[ Post 3x16]
[ Sì, il titolo non è dei più originali. No, non è voluto. L'ho solo trovato appropriato.]
[ No Ship-centered: ho cercato di mantenere il più possibile lo stesso spirito della serie. Spero di esserci riuscita. Potete vederci qualche accenno di Bellarke se volete, come anche no. ]
HOMECOMING
"Potessi morire anche adesso
poiché non ho potuto
all'amico portar soccorso in morte;
molto lontano dalla patria
è morto.
Io gli sono mancato, difensore del
male.
E ora, che in patria non devo
tornare mai più,
che non fui luce per Patroclo,
né pei compagni,
per gli altri, molti son stati
uccisi da Ettore luminoso,
siedo qui presso le navi, inutile
peso della terra,
io che son forte quanto nessuno dei
Danai chitoni di bronzo in guerra."
Omero, Iliade, Libro XVI
È
strano, ma è solo quando rientrano ad Arkadia che il senso
di perdita si fa così opprimente da farli ammutolire tutti
di colpo. Eppure lo stesso Rover su cui viaggiano, che si ferma in un
cigolare di sospensioni in mezzo al fango, li aveva portati via da
lì l'ultima volta. Non era passata una vita, ma in qualche
modo lo sembrava. Avevano salutato quel posto dando l'addio a Lincoln e
a Sinclair, eppure nella struttura ricavata dai rottami dell'Arca non
sembrava rimasta traccia della devastazione di cui era stata testimone.
La scritta Arkadia in
ferro battuto era lì come a dir loro che potevano sentirsi a
casa, come a dire che erano finalmente al sicuro dopo Polis e la
Città della Luce e la minaccia nucleare, eppure Bellamy
sentiva di non essersi mai sentito meno a casa di così.
Tira
il freno a mano e si volta a guardare i suoi compagni di viaggio: Kane,
impossibilitato a guidare perché ancora non ha recuperato
del tutto l'uso delle mani; Abby, che sul sedile posteriore rivolge un
sorriso nervoso a una Clarke ancora pallida e provata dall'esperienza
col sangue nero di Ontari. Miller e Brian si scambiano un'occhiata
molto simile, stringendosi le mani sul bordo del sedile come a farsi
forza. Sul fondo del fuoristrada, Murphy ed Emori sono gli unici che
parlottano a bassa voce. Per loro è diverso: Arkadia non
è mai stata casa loro. Forse riescono davvero a vederla come
un posto sicuro.
«
Che c'è, Bellamy, non riesci a parcheggiare?»
O
forse Murphy è semplicemente troppo Murphy per capire.
Bellamy
scambia un'occhiata con Kane, o, per meglio dire, con il nuovo
Cancelliere. La prima mossa del Popolo del Cielo era stata scegliersi
un nuovo capo, dato che il Cancelliere in carica, Pike, era morto. Kane
era stato eletto praticamente all'unanimità, anche se lui
naturalmente aveva dato il proprio voto ad Abby. Bellamy approvava ma,
memore di ciò che era accaduto l'ultima volta che aveva
acclamato un cancelliere, stavolta aveva tenuto le mani ben strette
nelle tasche.
Per
qualche motivo a Kane importa ancora di lui, nonostante lui abbia
provato a mandarlo a morte, nonostante gli insegnamenti che ha cercato
inutilmente di fargli entrare in testa. Sembra che il momento in cui
Marcus si è risvegliato dal chip con le mani strette intorno
alla gola di Bellamy abbia creato una sorta di legame tra loro.
Il
Cancelliere fa un cenno affermativo con la testa e i ragazzi aprono le
portiere, pronti a scendere. Abby si offre di sorreggere Clarke, ma la
figlia rifiuta con un sorriso, quasi con aria di scusa. C'è
qualcosa di diverso anche nel modo in cui Abigail Griffin guarda la
ragazza che veste ancora i colori e gli abiti dei Trikru di Lexa.
C'è ammirazione, certo, e rimpianto per l'innocenza persa
troppo presto, ma non è solo quello. Bellamy conosce bene
quell'espressione, perché è la stessa che gli
rivolge Kane, ma è anche la sua. Senso di colpa. Il chip di
Alie avrebbe fatto dimenticare ad Abby la sua famiglia ed il suo
passato, ma in nessun modo ora le è permesso dimenticare di
essersi lanciata nel vuoto appesa ad un cappio sotto gli occhi di sua
figlia. In qualche modo la prima eredità di Alie non
è la minaccia nucleare, ma il senso di colpa.
Cazzate.
Bellamy
scrolla le spalle. Per quanto riguarda lui, il suo senso di colpa non
ha nulla a che vedere con Alie, con il chip. È soltanto suo.
(Ricorda come il suo passo
su quello stesso fango fosse più pesante mentre portava in
braccio il corpo senza vita di Lincoln)
Kane
gli stringe un braccio « Andate a riposare. Prendetevi il
vostro tempo. Possiamo aspettare stasera.»
Bellamy
vorrebbe rispondere che per lui possono anche aspettare per sempre, ma
qualcosa nello sguardo degli altri lo fa desistere.
Sulla
porta dell'hangar li aspettano i loro amici, in piedi, qualche passo
indietro, Jasper in stampelle. Raven si stacca dal gruppo e nonostante
il dolore e la zoppia investe Clarke con un abbraccio. La bionda, presa
alla sprovvista, barcolla per un attimo, poi ricambia la stretta.
È l'abbraccio di due amiche, di due rivali, di due ragazze
che riconoscono ognuna la grandezza dell'altra. È un
abbraccio pieno di ammirazione e Bellamy riesce a vedere come il viso
di Clarke, sopra la spalla sana di Raven, si distenda in un sorriso
commosso, ad occhi chiusi. Raven le mormora qualcosa che lui non coglie
e Clarke si stacca dall'abbraccio, come a volersi sincerare che l'amica
stia bene. Si stringono ancora gli avambracci quando Clarke ringrazia
Raven per la sua dedizione ed il suo lavoro. Sono entrambe commosse e a
tutti i presenti scappa un sorriso, persino a Murphy, anche se nel suo
caso non perde l’aria di scherno. È la prima cosa
veramente bella e pulita che molti di loro vedono da tempo.
Raven
scambia qualche battuta con Abby sul fatto che non vede l'ora di essere
sgridata dal suo medico preferito, poi Bellamy supera di slancio la
distanza che lo separa dal meccanico e di impulso la abbraccia. Questa
volta è Raven ad essere colta di sorpresa, e ride mentre
ricambia la stretta, ride con le lacrime agli occhi scherzando sul
fatto che Bellamy Blake abbia dei sentimenti. I contatti tra loro sono
sempre un po' strani, sanno sempre un po' troppo della stretta in cui
lui ha cercato di raccoglierla mentre urlava disperata alla morte di
Finn e un po' troppo di quella notte passata insieme cercando di fare a
gara per dimostrare che a nessuno dei due gliene fregasse niente. Ma in
quel momento non c'è più nulla di tutto questo,
c'è solo Raven che ha riconosciuto il dolore negli occhi di
Bellamy e lui che le dice come non avrebbero potuto farcela senza di
lei, l'unica a combattere il chip, l'unica a fare del suo dolore il
meglio che potesse: una motivazione.
«
Anche voi siete stati grandiosi» dice lei alla fine,
spostando lo sguardo sul resto del gruppo, trasalendo quando vede
Murphy. « Lui?
Nessuno se l'è ancora preso?»
«
A dire il vero, bellezza, c'è stato un momento in cui sono
stato conteso da ben due bellissime guerriere» risponde lui,
sfrontato come sempre. Raven sbuffa, mentre fa strada al gruppo verso
l'hangar, dove si fermano per salutare Monty, Jasper e Harper. I volti
degli amici testimoniano quanto la guerra abbia lasciato anche dentro
di loro e, mentre gli passa accanto, Clarke allunga la mano e stringe
la spalla di Monty, pensando che anche lei ha rischiato di perdere sua
madre per colpa del chip, ed è solo stata più
fortunata dell'amico. Lui le rivolge un sorriso tirato, che non
raggiunge gli occhi: è il massimo che può fare
per mostrarle che ha capito.
Mentre
Kane e Abby prendono un’altra direzione, discutendo, Raven
stringe nervosamente le mani l’una nell’altra,
mentre cerca di sorridere nel modo più naturale possibile.
Ovviamente gli occhi lucidi, i capelli scomposti, le occhiaie violacee
raccontano un’altra cosa, ma sta cercando davvero di dare a
tutti il bentornato a casa mentre dice: «
Beh, abbiamo pensato di occupare la mensa e tenercela tutta per noi. I
ritorni vanno festeggiati. » Cerca sostegno in Harper, che
annuisce, anche lei cercando di sorridere e di sembrare il
più convinta possibile.
« Perché
no? Tanto a breve non ci dovremo più preoccupare delle
provviste. » dice Murphy dalle retrovie. A Bellamy dispiace
così tanto che voglia rovinare il tentativo in cui Raven sta
profondendo così tanto impegno che, nonostante i progressi
che il loro rapporto ha registrato a Polis, gli viene voglia di dargli
un pugno in faccia. Fortunatamente Emori lo rimbecca al posto suo, ma
intanto il danno è fatto.
« E’
un’ottima idea.» concorda Clarke cercando di
sdrammatizzare. In effetti non ha nessuna voglia di vedere altre facce,
di rispondere ad altre domande. Vuole solo chiudere gli occhi e far
finta che sia davvero tutto finito, che sia davvero tornata a casa,
nonostante la memoria di Lexa le irrompa ancora dietro le palpebre
chiuse, Lexa così come l’aveva vista
l’ultima volta nella Città della Luce, bellissima
e, ancora una volta, pronta a scommettere tutto su di lei. Nonostante
la minaccia nucleare.
Bellamy
la guarda un attimo più del dovuto, come pensando che
nessuno se ne accorga. Sta cercando di capire se stia bene come vuole
far credere, se stia cercando di non cadere in pezzi. La risposta la
conosce già, ma certe volte guardare Clarke è
come guardarsi allo specchio, uno specchio d’acqua gelida al
termine di un salto di sette metri. Il modo in cui sta convivendo con
il suo senso di colpa e con il suo senso di perdita dicono
così tanto anche di lui che al tempo stesso è
difficile distogliere lo sguardo ed è difficile pensare di
riflettersi in quegli occhi chiari.
La
sorpresa organizzata da Raven e dagli altri, come prevedibile, finisce
per coinvolgere più le scorte di alcolici che quelle di cibo
in senso stretto. Bellamy si rende conto che non è
l’unico a tenere d’occhio Jasper, ma il ragazzo
sembra cavarsela. Anche i suoi occhi sono cerchiati di scuro, e ogni
tanto è come se un’ombra sfuggente se ne
impossessasse, ma è presente, lo è davvero.
È proprio l'ombra che passa nel suo sguardo a tratti, la
stessa che pesa sulle spalle di ciascuno in modo diverso, che fa capire
loro che non c'è via d'uscita semplice al dolore, non ci
sono chip né Città della Luce, c'è
solo la possibilità di sopravvivere al dolore convivendoci,
sopportando, trasformandolo. Il peso delle assenze è
impossibile da ignorare, in alcuni momenti lo è
spaventosamente - come non sentire la mancanza di Octavia quando
decidono di abbandonare tavoli e panche e sedersi tutti intorno al
fuoco? Octavia. Lincoln. Lexa. Sinclair. Hannah Green.
Maya. Gina. Monroe. Wyck. Finn.
West. L'elenco potrebbe andare avanti, ma ognuno ha qualcuno su cui
piangere. Chi è particolarmente sfortunato non è
la prima volta che perde qualcuno, ma quella guerra su più
fronti li ha fatto sentire sfiniti e vulnerabili come non mai, per poi
risputarli fuori ad affrontare un avversario del tutto fuori dalla loro
portata. Come per una beffa. Essere sopravvissuti alle radiazioni, ai
terrestri, a Mount Weather, ad Azgeda, ad Alie solo per ritrovarsi
minuscoli davanti a un pericolo che è nella stessa aria che
respirano. C’è qualcosa, nel modo in cui alzano i
calici, che lo fa sembrare al tempo stesso il primo e
l’ultimo giorno sulla terra, è qualcosa negli
occhi di tutti i ragazzi, perché in fondo vengono tutti
dallo stesso abisso.
«
Di cosa credete che voglia parlare Kane all'Assemblea? »
chiede Raven con voce tranquilla ad un certo punto. Immagina
già di rimettersi a lavorare, le occhiaie più
evidenti che mai.
La
domanda è rivolta soprattutto a Clarke, in quanto leader, ma
la ragazza si morde il labbro e si volta verso Bellamy. Non
è a lei che spetta dare quella risposta, ed infatti
è lui a sputarla fuori, una sola parola che rotola fuori e
rimane lì sospesa.
«
Octavia.»
Il
ragazzo butta giù l'ultimo sorso di birra e riprende, senza
alzare lo sguardo. « Pare che qualcuno non sia stato molto
contento del fatto che abbia ucciso Pike. Quelli della sua Stazione
vogliono un processo.»
«
Non ce la vedo Octavia a tornare per il processo. » commenta
Jasper. Ricorda quando l'ha vista entrare nella stanza di Lincoln alla
ricerca del diario, annusare quella giacca che tanto aveva odiato solo
per respirare il suo odore, distruggere tutto in un impeto di rabbia,
ma poi raddrizzare la schiena e andare avanti senza più
cedere.
«
A loro non importa. La processeranno lo stesso.»
E
anche se fosse qui, non le importerebbe di difendersi. Sarebbe
orgogliosa di quello che ha fatto, e non farebbe altro che
sbatterglielo in faccia.
« Non
è giusto. Non avrà nemmeno il diritto di
difendersi!» commenta Harper con veemenza.
« Oh,
i nostri tribunali sono così famosi
per dare a tutti il diritto di difendersi.» commenta Murphy,
sarcastico, versandosi ancora da bere.
« Okay.
Non è questo il punto.» Clarke cerca di calmare le
acque. Dopo la città della luce, dopo che lui l’ha
tenuta in vita pompando il sangue di Ontari nel suo corpo a mani nude,
si sente meno dura nei suoi giudizi nei confronti di John Murphy, ma
questo non lo autorizza ad essere una spina nel fianco per tutto il
gruppo. Non quando la gamba di Raven è ancora ingabbiata nel
tutore per colpa sua.
« Sono
sicura che Kane non vorrebbe questo. Voglio dire, è stato
mandato a morte insieme a Lincoln.» interviene
Miller « Ha beneficiato più di altri
dell’aiuto di Octavia. Non vorrà
condannarla.»
Se
Bellamy alzasse la testa si accorgerebbe del modo in cui Clarke lo sta
guardando, con la stessa espressione preoccupata che lui le ha
riservato poco prima. Ma non ha alcuna intenzione di farlo, non mentre
parlano delle condanne a morte che praticamente è stato lui
a firmare. Nessuno lo dice, perché nessuno sembra volerlo
incolpare, ma cambia davvero qualcosa? Importa davvero qualcosa?
« Kane
non deciderà nulla. Si atterrà al voto
dell’assemblea, perché è troppo
corretto per fare altro.» dice alla fine, e per un attimo
nessuno risponde mentre si rendono conto che è
così. Marcus avrebbe messo la sentenza ai voti, avrebbe
fatto in modo che a decidere fossero gli amici di Pike, gli orfani
della sua Stazione, le persone che lui aveva cercato in qualche modo di
aiutare e di consigliare. I suoi ex alunni della classe di Competenze
Terrestri.
« Non
credo che vorrebbero davvero condannare Octavia. Voglio dire,
è Octavia!» Jasper ha perso ogni interesse per il
bicchiere mentre cerca di argomentare, difendendo l’amica con
veemenza. « Ha sempre combattuto per tutti, non si
è mai risparmiata. Non ha mai messo la sua sopravvivenza
davanti alla nostra.»
Il
discorso di Jasper raccoglie numerosi cenni di consenso, e lui sta
quasi pensando di proporre di ripeterlo davanti
all’assemblea, quando Bellamy risponde, in tono
monocorde: « Ha ucciso Pike a sangue freddo. Ha
cercato di sabotarci quando avevamo bisogno di lui. Ha ucciso per
vendetta. Non lo accetteranno mai.»
Ha
ucciso lui perché ha premuto il grilletto, ma avrebbe ucciso
anche me, se avesse potuto. Per un
attimo è troppo e Bellamy sprofonda la testa tra le mani.
Quando riemerge gli altri stanno processando la sua ultima frase, il
discorso di Jasper già accantonato.
« Se
ci pensi in questo modo, quello che ha fatto non è
giusto.» dice Raven alla fine. « Se avessi
fatto ciò che ha fatto lei, Clarke non sarebbe qui
ora.» rivolge un sorriso di scuse all’amica, che
però sa che si tratta della verità. Anche se al
momento dell'esecuzione di Lincoln Raven era troppo presa dal suo chip
e dalla sua alienazione per essere pienamente consapevole di
ciò che le accadeva intorno, quel che dice ha senso. Lo ha
soprattutto per Jasper, che fissa Clarke di sottecchi.
«
Era diverso!» sbotta Bellamy, fa quasi per alzarsi in modo da
sovrastare la stessa, minuscola ragazza che poco tempo prima era corso
ad abbracciare. Clarke gli appoggia una mano sull'avambraccio, un gesto
gentile ma deciso. Le sue dita stringono il tessuto rigido della giacca
e c'è un momento di stallo in cui rimangono a guardarsi.
Clarke non molla la presa e Bellamy, senza pensarci, si aggrappa alla
sua stretta, stringendole il braccio a sua volta.
«
Non lo era. Lo sai. » gli dice guardandolo da sotto in su.
« Ma siamo tutti dalla parte di Octavia qui. Lo
siamo?»
Gli
altri rispondono di sì in maniera diversa, e con tempi
diversi, chi da subito con voce squillante, chi lo mormora come Raven,
chi lo borbotta tra i denti come Murphy, chi alla fine lo dice
guardandolo negli occhi e assicurandosi che lui senta la sua voce
dirlo. Clarke.
*
Kane
espone i fatti in maniera scarna, stanca, senza
alcuna particolare enfasi. Risulta che sia Miller che Jasper avevano
ragione: non sembra avere nessuna voglia di pronunciare una sentenza
contro Octavia. Tuttavia, come fa presente all'inizio del discorso, ha
ricevuto una mozione da alcuni ex abitanti della stazione agricola,
quelli che più di tutti avevano beneficiato della presenza e
delle istruzioni di Pike. E, in qualità di cancelliere, non
può ignorarla.
«
Siamo qui, quindi per stabilire la colpevolezza di Octavia Blake in
merito, e quale sia la pena che le debba essere commutata.»
dice alla fine, dopo aver esposto i fatti. « L'imputata non
si trova qui al momento. Ha scelto la fuga.»
«
Parlerò io per Octavia.» dice Bellamy a voce alta,
alzandosi. « Mia la sorella, mia la
responsabilità.» rimane in piedi, sotto gli occhi
di Kane, e tra i due passa un lungo sguardo che dice mille cose.
Comprensione. Dolore. Rimpianto. Compassione. Rispetto. Vicinanza.
Bellamy gli rivolge un cenno quasi impercettibile, come a dirgli che ha
capito.
Gli
sguardi degli altri sono un po' diversi. Per alcuni è un
traditore, per aver cambiato parte e aver rinnegato la sua alleanza con
Pike. Per altri è comunque un traditore, uno che ha mandato
a morte i suoi amici. Ma non importa veramente. Lui è
lì per O. Esattamente come tanti anni prima.
« Octavia Blake,
capisci dove sei? Capisci di cosa ti stanno accusando queste
persone?»
Octavia tiene la testa
bassa, le lacrime che le scivolano incessanti lungo le guance. Scuote
la testa.
« Non esiste
nemmeno un'accusa precisa. Voi la state accusando di
esistere!» sbotta Bellamy.
« Silenzio,
cadetto Blake!» una mano robusta interviene posandoglisi
sulla spalla e spingendolo a sedere. Lui fa resistenza, se la scrolla
di dosso e rimane in piedi, ostinato. Ora che la mamma non
c'è più, è l'unico rimasto a difendere
quella che per lui è semplicemente O, una lettera che
racchiude la serie di sentimenti enormi e contrastanti che prova per la
ragazzina seduta a testa bassa. O non sa niente di come le persone
possano fare schifo, a volte. Fa fatica a sostenere gli sguardi degli
sconosciuti, e ogni tanto balbetta quando parla. La mamma non
c'è più, e lui e O sono l'uno per l'altra l'unica
casa possibile, l'unica mano amica rimasta in una società a
cui non frega un cazzo se vivono o muoiono, una società in
cui non esiste una sola persona in grado di capire il loro legame.
Nessuno in quella stanza, o in quella stazione, o nell'intera
fottutissima Arca ha idea del costante pugno allo stomaco generato
dall'amare così tanto qualcuno e dal sapere di non poterlo
proteggere.
«
Octavia ha ucciso a sangue freddo, non nel mezzo della battaglia. Ha
ucciso uno dei nostri. Io dico che non possiamo tollerare che uno di
noi possa uccidere un fratello per vendetta personale. Sarebbe il
caos.»
Fratello. Pensa
Bellamy, lasciando per un attimo che la parola affondi con un tonfo nel
suo cuore, abbastanza da far male. Fratello. Come se sapessi cosa
significa.
«
Inoltre» procede il secondo uomo della stazione agricola
« Non siamo nella posizione di poter perdere nemmeno un
elemento valido. Non un singolo bambino o malato. E Pike era esperto di
Competenze Terrestri. Octavia Blake non ha solo ucciso un uomo, ha
ucciso le nostre probabilità di sopravvivere. Ci ha tolto
delle possibilità.»
Sembra
un discorso provato tante volte in precedenza, per quanto è
pacato e ben argomentato. Funziona. Funziona
davvero, si rende conto Bellamy con sgomento. Anche chi non
è certo stato tra i sostenitori di Pike si guarda intorno
dubbioso, annuendo. E c'è una piccola, minuscola parte di
lui che li può capire. Octavia, sotto i suoi occhi, ha
ucciso un uomo che la aveva appena aiutata, le aveva appena salvato la
vita mettendo a rischio la propria.
« Octavia
Blake, sei accusata di aver tenuto nascosta la tua esistenza contro le
regola dell'Arca. Non esiste negli accordi una pena per tale reato, ma
l'Assemblea ritiene che tu debba essere condannata a morte, per aver
rappresentato un rischio per l'Arca e per le stime di
sopravvivenza.»
« No!»
Octavia seppellisce il
viso tra le mani. Bellamy cerca di raggiungerla, ma lo bloccano metri
prima che possa arrivare vicino a lei. « È colpa
mia! Io l'ho tenuta nascosta. Condannate me piuttosto! Lei non ha
colpe!» i suoi tentativi di farsi largo tra le guardie sono
sempre più disperati, ma ormai lo bloccano in tre, in
quattro, in cinque, e ad un certo punto gli è difficile
persino vederla. Lei però guarda verso di lui con aria
impotente mentre la ammanettano e la fanno alzare, ma
c’è qualcos’altro nello sguardo,
qualcosa che è lento a riconoscere perchè in
quegli occhi limpidi non ha mai visto nulla del genere e che gli fa
salire un brivido lungo la schiena, proprio per
l’intensità del sentimento che li anima e li fa
sembrare vetro affilato e incandescente.
Rabbia.
« Mia
sorella ha sbagliato. Tutti noi abbiamo sbagliato in qualche modo qui.
E sì, Pike avrebbe potuto aiutarci a sopravvivere, forse. Io
stesso ci ho creduto, ci ho voluto credere. Ma una persona mi ha
insegnato che la vita dovrebbe essere qualcosa di più della
semplice sopravvivenza. Tutto ruota intorno alla sopravvivenza, ed
è ok, ma non è tutto quello che siamo. Dovremmo
essere in grado di scegliere di essere qualcosa di meglio.» e
in quel momento solleva lo sguardo, e quello sguardo è per
Clarke che si sente un po’ morire dentro, perché
risente di nuovo Lexa, perché rivede davanti agli occhi il
Bellamy di una vita fa che le dice chi
siamo, e chi dobbiamo essere per sopravvivere sono due cose molto
diverse. Se
dovesse fare una lista delle cose che sono cambiate da allora
probabilmente non ci riuscirebbe, ma l’intensità
con cui lui la guarda è la stessa e finalmente lei capisce esattamente,
con ogni fibra del suo essere, quelle parole. «
Siamo più di questo, siamo i posti che chiamiamo casa e le
persone per cui siamo disposti a combattere a costo di perdere
qualsiasi cosa. Lincoln era questo per Octavia, e le è stato
strappato via.»
« La
condanna di Lincoln era sicuramente un simbolo, ed era
ingiusta.» conviene uno degli uomini della stazione
agricola. « Ma non possiamo permettere che sia
tollerato farsi giustizia da soli, Bellamy. C’è
una legge, e abbiamo scelto di obbedire a quella legge,
perché senza di essa sarebbe il caos. Come abitante di
Arkadia, Octavia è sottoposta a quella legge.»
« E
quella legge prevede la morte per chi si prende una vita se le
circostanze non lo rendono necessario.»
«
Non lascerò che ti accada nulla di male, Octavia, lo
giuro.»
« Persino
i dodici clan dei Terrestri hanno imparato che sangue
non chiama sangue!» la voce di Clarke si leva
squillante dalla platea. Le verrebbe quasi automatico pronunciare
quelle parole nella lingua in cui sono nate, ma sa che jus
nou drein jus daun non
avrebbe lo stesso effetto che ha avuto l’ultima volta che
l’ha sentito pronunciare. « Prendere una
vita in cambio di una vita è sbagliato,
e insensato, ed è esattamente quello che noi non vogliamo
essere.»
Non è mai stata una gran motivatrice, e se qualcuno ha visto
in lei una leader è sempre stato per le sue azioni, non per
i suoi discorsi. È intervenuta d'istinto, senza pensarci, ma
ora che è lì in piedi, di fronte a tutto il suo
popolo, si sente improvvisamente minuscola, senza le armature
né il trucco né le acconciature di quando
è comparsa davanti al popolo di Lexa. Le sue non sono le
parole di Wanheda, sono solo le parole di una ragazza stanca della
guerra, stanca di chi li vorrebbe vedere condannare i loro amici a
morte. I suoi occhi incontrano quelli di Bellamy, al di sopra di tutte
i partecipanti all'Assemblea, e lì rimangono incatenati
l'uno nell'altro, comunicando senza bisogno di parole come hanno sempre
fatto, i due leader dei Cento prima ancora che degli Skaikru.
«
Grazie, Clarke.» la richiama alla fine Kane, invitandola con
un cenno a risedersi. « Non sei parte in causa, ma condivido
il tuo intervento. Rispetterò il volere dell'assemblea in
merito alla colpevolezza di Octavia Blake, come in qualsiasi decisione
futura, ma finché sarò cancelliere nessuno
verrà condannato a morte. Questo non è
ciò che siamo. La guerra non è ciò che
siamo. Jus
nou drein jus daun. »
Anche
se lui non può vederla, Clarke gli rivolge uno sguardo
ammirato. Non sapeva nemmeno che, dopo la consegna di Pike, Marcus era
rimasto con i Trikru abbastanza tempo da imparare qualcosa della loro
lingua. Ma, come Lexa, ha capito, ed è un enorme sollievo
per lei constatare che per la prima volta da tempo possono essere in
buone mani, può fare affidamento su qualcuno e chiudere gli
occhi. È così stanca di essere al comando, di
essere Wanheda, di combattere. Di non potersi fidare. Forse Marcus le
sta tendendo una mano, in tutti i modi in cui può farlo. Ha
appena salvato la vita a Octavia, in fin dei conti. Con ogni suo mezzo.
Kane
richiama l'assemblea vociante all'ordine e chiede di dare una votazione
in merito alla colpevolezza di Octavia Blake, annunciando che non
verrà uccisa, ma dovrà essere consegnata e subire
un periodo di detenzione e lavori utili alla comunità.
«
Cancelliere, hai mai sentito parlare di Skairipa?»
chiede uno degli accusatori quando le acque si sono placate. Il suo
tono è calmo, ma Clarke e quelli tra loro che masticano un
po' meglio la lingua dei Terrestri trattengono il fiato.
«
Cosa sarebbe?»
«
Un nuovo capoclan, o comunque un guerriero influente. Ne parlano con
grande rispetto. Non hanno ancora attaccato nessuno dei nostri,
fortunatamente. Si stanno più che altro riorganizzando,
riccupando il loro territorio.»
«
Quindi, Vane? Dove stai cercando di arrivare?»
«
Qualcuno può tradurre Skairipa?
Clarke?»
La
ragazza si alza nuovamente, titubante. « Il
mietitore del Cielo. Morte dall’alto.» risponde, un
filo di voce. Quel nome non era ancora conosciuto a Polis quando loro
sono ripartiti. Non ne sa nulla, ma ha senso. Ha senso che Octavia si
sia tenuta alla larga dalla capitale e da Arkadia, i due luoghi dove
è sicura di essere ricercata. Ha senso che Octavia si sia
trovata una nuova guerra da combattere, una guerra che non è
la loro. Octavia non può combattere al fianco delle persone
grazie alle quali non può più tornare a casa.
« Octavia
Blake è Skairipa.
Credo che questo non prometta nulla di buono.»
Bellamy
non sa cosa ribattere, cerca disperatamente qualcosa da dire per
risollevare la condanna che sembra ineluttabilmente pesare sulle spalle
della sorella, consapevole che se non parlerà, nessuno lo
farà al posto suo. Perché hanno ragione,
perché Octavia si trova dalla parte sbagliata della
barricata ora, si trova dove lui non può proteggerla
– ma in fondo, ci è mai riuscito davvero?
« Octavia
Blake viene condannata da questa assemblea per aver commesso
l’omicidio di Pike. Dovrà essere riconsegnata alle
guardie e dovrà subire un periodo di detenzione. Non si
tratta di crimini di guerra. Dovrà rispondere delle azioni di Skairipa,
se ce ne saranno, in separata sede.»
« Non
appartengo a questo posto.»
« Avrai
sempre un posto a cui appartenere, con me.»
*
« Hey.»
Una
sillaba cauta, stropicciata, esce nervosa dalle labbra di Clarke, che
lo osserva dal basso verso l’alto, cercando di incrociare il
suo sguardo.
« Hey.»
Non adesso. Bellamy
non ha nessuna voglia di mostrarsi vulnerabile, e per qualche motivo
con Clarke finisce sempre così. Non ha nessuna voglia di
confrontarsi con il peso dei propri errori e fallimenti, di cui quello
con l’assemblea è solo l’ultimo. Non ha
voglia di guardare di nuovo nello specchio in fondo
all’abisso.
«
Stavi andando via?»
« Solo
a riconsegnare questa a Kane.» continua ad evitare il suo
sguardo, piegando ordinatamente la giacca della divisa sul letto.
Clarke annuisce, dispiaciuta. Non ha le parole per esprimerlo, ma
capisce perfettamente come lui non possa più indossarla.
Come non possa avere l’obbligo di arrestare sua sorella e di
consegnarla a chi l’ha condannata. Deve sembrare
terribilmente ripetitivo, per lui. Anche per Octavia, probabilmente, ma
lei ha l’aria di fare a pezzi i propri demoni. Bellamy non ha
mai imparato a farlo davvero, nonostante le volte in cui l’ha
ripetuto alla sorella negli anni. In qualche modo, probabilmente, sente
di meritarselo. Alcuni di essi devono avere artigli particolarmente
affilati, a giudicare dalla sua espressione.
« Mi
dispiace, Bellamy. Ha davvero provato a salvarla.»
« Lo
so. Grazie.» si concede di guardarla per un attimo soltanto,
un solo luccichio di occhi azzurri preoccupati, ed è
sufficiente per farlo sentire al tempo stesso a casa e allo sbando,
davanti ad uno specchio che non vuole guardare.
«
Troveremo un modo.» vuole sembrare speranzosa, si vede che lo
vuole davvero, anche se non ci riesce fino in fondo. Gli tende la mano,
e Bellamy, sorpreso, ci mette qualche attimo prima di afferrarla e
stringerla. Come a Mount Weather, come a Polis, ma a parti invertite.
Clarke si rende conto che in tutte le scelte più difficili
che ha dovuto compiere, in tutte le strade più oscure e
spaventose che ha dovuto percorrere, ha avuto Bellamy
incondizionatamente dalla sua parte. Era stata quella presa salda a
mantenerla in piedi, a volte letteralmente. Il fatto che ora le parti
si siano invertite è una crudele ironia, è
l'ennesima prova, ma è anche la sua occasione per contare
davvero qualcosa.
«
Vuole solo un posto a cui senta di appartenere. Tutti lo vogliamo, no?
Io volevo tenerla al sicuro. Forse non era quello l'importante. Forse
voleva essere meno al sicuro e più a casa.»
Clarke
annuisce. Sembra una cosa da Octavia, in effetti. La ragazza che aveva
vissuto in una botola cercava un posto a cui sentisse di appartenere.
« È vero, tutti lo vogliamo. Forse dovremmo smetterla di cercare posti da chiamare casa.» rivolge un ultimo sguardo alla stanza, dove i rottami dell'Arca sono particolarmente evidenti nella struttura scarna, essenziale e funzionale, nelle porte stagne, nei pannelli di controllo. È l'ambiente in cui ha vissuto per tutta la vita, eppure all'improvviso ha nostalgia della torre di Polis, degli ambienti alieni dove aveva trovato, anche se solo per una notte, un posto dove appoggiare la testa ed essere vulnerabile. Torna a guardare Bellamy, che non ha smesso di guardarla mentre i suoi occhi e la sua testa vagavano tra quella stanza e decine di chilometri. Il suo sguardo ha la stessa intensità di sempre, tanto da essere difficile da reggere a volte, ma Clarke non distoglie il proprio mentre cerca di dare parole a quello che ha in testa. « Forse dovremmo concentrarci di più sulle persone. Siamo noi che diamo significato al posto in cui viviamo, non importa realmente se si chiama Arkadia o Camp Jaha o dove tua sorella abbia deciso di aver trovato rifugio. Credo ancora che Octavia possa tornare a casa.»