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Autore: ____Faxas    30/01/2017    1 recensioni
«Spariscono tutti al mattino?» .
«Sì, e mi fanno incazzare a volte» .
«Già, soprattutto quando fanno finta di non vederti per strada quando sono in compagnia, vero?» .
«Esatto» .

[Clack;]
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Cloud Strife, Zack Fair
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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Weekend
 
 
 
«Well, you know what it's like when you first sleep with someone you don't know?»
«Yes».

«It's... you, like, become this blank canvas and it gives you an opportunity to project onto that canvas who you want to be. That's what's interesting because everybody does that.»
«So do you think that I did it?»
«Course you did. Well, what happens is while you're projecting who you want to be... this gap opens up between who you want to be and who you really are. And in that gap, it shows you what's stopping you becoming who you want to be.»
-Weekend // Glen e Russell;
 
 
 
 
I.Saturday
 
Le giornate di Cloud Strife si susseguivano l’una dietro l’altra nella solita identica routine.
Sveglia alle 8.00 la mattina.
Caffè macchiato accompagnato dalla prima sigaretta della giornata, e il solito proposito mai mantenuto di smettere.
Doccia veloce e poi a lavoro fino al tardo pomeriggio.
Visita a casa della sua migliore amica Tifa.
Tornare a casa, mangiare , dormire e al mattino si ricomincia daccapo.
La sua vita si poteva dire che cambiasse un po’ solamente nel fine settimana, quando la domenica e il lunedì aveva le sue giornate libere, si concedeva il lusso di andare la sera in qualche locale gay e trovarsi un’avventura casuale, che poteva prolungarsi anche per più d’una notte.
Viveva da solo, in un piccolo appartamento nella periferia di una cittadina britannica talmente piccola e sconosciuta da non essere nemmeno segnata nelle carte geografiche dell’Inghilterra, se non in quelle dettagliate della provincia. Non gli dispiaceva essere così isolato dal resto del mondo, anzi, forse lo preferiva al caos delle grandi città, rumorose e indaffarate ventiquattr’ore su ventiquattro. Qui, invece, all’interno di questo buco di città che sembrava quasi dimenticato da Dio, si sentiva come protetto da una campana di vetro, che seppur delicata e fragile non si incrinava né si frantumava mai.
Ovviamente, c’erano lati positivi e lati negativi nel vivere in una cittadina isolata e chiusa come quella. E i lati negativi si moltiplicavano soprattutto se fossi una persona diversa, così come la gente chiusa era solita chiamare chi non fosse eterosessuale, credente e con un ideale ben preciso della famiglia. Ebbene, Cloud Strife era omosessuale, ateo e non credeva nella famiglia perché non ne aveva mai avuta una in vita sua: praticamente le caratteristiche perfette per poter vivere una vita di merda in una città come quella.
Nonostante questo, però, Cloud Strife non si poteva lamentare della vita che conduceva. Si limitava a interagire con le persone che conosceva di più e che erano quelle poche e rare che lo accettavano per ciò che fosse, e quando era a lavoro non parlava molto e fingeva di essere eterosessuale quando era necessario.
Non era né una bella vita né una vita di merda, ma gli andava bene stare nel mezzo, in equilibrio.
 
 
 
 
 
Era un normale sabato pomeriggio, il sole era già tramontato e il vento soffiava freddo tra le vie della periferia mentre Cloud, dopo essere uscito dal suo turno di lavoro, si dirigeva a casa di Tifa, dove lo aspettavano lei e tutti i loro amici, come d’abitudine ogni sabato.
E come d’abitudine ogni sabato, lui andava a casa dell’amica e portava delle bottiglie di birra, abbastanza per tutti quanti. E come sempre, quando si presentava davanti alla porta di casa di Tifa con le buste in mano, lo accoglievano tutti quanti insieme con delle urla di gioia e delle pacche sulle spalle.
A Cloud piacevano quei sabato sera, come tutti i giorni che viveva da poco più di due anni ormai, da quando lui e tutti i suoi amici, dopo l’università, avevano deciso di trasferirsi lì e provare a vivere da adulti. Se non da adulti, almeno da persone un po’ più responsabili che il sabato sera poi si lasciavano andare e tornavano a essere i ragazzi di vent’anni che si divertivano bevendo alcol e fumando, quando se ne trovava la possibilità, un po’ di buona erba.
Veramente, Cloud adorava quelle serate tra amici, eppure quel giorno tutto sembrava diverso. Era come se sentisse, finalmente, il peso di quella routine alienante che mandava avanti da tutto quel tempo. Cominciava ad avvertire un forte senso di claustrofobia, come se quella vita gli stesse stretta, e volesse cambiare radicalmente tutto quanto. Però, rimaneva in silenzio, pensando che forse, prima di arrivare da Tifa, aveva fumato troppo rapidamente la sua sigaretta e gli aveva dato alla testa. Doveva essere per forza così, soprattutto nelle due ore seguenti, dopo essersi scolato due bottiglie intere di Corona come se fossero state due bicchieri d’acqua e aver fumato almeno tre canne, ridendo e scherzando quel poco che era solito fare con i suoi amici.
Dai sempre la colpa all’alcol e alla droga, pensava Cloud mentre si alzava dal divano e con fare leggermente instabile si dirigeva verso l’ingresso e diceva alla padrona di casa che sarebbe tornato a casa.
«Dai, Cloud, rimani ancora un po’» le disse Tifa, seguendolo lungo il corridoio d’ingresso fino alla porta «Sono ancora le dieci di sera».
«No, veramente, preferisco tornarmene ora a casa, Tifa» ribatté Cloud con un piccolo sorriso, mentre si infilava la giacca di pelle, comprata a un negozio di usato e che gli andava grande in modo quasi ridicolo.
Tifa ricambiò il sorriso, incrociando le braccia al petto «Giornata impegnativa alla galleria?».
Cloud si limitò ad annuire e dopo averla salutata con un bacio sulla guancia, uscì di casa e si diresse alla fermata del pullman.
In effetti quel giorno al lavoro era stato veramente pesante, come quasi ogni sabato mattina nella galleria d’arte in cui lavorava. Nonostante quella cittadina fosse abbastanza piccola, il fine settimana si animava giusto un po’ di più, e le famiglie coglievano prontamente l’opportunità di prendere una boccata d’aria fresca in uno dei parchi verdi della città; mentre quasi tutti i giovani adolescenti cercavano nel centro storico qualcosa che potesse dar loro qualche nozione sul mondo al di fuori di quel posto dimenticato da tutti. E per questo, il sabato le gallerie d’arte e le librerie o biblioteche trovavano il loro momento di sollievo economico con l’afflusso dei ragazzi desiderosi di conoscere.
Forse era anche il vedere quei giovani che morivano dalla voglia di scappare da quella città, che aveva fatto sì che Cloud si sentisse soffocare da quella vita. Ma poi scuoteva la testa, pensando che di sicuro non avrebbe mai voluto vivere in una città vivace e sempre attiva, e che alla fine lui e i suoi amici avevano deciso di trasferirsi lì. Sì, doveva essere per forza colpa dell’alcol e del fumo se si sentiva così.
 
 
 
 
 
Alla fine, decise di non tornare subito a casa, ma di fermarsi a un locale gay nelle vicinanze del suo condominio e bere qualcos’altro. Se poi avesse incontrato qualcuno di carino sarebbe stato il massimo, ma non si aspettava niente di speciale. Era passato tanto tempo dall’ultima volta in cui era stato con un uomo e pensava di aver “perso la mano”, ormai.
Si fece strada nel locale fino al bancone e ordinò una pinta di birra rossa. Si guardò intorno, lentamente, e osservò disinteressato tutte quelle persone che erano lì, a divertirsi e a ballare e cercando qualche bella compagnia per la serata. Si soffermò un momento di più a osservare una coppia, in fondo al locale, indaffarata in un bacio lungo e passionale. Non lo avrebbe mai ammesso nemmeno sotto tortura, ma provò un po’ di invidia perché avrebbe voluto anche lui un partner in quel momento; e non solo una persona che avrebbe visto una sola notte e che poi avrebbe dimenticato. Cloud desiderava un compagno con cui condividere quella sua noiosa routine e rimodellarla e magari decidere di punto in bianco di fare le valige e andare via. Ma ogni volta che questo pensiero gli passava per la mente, lo scacciava via rassegnandosi al fatto che una cosa del genere fosse estremamente fuori dalla sua portata.
Come fuori dalla sua portata era un ragazzo che lo stava fissando dal momento in cui aveva messo piede nel locale. Cloud incrociò il suo sguardo appena smise di osservare la coppia, e sentì un lungo brivido caldo percorrergli tutta la schiena nell’immergersi negli occhi chiari di quel ragazzo. Se avesse dovuto descriverlo, non avrebbe trovato nessun aggettivo adatto.
Il suo cuore cominciò a battere velocissimo quando lo vide alzarsi dal divanetto dov’era seduto e avvicinarsi al bancone, senza mai distogliere lo sguardo da lui. Guardò attentamente ogni suo movimento, il modo in cui le luci soffuse e rossastre del locale creavano dei giochi di colore sui suoi capelli corvini facendoli sembrare lucidi e morbidi come la seta. E Cloud si soffermò un momento a immaginare come sarebbero stati tra le sue mani, se fossero stati veramente così morbidi come pensava. E poi, quando si fu avvicinato abbastanza, guardò bene il suo volto e, prima di perdersi di nuovo nei suoi occhi chiari, fissò per qualche secondo le sue labbra sottili atteggiate a un lieve sorriso malizioso davvero irresistibile, e dovette raccogliere in sé tutta la forza che riusciva a trovare per scacciarsi dalla testa pensieri e immagini poco casti, se non voleva ritrovarsi con un’erezione nel giro di due minuti.
Il ragazzo si sedette accanto a lui nell’esatto momento in cui il barista portò il bicchiere di birra che aveva ordinato poco prima. Ringraziò con un sorriso il barista e fece per prendere il portafogli quando la sua mano venne bloccata da quella del ragazzo accanto a lui che pagò al posto suo, sempre con quel sorriso malizioso stampato in faccia.
Si voltò di nuovo verso Cloud e si avvicinò al suo volto per mormorargli nell’orecchio «Questa te la offro io» con una voce tale che il biondo dovette trattenere per un momento il respiro se non avesse voluto farsi scappare dalle labbra un gemito. Dio, quanto era eccitante.
«Molto gentile da parte tua» disse Cloud, prendendo un sorso dalla sua birra ghiacciata «Di questi tempi sembrano non esistere più galantuomini».
Il ragazzo ridacchiò leggermente «Già, anche se per fortuna esistono le eccezioni» ribatté, avvicinandosi di nuovo al volto di Cloud, la mano che ancora stringeva quella dell’altro.
Cloud si sentì avvampare per colpa della vicinanza di quel ragazzo meraviglioso e istintivamente strinse con più forza il bicchiere di birra sul bancone. Quanto avrebbe voluto baciarlo.
Trattenne per un momento il fiato appena avvertì la mano libera del ragazzo poggiarsi sul suo fianco e stringere delicatamente la stoffa della sua maglia. Lo guardò mentre si alzava e si chinava sul suo viso, avvicinandosi ancora di più fino a trovarsi a un soffio dalle sue labbra.
«Ti andrebbe di ballare?» chiese il ragazzo, intensificando la stretta della mano sul fianco del biondo.
Cloud sorrise lievemente, lo sguardo perso in quegli occhi azzurri dannatamente perfetti, e rispose «Non accetto inviti da galantuomini che non mi si sono neppure presentati».
Il ragazzo ricambiò il sorriso «Mi chiamo Zack, e tu?».
«Cloud» rispose, e subito dopo aggiunse «Lo so, è un nome abbastanza ridicolo».
«Affatto» ribatté Zack, lo sguardo che scattava dagli occhi alle labbra di Cloud e viceversa, e poi aggiunse con un sussurro «Mi piace, è un bel nome. E ora, Cloud, ti andrebbe di ballare con me?».
Il biondo sentì di nuovo un brivido caldo scuotergli lievemente tutto il corpo appena sentì Zack sussurrare il suo nome con quella sua voce meravigliosa, e con un piccolo sorriso malizioso gli rispose «Con molto piacere, Zack» sottolineando leggermente la parola “piacere”.
Zack intuì quella sua piccola ambiguità e rise leggermente mentre lasciava la presa sul fianco di Cloud e si dirigeva lentamente verso la pista da ballo, continuando però a tenere stretta nella sua mano quella del biondo.
 
 
 
 
 
Ballarono insieme per un’ora intera, l’uno stretto all’altro per colpa del poco spazio disponibile in mezzo alla pista affollata.
All’inizio, Cloud si sentiva imbarazzato a ballare praticamente appiccicato a Zack, pensando che avrebbe preferito restare al bancone e magari rifiutare quell’invito e magari rimanere da solo a sorseggiare la sua birra rossa. Ma poi incrociò di nuovo lo sguardo di Zack, il suo corpo che aderiva a quello dell’altro a ogni movimento, e si diede mentalmente dello stupido per aver solamente pensato di non volere la sua compagnia.
Cloud sorrise maliziosamente a Zack e dimenticò qualunque dubbio o imbarazzo, lasciandosi trasportare dalla musica e avvolgendo il collo del moro con le braccia, i loro corpi che si muovevano perfettamente in sincrono e i volti vicinissimi. Zack ricambiò il sorriso e assecondò la stretta del biondo, cingendogli i fianchi con le mani e tirandolo di più verso di sé. Rimase deliziato dalla reazione del biondo a quel gesto, osservando le sue guance colorarsi lievemente di rosso e le labbra schiudersi per far sfuggire un piccolissimo ansito di sorpresa.
Zack appoggiò la fronte su quella del biondo e continuando a ballare con lui, fece scorrere le sue mani lungo la schiena del ragazzo, sentendola arcuarsi leggermente sotto il suo tocco. Avvertì il respiro di Cloud farsi più pesante mentre continuava a far vagare le proprie mani in un lento movimento su e giù. Poi, quando raggiunse di nuovo i fianchi, continuò a scendere fino al suo sedere e strinse forte tra le mani i glutei. E, caspita, il gemito che Cloud finalmente emise era una delle cose più arrapanti che avesse mai sentito.
Lo guardò negli occhi e avrebbe potuto giurare che gli fosse appena venuta un’erezione nel vedere l’espressione del volto del biondo. I suoi occhi, che brillavano sotto le luci del locale, sembravano infuocati e lo scrutavano in un modo che avrebbe potuto scioglierlo in un secondo; piccole gocce di sudore gli solcavano la pelle, alcune scendendo piano lungo le tempie, mentre una corse lungo la fronte e il naso fino a giungere alle labbra dischiuse per respirare più forte. E osservò con attenzione il momento in cui vide la goccia raggiungere quella bocca rossa per il caldo, scivolare lungo il contorno sinuoso fino al mento e tracciare una linea dritta e perfetta lungo il collo.
Stavolta fu Zack a deliziare le orecchie di Cloud con un lieve e basso gemito di piacere, e ne ebbe la prova dal fatto che il biondo cominciò a stringergli i capelli tra le dita, cercando di tirarlo verso di sé. Il moro alzò di nuovo lo sguardo per poter incrociare ancora quello di Cloud e sorrise lentamente mentre chinava il volto verso il collo del biondo.
Sentì Cloud inspirare con forza appena poggiò le labbra sulla sua pelle madida di sudore e iniziava a torturarla baciandola, mordendola e succhiandola; e sorrise ancora quando le mani del biondo cominciarono a stringere con più forza i suoi capelli e il respiro gli si faceva pian piano più frammentato.
Cloud si abbandonò completamente alle attenzioni di Zack, chiudendo gli occhi e infischiandosene del fatto che le persone che lo circondavano potessero sentire i suoi ansiti o gemiti. Non poteva non assaporare al meglio il tocco di quelle labbra sulla propria pelle e la sensazione della sua lingua e dei suoi denti che lo torturavano, e i brividi di piacere che continuava ad avvertire per colpa delle sue mani che continuavano a palpargli il sedere. Poteva già sentire la propria erezione che pian piano si faceva più evidente e pensò che se già stesse cominciando a sentirsi al culmine del piacere, allora se avessero iniziato a fare sul serio non sarebbe durato meno di cinque minuti.
E lui si vantava di avere un ottimo autocontrollo per queste cose.
Il suo cuore perse un battito quando sentì le labbra di Zack tracciare un percorso fatto di baci lungo tutto il suo collo, dedicando un po’ più di attenzioni al pomo d’Adamo che diede una scarica di piacere al biondo abbastanza intensa da farlo gemere ancora. Arrivato al mento, il moro si fermò un momento, prendendosi tutto il tempo che voleva per lasciare la presa da quel sedere perfetto di Cloud e cingere il suo viso angelico atteggiato a un’espressione di puro piacere. Lo avvicinò ancora di più a sé e con il cuore che batteva all’impazzata si decise ad annullare la distanza tra le proprie labbra e quelle del biondo. Era da quando l’aveva visto entrare nel locale che desiderava poter gustare il sapore della sua bocca e, caspita, questo andava oltre ogni sua immaginazione.
Le loro labbra dapprima si sfiorarono piano, quasi come se entrambi i ragazzi provassero un po’ di imbarazzo per quel contatto così intimo. Poi quell’attrazione che li aveva spinti ad avvicinarsi fece in modo di disinibirli. Dimenticarono l’imbarazzo di avere davanti un completo sconosciuto e cominciarono a baciarsi con più vigore di prima, schiudendo le labbra per approfondire ancora di più il contatto.
Cloud si sentiva in modo meraviglioso. Era felice di essersi sbagliato, circa un’ora prima, sul fatto che di sicuro non sarebbe riuscito a trovare qualcuno con cui passare la serata; anche se, precisamente, non si era poi così sbagliato, visto che non aveva fatto altro che accettare l’invito di Zack. Ma, insomma, erano solo dettagli, ciò che importava era che il biondo si sentisse praticamente sciogliere per quel bacio a dir poco perfetto. Zack era davvero uno dei pochi che avesse “incontrato”, se non l’unico, a essere così tanto bravo a baciare che con solo un movimento particolare della lingua contro la propria lo facesse infiammare dal piacere.
Di sicuro, quella notte non se lo sarebbe fatto scappare.
Dopo poco i due dovettero sciogliere il bacio per poter riprendere fiato, e in mezzo a una pista da ballo gremita di persone non era l’ideale; quindi, Cloud prese Zack per il polso e lo trascinò in un punto più isolato del locale, sorridendo divertito quando il moro, appena si allontanarono dalla folla, lo spinse contro il muro più vicino e lo strinse forte a sé.
«Sono davvero così irresistibile?» chiese il biondo appena prima che Zack tornasse a baciarlo con forza, i loro corpi che aderivano perfettamente.
Il moro, scostatosi leggermente dalle labbra dell’altro, sorrise maliziosamente e, prima di tornare su quella bocca ora arrossata per i baci, rispose sussurrando nell’orecchio di Cloud con voce roca «Non sai quanto».
Cloud sorrise nel bacio e si sollevò sulle punte dei piedi per poter raggiungere meglio le labbra perfette di Zack, una decina di centimetri più alto del biondo. Decisamente, non se lo sarebbe fatto scappare quella notte.
«Allora perché non vieni da me?» propose, quindi, Cloud dopo essersi scostato un po’ dal bacio e guardando l’altro dritto negli occhi con un sorrisetto malizioso stampato in viso «Staremo più comodi ed è pure vici-».
«D’accordo, ci sto» lo interruppe Zack poco prima di tornare a baciarlo, spingendolo ancora di più contro il muro, le gambe che si incastrarono alla perfezione in mezzo a quelle di Cloud.
Il biondo sciolse il bacio e rise di gusto, stretto tra le braccia di Zack «Quanta fretta! Spero tu riesca a resistere per almeno dieci minuti fino a quando non arriviamo a casa!» esclamò, cominciando a trascinare il moro attraverso il locale fino all’uscita.
Zack sorrise e lo baciò ancora una volta mentre uscivano fuori all’aria fredda «Non lo so, ma nel dubbio cerchiamo di dimezzare il tempo» disse poi con voce suadente.
Cloud rise di nuovo, ma strinse con più forza la mano di Zack e cominciò a condurlo verso l’appartamento, prima a passo veloce e poi correndo.
Arrivarono al condominio dopo nemmeno quattro minuti.
Non avevano mai corso così velocemente in tutta la loro vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
II.Sunday
 
Zack Fair odiava quella città di merda. Odiava la noia della routine di ogni giorno. Dormire, svegliarsi, mangiare, lavorare, mangiare, tornare a casa la sera, mangiare, scopare (quando era possibile, anche se non gli desse affatto fastidio), dormire, e così uguale ogni fottutissimo giorno. Quando se ne lamentava a lavoro (era uno degli unici tatuatori della città, e se ne compiaceva a dire il vero), tutti i suoi colleghi dicevano sempre che fosse «uno spirito libero imprigionato in una gabbia»; non poteva dar loro alcun torto.
Desiderava con tutto il cuore di poter scappare, prendere un treno o un aereo e non conoscerne nemmeno la destinazione. L’unica cosa che gli bastava sapere sarebbe stato che almeno fosse riuscito a evadere finalmente da quella dannata prigione.
Zack Fair, al contrario di tutti gli altri omosessuali che conosceva di quella merdosa città, non aveva affatto paura di urlare ai quattro venti che a lui piacesse il cazzo e ricevere sguardi disgustati o sconvolti da parte degli altri prigionieri che incrociava per la strada. Perché doveva  nascondere, o peggio ancora fingere, la propria sessualità? Come anche la propria religione o i propri ideali. Agli estranei non doveva importargliene un cazzo di quello che un tipo dai capelli lunghi e pieno di tatuaggi come lui facesse a letto, quale religione praticasse o meno, o quello che pensasse sulla famiglia tradizionale. Ma la gente di paese (perché alla fine, una città poteva anche essere grande quanto una nazione, ma se i suoi abitanti erano degli ignoranti del cazzo, non poteva di certo essere considerata una metropoli al passo col progresso) era fatta così. Le prime cose che ti chiedevano quando volevano conoscerti, subito dopo il nome e il cognome, erano «Hai una ragazza?» o «Sei cristiano?» oppure ancora «Che persone sono i tuoi genitori?»; e dalle risposte che avresti dato, queste persone crederanno di conoscerti alla perfezione e di essere nella posizione di giudicarti. Cristo, quanto li odiava.
Sarebbe stato bello, spesso pensava Zack Fair, se avesse trovato un ragazzo che gli piacesse davvero e che odiasse come lui quella città di merda e scappare insieme, alla ricerca di un posto in cui potersi sentire liberi.
 
 
 
 
 
Cloud si svegliò con lentezza, assaporando la sensazione di aver dormito talmente bene da essere relativamente più reattivo del solito. Si stiracchiò piano, le ossa che scricchiolarono in modo soddisfacente, e gemette leggermente per il dolore quando fece un movimento sbagliato con il bacino, risvegliando il dolore al fondoschiena. Sorrise divertito, ricordando ciò che era successo quella notte e si sentì quasi arrossire ripensando a certi momenti che l’avevano fatto eccitare peggio di una cagna in calore.
Cristo, non si era mai sentito così appagato dopo una scopata come in quel momento.
Il biondo si rigirò tra le coperte e il sorriso gli si smorzò un po’ quando trovò l’altra metà del letto vuota, anche se un po’ se l’era aspettato. Tutti quelli che avesse mai portato a casa sua per una notte, la mattina dopo scappavano come dei ladri, senza lasciare alcuna traccia del loro passaggio. Come se non fossero mai stati lì. E aveva immaginato che anche un ragazzo dai lunghi capelli neri e pieno di tatuaggi come Zack non potesse che essere da meno.
Per questo quando alzò lo sguardo e incrociò quello acquamarina di Zack, con indosso solamente i pantaloni della sera prima e in piedi sulla soglia della porta con in mano due tazzine di caffè fumanti, non poté far altro che sgranare gli occhi e spalancare la bocca per la sorpresa.
Zack alla vista della reazione del biondo scoppiò in una risata a malapena soffocata e, cercando di non far rovesciare il caffè bollente dalle tazzine che aveva in mano, si avvicinò al letto e si sedette sul bordo, accanto a Cloud, il quale poteva finalmente ammirare meglio quei suoi coloratissimi tatuaggi lungo le braccia.
«Sapevo di essere dannatamente sexy in qualunque momento della giornata» disse Zack, porgendo una delle tazzine a Cloud, avvicinandosi un po’ di più al suo volto fino a sfiorargli le labbra, atteggiate a un sorriso imbarazzato veramente adorabile «Ma non credevo di poterti fare quest’effetto!» aggiunse, poi, dandogli un lungo e tenero bacio che schioccò nel silenzio della stanza.
Cloud ridacchiò timidamente, e posando di nuovo le proprie labbra su quelle di Zack con un bacio leggerissimo, disse «Sono rimasto sorpreso che tu sia rimasto» e lo guardò negli occhi con intensità, nel cervello il pensiero che gli sarebbe dannatamente piaciuto svegliarsi tutte le mattine in quel modo, con il moro che gli preparava il caffè la mattina e gli dava il buongiorno con un bacio meraviglioso come quello che gli aveva appena dato. Accantonò subito questa sua fantasia, e con un sorriso ironico aggiunse «Sempre se tu non scappi subito dopo avermi preparato amorevolmente questo caffè!».
Zack sorrise e con la mano libera arruffò i capelli dorati di Cloud, già estremamente scompigliati per la notte passata, e disse «Non preoccuparti, oggi sono impegnato solo di pomeriggio» concedendosi giusto un paio di secondi di silenzio per ammirare ancora la bellezza mozzafiato del biondo, per poi aggiungere serio «E poi io non sono fatto così. Io non scappo».
Cloud sorrise leggermente e poi abbassò lo sguardo verso la tazzina che aveva in mano, perché il modo in cui Zack lo stava guardando era così intenso da essere impossibile da mantenere «Mi fa piacere» mormorò il biondo prima di prendere un lungo sorso di caffè.
«Spariscono tutti al mattino?» chiese Zack, bevendo metà del proprio caffè e poi poggiando la tazzina sul comodino di fianco al letto per potersi sedere meglio accanto a Cloud e guardarlo meglio in viso.
Il biondo annuì con un lieve cenno del capo, finendo di bere il caffè e lasciando che la propria tazzina facesse compagnia a quella di Zack «Sì, e mi fanno incazzare a volte» affermò, il capo abbassato e lo sguardo rivolto alle sue mani intrecciate.
Zack sorrise dolcemente «Già, soprattutto quando fanno finta di non vederti per strada quando sono in compagnia, vero?» disse, quasi a bassa voce, portando la mano destra ad accarezzare piano i capelli morbidi del biondo, con dei movimenti concentrici che Cloud sembrò apprezzare.
«Esatto» sussurrò Cloud con un mezzo sorriso sulle labbra, chiudendo gli occhi come per assaporare meglio le carezze di Zack, e avvicinandosi un po’ di più a lui con un lieve sospiro.
Nel silenzio di quella domenica mattina, mentre Zack gli si avvicinava ancora per stringerlo a sé, continuando a carezzargli i capelli, Cloud pensava a quanto fosse strano, quasi surreale, quel momento. Si sentiva quasi protetto tra le braccia tatuate del moro, il calore del suo corpo sembrava quasi dolce e pensava che sarebbe anche potuto morire in quel momento e sarebbe stata la morte più bella che avrebbe mai potuto augurarsi.
Zack era totalmente diverso da qualunque altro ragazzo con cui avesse mai passato una notte insieme: lo baciava in modo sincero, quando lo toccava lo faceva per dare piacere a entrambi e non solo per se stesso, il sesso con lui era più che meraviglioso, e non era scappato via.
Era rimasto lì, preparandogli il caffè e coccolandolo neanche fossero una vera coppia.
Ma la cosa più importante, e forse anche la più strana, era che a ogni bacio, a ogni carezza data da Zack, sentiva il proprio cuore cominciare a battere all’impazzata e il desiderio folle di farsi baciare ancora di più e farsi toccare ancora e ancora fino allo sfinimento. Sentiva come se da parte del moro ci fosse un certo tipo di attrazione tale che lo contagiava e gli faceva desiderare di poter stare ancora un po’ insieme a quel tipo stravagante. E, chissà, magari anche Zack provava e pensava le stesse cose.
Si ritrovò a pensare che si stesse facendo troppi film mentali, e che ciò fosse dovuto al fatto che non fosse stato con nessuno per un sacco di tempo, e che quindi si fosse disabituato allo stare con qualcuno in quel modo. Decise di voler vivere quei momenti così come venivano, assaporandoli più che poteva finché gli era possibile e finché Zack non si fosse stancato e se ne fosse andato per non tornare mai più. Eppure, una vocina in un angolo remoto della sua testa, gli urlava quasi che Zack fosse diverso, che forse il moro sarebbe potuto essere colui che sarebbe riuscito a spezzare finalmente la sua routine e che, magari, non avrebbe lasciato il suo fianco.
«A cosa pensi?» gli chiese Zack con un sussurro, riportandolo alla realtà.
Cloud alzò il capo, incrociando ancora quegli occhi acquamarina meravigliosi che sembravano comunicargli il desiderio implicito del proprietario di volerlo baciare ancora e ancora, e lasciò cadere per un momento lo sguardo verso le labbra del ragazzo, avvertendo anch’egli la voglia di avvertire di nuovo i suoi baci sulla pelle, per poi esprimere a parole ciò che stesse pensando «Penso al fatto che vorrei chiederti di baciarmi ancora».
Zack sorrise maliziosamente e prese tra le mani il volto di Cloud, avvicinandolo al proprio, il suo respiro che si scontrava sulle guance dell’altro «E perché non lo hai ancora fatto?» mormorò, sfiorando con le proprie labbra quelle dell’altro.
«Ho paura tu possa darmi del pazzo» sussurrò Cloud chiudendo gli occhi, il cuore che batteva fortissimo.
«Se non ci provi non lo saprai mai» disse Zack, accarezzando le guance del biondo con i pollici.
Cloud aprì piano gli occhi e fissò lo sguardo in quello del moro, leggendoci ancora lo stesso folle desiderio che stava provando «Baciami» sussurrò con un filo di voce, appoggiando delicatamente i palmi delle mani sui fianchi di Zack.
Il sorriso del moro si fece più ampio e soffocando una risata sussurrò «Pazzo» intrappolando poi le labbra di Cloud con le proprie in un bacio lento e sensuale da mozzare il fiato.
 
 
 
 
 
Un’ora e una doccia dopo, Cloud e Zack erano seduti al tavolo della cucina a parlare del più e del meno, fumando la loro prima sigaretta della giornata.
Zack si guardava intorno, incuriosito da ogni dettaglio di quella casa incredibilmente ordinata ma senza uno stile preciso. Alcuni mobili sembravano provenire direttamente da un negozio dell’usato per quanto sembrassero vecchi, mentre i soprammobili e le pentole, padelle, tazze e utensili per la cucina sapevano di nuovo e moderno. E poi c’era il tavolo a cui stava seduto insieme al proprietario di casa che sembrava dover crollare da un momento all’altro, in completo contrasto con le sedie bianche che erano così stabili e dure da essere quasi scomode.
Vide appesi alle pareti quadretti di tela su cui erano dipinti, con precisione estrema da sembrare fotografie, dei paesaggi di montagna dai colori chiarissimi; e accanto altre tele con disegni astratti che vantavano dei colori sgargianti e tra loro contrastanti. Erano tutti particolarissimi, e li guardava con estremo interesse, per via dell’immenso contrasto tra le rappresentazioni e gli stili.
All’inizio pensava che quei quadri fossero stati acquistati dal giovane padrone di casa solo perché gli fossero piaciuti, vista la confusione di stile anche nell’arredamento. Ma quando osservò con più attenzione le tele che poteva vedere in quella piccola cucina, notò che a ogni loro angolo c’era la stessa firma, “Cloud Strife”, sottile ed elegante in inchiostro rosso e accanto l’anno di realizzazione.
Spense la sigaretta nel posacenere al centro del tavolo e si avvicinò a uno dei quadri paesaggistici che più l’aveva colpito, e lo osservò attentamente. Era uno dei tanti paesaggi di montagna di cui quella casa era tappezzata, ma gli sembrava diverso.
All’estrema sinistra si vedeva un piccolo arco in ferro che segnava l’uscita di un sentiero tra due montagne. Il metallo di quell’arco era poi avvolto da delle piante rampicanti che crescevano sul lato di una casa lì accanto, fino a salire lungo la roccia della montagna. Sul resto della tela era dipinta solamente la grigia e dura pietra delle montagne, illuminate lievemente dalla luce del tramonto alle loro spalle.
«Quella era la vista dalla mia camera nel mio paese» mormorò Cloud, attirando l’attenzione di Zack su di sé «Lo finii di dipingere il giorno prima di andare all’università».
Il moro sgranò gli occhi per lo stupore, impressionato dalla bravura di quel ragazzo. Tornò a guardare la tela, adesso più meravigliato di prima dalla precisione di quelle pennellate delicate.
«Quindi… avevi all’incirca diciotto anni, giusto?» domandò, le labbra curvate in un sorriso sempre più stupito.
Cloud annuì con un cenno del capo e si alzò anche lui, affiancando poi il moro, dopo aver finito la sua sigaretta «Avevo compiuto diciannove anni da pochi mesi».
«Impressionante» sussurrò Zack «A quell’età riuscivo a stento a fare un disegno decente, mentre tu dipingevi in questo modo spettacolare! Hai veramente tanto talento!» aggiunse sorridendo in modo raggiante e poggiando il braccio sulle spalle di Cloud per abbracciarlo affettuosamente.
Cloud arrossì, imbarazzato dai complimenti di Zack e soprattutto dalle sue attenzioni. Non era più abituato a tutto quell’affetto di prima mattina.
«Grazie…» mormorò Cloud, abbassando gli occhi «Anche se, in realtà, odio questo quadro».
 Zack aggrottò le sopracciglia e volse lo sguardo verso il biondo, incuriosito «Perché mai? È così ben fatto e dovrebbe rappresentare un bel ricordo a te famigliare».
«È proprio quello il problema» disse Cloud con un sorriso amaro sul viso, che però Zack non poteva vedere «Io ho sempre odiato quella vista claustrofobica, quel paese sperduto tra le montagne dove faceva un freddo maledetto ogni giorno, anche d’estate. Odiavo la noia di quella vita e di quei giorni sempre uguali».
Zack sospirò lievemente, stringendo un po’ più a sé il biondo. Come poteva non capirlo perfettamente? Gli sembrava di sentire le sue stesse parole quando la vita in quella città gli stava stretta, e aveva una voglia assurda di andarsene, di essere libero.
Avrebbe voluto dire qualcosa, ma sapeva che Cloud avesse altro da aggiungere. Infatti non dovette aspettare molto per sentire di nuovo la voce del biondo.
«Lì la mia vita non è mai stata delle migliori. Sia i miei coetanei che gli adulti mi consideravano come un tipo strano e da evitare assolutamente perché ero omosessuale e perché preferivo starmene da solo a disegnare o a studiare».
Il moro vide Cloud alzare il capo e fissare il suo quadro quasi in modo impassibile. Ma il corrugamento delle sue sopracciglia bionde spezzò quella maschera di indifferenza, rivelando il suo vero astio.
«Alcune volte dei ragazzi avevano cercato di picchiarmi» mentre lo diceva, le labbra di Cloud si curvarono in un sorriso amarissimo, e Zack avvertì una rabbia incontrollabile «Ma non ci sono mai riusciti, per fortuna, grazie all’unica persona che mi ha sempre accettato e difeso senza pensarci due volte. Tifa mi ha davvero salvato la pelle tantissime volte».
Il sorriso del biondo si addolcì nel parlare di quella ragazza, e Zack avrebbe ammesso solamente sul letto di morte di aver provato una gelosia immensa in quel momento. Perché mai, si chiedeva, doveva provare gelosia per una persona che a malapena conosceva e con cui aveva fatto sesso? Certo, Cloud era un ragazzo meraviglioso (nonché estremamente irresistibile), e vedeva quanto si fidasse di lui nonostante fosse un completo sconosciuto, per il fatto che gli stesse praticamente raccontando la sua vita. Ma questo non gli dava il “diritto”, per così dire, di provare gelosia.
Scacciò quegli stupidi pensieri dalla sua testa e si chinò leggermente per cercare lo sguardo di Cloud, sorridendogli affettuosamente «Le devi volere davvero tanto bene».
Il biondo annuì, e incrociò gli occhi di Zack, il suo volto talmente vicino da poter avvertire sulla pelle il respiro del ragazzo «Sì, è la mia migliore amica. Siamo sempre insieme da che ricordi».
Zack vide negli occhi di Cloud la luce di quel sentimento che provava per quella sua amica, e di nuovo quella stupida gelosia si fece strada nel suo cuore. Quanto gli sarebbe piaciuto se Cloud un giorno, nel parlare di lui, avesse avuto la stessa luce nello sguardo come in quel momento.
«È proprio una bella cosa» disse Zack, il sorriso sempre stampato sulle labbra per cercare di mascherare ciò che stesse provando, e si avvicinò leggermente al volto del ragazzo.
Il moro stava per aggiungere qualcosa prima di poter avvertire di nuovo quelle labbra meravigliose sulle proprie, ma venne interrotto dal telefono che cominciò a squillare insistentemente. Cloud quasi balzò per lo spavento, troppo intento a contemplare il volto spettacolare del moro, e maledì mentalmente chiunque avesse interrotto quel momento.
Mormorò un «Scusa, devo andare a rispondere» molto imbarazzato mentre scioglieva l’abbraccio di Zack e tornava al tavolo per prendere il cellulare. Sorrise divertito nel leggere il nome di Tifa sullo schermo.
«Parli del diavolo…» fece Cloud, rivolgendo un altro sguardo veloce verso Zack, prima di rispondere e aprire la finestra vicino al tavolo e uscire fuori al balconcino.
Zack restò lì fermo per qualche secondo, lo sguardo perso nel punto in cui Cloud era sparito oltre la soglia della finestra, e tornò a guardare il quadro. In quei colori slavati e spenti riusciva come a percepire sulla pelle l’aria secca tipica della montagna, e intravedeva la nebbia fitta e fredda che sbiadiva ogni contorno. E andando oltre quell’immagine, che adesso guardava con occhi diversi e più consapevoli, poteva quasi toccare con mano la tristezza e la solitudine del ragazzo quando aveva realizzato quel dipinto. Ma soprattutto sentiva, graffiante, il senso di claustrofobia e la voglia repressa ed estenuante di scappare, come un lento urlo soffocato dentro una gabbia.
Sospirò lentamente e finalmente distolse lo sguardo dalla tela. Sentì da fuori la finestra la sottile risata di Cloud e sorrise istintivamente, dandosi subito dopo dello stupido per quella reazione. Prese il cellulare dalla tasca e guardò l’orario: era già mezzogiorno inoltrato. Forse era arrivato il momento di tornarsene a casa e alla sua vita abitudinaria.
Quella piccola e meravigliosa parentesi si sarebbe quindi conclusa. Le storie di una notte, anche se belle e intense, necessariamente finivano subito, anche se si cercava di farle durare più del dovuto. Zack sapeva che sarebbe stato un bene per entrambi, ma sentiva, dentro di sé, come la necessità impellente di passare ancora un po’ di tempo con quel ragazzo biondo così misterioso e pieno di talento. Era come se una qualche stranissima forza lo portasse a desiderare di non dividersi mai da Cloud e a voler scoprire ogni piccola sorpresa o aneddoto che avesse da nascondere.
Il rumore della finestra che veniva chiusa riportò Zack alla realtà, e alzò lo sguardo verso Cloud, incrociando all’istante i suoi occhi.
Doveva andarsene prima che fosse troppo tardi.
«Era Tifa» disse Cloud, sorridendo lievemente e avvicinandosi al moro, rimanendo però a una certa distanza. Troppo timido per riprendere lui stesso la situazione prima interrotta «Era preoccupata perché ieri sera non l’ho avvisata quando sono tornato a casa».
Zack piegò il capo da un lato, perplesso «Vive qui vicino?» chiese, curioso, anche se con ancora un pizzico di gelosia che sperò di essere riuscito a non rendere evidente.
«Non proprio, mi ci vogliono circa venti minuti in autobus per raggiungere casa sua e del suo fidanzato» spiegò Cloud, un po’ stupito dalla curiosità del moro, ma soprattutto dal suo tono. Che magari fosse geloso?
Nah, impossibile.
«Capisco» fece Zack, sospirando impercettibilmente per il sollievo. Quella Tifa allora era fidanzata. Meglio così.
Scacciò via quel pensiero e distolse lo sguardo da quello di Cloud, a malincuore.
Doveva andarsene prima che fosse troppo tardi.
Calò un silenzio imbarazzante tra i due ragazzi, che adesso non avevano neanche il coraggio di tornare a guardarsi negli occhi, la consapevolezza di trovarsi di fronte a un completo sconosciuto si fece via via sempre più forte. Ma se ascoltavano con attenzione, una piccolissima e sottilissima vocina nei meandri più profondi delle loro teste diceva loro che quell’imbarazzo fosse inutile, perché si sentivano (e non potevano negarlo) come se si conoscessero da sempre.
E forse Zack l’aveva ascoltata, quella vocina, ed era deciso a darle retta mentre chiedeva «Cosa fai stasera?» alzando di nuovo lo sguardo verso Cloud, il sorriso di nuovo a curvargli le labbra.
Il biondo rimase spiazzato da quella domanda, perché non se l’aspettava minimamente, e rispose istintivamente «Niente di particolare».
«E se passassi da me, per cena?» propose allora il moro, gli occhi che esprimevano al massimo la speranza che il ragazzo accettasse «Ti andrebbe?».
Cloud non sapeva se essere felice o spaventato. Non gli era mai capitata una cosa del genere in vita sua, e non sapendo cosa fare agì d’istinto «Mi sembra una bella idea».
«Perfetto allora!».
Forse anche Cloud aveva ascoltato quella vocina.
E le aveva dato retta.
 
 
 
 
 
Dopo che si scambiarono i numeri di telefono, Cloud accompagnò Zack alla porta d’ingresso, e lì si fermarono, imbarazzati.
Il biondo non sapeva né cosa fare né cosa dire, e guardò Zack in volto. Incrociò di nuovo gli occhi chiari, quasi innaturali, del moro e si sentì come in soggezione, schiacciato da quello sguardo penetrante che sembrava osservarlo fino in fondo all’anima. Quell’intensità negli occhi di Zack era la stessa che aveva visto la sera prima, quando l’aveva adocchiato nel locale. Quello stesso fervore che gli aveva fatto venire i brividi, quella notte, mentre lo spingeva contro il letto, sovrastandolo col suo corpo tatuato e splendido.
Cloud cercò di scacciare dalla mente quelle immagini, ma il suo sguardo scese verso le labbra del moro. Erano sottili e carnose, sempre atteggiate a un lieve sorriso malizioso. I ricordi di quella notte lo travolsero e riusciva, adesso, come a sentire sulle proprie labbra il sapore della bocca di Zack e della sua lingua mentre lo baciava con foga, ansimando e gemendo sopra di lui.
Si morse il labbro, cercando di reprimere il desiderio impellente di lanciarsi al collo di Zack e rivivere ciò che era successo quella notte, sbattendo da un muro all’altro nel raggiungere la sua camera, perché troppo intenti a baciarsi per prestare attenzione a dove andare.
Distolse, finalmente, lo sguardo dal volto di Zack e si schiarì la voce, le guance leggermente colorate di rosso per ciò che continuava a passargli per la mente.
«Be’, ci si vede stasera, allora» mormorò, quindi, Cloud, aprendo la porta d’ingresso e lasciando spazio a Zack per farlo uscire.
«Sì, a stasera» gli disse il moro, sorpassandolo e uscendo sul pianerottolo per chiamare l’ascensore, che era ovviamente occupata.
Cloud rimase sulla soglia della porta, e solo dopo qualche momento di silenzio, interrotto dal rumore degli ingranaggi dell’ascensore, riuscì a trovare la forza per guardare di nuovo Zack. Il moro non ricambiava il suo sguardo, ancora in attesa che l’ascensore fosse libera. Dopo poco, però, Cloud venne di nuovo travolto dagli occhi di Zack, finalmente rivolto verso di lui.
Il biondo si schiarì di nuovo la voce, ma questa volta non distolse lo sguardo.
«È lontana casa tua da qui?» chiese, giusto per rompere quel silenzio imbarazzante.
Zack gli sorrise, e gli si avvicinò di un passo, l’ascensore che lentamente arrivava al piano «No, sono solo una decina di minuti a piedi, tranquillo».
Cloud ricambiò il sorriso e si appoggiò allo stipite della porta per poter guardare meglio Zack.
Il moro abbassò lo sguardo per un momento e poi, quasi imbarazzato, disse «Comunque, ieri sera è stata molto… piacevole» e si avvicinò fino a fronteggiarlo.
Cloud sentì le guance andargli a fuoco e arretrò fino a stare completamente appoggiato contro la porta «Lo stesso vale per me» disse, il cuore che gli batteva fortissimo in gola.
Zack continuò ad avvicinarsi finché non schiacciò il biondo contro la porta, spingendo il ginocchio tra le sue gambe. Si morse il labbro, prendendo tra le mani il volto di Cloud, e poi mormorò «Dovrei andare, adesso, ma prima voglio fare una cosa».
Cloud non ebbe nemmeno il tempo di capire ciò che Zack gli avesse appena detto, che avvertì, finalmente, le sue labbra sulle proprie. Fu un bacio dolce come quello che il moro gli aveva dato qualche ora prima, appena sveglio, mentre gli portava il caffè a letto. Riuscì a sentire al meglio il sapore della bocca di Zack, mentre la lingua del moro sfiorava la sua. Avvertendo il sapore forte e pungente del tabacco mischiato a quello amaro e profondo del caffè, non poté non sentirsi come sciogliere a quel gusto stupendo.
Si abbandonò completamente a quel bacio, lasciandosi ancora sovrastare da Zack, curvo su di lui per colpa della differenza d’altezza, e muovendo le mani lungo il suo busto, coperto dalla camicia nera che aveva indossato la sera prima, salendo fino al suo collo per poi affondare le dita nei suoi lunghi capelli corvini. Come sarebbe stato bello se quel momento non fosse finito mai.
Il rumore improvviso dell’ascensore, finalmente arrivata al piano, fece sussultare i due, che si staccarono istintivamente. Si guardarono negli occhi per qualche secondo, il fiato un po’ corto per il bacio, poi Zack sorrise ancora a Cloud e, dopo avergli carezzato le guance con i pollici, si allontanò da lui e andò verso l’ascensore dicendo «A più tardi, Cloud».
Il biondo rimase lì, immobile, a guardare Zack entrare nell’ascensore e sparire dalla sua vista, il cuore che gli batteva fortissimo perché si era appena accorto che quella fosse stata la prima volta che il moro avesse pronunciato il suo nome.
E il modo in cui suonava dalla sua bocca era stato così meraviglioso da spiazzarlo.
Scosse la testa e sospirò, sorridendo divertito di se stesso e delle sue reazioni. Non era la prima volta che andava con uno sconosciuto veramente attraente, ma non sapeva nemmeno lui come spiegarsi perché, questa volta, si sentisse così emozionato. E solo in quel momento si rese conto di aver accettato un invito a casa di un completo sconosciuto (anche se lo stesso era valso per Zack la sera prima), e non sapeva più se esserne spaventato, o sentirsi eccitato all’idea di passare una notte simile a quella appena trascorsa con il moro.
 
 
 
 
 
Il Phoenix Down era l’unico studio per tatuaggi presente in tutta la città.
Ed era talmente detestato e odiato dai cittadini, che tentarono più volte di farlo fallire, costringendo il proprietario del locale ad aumentare l’affitto. Ma ogni tentativo fu inutile, perché per quante persone che si opponevano a quell’attività così “stramba e contro natura”, ce n’erano altrettante, se non di più, che cercavano di aiutare i tatuatori.
Quando le tasse dell’affitto aumentarono e i ragazzi dello studio sembrarono non potercela fare, i loro clienti affezionati e moltissimi giovani, che volevano ribellarsi alla poca elasticità mentale dei loro concittadini, raccolsero tutti una bella somma per aiutare; e questo continuò finché l’affitto non venne ripristinato al prezzo originale.
Alla fine, dopo tanti tentativi, tutti gli “oppositori” del Phoenix Down rinunciarono alla loro missione di farlo fallire e accettarono, a malincuore, il fatto di avere tra di loro gente “immorale e diversa”, che non rispettava il corpo che Dio le aveva donato, martoriandolo con quegli orribili tatuaggi.
Quando, poi, Zack (ritenuto forse il più bravo tra i tatuatori del Phoenix Down) rese pubblica la sua omosessualità baciando in piena piazza un ragazzo, ci fu un inorridimento generale. Se già la gente lo guardava con sguardi infuocati pieni di disprezzo, da quando si scoprì il suo orientamento sessuale “contro natura”, ci mancava poco che cominciassero a lanciargli addosso, e ovunque passasse, dell’acqua santa per “scacciare il demone che lo possedeva”.
Una persona normale avrebbe cercato in tutti i modi di ripristinare la propria reputazione, magari cercando di smentire il fatto di essere omosessuale (cosa assolutamente impossibile da fare, visto il modo in cui si fosse esposto). Ma Zack non si preoccupava affatto di avere una buona reputazione o meno. Anzi, si poteva dire che si divertisse un mondo a provocare il disgusto e il terrore nelle persone che incrociava per strada. Canticchiava canzoni che parlavano di cose scandalose, faceva l’occhiolino ai ragazzi che gli passavano accanto e che gli piacevano, e cercava sempre di tenere in mostra i suoi tatuaggi (soprattutto la piccola croce capovolta che aveva sull’avambraccio destro).
Ma Zack, ovviamente, non era l’unico a essere guardato malissimo dalla gente.
Anche i suoi due colleghi, Reno e Rude, venivano presi di mira dagli sguardi giudiziosi delle persone. Soprattutto perché fossero molto più appariscenti rispetto a Zack.
Reno aveva lunghi capelli rossi, costantemente legati, e due tatuaggi speculari all’altezza delle guance, che sembravano come dei tagli sanguinanti appena sotto gli occhi verdi. Ma ciò che attirava di più l’attenzione era il suo essere dannatamente rumoroso e quando parlava, almeno il 90% delle parole pronunciate erano parolacce.
Il suo esatto contrario era Rude. Era un uomo dalla corporatura robusta, sempre vestito in modo impeccabile, ed era molto gentile e cordiale, nonostante il suo nome. Le sue caratteristiche più appariscenti (a parte i capelli completamente rasati) erano gli innumerevoli piercing ad anello che gli decoravano entrambe le orecchie, in contrasto con il suo abbigliamento elegante, e il fatto che portasse costantemente lo stesso paio di occhiali da sole, anche la sera.
Questi due tipi, assolutamente diversi l’uno dall’altro, erano amici per la pelle, o come piaceva loro definirsi, partners in crime. Vivevano insieme in un appartamento non molto lontano dal Phoenix Down, e ogni cosa che dovessero fare, anche andare a fare la spesa, la facevano assieme.
In città, moltissimi (e, doveva ammetterlo, anche Zack) avevano malignato che fossero compagni, ma i due non dettero mai l’impressione che fosse vero. Il loro collega spesso aveva cercato di far dire loro qualcosa sulla loro “relazione”, ma non ne ricavò nulla e decise di non indagare oltre (anche se moriva dalla curiosità di sapere se fossero veramente solo amici).
Ma nonostante la cattiva reputazione, e i proprietari strambi, il Phoenix Down vantava il fatto di essere sempre all’opera, con almeno due appuntamenti per tatuatore al giorno.
E questo non poteva che essere un bene.
 
 
 
 
 
Da quando aveva lasciato l’appartamento di Cloud, Zack non fece altro che pensare a lui.
Se si concentrava, riusciva ancora ad avvertire la sensazione di avere le labbra di Cloud premute sulle proprie, e il calore delle sue mani mentre gli stringeva i capelli.
Sorrise mentre ripensava a come avesse “giustificato” il bacio che gli aveva dato prima di andarsene. Se avesse potuto, in realtà, avrebbe mandato al diavolo i due appuntamenti che aveva quel pomeriggio (che, onestamente, di domenica?!), e sarebbe rimasto da Cloud, perché lui e le sue labbra e il suo corpo erano davvero irresistibili.
Sospirò, mentre si chiudeva la porta di casa alle spalle, sperando che si distraesse dal continuo pensare a Cloud. Almeno per concentrarsi mentre lavorava, non perché rischiasse di farsi venire un’erezione al ricordo della notte passata.
Ma soprattutto, sperava che Reno non notasse il suo essere distratto per colpa del biondo, altrimenti non se lo sarebbe mai scollato di dosso finché non avesse sputato il rospo.
Lui e la sua curiosità da vecchia pettegola di paese, di quelle che si stavano sempre sedute davanti la porta di casa a parlare con le vicine.
Ovviamente, però, Reno aveva un ottimo istinto, e gli bastò guardarlo un attimo, appena Zack entrò nello studio, per chiedergli «Hai una macchia rossa gigantesca, lì sul collo!» sorridendo maliziosamente dalla sua postazione dietro il bancone della cassa «Cosa hai combinato ieri sera, eh?».
Zack arrossì vistosamente e si coprì il collo istintivamente «Veramente?!» esclamò, stupito e imbarazzato. Come aveva fatto a non accorgersene?
A quella sua reazione, Reno scoppiò a ridere come un pazzo, rischiando di ruzzolare a terra per come si stesse sganasciando dalle risate. Anche Rude, seduto al tavolo lì vicino a disegnare, cominciò a ridacchiare, dopo essersi voltato verso di lui.
«Che avete da ridere, voi due?» fece Zack con tono arrabbiato, togliendosi la giacca di pelle e appendendola all’attaccapanni vicino la porta d’ingresso, le guance ancora vistosamente colorate di rosso.
Reno si asciugò gli occhi, e dopo aver ritrovato un po’ di fiato per le troppe risate, disse «C’è che ci sei cascato come un fesso, fratello!».
Zack inarcò un sopracciglio, perplesso.
«Cosa vuoi dire?» chiese, tornando a coprirsi il collo con le mani e andando verso la sua postazione dall’altra parte della stanza a sedersi e rivedere il tatuaggio che aveva disegnato il giorno prima.
«Che ti ha preso per il culo, prima» disse Rude con un lieve sorrisetto sulle labbra e Reno, adesso seduto accanto a lui, ridacchiò soddisfatto «Non hai niente sul collo, puoi stare tranquillo, fessacchiotto».
Zack si accigliò un po’, arrabbiato sia con Reno per avergli fatto quello scherzo, sia con se stesso per esserci cascato come un imbecille.
«Stronzo che non sei altro» disse, infatti, Zack rivolto a Reno, prima di voltarsi verso i suoi disegni per rivederli o aggiustarli.
«Anche io ti voglio bene, fesso» gli rispose Reno dall’altra parte della stanza.
Zack sospirò e sperò con tutto il suo cuore che il rosso non riprenda l’argomento, perché non voleva rischiare di distrarsi. Però, purtroppo, il silenzio durò poco.
«Quindi ieri sera hai scopato veramente, eh?» chiese, infatti, Reno, avvicinandosi con la sedia a Zack, facendola scivolare sul pavimento di linoleum nero.
Il moro mugugnò qualcosa di indefinibile per la disperazione. Perché il suo amico, nonché collega, doveva essere così pettegolo e ficcanaso? Non poteva essere come Rude, che aspettava che fosse Zack a raccontargli le cose quando voleva, nonostante fosse anche lui un dannatissimo pettegolo? Voleva piangere.
«Dai, sono curioso! Raccontami qualcosa!» esclamò Reno, e sentendo Rude fare un piccolo colpo di tosse, corresse l’ultima frase «Anzi, raccontaci qualcosa. Ora va meglio, amico?» aggiunse, rivolgendosi un momento verso Rude che sorrise soddisfatto.
Zack sbatté la testa contro il tavolo.
Anche Rude era passato al lato oscuro, adesso.
Sospirò, rassegnato. Non poteva competere contro due comari come i suoi colleghi, quindi si decise a voler raccontare almeno qual cosina, giusto per soddisfare il loro desiderio di sapere.
«Che cosa volete sapere, allora?» chiese, girando la sedia per poter guardare entrambi i suoi amici.
«Tutto» risposero contemporaneamente i due, incrociando entrambi le braccia nello stesso identico momento.
Quei due lo inquietavano veramente tanto quando facevano così.
 
 
 
 
 
«Lo voglio conoscere».
Cloud sgranò gli occhi, stupito da quella frase e ridacchiò, imbarazzato «Caspita, non ti ho detto che mi sto per sposare, Tifa!».
«Tu fatti gli affari tuoi, io lo voglio conoscere!» disse la ragazza, perentoria, incrociando le braccia sul petto e accavallando le gambe, seduta a una sedia della cucina disordinatissima di Cloud.
Dopo nemmeno venti minuti che Zack aveva lasciato l’appartamento del biondo, Tifa si era presentata davanti alla sua porta di casa, decisa di voler sapere a ogni costo ogni particolare o dettaglio dell’avventura del suo migliore amico. Ovviamente Cloud aveva provato a resistere e a contrastare l’immensa curiosità della sua amica, ma purtroppo Tifa era una di quelle persone che se dovevano sapere una cosa, ti facevano sputare il rospo, sempre e comunque.
Quindi le raccontò di come aveva conosciuto Zack, e del suo risveglio quella mattina, e di come fosse meraviglioso quel ragazzo, tralasciando alcuni dei dettagli più “intimi” che preferiva tenersi per sé. Per esempio, come si sentiva sciogliere ogni volta che pensava a come l’avesse toccato e baciato quella notte, e come il suo fiato bollente sul collo gli aveva fatto rabbrividire dal piacere. Decisamente preferiva tenerseli per sé, questi dettagli.
Però non poté non confidare all’amica ciò che aveva provato quella mattina vedendo che Zack non fosse scappato come facevano tutti, e come il desiderio di voler baciare ancora e ancora quel ragazzo l’avesse travolto come un’onda anomala. Tutto ciò lo disse con il sorriso stampato sulla faccia.
«Ma perché?» chiese, ancora, Cloud, incuriosito da tutta quella voglia di Tifa di voler conoscere Zack.
Tifa sospirò leggermente e sorridendo dolcemente disse «Perché finalmente esiste qualcuno che sia riuscito a farti sorridere per più di dieci minuti».
In quel momento Cloud si rese conto di non aver smesso nemmeno per un attimo di sorridere da quando aveva cominciato a parlare di Zack. Le guance gli facevano quasi male, si sentiva come su di giri e… felice.
Da quanto tempo era che non si sentiva così felice? Gli sembrava essere passata una vita. Non ricordava nemmeno quando fosse stata l’ultima volta in cui si fosse sentito così. Magari era stato quando fu preso all’Accademia di Belle Arti e poté finalmente scappare dal suo paese natale. Erano passati sette lunghissimi anni da allora. Caspita, veramente così tanto tempo?
Cloud abbassò lo sguardo, il sorriso che ancora non gli abbandonava il volto, anche se un po’ più lieve «Non penso che durerà molto» mormorò.
Tifa aggrottò le sopracciglia e si avvicinò un po’ a Cloud, spostando la sedia.
«Come mai?» chiese, cercando lo sguardo dell’amico «Insomma, ci sono tutti i presupposti per poterla far diventare una cosa seria con questo Zack. Ti ha anche invitato a casa sua stasera!».
«Lo so, Tifa» disse Cloud, alzando gli occhi verso quelli dell’amica «Ma… è comunque una storia di una notte o due. Finirà con il finire del weekend, perché è così che vanno questo tipo di cose».
La ragazza fece una smorfia di disappunto e sospirò, ma non disse nulla. Cloud sapeva che Tifa non fosse d’accordo con ciò che avesse appena detto, ma le storie di questo genere andavano a finire comunque, anche se una vocina continuava a ripetergli che quello non fosse il suo caso. E voleva crederle con tutto se stesso.
 
 
 
 
Tifa rimase da Cloud fino al tardo pomeriggio. Spesso capitava, quando il fidanzato aveva dei turni a lavoro che non coincidevano con quelli della ragazza, che Tifa stesse a casa dell’amico per non restare da sola.
Avevano passato tutto quel tempo parlando del più e del meno, spettegolando sui loro rispettivi colleghi di lavoro. Ogni tanto Tifa aveva dovuto richiamare più volte Cloud all’attenzione, perché si perdeva nei suoi pensieri. Infatti, il ragazzo si era ritrovato a non smettere mai di pensare a Zack, e a chiedersi che cosa mai stesse facendo.
Stava lavorando? Poteva essere, anche se fosse strano che potesse lavorare di domenica pomeriggio. Si maledì per non avergli chiesto che cosa facesse per vivere, quella mattina. Avrebbe rimediato più tardi, quando si sarebbero visti. Doveva ammettere che, però, fosse stato tentato di mandargli un messaggio, ma si era trattenuto dal farlo, perché… be’, non sapeva nemmeno perché non riuscisse a trovare la forza di scrivergli qualcosa.
«Terra chiama Cloud!» esclamò Tifa, agitando una mano davanti alla faccia di Cloud, ridacchiando «Mi ricevi?».
Il biondo sussultò e ritornò alla realtà. Guardò Tifa e si grattò la nuca imbarazzato «Scusa, mi sono distratto».
Tifa gli sorrise divertita «Stavi pensando a quel bel Zack?».
Cloud arrossì e disse «No, certo che no» in modo quasi stridulo che ovviamente sembrò poco credibile.
«Tu non mi imbrogli» fece Tifa, pizzicando affettuosamente la guancia del biondo «Si vede da lontano un miglio che stai mentendo».
Cloud sorrise e abbassò lo sguardo, imbarazzato «Mi hai beccato».
Tifa ridacchiò, e poi guardò l’orologio.
«Cazzo, sono già le sei!» esclamò «Scusami tanto, ma devo assolutamente tornare a casa».
«Nessun problema» la rassicurò Cloud, alzandosi e accompagnandola alla porta.
L’amica uscì fuori al pianerottolo, chiamò l’ascensore e tornò da Cloud, per salutarlo.
«Mi raccomando, stasera. Fatti bello per Zack, anche se sei già bello così» disse Tifa, dando all’amico un bacio sulla guancia.
«Sì, certo» disse Cloud, arrossendo di nuovo, mentre Tifa spariva dentro l’ascensore, ridendo.
 
 
 
 
 
«Ce lo devi presentare!» esclamarono i due colleghi di Zack.
Zack, alla fine, era stato costretto a raccontare tutto quanto, evitando i dettagli che preferiva tenersi per sé. Aveva raccontato di come, la sera prima, Cloud l’avesse colpito dal primo momento in cui era entrato nel locale, con i suoi occhi azzurri e il volto delicato, così bello da non sembrare umanamente possibile. E poi, disse come quella mattina non avrebbe voluto andarsene da casa del biondo.
Dopo averlo detto, Rude gli aveva sorriso divertito, mentre Reno aveva fatto un sospiro (molto esagerato) e aveva detto «Il nostro Zack si sta innamorando».
In tutta risposta, Zack gli aveva tirato un pugno sul braccio e gli aveva quasi urlato contro un «Coglione!», dopo essere arrossito talmente da sembrare un pomodoro.
Esattamente come era arrossito dopo l’esclamazione dei suoi colleghi.
«Neanche morto» disse Zack, voltandosi verso i suoi disegni sul tavolo.
«Perché no? Sono così curioso di conoscere il primo ragazzo che ti fa perdere la testa dopo tanti anni!» disse Reno, alzando un attimo la testa dallo schizzo che stava preparando per il giorno seguente.
Sospirando pesantemente, Zack posò la matita e si voltò di nuovo verso Reno con fare stizzito «Perché non è detto che continueremo a vederci».
«Sì, certo» esordì Rude, sarcastico, incrociando le braccia.
Zack sospirò di nuovo «Sentite, non mi va di continuare con questi discorsi. E poi è già tardi e devo tornare a casa» disse, cominciando a riordinare la sua postazione.
«Oh, non vorremmo mai che tu facessi aspettare la tua bella fiamma!» sogghignò Reno, scansando all’ultimo momento una gomma lanciata dal moro.
«Giuro che non ti sopporto» disse Zack ridendo «Rude, come fai a conviverci?».
«Necessità fa virtù» rispose Rude.
«Cosa hai detto, brutto stronzo?» urlò Reno alzandosi di scatto dalla sedia e scagliandosi contro l’amico, che se la rideva a crepapelle.
Vedendo quella scena Zack ridacchiò e gridò un saluto ai suoi colleghi per poi uscire dal Phoenix Down.
Nonostante fosse ancora relativamente presto, cominciò a camminare a passo spedito verso casa. Che cosa dovrei preparare per stasera? Praticamente non ho quasi nulla nel frigorifero, e non ho abbastanza tempo per fare la spesa. Cosa faccio?
Si accese una sigaretta e cominciò a fumare nervosamente. Si chiedeva perché si stesse facendo tutti questi problemi per una semplice cena con un ragazzo che aveva appena conosciuto. Un attraente e sensuale ragazzo, certo, ma non avrebbe dovuto essere così nervoso.
Era da tanto tempo che non si sentiva così dopo aver conosciuto qualcuno. Non era più abituato.
Oppure, semplicemente, era spaventato. Temeva che anche Cloud potesse deluderlo come tutti gli altri; e proprio perché quel biondino gli sembrava così diverso da tutti gli altri uomini che avesse conosciuto, temeva di poter essere di nuovo deluso.
Ormai era diventata un’abitudine vedere qualche viso sconosciuto in casa per poche ore. E le cose andavano in questo modo da così tanto tempo, che sembrava aver dimenticato che cosa significasse essere completamente attratto da qualcuno.
Per questo, mentre avvertiva il proprio cuore battere forte nel petto e le gambe quasi tremare, si sentì come un ragazzino di quindici anni che aveva la sua prima cotta. Sorrise di se stesso mentre buttava la cicca della sigaretta a terra prima di arrivare davanti al portone della palazzina in cui abitava; si scrollò di dosso il nervosismo e l’agitazione che provava, pensando che qualunque cosa sarebbe andata bene, anche ordinare una pizza e bere qualche birra. Bastava passare un po’ di tempo con quel ragazzo, e sarebbe stato contento. E credeva che anche Cloud la pensasse allo stesso modo; o almeno lo sperava.
 
 
 
 
 
Mancavano cinque minuti all’orario prestabilito per l’appuntamento (appuntamento, quale pretesa! Mi ha solamente invitato a casa sua per cena), e Cloud stava già di fronte al portone di casa di Zack.
Camminava avanti e indietro, fumando una sigaretta, teso come una corda. Giocherellando con l’accendino, pensava a tantissime cose contemporaneamente, e tutte gli provocano una lieve ansia che gli sembrava di aver completamente rimosso.
Era tanto tempo che non andava così in confusione, che perdeva la sua caratteristica calma e cominciava a fumare così nervosamente da diventare una ciminiera. Forse era dai tempi dell’università, con lo stress per gli esami, che non si comportava in quel modo. Ma adesso il motivo della sua ansia non era più il dover dare il meglio di sé a un esame.
E si sentiva uno stupido patentato ad aspettare quegli ultimi cinque minuti davanti al citofono, a preoccuparsi se fosse maleducato presentarsi con una bottiglia di vino (del discount sotto casa sua perché, insomma, non poteva permettersi qualcosa di lussuoso); o se dovesse sembrare fuori luogo vestito com’era, con un maglione dal collo alto, pantaloni, scarponcini e giacca, ovviamente tutto nero (anche se gli piaceva quel maglione con quei pantaloni stretti, gli sembrava di essere una sottospecie di artista parigino da strapazzo); oppure ancora, se vedersi con Zack fosse uno sbaglio madornale. Di solito, la regola che aveva imparato in quegli anni, era che le storie di una sola notte durassero una sola notte e basta; non dovevano continuare.
Eppure, si sentiva così attratto da quel ragazzo tatuato, come se sentisse un profondo bisogno di vederlo di nuovo, che non poteva dar retta a quella regola.
Imprecando a bassa voce finalmente gettò via la sigaretta e si decise a suonare il citofono.
Mentre saliva le scale verso il secondo piano, Cloud continuò ad avere quel conflitto interiore di pochi secondi prima.
Forse sto sbagliando tutto. Non avrei dovuto accettare l’invito. Magari mi invento una qualsiasi scusa e me ne scappo e non mi faccio più trovare. Però… lui sembra così diverso, forse posso davvero continuare con lui..
«Buonasera» e poi la voce di Zack lo fece tornare alla realtà, e tutti i suoi pensieri smisero di corrersi dietro.
Lo vide, con il braccio appoggiato allo stipite della porta, il sorriso più bello e dannatamente malizioso che avesse mai visto, e non poté non pensare che andare a trovarlo a casa sua fosse la cosa migliore che avesse fatto in tutta la sua vita finora.
«Buonasera» ricambiò il saluto e il sorriso, seppur in modo un po’ impacciato, e gli si avvicinò.
Lasciò che il moro si curvasse su di lui, le mani tatuate gli avvolgevano il volto, e che le loro labbra si incontrassero in un bacio dolce e lento, capace di fargli venire le farfalle nello stomaco.
 
 
 
 
 
Dopo aver mangiato una pizza (Zack si sentì in imbarazzo, ma Cloud lo rassicurò mille volte, dicendo che preferisse una cosa semplice che a una cena già più “formale”), si sedettero sul divano a fumare e a sorseggiare il vino che il biondo aveva portato.
Cloud si guardava intorno, attirato dall’enorme quantità di cose che ci fossero in quell’appartamento: statuette di elefanti e Buddha disseminate quasi ovunque, vari incensi di cui uno acceso sul tavolino di fronte al divano, che distribuiva un aroma penetrante in tutta la casa, porta candele (alcuni vuoti), un narghilè in cima alla libreria davanti a sé, acchiappasogni; e tantissime altre cose che gli sembrava impossibile riconoscere. Ma soprattutto libri. C’erano libri ovunque, e sembrava fossero di qualsiasi genere.
Poi la sua attenzione si spostò verso la scrivania, verso la sua sinistra, sulla quale notò una piccola tela bianca e tanti album da disegno, matite, pennelli e colori.
«Sei un artista?» quella domanda praticamente gli sfuggì di bocca.
«Diciamo di sì» sorrise Zack, spegnendo la sigaretta nel posacenere e buttando lentamente fuori il fumo dalla bocca socchiusa «Per lavoro faccio tatuaggi al Phoenix Down, ce l’hai presente, vero? Ma a volte mi piace fare qualcosa di diverso» si alzò dal divano e si avvicinò alla scrivania, prendendo poi in mano la piccola tela bianca «Anche se ultimamente sembro non avere alcuna ispirazione per disegnare qualsiasi altra cosa fuori dal lavoro…».
Cloud notò come il tono di voce di Zack fosse cambiato, e vide gli occhi chiari del tatuatore incupirsi nello stringere tra le dita la tela vuota. Capiva perfettamente la frustrazione che doveva sentire, perché lui stesso, da molto tempo ormai, non riusciva più a dipingere o comunque a essere soddisfatto di ciò che creava. Non aveva niente da rappresentare, non aveva alcuno stimolo interessante e quindi tornava a dipingere i suoi soliti paesaggi di montagna che gli ricordavano tanto il suo paese natale.
Perdendosi tra i suoi pensieri, gli venne in mente un’idea.
«Che ne dici di fare un piccolo esperimento per invogliare un po’ di fantasia?» Cloud esclamò entusiasta, Zack che si voltava verso di lui, incuriosito «Disegniamoci l’un l’altro, esprimendo le nostre prime impressioni, belle o brutte che siano. L’importante è esprimere qualcosa su carta».
Il moro ci pensò un attimo, poi sorrise, intrigato dalla proposta «Ci sto! Sarà molto divertente» acconsentì, prendendo dalla scrivania il necessario per entrambi i ragazzi, tornando poi a sedersi sul divano.
«Giusto un paio di condizioni, prima di cominciare» aggiunse Cloud, sorridente, mentre si metteva con la schiena contro il bracciolo del divano «innanzitutto, cerchiamo di non metterci più di mezz’ora. E poi non si sbircia finché non abbiamo finito entrambi».
«Mi sembra più che corretto. E quando avremo terminato ce li scambiamo, giusto?».
«Esatto».
«Allora non perdiamo altro tempo e cominciamo!».
Ridacchiarono entrambi, ma non potevano nascondere di sentirsi emozionati. Non provavano questa fortissima voglia di creare ed esprimere i loro sentimenti da un sacco di tempo. Per questo quasi tremavano loro le matite in mano mentre si guardavano negli occhi, scavando dentro se stessi per far emergere in immagini ciò che sentivano.
Dopo qualche minuto si sorrisero e contemporaneamente chinarono il capo verso i propri fogli, le matite che scorrevano decise sulla carta. Si lasciarono trasportare dall’improvvisa ispirazione e si isolarono nei loro mondi, ignorando qualsiasi altra cosa al di fuori di ciò che stessero creando. Ogni tanto capitava che i loro sguardi si incrociassero, e sentivano un lieve brivido scuotere le loro schiene, ma cercavano di non badarci per non distrarsi e perché il tempo stava per scadere!
Mentre disegnava, Zack pensava al quadro di Cloud che aveva visto quella mattina, al senso di claustrofobia che quelle montagne gli aveva trasmesso; e poi aveva sempre in mente quell’espressione triste e quasi frustrata che il biondo aveva costantemente,e da lì gli venne in mente una gabbia, come quella degli uccellini. La disegnò aperta, e dentro un ragazzo rannicchiato, con le braccia legate da una corda.
Cloud, invece, pensava alla personalità così vivace di Zack, a come fosse così diverso e… fuori luogo, quasi? Cercava di immaginare ciò che il moro potesse pensare della propria vita, del lavoro da tatuatore e della propria sessualità, e pensava che fosse quasi sprecato in quel paesino così chiuso in se stesso. Cominciò a disegnare un uomo di spalle, concentrandosi sui muscoli della schiena contratti, leggermente nascosti dai lunghi capelli corvini, e poi aggiunse delle ali, come quelle di un angelo, ma spezzate.
Entrambi, mentre disegnavano, pensavano di star facendo qualcosa di troppo intellettuale, che forse dovevano cambiare il proprio disegno per non esporsi così tanto nei confronti di un estraneo. Ma poi misero da parte quei pensieri e lasciarono che le matite facessero ciò che volevano.
Continuarono a disegnare freneticamente per quasi tre quarti d’ora, e il primo a finire fu Zack, che tirò un lunghissimo sospiro di sollievo, accasciandosi contro il bracciolo del divano.
Cloud ridacchiò per la reazione del moro e disse, senza staccare gli occhi dal proprio foglio «Dammi altri trenta secondi e ho finito anche io».
«Stanno già finendo, Cloud, vedi di sbrigarti!» lo punzecchiò Zack, ridendo «Vedi, vedi? Ventinove, ventotto, ventisette…».
«Dai non mi mettere così ansia!» quasi urlò Cloud, mentre il moro continuava il suo conto alla rovescia, e aggiunse poi sottovoce «Stronzo».
«Che hai detto, scusa?» Zack interruppe il suo conto, guardando il biondo con fare sospettoso.
«Che ho finito» rispose Cloud, ridendo tra sé e sé.
Zack mugugnò, guardando il biondo con fare dubbioso «Allora scambiamoci i fogli e vediamo».
Si passarono i disegni e, tempo di realizzare ciò che stessero vedendo, i loro sguardi increduli si incrociarono e contemporaneamente esclamarono «Non ci credo!».
Entrambi i ragazzi sentirono un insieme strano di emozioni che li scossero nel vedere quei disegni. Sembrava così strano ritrovare l’un l’altro lo stesso senso di frustrazione e claustrofobia, così strano da essere quasi buffo; per questo cominciarono a ridere. Poi restarono in silenzio e tornarono a osservare quelle immagini così simili tra loro, e furono imprigionati dai loro pensieri. Pensavano che fosse così raro che due sconosciuti riuscissero a capirsi a tal modo in meno di ventiquattr’ore. Pensavano che la persona che avevano davanti fosse speciale, che non potevano assolutamente lasciarla andare. E per un momento, un pensiero attraversò le loro menti, facendoli scuotere a tal punto da far sentire loro il bisogno di tornare a guardarsi negli occhi: forse, e ripetuto forse, quella storia da weekend sarebbe davvero potuta diventare qualcosa di più.
Il silenzio perseverava, ma non volevano rovinare quell’attimo quasi magico con le parole. Qualsiasi frase non avrebbe mai potuto descrivere ciò che provavano, e non sarebbe mai stata abbastanza efficace.
Quindi, continuarono a guardarsi intensamente negli occhi, come se riuscissero a comunicare e a capirsi senza parlare. E non si accorsero di aver lasciato cadere i fogli per terra, e che si stessero avvicinando l’uno verso l’altro, finché le loro ginocchia non si toccarono. I loro cuori battevano all’impazzata, tanto da sembrare che stessero per esplodere, e sentivano un bisogno quasi estremo di annullare ogni distanza che li separasse.
Zack sollevò le mani verso il volto di Cloud, i palmi che aderivano alle sue guance, e lo avvicinò al proprio viso, lentamente. Riusciva a sentire il fiato pesante del biondo che arrivava sulla propria faccia, e vedeva negli occhi di quel ragazzo quell’irrefrenabile desiderio di avere qualcosa in più.
Voleva, voleva, voleva.
Ed era lo stesso desiderio che sembrava scuotergli tutto il corpo.
Perciò, quando avvertì le mani di Cloud stringere nei pugni la maglietta che aveva addosso, chiuse gli occhi e si lasciò trasportare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
III.Monday
 
Zack aprì gli occhi pigramente. Si sentiva stanchissimo, e il calore delle coperte era troppo invitante per alzarsi e andare a prepararsi il caffè.
I suoi pensieri tornarono alla notte appena passata; a quel ragazzo meraviglioso, come un angelo biondo; a come si sentiva così bene insieme a lui. Sapeva di non doversi affezionare, o sarebbe rimasto di nuovo deluso. Eppure era così difficile non adorare quel volto, quel suo essere tremendamente timido da sembrare adorabile, e quel senso di costrizione che li accomunava. Non riusciva a immaginare di non doverlo più incontrare, se tutto fosse finito quel giorno.
Non voleva che Cloud restasse una solita storia da weekend.
Quel ragazzo era troppo speciale per essere dimenticato.
Si stropicciò gli occhi, e mentre si voltava verso il lato opposto del letto sentì il lieve rumore della caffettiera, accompagnato dal profondo aroma del caffè che veniva dritto dalla cucina davanti alla stanza da letto.
Non ricordava che si fossero spostati verso la sua stanza quella notte, ma non si perse troppo a lungo nei ricordi e sorrise, alzandosi silenziosamente dal letto. Indossò le mutande e un paio di pantaloni cercando di fare meno rumore possibile, e si diresse a passo felpato verso la cucina. E il sorriso che aveva stampato sul viso sembrava quasi da ebete, mentre guardava Cloud, di spalle a lui, con solo il maglione nero che portava la sera prima e che adesso notava quanto sembrasse enorme su quel corpo sottile e magro. Per un momento pensò che sarebbe stato bello vedere quella scena ogni mattina, e si avvicinò al biondo, sempre facendo attenzione a non fare rumore. Sentiva il suo cuore battere fortissimo, non si sentiva così felice da tantissimo tempo
Arrivò proprio alle spalle di Cloud, intento a versare il caffè in due tazze già per metà piene di latte, e con calma circondò la vita del biondo con le proprie braccia, abbracciandolo, sentendolo sussultare per la sorpresa contro il proprio petto.
«Buongiorno» sussurrò Zack, chinandosi fino ad appoggiare il mento sulla spalla di Cloud, il petto che aderiva alla schiena dell’altro, per poi posare un lieve e dolce bacio sul collo del biondo.
«Buongiorno anche a te, bella addormentata» rispose Cloud, voltandosi nell’abbraccio verso Zack e avvolgendogli le spalle con le braccia.
Zack sorrise con il suo solito modo malizioso e si chinò verso le labbra di Cloud, baciandole il più dolcemente e lentamente che poteva per assaporare più che poteva ogni dettaglio, e lo strinse ancora di più a sé.
 
 
 
 
 
 






Dopo una pausa di non so più quanti anni, finalmente sono tornata.
Questa piccola creatura (come piace definirla), la cominciai a scrivere un paio di anni fa; lentamente l'ho allungata, corretta, e volevo ancora continuarla, ma mi sembrava una forzatura andare avanti. Ha più senso così, senza che si sappia che cosa succederà dopo, perché volevo raccontare di un weekend, e lasciare il finale libero, così che ognuno se lo immagini a suo modo.
Comunque, sono contenta di essere tornata, anche se non prometto di presentarmi subito con qualche altra storia, perché tra gli esami e la poca ispirazione mi è difficile presentare qualcosa di bello, fatto bene e che mi piaccia, soprattutto.
Quindi, spero che questa cosuccia vi sia piaciuta! Grazie per aver letto fin qui, e ci vediamo presto!
Faxas;



P.S.: Reno e Rude sono la mia nuova OTP.

 
  
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