itachi
Uchiha. Gli
sguardi compiaciuti di parenti e conoscenti si
sprecavano al suo passaggio, non c'era membro del clan che non lo
conoscesse e
non apprezzasse le sue doti di ninja. E
chi non sarebbe orgoglioso di un ragazzo che a soli otto anni
padroneggiava già lo Sharingan e che, a tredici, era appena
stato promosso capo
della squadra assassina. Suo
padre ne
sarebbe stato sicuramente fiero. Eppure
mentre camminava verso casa, Itachi non riusciva ad
essere felice per quell’incarico così importante. Non
c’era nulla per cui gioire, nulla sarebbe cambiato nella sua
solitaria esistenza fatta di formidabili gesta e poche parole.
Certamente quella
promozione non sarebbe stata da meno. Ne
era convinto, anche quel traguardo gli sarebbe valso
unicamente le scarne parole che era solito pronunciare Fugaku Uchiha. Fin
da bambino aveva vissuto sotto i rigidi insegnamenti di
quell’uomo, per questo conosceva esattamente quale sarebbe stata la sua
reazione. Era
stato allevato per essere una perfetta macchina da guerra,
non certo per essere elogiato o per perdersi in quelle insulse
banalità
chiamate complimenti. Cancellare
i sentimenti, sopprimere ogni emozione, ecco ciò che
gli era stato insegnato. Tutto
ciò che rende deboli doveva essere eliminato, persino le
carezze e i baci di una madre, persino le parole d’affetto di un padre. La
voce allegra di un bambino catturò la sua attenzione e in un
istante si ritrovò immerso nei ricordi, a quando da bambino,
ingenuamente,
desiderava confondersi nella massa di ragazzini urlanti che usciva
impetuosa
dal portone dell’accademia per gettarsi fra le braccia dei loro
genitori
sorridenti. Peccato
che lui non avesse mai fatto parte di tutto ciò: quello
non era certamente un comportamento consono ad un membro del clan
più
prestigioso di Konoha. A
nessuno, nemmeno a suo padre, importava quanto lui
silenziosamente desiderasse essere semplicemente uno di loro e non
“Itachi Uchiha,
il genio”. Perché almeno per una volta avrebbe voluto fiondarsi
fuori, correre
a perdifiato per gettarsi fra le braccia di sua madre oppure essere
accolto da
un caloroso sorriso di Fugaku. Invece… Che
stupidaggine,
non è certamente ciò che ci si aspetta da un Uchiha… Crescendo
aveva imparato a convivere con il peso delle sue
responsabilità, aveva compreso quanto l’apparenza fosse
importante per
mantenere il prestigio e, soprattutto, quanto suo padre ne andasse
fiero. Col
tempo aveva persino creduto che quella fosse anche la sua strada. Essere
un genio. Guadagnarsi
il rispetto di tutti. Diventare
il più forte. Per
suo padre, il
suo eroe. Essere
apprezzato e riconosciuto. Guadagnarsi
con la forza il diritto di essere un Uchiha. Diventare
un esempio. Anche
per il
piccolo Sasuke. Aveva
un sacco di buoni propositi Itachi, ma più il tempo
passava, più le sue abilità crescevano e più
intorno a lui si materializzava il
vuoto. Man
mano che raggiungeva i suoi obiettivi, a ogni missione
portata a termine con successo, a ogni promozione o riconoscimento, le
persone che
prima lo attorniavano con sguardi carichi di ammirazione scomparivano. Invidiato
e
temuto dai suoi coetanei. Ancora
troppo
piccolo per gli adulti. Da
diverso tempo si era reso conto di vivere in una specie di
limbo, di non appartenere a nessuna categoria. Inadatto
ad essere un ragazzino: troppo abile, troppo forte,
semplicemente troppo “genio”. Immaturo
per essere un adulto: troppo inesperto, ancora troppo
giovane. Per
quanto venisse guardato con approvazione da ogni membro del
clan, si ritrovava sempre solo: evitato
dai ragazzi, forse per la naturale competizione
esistente fra ninja, usato dagli adulti. Per
questo era giunto alla conclusione che nessuno conoscesse
realmente Itachi Uchiha, o meglio, a nessuno importasse chi fosse o
cosa
provasse Itachi Uchiha. Per
tutti lui era semplicemente uno strumento, un’arma e ciò che
lo rattristava maggiormente era il fatto che questa considerazione
valesse persino
per la sua stessa famiglia. Per
quanto il suo potere, le sue capacità e il suo ingegno lo
rendessero capace di affrontare qualsiasi nemico, di superare qualunque
difficoltà, a quel genio mancava qualcosa di fondamentale:
l’affetto. Aveva
accettato le conseguenze dell’essere il migliore, eppure
quel giorno non riusciva ad ignorare quel leggero velo di tristezza che
annebbiava i suoi pensieri. Strinse
le mani con forza, conficcando le unghie nella carne
sino a ferirsi. Era
stanco di essere quello che gli altri volevano, stanco
d’interpretare un ruolo, stanco di quella stupida maschera inespressiva
che suo
padre l’aveva obbligato ad indossare, stanco di tenersi tutto dentro,
d’ingoiare e sentirsi solo. In
quel momento avrebbe dato qualunque cosa pur d’essere libero. Libero
dal
clan, dalle sue stupide ed obsolete regole. Ma
essere il
migliore ha il suo prezzo… Varcò
la soglia di casa e trovò Fugaku ad attenderlo nel
corridoio d’ingresso. Fissò
il suo volto per qualche istante, con la speranza di
scorgervi qualcosa di diverso dalla solita facciata, attendendo il
commento
alla grande notizia. -
Sono fiero di te, Itachi – Ed
ecco la previsione avverarsi. Nessuna
parola d’affetto, il solito tono inespressivo e
distaccato. Nessun
sorriso. Da
quando gli
Uchiha sorridono? I
suoi occhi osservarono per qualche secondo la schiena
dell’uomo che si stava già allontanando senza riuscire a
spiegarsi il perché
desiderasse che quest’ultimo si voltasse. Si
ritrovò a stringere nuovamente i pugni, in un gesto istintivo
e privo di senso. Ma
questa volta la rabbia durò solamente un istante, cancellata
dalla consapevolezza della banalità di quello stupido desiderio
perché nulla
aveva importanza se non il fatto che lui fosse il migliore, tutto
perdeva
valore davanti all’infinito potere racchiuso nei suoi occhi, persino
l’affetto,
persino la sua famiglia. Un
sorriso beffardo si dipinse sul suo volto. Essere
un ninja significa cancellare le proprie emozioni e lui,
a soli tredici anni, era già diventato capo della squadra
assassina, questo
voleva pur dire qualcosa. Chiunque
desiderava essere al suo posto, avere le sue capacità e,
se dopo amici e parenti, anche suo padre si allontanava da lui, se
persino
Sasuke, a modo suo, lo odiava, non doveva rattristarsi, perché
quel vuoto era
semplicemente la naturale conseguenza della conquista del suo
traguardo. Aveva
raggiunto livelli inauditi, era arrivato
in alto, così in alto tanto che
ormai nessuno riusciva più a sostenere il paragone con lui. Nel
momento in cui Fugaku si era voltato dandogli le spalle
aveva raggiunto la consapevolezza d’aver
superato anche l’ultimo ostacolo. Perché
essere
Itachi Uchiha significa essere il più forte. Doveva
essere soddisfatto di quell’emarginazione, chi vola
alto è sempre solo* poiché tutti lo temono. Se
quello era il prezzo del potere e , soprattutto, se proprio quel
potere fosse riuscito a donargli la libertà da quello stupido
clan che lo stava
soffocando, Itachi Uchiha era disposto a pagarlo. Fine Angolo
dell'autrice: Ed ecco il
giudizio: Correttezza
grammaticale: 8,7/10 punti Alla prossima^^ Neji4ever
Futili, scontati e
soprattutto vuoti,
proprio come lui.
Chiunque avrebbe voluto essere al suo posto, qualunque suo coetaneo
desiderava
ardentemente essere lui, anche solo per un giorno.
Tutti tranne lui.
"Essere il migliore porta a essere isolati" gli aveva detto un
giorno suo padre "E' normale, tutti temono chi è forte. E' il
prezzo del
potere...".
Aveva costatato sulla sua pelle la veridicità di
quell’affermazione.
Libero da quel
morboso
attaccamento al prestigio.
Libero da
quella dannata sudditanza nei confronti del padre.
Libero dall’essere obbligatoriamente il più forte, il
genio.
Libero di
essere
semplicemente Itachi.
Innanzi tutto un grazie alla nostra super efficiente giudicessa.
Il contest si è chiuso ieri sera e stamattina c'erano già
i risultati... Saeko sei incredibile!
E complimenti per i bannerini, il mio lo trovo mooooolto bello^^
Solo qualche errore di distrazione. Per il resto, scorrevole e fluida,
concisa ed esauriente.
Attinenza alla traccia: 4/5 punti
Ti ha penalizzato un po’ il citare i saluti, gli sguardi e amici e
parenti stessi, poiché così facendo li hai inseriti nella
storia, non ne hai solo parlato indirettamente. Per il resto, un ottimo
esempio di solitudine.
Caratterizzazione del Personaggio: 10/10 punti
Mi è piaciuta questa visione di Itachi. Dapprima triste
perché avrebbe voluto semplicemente essere se stesso e avere
degli amici, poi risoluto quando comprende che l’unico modo per esserlo
è isolarsi.
Originalità: 3/5 punti
Buona l’idea, originale il carattere di Itachi, meno originale la
scelta di lui come personaggio, purtroppo. ^^’’
TOTALE: 25,7/30 punti
Giudizio
Voglio ribadire che la caratterizzazione di Itachi mi ha molto colpita.
Nelle altre fan fiction che trattano della sua solitudine – argomento
usato e strausato, visto più volte anche in questo contest – si
parla di Itachi soprattutto come una persona triste.
Tu, invece, hai mostrato come lui abbia capito che l’unico modo che ha
di essere felice è, in un certo senso, essere solo.
Bellissima idea. Brava. ^.^