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Autore: Untraveled_road    28/01/2017    1 recensioni
C’è qualcosa, nel modo in cui alzano i calici, che lo fa sembrare al tempo stesso il primo e l’ultimo giorno sulla terra, è qualcosa negli occhi di tutti i ragazzi, perché in fondo vengono tutti dallo stesso abisso.
E' davvero possibile tornare a casa, a guerra finita?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Octavia Blake
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 [ Sì, il titolo non è dei più originali. No, non è voluto. L'ho solo trovato appropriato.]
 [ No Ship-centered: ho cercato di mantenere il più possibile lo stesso spirito della serie. Spero di esserci riuscita. Potete vederci qualche accenno di Bellarke se volete, come anche no. ]

HOMECOMING

 

"Potessi morire anche adesso

poiché non ho potuto all'amico portar soccorso in morte;

molto lontano dalla patria è morto.

Io gli sono mancato, difensore del male.

E ora, che in patria non devo tornare mai più,

che non fui luce per Patroclo, né pei compagni,

per gli altri, molti son stati uccisi da Ettore luminoso,

siedo qui presso le navi, inutile peso della terra,

io che son forte quanto nessuno dei Danai chitoni di bronzo in guerra."

 

Omero, Iliade, Libro XVI

 

 

È strano, ma è solo quando rientrano ad Arkadia che il senso di perdita si fa così opprimente da farli ammutolire tutti di colpo. Eppure lo stesso Rover su cui viaggiano, che si ferma in un cigolare di sospensioni in mezzo al fango, li aveva portati via da lì l'ultima volta. Non era passata una vita, ma in qualche modo lo sembrava. Avevano salutato quel posto dando l'addio a Lincoln e a Sinclair, eppure nella struttura ricavata dai rottami dell'Arca non sembrava rimasta traccia della devastazione di cui era stata testimone. La scritta Arkadia in ferro battuto era lì come a dir loro che potevano sentirsi a casa, come a dire che erano finalmente al sicuro dopo Polis e la Città della Luce e la minaccia nucleare, eppure Bellamy sentiva di non essersi mai sentito meno a casa di così.

Tira il freno a mano e si volta a guardare i suoi compagni di viaggio: Kane, impossibilitato a guidare perché ancora non ha recuperato del tutto l'uso delle mani; Abby, che sul sedile posteriore rivolge un sorriso nervoso a una Clarke ancora pallida e provata dall'esperienza col sangue nero di Ontari. Miller e Brian si scambiano un'occhiata molto simile, stringendosi le mani sul bordo del sedile come a farsi forza. Sul fondo del fuoristrada, Murphy ed Emori sono gli unici che parlottano a bassa voce. Per loro è diverso: Arkadia non è mai stata casa loro. Forse riescono davvero a vederla come un posto sicuro.

« Che c'è, Bellamy, non riesci a parcheggiare?»

O forse Murphy è semplicemente troppo Murphy per capire.

Bellamy scambia un'occhiata con Kane, o, per meglio dire, con il nuovo Cancelliere. La prima mossa del Popolo del Cielo era stata scegliersi un nuovo capo, dato che il Cancelliere in carica, Pike, era morto. Kane era stato eletto praticamente all'unanimità, anche se lui naturalmente aveva dato il proprio voto ad Abby. Bellamy approvava ma, memore di ciò che era accaduto l'ultima volta che aveva acclamato un cancelliere, stavolta aveva tenuto le mani ben strette nelle tasche.

Per qualche motivo a Kane importa ancora di lui, nonostante lui abbia provato a mandarlo a morte, nonostante gli insegnamenti che ha cercato inutilmente di fargli entrare in testa. Sembra che il momento in cui Marcus si è risvegliato dal chip con le mani strette intorno alla gola di Bellamy abbia creato una sorta di legame tra loro.

Il Cancelliere fa un cenno affermativo con la testa e i ragazzi aprono le portiere, pronti a scendere. Abby si offre di sorreggere Clarke, ma la figlia rifiuta con un sorriso, quasi con aria di scusa. C'è qualcosa di diverso anche nel modo in cui Abigail Griffin guarda la ragazza che veste ancora i colori e gli abiti dei Trikru di Lexa. C'è ammirazione, certo, e rimpianto per l'innocenza persa troppo presto, ma non è solo quello. Bellamy conosce bene quell'espressione, perché è la stessa che gli rivolge Kane, ma è anche la sua. Senso di colpa. Il chip di Alie avrebbe fatto dimenticare ad Abby la sua famiglia ed il suo passato, ma in nessun modo ora le è permesso dimenticare di essersi lanciata nel vuoto appesa ad un cappio sotto gli occhi di sua figlia. In qualche modo la prima eredità di Alie non è la minaccia nucleare, ma il senso di colpa.

Cazzate.

Bellamy scrolla le spalle. Per quanto riguarda lui, il suo senso di colpa non ha nulla a che vedere con Alie, con il chip. È soltanto suo.

(Ricorda come il suo passo su quello stesso fango fosse più pesante mentre portava in braccio il corpo senza vita di Lincoln)

Kane gli stringe un braccio « Andate a riposare. Prendetevi il vostro tempo. Possiamo aspettare stasera.»

Bellamy vorrebbe rispondere che per lui possono anche aspettare per sempre, ma qualcosa nello sguardo degli altri lo fa desistere.

Sulla porta dell'hangar li aspettano i loro amici, in piedi, qualche passo indietro, Jasper in stampelle. Raven si stacca dal gruppo e nonostante il dolore e la zoppia investe Clarke con un abbraccio. La bionda, presa alla sprovvista, barcolla per un attimo, poi ricambia la stretta. È l'abbraccio di due amiche, di due rivali, di due ragazze che riconoscono ognuna la grandezza dell'altra. È un abbraccio pieno di ammirazione e Bellamy riesce a vedere come il viso di Clarke, sopra la spalla sana di Raven, si distenda in un sorriso commosso, ad occhi chiusi. Raven le mormora qualcosa che lui non coglie e Clarke si stacca dall'abbraccio, come a volersi sincerare che l'amica stia bene. Si stringono ancora gli avambracci quando Clarke ringrazia Raven per la sua dedizione ed il suo lavoro. Sono entrambe commosse e a tutti i presenti scappa un sorriso, persino a Murphy, anche se nel suo caso non perde l’aria di scherno. È la prima cosa veramente bella e pulita che molti di loro vedono da tempo.

Raven scambia qualche battuta con Abby sul fatto che non vede l'ora di essere sgridata dal suo medico preferito, poi Bellamy supera di slancio la distanza che lo separa dal meccanico e di impulso la abbraccia. Questa volta è Raven ad essere colta di sorpresa, e ride mentre ricambia la stretta, ride con le lacrime agli occhi scherzando sul fatto che Bellamy Blake abbia dei sentimenti. I contatti tra loro sono sempre un po' strani, sanno sempre un po' troppo della stretta in cui lui ha cercato di raccoglierla mentre urlava disperata alla morte di Finn e un po' troppo di quella notte passata insieme cercando di fare a gara per dimostrare che a nessuno dei due gliene fregasse niente. Ma in quel momento non c'è più nulla di tutto questo, c'è solo Raven che ha riconosciuto il dolore negli occhi di Bellamy e lui che le dice come non avrebbero potuto farcela senza di lei, l'unica a combattere il chip, l'unica a fare del suo dolore il meglio che potesse: una motivazione.

« Anche voi siete stati grandiosi» dice lei alla fine, spostando lo sguardo sul resto del gruppo, trasalendo quando vede Murphy. « Lui? Nessuno se l'è ancora preso?»

« A dire il vero, bellezza, c'è stato un momento in cui sono stato conteso da ben due bellissime guerriere» risponde lui, sfrontato come sempre. Raven sbuffa, mentre fa strada al gruppo verso l'hangar, dove si fermano per salutare Monty, Jasper e Harper. I volti degli amici testimoniano quanto la guerra abbia lasciato anche dentro di loro e, mentre gli passa accanto, Clarke allunga la mano e stringe la spalla di Monty, pensando che anche lei ha rischiato di perdere sua madre per colpa del chip, ed è solo stata più fortunata dell'amico. Lui le rivolge un sorriso tirato, che non raggiunge gli occhi: è il massimo che può fare per mostrarle che ha capito.

Mentre Kane e Abby prendono un’altra direzione, discutendo, Raven stringe nervosamente le mani l’una nell’altra, mentre cerca di sorridere nel modo più naturale possibile. Ovviamente gli occhi lucidi, i capelli scomposti, le occhiaie violacee raccontano un’altra cosa, ma sta cercando davvero di dare a tutti il bentornato a casa mentre dice: « Beh, abbiamo pensato di occupare la mensa e tenercela tutta per noi. I ritorni vanno festeggiati. » Cerca sostegno in Harper, che annuisce, anche lei cercando di sorridere e di sembrare il più convinta possibile.

« Perché no? Tanto a breve non ci dovremo più preoccupare delle provviste. » dice Murphy dalle retrovie. A Bellamy dispiace così tanto che voglia rovinare il tentativo in cui Raven sta profondendo così tanto impegno che, nonostante i progressi che il loro rapporto ha registrato a Polis, gli viene voglia di dargli un pugno in faccia. Fortunatamente Emori lo rimbecca al posto suo, ma intanto il danno è fatto.

« E’ un’ottima idea.» concorda Clarke cercando di sdrammatizzare. In effetti non ha nessuna voglia di vedere altre facce, di rispondere ad altre domande. Vuole solo chiudere gli occhi e far finta che sia davvero tutto finito, che sia davvero tornata a casa, nonostante la memoria di Lexa le irrompa ancora dietro le palpebre chiuse, Lexa così come l’aveva vista l’ultima volta nella Città della Luce, bellissima e, ancora una volta, pronta a scommettere tutto su di lei. Nonostante la minaccia nucleare.

Bellamy la guarda un attimo più del dovuto, come pensando che nessuno se ne accorga. Sta cercando di capire se stia bene come vuole far credere, se stia cercando di non cadere in pezzi. La risposta la conosce già, ma certe volte guardare Clarke è come guardarsi allo specchio, uno specchio d’acqua gelida al termine di un salto di sette metri. Il modo in cui sta convivendo con il suo senso di colpa e con il suo senso di perdita dicono così tanto anche di lui che al tempo stesso è difficile distogliere lo sguardo ed è difficile pensare di riflettersi in quegli occhi chiari.

La sorpresa organizzata da Raven e dagli altri, come prevedibile, finisce per coinvolgere più le scorte di alcolici che quelle di cibo in senso stretto. Bellamy si rende conto che non è l’unico a tenere d’occhio Jasper, ma il ragazzo sembra cavarsela. Anche i suoi occhi sono cerchiati di scuro, e ogni tanto è come se un’ombra sfuggente se ne impossessasse, ma è presente, lo è davvero. È proprio l'ombra che passa nel suo sguardo a tratti, la stessa che pesa sulle spalle di ciascuno in modo diverso, che fa capire loro che non c'è via d'uscita semplice al dolore, non ci sono chip né Città della Luce, c'è solo la possibilità di sopravvivere al dolore convivendoci, sopportando, trasformandolo. Il peso delle assenze è impossibile da ignorare, in alcuni momenti lo è spaventosamente - come non sentire la mancanza di Octavia quando decidono di abbandonare tavoli e panche e sedersi tutti intorno al fuoco? Octavia. Lincoln. Lexa. Sinclair. Hannah Green. Maya. Gina. Monroe. Wyck. Finn. West. L'elenco potrebbe andare avanti, ma ognuno ha qualcuno su cui piangere. Chi è particolarmente sfortunato non è la prima volta che perde qualcuno, ma quella guerra su più fronti li ha fatto sentire sfiniti e vulnerabili come non mai, per poi risputarli fuori ad affrontare un avversario del tutto fuori dalla loro portata. Come per una beffa. Essere sopravvissuti alle radiazioni, ai terrestri, a Mount Weather, ad Azgeda, ad Alie solo per ritrovarsi minuscoli davanti a un pericolo che è nella stessa aria che respirano. C’è qualcosa, nel modo in cui alzano i calici, che lo fa sembrare al tempo stesso il primo e l’ultimo giorno sulla terra, è qualcosa negli occhi di tutti i ragazzi, perché in fondo vengono tutti dallo stesso abisso.

« Di cosa credete che voglia parlare Kane all'Assemblea? » chiede Raven con voce tranquilla ad un certo punto. Immagina già di rimettersi a lavorare, le occhiaie più evidenti che mai.

La domanda è rivolta soprattutto a Clarke, in quanto leader, ma la ragazza si morde il labbro e si volta verso Bellamy. Non è a lei che spetta dare quella risposta, ed infatti è lui a sputarla fuori, una sola parola che rotola fuori e rimane lì sospesa.

« Octavia.»

Il ragazzo butta giù l'ultimo sorso di birra e riprende, senza alzare lo sguardo. « Pare che qualcuno non sia stato molto contento del fatto che abbia ucciso Pike. Quelli della sua Stazione vogliono un processo.»

« Non ce la vedo Octavia a tornare per il processo. » commenta Jasper. Ricorda quando l'ha vista entrare nella stanza di Lincoln alla ricerca del diario, annusare quella giacca che tanto aveva odiato solo per respirare il suo odore, distruggere tutto in un impeto di rabbia, ma poi raddrizzare la schiena e andare avanti senza più cedere.

« A loro non importa. La processeranno lo stesso.»

E anche se fosse qui, non le importerebbe di difendersi. Sarebbe orgogliosa di quello che ha fatto, e non farebbe altro che sbatterglielo in faccia.

« Non è giusto. Non avrà nemmeno il diritto di difendersi!» commenta Harper con veemenza.

« Oh, i nostri tribunali sono così famosi per dare a tutti il diritto di difendersi.» commenta Murphy, sarcastico, versandosi ancora da bere.

« Okay. Non è questo il punto.» Clarke cerca di calmare le acque. Dopo la città della luce, dopo che lui l’ha tenuta in vita pompando il sangue di Ontari nel suo corpo a mani nude, si sente meno dura nei suoi giudizi nei confronti di John Murphy, ma questo non lo autorizza ad essere una spina nel fianco per tutto il gruppo. Non quando la gamba di Raven è ancora ingabbiata nel tutore per colpa sua.

« Sono sicura che Kane non vorrebbe questo. Voglio dire, è stato mandato a morte insieme a Lincoln.» interviene Miller « Ha beneficiato più di altri dell’aiuto di Octavia. Non vorrà condannarla.»

Se Bellamy alzasse la testa si accorgerebbe del modo in cui Clarke lo sta guardando, con la stessa espressione preoccupata che lui le ha riservato poco prima. Ma non ha alcuna intenzione di farlo, non mentre parlano delle condanne a morte che praticamente è stato lui a firmare. Nessuno lo dice, perché nessuno sembra volerlo incolpare, ma cambia davvero qualcosa? Importa davvero qualcosa?

« Kane non deciderà nulla. Si atterrà al voto dell’assemblea, perché è troppo corretto per fare altro.» dice alla fine, e per un attimo nessuno risponde mentre si rendono conto che è così. Marcus avrebbe messo la sentenza ai voti, avrebbe fatto in modo che a decidere fossero gli amici di Pike, gli orfani della sua Stazione, le persone che lui aveva cercato in qualche modo di aiutare e di consigliare. I suoi ex alunni della classe di Competenze Terrestri.

« Non credo che vorrebbero davvero condannare Octavia. Voglio dire, è Octavia!» Jasper ha perso ogni interesse per il bicchiere mentre cerca di argomentare, difendendo l’amica con veemenza. « Ha sempre combattuto per tutti, non si è mai risparmiata. Non ha mai messo la sua sopravvivenza davanti alla nostra.»

Il discorso di Jasper raccoglie numerosi cenni di consenso, e lui sta quasi pensando di proporre di ripeterlo davanti all’assemblea, quando Bellamy risponde, in tono monocorde: « Ha ucciso Pike a sangue freddo. Ha cercato di sabotarci quando avevamo bisogno di lui. Ha ucciso per vendetta. Non lo accetteranno mai.»

Ha ucciso lui perché ha premuto il grilletto, ma avrebbe ucciso anche me, se avesse potuto. Per un attimo è troppo e Bellamy sprofonda la testa tra le mani. Quando riemerge gli altri stanno processando la sua ultima frase, il discorso di Jasper già accantonato.

« Se ci pensi in questo modo, quello che ha fatto non è giusto.» dice Raven alla fine. « Se avessi fatto ciò che ha fatto lei, Clarke non sarebbe qui ora.» rivolge un sorriso di scuse all’amica, che però sa che si tratta della verità. Anche se al momento dell'esecuzione di Lincoln Raven era troppo presa dal suo chip e dalla sua alienazione per essere pienamente consapevole di ciò che le accadeva intorno, quel che dice ha senso. Lo ha soprattutto per Jasper, che fissa Clarke di sottecchi.

« Era diverso!» sbotta Bellamy, fa quasi per alzarsi in modo da sovrastare la stessa, minuscola ragazza che poco tempo prima era corso ad abbracciare. Clarke gli appoggia una mano sull'avambraccio, un gesto gentile ma deciso. Le sue dita stringono il tessuto rigido della giacca e c'è un momento di stallo in cui rimangono a guardarsi. Clarke non molla la presa e Bellamy, senza pensarci, si aggrappa alla sua stretta, stringendole il braccio a sua volta.

« Non lo era. Lo sai. » gli dice guardandolo da sotto in su. « Ma siamo tutti dalla parte di Octavia qui. Lo siamo?»

Gli altri rispondono di sì in maniera diversa, e con tempi diversi, chi da subito con voce squillante, chi lo mormora come Raven, chi lo borbotta tra i denti come Murphy, chi alla fine lo dice guardandolo negli occhi e assicurandosi che lui senta la sua voce dirlo. Clarke.

*

Kane espone i fatti in maniera scarna, stanca, senza alcuna particolare enfasi. Risulta che sia Miller che Jasper avevano ragione: non sembra avere nessuna voglia di pronunciare una sentenza contro Octavia. Tuttavia, come fa presente all'inizio del discorso, ha ricevuto una mozione da alcuni ex abitanti della stazione agricola, quelli che più di tutti avevano beneficiato della presenza e delle istruzioni di Pike. E, in qualità di cancelliere, non può ignorarla.

« Siamo qui, quindi per stabilire la colpevolezza di Octavia Blake in merito, e quale sia la pena che le debba essere commutata.» dice alla fine, dopo aver esposto i fatti. « L'imputata non si trova qui al momento. Ha scelto la fuga.»

« Parlerò io per Octavia.» dice Bellamy a voce alta, alzandosi. « Mia la sorella, mia la responsabilità.» rimane in piedi, sotto gli occhi di Kane, e tra i due passa un lungo sguardo che dice mille cose. Comprensione. Dolore. Rimpianto. Compassione. Rispetto. Vicinanza. Bellamy gli rivolge un cenno quasi impercettibile, come a dirgli che ha capito.

Gli sguardi degli altri sono un po' diversi. Per alcuni è un traditore, per aver cambiato parte e aver rinnegato la sua alleanza con Pike. Per altri è comunque un traditore, uno che ha mandato a morte i suoi amici. Ma non importa veramente. Lui è lì per O. Esattamente come tanti anni prima.

« Octavia Blake, capisci dove sei? Capisci di cosa ti stanno accusando queste persone?»

Octavia tiene la testa bassa, le lacrime che le scivolano incessanti lungo le guance. Scuote la testa.

« Non esiste nemmeno un'accusa precisa. Voi la state accusando di esistere!» sbotta Bellamy.

« Silenzio, cadetto Blake!» una mano robusta interviene posandoglisi sulla spalla e spingendolo a sedere. Lui fa resistenza, se la scrolla di dosso e rimane in piedi, ostinato. Ora che la mamma non c'è più, è l'unico rimasto a difendere quella che per lui è semplicemente O, una lettera che racchiude la serie di sentimenti enormi e contrastanti che prova per la ragazzina seduta a testa bassa. O non sa niente di come le persone possano fare schifo, a volte. Fa fatica a sostenere gli sguardi degli sconosciuti, e ogni tanto balbetta quando parla. La mamma non c'è più, e lui e O sono l'uno per l'altra l'unica casa possibile, l'unica mano amica rimasta in una società a cui non frega un cazzo se vivono o muoiono, una società in cui non esiste una sola persona in grado di capire il loro legame. Nessuno in quella stanza, o in quella stazione, o nell'intera fottutissima Arca ha idea del costante pugno allo stomaco generato dall'amare così tanto qualcuno e dal sapere di non poterlo proteggere.

« Octavia ha ucciso a sangue freddo, non nel mezzo della battaglia. Ha ucciso uno dei nostri. Io dico che non possiamo tollerare che uno di noi possa uccidere un fratello per vendetta personale. Sarebbe il caos.»

Fratello. Pensa Bellamy, lasciando per un attimo che la parola affondi con un tonfo nel suo cuore, abbastanza da far male. Fratello. Come se sapessi cosa significa.

« Inoltre» procede il secondo uomo della stazione agricola « Non siamo nella posizione di poter perdere nemmeno un elemento valido. Non un singolo bambino o malato. E Pike era esperto di Competenze Terrestri. Octavia Blake non ha solo ucciso un uomo, ha ucciso le nostre probabilità di sopravvivere. Ci ha tolto delle possibilità.»

Sembra un discorso provato tante volte in precedenza, per quanto è pacato e ben argomentato. Funziona. Funziona davvero, si rende conto Bellamy con sgomento. Anche chi non è certo stato tra i sostenitori di Pike si guarda intorno dubbioso, annuendo. E c'è una piccola, minuscola parte di lui che li può capire. Octavia, sotto i suoi occhi, ha ucciso un uomo che la aveva appena aiutata, le aveva appena salvato la vita mettendo a rischio la propria.

« Octavia Blake, sei accusata di aver tenuto nascosta la tua esistenza contro le regola dell'Arca. Non esiste negli accordi una pena per tale reato, ma l'Assemblea ritiene che tu debba essere condannata a morte, per aver rappresentato un rischio per l'Arca e per le stime di sopravvivenza.»

« No!»

Octavia seppellisce il viso tra le mani. Bellamy cerca di raggiungerla, ma lo bloccano metri prima che possa arrivare vicino a lei. « È colpa mia! Io l'ho tenuta nascosta. Condannate me piuttosto! Lei non ha colpe!» i suoi tentativi di farsi largo tra le guardie sono sempre più disperati, ma ormai lo bloccano in tre, in quattro, in cinque, e ad un certo punto gli è difficile persino vederla. Lei però guarda verso di lui con aria impotente mentre la ammanettano e la fanno alzare, ma c’è qualcos’altro nello sguardo, qualcosa che è lento a riconoscere perchè in quegli occhi limpidi non ha mai visto nulla del genere e che gli fa salire un brivido lungo la schiena, proprio per l’intensità del sentimento che li anima e li fa sembrare vetro affilato e incandescente.

Rabbia.

« Mia sorella ha sbagliato. Tutti noi abbiamo sbagliato in qualche modo qui. E sì, Pike avrebbe potuto aiutarci a sopravvivere, forse. Io stesso ci ho creduto, ci ho voluto credere. Ma una persona mi ha insegnato che la vita dovrebbe essere qualcosa di più della semplice sopravvivenza. Tutto ruota intorno alla sopravvivenza, ed è ok, ma non è tutto quello che siamo. Dovremmo essere in grado di scegliere di essere qualcosa di meglio.» e in quel momento solleva lo sguardo, e quello sguardo è per Clarke che si sente un po’ morire dentro, perché risente di nuovo Lexa, perché rivede davanti agli occhi il Bellamy di una vita fa che le dice chi siamo, e chi dobbiamo essere per sopravvivere sono due cose molto diverse. Se dovesse fare una lista delle cose che sono cambiate da allora probabilmente non ci riuscirebbe, ma l’intensità con cui lui la guarda è la stessa e finalmente lei capisce esattamente, con ogni fibra del suo essere, quelle parole. « Siamo più di questo, siamo i posti che chiamiamo casa e le persone per cui siamo disposti a combattere a costo di perdere qualsiasi cosa. Lincoln era questo per Octavia, e le è stato strappato via.»

« La condanna di Lincoln era sicuramente un simbolo, ed era ingiusta.» conviene uno degli uomini della stazione agricola. « Ma non possiamo permettere che sia tollerato farsi giustizia da soli, Bellamy. C’è una legge, e abbiamo scelto di obbedire a quella legge, perché senza di essa sarebbe il caos. Come abitante di Arkadia, Octavia è sottoposta a quella legge.»

« E quella legge prevede la morte per chi si prende una vita se le circostanze non lo rendono necessario.»

« Non lascerò che ti accada nulla di male, Octavia, lo giuro.»

« Persino i dodici clan dei Terrestri hanno imparato che sangue non chiama sangue!» la voce di Clarke si leva squillante dalla platea. Le verrebbe quasi automatico pronunciare quelle parole nella lingua in cui sono nate, ma sa che  jus nou drein jus daun non avrebbe lo stesso effetto che ha avuto l’ultima volta che l’ha sentito pronunciare. « Prendere una vita in cambio di una vita è sbagliato, e insensato, ed è esattamente quello che noi non vogliamo essere.» 
Non è mai stata una gran motivatrice, e se qualcuno ha visto in lei una leader è sempre stato per le sue azioni, non per i suoi discorsi. È intervenuta d'istinto, senza pensarci, ma ora che è lì in piedi, di fronte a tutto il suo popolo, si sente improvvisamente minuscola, senza le armature né il trucco né le acconciature di quando è comparsa davanti al popolo di Lexa. Le sue non sono le parole di Wanheda, sono solo le parole di una ragazza stanca della guerra, stanca di chi li vorrebbe vedere condannare i loro amici a morte. I suoi occhi incontrano quelli di Bellamy, al di sopra di tutte i partecipanti all'Assemblea, e lì rimangono incatenati l'uno nell'altro, comunicando senza bisogno di parole come hanno sempre fatto, i due leader dei Cento prima ancora che degli Skaikru.

« Grazie, Clarke.» la richiama alla fine Kane, invitandola con un cenno a risedersi. « Non sei parte in causa, ma condivido il tuo intervento. Rispetterò il volere dell'assemblea in merito alla colpevolezza di Octavia Blake, come in qualsiasi decisione futura, ma finché sarò cancelliere nessuno verrà condannato a morte. Questo non è ciò che siamo. La guerra non è ciò che siamo. Jus nou drein jus daun. »

Anche se lui non può vederla, Clarke gli rivolge uno sguardo ammirato. Non sapeva nemmeno che, dopo la consegna di Pike, Marcus era rimasto con i Trikru abbastanza tempo da imparare qualcosa della loro lingua. Ma, come Lexa, ha capito, ed è un enorme sollievo per lei constatare che per la prima volta da tempo possono essere in buone mani, può fare affidamento su qualcuno e chiudere gli occhi. È così stanca di essere al comando, di essere Wanheda, di combattere. Di non potersi fidare. Forse Marcus le sta tendendo una mano, in tutti i modi in cui può farlo. Ha appena salvato la vita a Octavia, in fin dei conti. Con ogni suo mezzo.

Kane richiama l'assemblea vociante all'ordine e chiede di dare una votazione in merito alla colpevolezza di Octavia Blake, annunciando che non verrà uccisa, ma dovrà essere consegnata e subire un periodo di detenzione e lavori utili alla comunità.

« Cancelliere, hai mai sentito parlare di Skairipa?» chiede uno degli accusatori quando le acque si sono placate. Il suo tono è calmo, ma Clarke e quelli tra loro che masticano un po' meglio la lingua dei Terrestri trattengono il fiato.

« Cosa sarebbe?»

« Un nuovo capoclan, o comunque un guerriero influente. Ne parlano con grande rispetto. Non hanno ancora attaccato nessuno dei nostri, fortunatamente. Si stanno più che altro riorganizzando, riccupando il loro territorio.»

« Quindi, Vane? Dove stai cercando di arrivare?»

« Qualcuno può tradurre Skairipa? Clarke?»

La ragazza si alza nuovamente, titubante. « Il mietitore del Cielo. Morte dall’alto.» risponde, un filo di voce. Quel nome non era ancora conosciuto a Polis quando loro sono ripartiti. Non ne sa nulla, ma ha senso. Ha senso che Octavia si sia tenuta alla larga dalla capitale e da Arkadia, i due luoghi dove è sicura di essere ricercata. Ha senso che Octavia si sia trovata una nuova guerra da combattere, una guerra che non è la loro. Octavia non può combattere al fianco delle persone grazie alle quali non può più tornare a casa.

« Octavia Blake è Skairipa. Credo che questo non prometta nulla di buono.»

Bellamy non sa cosa ribattere, cerca disperatamente qualcosa da dire per risollevare la condanna che sembra ineluttabilmente pesare sulle spalle della sorella, consapevole che se non parlerà, nessuno lo farà al posto suo. Perché hanno ragione, perché Octavia si trova dalla parte sbagliata della barricata ora, si trova dove lui non può proteggerla – ma in fondo, ci è mai riuscito davvero?

« Octavia Blake viene condannata da questa assemblea per aver commesso l’omicidio di Pike. Dovrà essere riconsegnata alle guardie e dovrà subire un periodo di detenzione. Non si tratta di crimini di guerra. Dovrà rispondere delle azioni di Skairipa, se ce ne saranno, in separata sede.»

« Non appartengo a questo posto.»

« Avrai sempre un posto a cui appartenere, con me.»

*

« Hey.»

Una sillaba cauta, stropicciata, esce nervosa dalle labbra di Clarke, che lo osserva dal basso verso l’alto, cercando di incrociare il suo sguardo.

« Hey.»

Non adesso. Bellamy non ha nessuna voglia di mostrarsi vulnerabile, e per qualche motivo con Clarke finisce sempre così. Non ha nessuna voglia di confrontarsi con il peso dei propri errori e fallimenti, di cui quello con l’assemblea è solo l’ultimo. Non ha voglia di guardare di nuovo nello specchio in fondo all’abisso.

« Stavi andando via?»

« Solo a riconsegnare questa a Kane.» continua ad evitare il suo sguardo, piegando ordinatamente la giacca della divisa sul letto. Clarke annuisce, dispiaciuta. Non ha le parole per esprimerlo, ma capisce perfettamente come lui non possa più indossarla. Come non possa avere l’obbligo di arrestare sua sorella e di consegnarla a chi l’ha condannata. Deve sembrare terribilmente ripetitivo, per lui. Anche per Octavia, probabilmente, ma lei ha l’aria di fare a pezzi i propri demoni. Bellamy non ha mai imparato a farlo davvero, nonostante le volte in cui l’ha ripetuto alla sorella negli anni. In qualche modo, probabilmente, sente di meritarselo. Alcuni di essi devono avere artigli particolarmente affilati, a giudicare dalla sua espressione.

« Mi dispiace, Bellamy. Ha davvero provato a salvarla.»

« Lo so. Grazie.» si concede di guardarla per un attimo soltanto, un solo luccichio di occhi azzurri preoccupati, ed è sufficiente per farlo sentire al tempo stesso a casa e allo sbando, davanti ad uno specchio che non vuole guardare.

« Troveremo un modo.» vuole sembrare speranzosa, si vede che lo vuole davvero, anche se non ci riesce fino in fondo. Gli tende la mano, e Bellamy, sorpreso, ci mette qualche attimo prima di afferrarla e stringerla. Come a Mount Weather, come a Polis, ma a parti invertite. Clarke si rende conto che in tutte le scelte più difficili che ha dovuto compiere, in tutte le strade più oscure e spaventose che ha dovuto percorrere, ha avuto Bellamy incondizionatamente dalla sua parte. Era stata quella presa salda a mantenerla in piedi, a volte letteralmente. Il fatto che ora le parti si siano invertite è una crudele ironia, è l'ennesima prova, ma è anche la sua occasione per contare davvero qualcosa.

« Vuole solo un posto a cui senta di appartenere. Tutti lo vogliamo, no? Io volevo tenerla al sicuro. Forse non era quello l'importante. Forse voleva essere meno al sicuro e più a casa.»

Clarke annuisce. Sembra una cosa da Octavia, in effetti. La ragazza che aveva vissuto in una botola cercava un posto a cui sentisse di appartenere.

« È vero, tutti lo vogliamo. Forse dovremmo smetterla di cercare posti da chiamare casa.» rivolge un ultimo sguardo alla stanza, dove i rottami dell'Arca sono particolarmente evidenti nella struttura scarna, essenziale e funzionale, nelle porte stagne, nei pannelli di controllo. È l'ambiente in cui ha vissuto per tutta la vita, eppure all'improvviso ha nostalgia della torre di Polis, degli ambienti alieni dove aveva trovato, anche se solo per una notte, un posto dove appoggiare la testa ed essere vulnerabile. Torna a guardare Bellamy, che non ha smesso di guardarla mentre i suoi occhi e la sua testa vagavano tra quella stanza e decine di chilometri. Il suo sguardo ha la stessa intensità di sempre, tanto da essere difficile da reggere a volte, ma Clarke non distoglie il proprio mentre cerca di dare parole a quello che ha in testa. « Forse dovremmo concentrarci di più sulle persone. Siamo noi che diamo significato al posto in cui viviamo, non importa realmente se si chiama Arkadia o Camp Jaha o dove tua sorella abbia deciso di aver trovato rifugio. Credo ancora che Octavia possa tornare a casa.»

 

  
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