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Autore: Sospiri_amore    30/01/2017    0 recensioni
Nico porta sulle spalle un ricordo doloroso che condiziona ogni singolo giorno della sua vita. La ribellione e il menefreghismo sembrano l'unica soluzione al male che sente dentro.
Rassegnato a vivere la vita che la società gli impone, si ritroverà a dover abbassare la testa e accettare il lavoro che gli viene imposto presso la Fabbrica dei Sogni.
Insieme ai suoi migliori amici, Lola e Ahmed, vivrà avventure a cavallo tra la fantasia e il reale, tra il sogno e la realtà, tra la finzione e la verità.
Chi sono gli Onironauti?
Cosa deciderà di fare Nico?
Chi è la misteriosa ragazza con gli occhi tristi?
Chi lo tradirà?
Scoprirà segreti su suo fratello Alex?
Troverà l'amore?
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Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Faccia di spugna
 


È da cinque giorni che ho l'obbligo di stare nella mia camerata. Mi annoio, passo la maggior parte del tempo a dormire o guardare fuori dalla finestra, in poche parole non faccio niente. 

Lola, Ahmed e Juli mi fanno compagnia per quanto riescono. Tornano stanchi dall'allenamento e molto spesso crollano sulla loro brandina scambiando poche parole. 
Non hanno forza nemmeno per leggere un libro o distrarsi un attimo. L'istruttrice Granada li fa camminare con gli zaini pieni di pesi su e giù per il campo a volte li fa arrampicare su una parete verticale. A quanto pare quella è la prassi, ci vogliono muscoli allenati per poter usare la Macchina dei Sogni. 

Non solo, però. 

Oltre alla forza fisica devono allenare la loro capacità di orientamento e controllare le loro reazione in scenari inusuali. Per questo devono passare diverso tempo dentro a delle stanza che simulano, proiettando immagini estratte da sogni registrati, un vero e proprio viaggio con la Macchina dei Sogni. 

Foreste. 
Deserti. 
Palazzi abbandonati. 
Stanze piccolissime. 
Acqua. 
Luoghi affollati.
Treni.

Chi più ne ha più ne metta.

Le Onirocomparse recitano in questi scenari creati agli Oniroarchitetti e anche se sono cose semplici da gestire per noi matricole richiedono molta concentrazione e controllo.

Da un paio di giorni alcuni ragazzi e ragazze non tornano a dormire, la baita si sta piano piano spopolando. Dalle voci che circolano parecchi sono scappati dal campo, sono andati all'Oniroministero per farsi assegnare un nuovo incarico. Lola mi ha detto che alcuni di loro sono svenuti, si sono lamentati troppo o hanno avuto veri e propri attacchi di panico.

L'istruttrice Granada e l'istruttrice Fry, i due supervisori, non si sono fatti problemi a tagliare i rami secchi. Sì, così viene chiamato chi non è adatto a diventare Onironauta: ramo secco.

Mi annoio.

Negli ultimi giorni ho avuto un po' di problemi a dormire, le infermiere mi hanno detto che è normale. Mi hanno spiegato che le prime volte succede così e se voglio diventare Onironauta devo abituarmi e non lamentarmi troppo.

Come se fosse facile.

Le cinghie mi hanno lasciato striature rosse e violacee, le costole mi fanno male ogni volta che respiro e per la testa continua a ronzarmi il volto di quella ragazza, i suoi occhi tristi e il desiderio di poterla sfiorare, anche solo per una volta.
La definirei un'ossessione.

«Come va principino?». Daniel, il ragazzo della lavanderia, cammina a lunghi passi attraverso la camerata.

«Bene. Sto cercando di fare passare il tempo», gli dico mentre faccio saltare in aria l'orso di legno che mio fratello ha scolpito anni fa, il suo portafortuna.

«Non fare la lagna. I pochi che arriveranno ad usare la Macchina dei Sogni passeranno quello che stai vivendo tu adesso. Certo, forse in maniera meno intensa, ma anche loro staranno rinchiusi nella baita a leccarsi le ferite a chiedersi dov'è la loro mammina». Daniel mi porta un pacco con divise, asciugamani e biancheria puliti.

Grugnisco. 
Non ho voglia di dargli corda.

«L'allenamento serve a rinforzarli, in questo modo non vomiteranno, sverranno o faranno tutto ciò che tu hai fatto l'altro giorno davanti al Colonello Shinko e alla Direttrice Xix», dice sghignazzando Daniel mentre si strofina le nocche sugli occhi per prendermi in giro.

«Il fatto che abbia pianto davanti a tutti non significa che...», urlo nella direzione del ragazzo roteando minaccioso l'orso di legno che tengo in mano.

«... che sei debole e piagnucoloso? No, figurati, perché mai dovrei pensare una cosa tanto strana. Significa che sei sensibile e tenero, un vero orsacchiotto da stringere e coccolare». Daniel ha un tono sarcastico a tratti lezioso, come se parlasse a un bimbo di tre anni che vuole essere consolato.

Che stronzo.

«Vorrei vedere te al mio posto, non sei mica un Onironauta, non hai minimamente idea di cosa stiamo passando?», dico con stizza mentre prendo per la manica della camicia il ragazzo che con un colpo secco mi storta la mano incastrandola tra le mie scapole dietro la schiena. 

Il dolore è lancinante.

«Stai calmo ragazzino. Il fatto che pulisca i tuoi calzini puzzolenti non significa che non sappia quello che stai facendo», mi dice spingendomi con forza verso la mia brandina. «Non dimenticare che sei una matricola, dovrai fare ancora molta strada prima di diventare Onironauta. Le cose diventeranno sempre più difficili, ti massacreranno, ti distruggeranno psicologicamente se non farai quello che ti dicono».

Le vene sul collo di Daniel pulsano, i suoi occhi color nocciola esprimono tutta la rabbia e la frustrazione che prova. È più forte di quanto immaginassi, non riesco a liberarmi.

«Segui le loro regole e diventerai quello che hai sempre sognato di essere. Se farai un solo errore, uno solo, verrai allontanato e tutti i tuoi sforzi saranno stati vani. Capito sfigato?». Daniel è a pochi centimetri da me.

Non ho abbastanza forza per reagire è più forte di me, se solo provassi a cacciarlo oppure a reagire mi riempirebbe di botte all'istante.

Non voglio cogliere questo rischio per questo annuisco docile.

Un occhio nero o un braccio fuori uso non sarebbero ben visti dai miei istruttori. Per quanto folle possa sembrare l'esperienza nella Macchina dei Sogni è stata pazzesca, unica, meravigliosa. Il dolore, la fatica sono cose che passano, il ricordo di ciò che ho vissuto è tatuato nella mia coscienza. Non lo dimenticherò mai.
Lo voglio fare ancora.

Daniel mi schiaffeggia leggermente, è divertito e schifato allo stesso tempo, io resto inerme steso sul letto.

«Per resistere qui al campo devi capire quali sono le cose importanti. Non farti fregare. Non cercare cose che non ci sono, non hai la stoffa. Non hai la stoffa caro Songus». 

Il ragazzo raccoglie l'orso intagliato da mio fratello dal pavimento, lo rigira tra le mani qualche secondo sfiorando le scalfitture e il piccolo muso sporgente. 

Me lo lancia.

«Tra cinquanta minuti devi essere al sesto piano interrato. Riprendi a frequentare le lezioni. Fossi in te mi sbrigherei», mi dice mentre esce dalla mia camerata fischiettando.

Non ho tempo per piangermi addosso. Nonostante Daniel sia uno sbruffone non voglio giocarmi la possibilità di entrare ancora nella Macchina dei Sogni. Non posso fare errori.

Mi infilo la divisa e gli anfibi in tempi record. Il dolore che provo nel sentire il tessuto scivolare ruvido sui lividi non ha importanza. Lo posso sopportare, prima o poi passerà.
I piedi stretti negli anfibi duri e lucidi schiacciano le piaghe che erano in via di guarigione.

Non mi importa di nulla.
Ho voglia di andare e niente mi fermerà.

Abbandono la baita, gli abeti secolari del bosco accompagnano muti il mio scivolare giù per il fianco della montagna. Cerco di mantenere l'equilibrio meglio che posso, non voglio rischiare di essere punito dagli istruttori per un'inezia come la divisa sgualcita. 

Dopo nemmeno venti minuti sono arrivato.

Mi ripulisco dalle foglie e rametti incastrati ovunque mentre corro attraverso le palazzine e i capannoni in lamiera. La piazza è colma, devo zigzagare tra le persone con i sacchetti della spesa e tra quelli che passeggiano godendo del caldo sole di fine estate.

La strada che porta alla cupola di vetro, unico accesso ai pieni interrati, è davanti a me. Il selciato corre parallelo allo strapiombo e mi mostra l'Onirocascata in tutta la sua magnificenza. La percorro a perdifiato.

Prima di schiacciare il tasto dell'ascensore provo a specchiarmi in una lastra di metallo che ricopre la cupola. L'immagine confusa e distorta non mi permette di capire se sono perfettamente in ordine o meno, cerco comunque di lisciarmi i capelli e asciugare le gocce di sudore sulla fronte.

Con l'indice premo il tasto con impresso una freccia verso il basso.

Dopo nemmeno due minuti le porte scorrevoli si aprono.

Salgo sul grande vano capace di ospitare molte più persone. 

-6.

L'ascensore parte. Le pareti di vetro mi permettono di osservare il panorama, per qualche secondo in più dell'altra volta posso godere della vista dell'Onirocascata. Sono estasiato.

Dlin.
Dlon.
Sesto piano interrato. Benvenuto.

Una folla di matricole sta aspettando compressa in una stanza, sembrano tutti troppo impegnati a parlare tra di loro per accorgersi della mia presenza. Mi immetto con forza tra i corpi stipati, spingendo, facendomi largo e puntando in una direzione precisa: la testa di Ahmed. La vedo sporgere sopra tutte, la riconoscerei tra mille.

«Ciao», dico appena arrivo dai miei amici.

«Ciao Nico!». Lola mi assale schiacciando involontariamente i lividi sul torace e sulla schiena. 

«Ciao undici minuti», dice Ahmed alzando il palmo in aria per darmi il cinque.

«Come mai sei qui? Sei sicuro di stare bene? Non dovresti riposare ancora un po'?». Juli parla così veloce che faccio fatica a seguirla.

«Calma. Calma. È tutto a posto, non ti preoccupare», dico alla mia amica mentre le scombino i capelli a forma di scodella.

Una voce da un altoparlante interrompe il brusio nella stanza e le chiacchiere con Lola, Ahmed e Juli.

È l'istruttrice Granada.

«Benvenuti alla visita guidata nel reparto delle Onirocomparse dove gli Architetti costruiscono le storie, le stesse che tra qualche settimana solo i migliori potranno sperimentare. Siete rimasti in 267, formeremo dei gruppi di venti studenti, ognuno sarà affiancato da una guida. Seguitela. Ascoltatela. Non toccate niente».

Il capo istruttore Fry inizia a far entrare le prime venti matricole da una porta di vetro oltre alla quale si può vedere un via vai di persone che trasporta oggetti ingombranti e piuttosto voluminosi da una parte all'altra della stanza.

«Tua madre non è Onirocomparsa?», mi chiede Ahmed mentre cerca di sbirciare tra le teste dei curiosi che sono appiccicati alla porta a vetri.

«Sì. Niente di eccezionale. Di norma è parte del gruppo Gente comune. Quella che sta sullo sfondo, non interagisce e non recita nessuna parte. Una volta, visto che erano in penuria di personale, le hanno fatto fare la commessa in un negozio. È stato il ruolo più importante che abbia mai fatto», dico sarcastico.

«Smettila di prenderla in giro. È importante ogni ruolo, ogni lavoro, ogni singola persona che aiuta gli Onironauti. Senza di loro non potremmo fare nulla in città», mi bacchetta Juli.

«Sì, lo so. Ma il lavoro di mamma non è niente di eccitante. Te ne stai lì a ripetere la stessa mossa per ore. Uno strazio», le dico mentre delle matricole mi spingono perché vogliono passare avanti.

«Sei ingiusto, mio caro. Juli ha perfettamente ragione. Ogni singola persona che utilizza il proprio talento ed energia per coadiuvare lo svolgersi della raccolta dell'Oniroenergia è encomiabile. Tra questi anche tua madre». Quando Ahmed dice frasi del genere pare un libro stampato.

«Certo, ma...».

Lola mi interrompe: «Volete stare zitti? Avvicinatevi. Sta per entrare il prossimo gruppo».

Senza farmelo dire due volte mi intrufolo tra la selva di corpi cercando di spingere per passare. Ahmed e Juli mi seguono.

Perfetto.
I miei amici ed io siamo il prossimo gruppo a iniziare il giro.

Un enorme stanzone pieno di teli dipinti con diversi scenari, dal fondo del mare, palazzi cittadini, campi fioriti fino a cimiteri abbandonati, grotte buie e rocce acuminate, se ne stanno affiancati uno all'altro in bella vista. Decine di persone trasportano indefinibili ammassi simili a spugne giganti. È un continuo andare e venire.

«Qui inizia il lavoro degli Oniroarchitetti», un uomo estremamente basso e con un parrucchino di pessima qualità in testa ci invita a seguirlo. 
«Le architetture seguono schemi precisi se c'è uno scenario marino verrano inseriti elementi a tema come: palme, barche, ombrelloni. Se invece il tema è la città saranno presenti vetture, persone e semafori. Credo che questo sia semplice da capire, no?».

«Sissignore», rispondiamo in coro.

«Come potete vedere tutte le persone qui dentro hanno un ruolo preciso che serve per costruire l'intera scena. Per esempio quell'operaio trasporta dei rotoli per la prossima scena, quella che interessa a noi. Osservate con attenzione tutti i suoi gesti, lo seguiremo per capire come funziona». 

Il piccolo omino si mette sulla scia dell'operaio senza farsi problemi. Lo segue come un piccolo anatroccolo seguirebbe la propria madre.

Superiamo un paio di set in cui stanno registrando delle scene abbastanza comuni. In uno c'è una cucina e una famiglia che sta fingendo di mangiare da alcune ciotole vuote. Nell'altro una ragazza simula una corsa su delle scale mobili, potenzialmente senza fine.
In entrambe le scene gli attori indossano delle strane coperture di spugna sul volto che è fatto dello stesso materiale del rotolo che trasporta l'operaio che stiamo seguendo.

«Eccoci siamo arrivati. Stanno allestendo un nuovo scenario. L'operaio ha portato il materiale necessario che è archiviato con cura nel magazzino al settimo piano interrato e che serve per costruire ciò che gli Oniroarchitetti hanno progettato», dice il piccolo uomo sistemandosi il parrucchino che sta scivolando sulla sua pelata.

Una serie di uomini e donne srotolano il grosso rotolo. Iniziano a montare quelli che sembrano palazzi e case fatte di spugna appuntandoli con chiodi. Un grosso scenario con dipinta una strada viene messo al centro. Tutto intorno mettono particolari come quello che sembrerebbe un tombino, un albero e qualche nuvola in cielo. Tutto è fatto con quello strano materiale.

Un gruppo di quindici persone con lo zaino sulle spalle e abbigliamento giovanile si mette sui lati della scena. La cosa piuttosto inquietante è che parecchi di loro hanno almeno quarant'anni, vederli vestiti in quel modo è piuttosto ridicolo.
Cappellino rovesciato. Felpa extralarge. Occhiali a specchio.
Non devo essere l'unico a pensarla in quel modo, qualcuno nel gruppo ridacchia.

«Prestate attenzione», dice la guida a bassa voce,«Adesso le Onirocomparse interpreteranno il ruolo assegnatoli. Come state notando indossano le maschere fatte di Platisogno una sostanza capace di mutare a seconda di chi viaggia nella Macchina dei Sogni usando questa architettura».

«Vuol dire che noi vedremo facce normali, con occhi naso e tutto il resto, invece che quelle specie di... di... spugne?», chiede Lola confusa.

«Le vostre esperienze e la vostra sensibilità modellano i vostri viaggi come modelleranno le maschere e le scenografie in Plastisogno. Se avete vissuto in una cittadina sul mare quelle case in "spugna" avranno uno stile di un certo tipo. Se venite dai quartieri finanziari del centro probabilmente vedrete grattacieli. Un sogno non è mai uguale ad un altro, per questo creiamo architetture capaci di creare più livelli, in questo modo la vostra interazione con gli elementi presenti permette di estrarre energia. La difficoltà dell'Onironata è esplorare il sogno senza restare bloccato. Ci possono essere molti, moltissimi pericoli nei sogni, molti più di quanti possiate immaginare. A volte fanno paura, molta paura. Ma questa è un'altra storia, capirete tutto più avanti», ci dice l'uomo sempre a bassa voce per non disturbare le riprese.

«Azione», urla una donna che con una Onirocinepresa riprende la scena. 

Un ragazzo in pigiama e a piedi nudi simula una camminata per strada, ha l'aria abbattuta, è a testa bassa.
Le Onirocomparse ridono di lui e lo sbeffeggiano.
La scena si ripete più volte, le riprese vengono effettuate da punti di vista diversi.

«Una domanda, posso?», chiedo con un soffio di voce alla guida mentre seguo con attenzione le riprese.

L'uomo mi si avvicina porgendo l'orecchio nella mia direzione.

«forse è una domanda sciocca. Ma alla fine da dove prendiamo l'Oniroenergia? Perché viaggiamo nei sogni? Non bastano queste scenografie?».

L'uomo mi fissa per qualche secondo.
Sorride, poi alza l'indice appoggiandolo sulla bocca facendomi segno di fare silenzio.

«Tutto a suo tempo undici minuti. Tutto a suo tempo. Un giorno capirai».

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Scusate, mi è uscito un po' lunghetto.
Spero vi piaccia.
👍
   
 
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