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Autore: adria    30/01/2017    0 recensioni
"Noi siamo serial killer, siamo i vostri figli, i vostri mariti, siamo ovunque." queste furono le agghiaccianti parole di Ted Bundy e mai frase fu più azzeccata di questa perchè il male ha molte facce, si nasconde ovunque e non puoi vederlo se non vuole essere visto.
Una ragazza solitaria appassionata di gialli si ritroverà, suo malgrado, ad affrontare la veridicità di queste parole in un viaggio che la porterà nei meandri più nascosti dell'animo umano per scoprire chi è davvero e quel'è il suo posto nel mondo.
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Dal Testo:
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- Libera la bestia. - un sussurro quasi impercettibile che le sue orecchie riuscirono a captare come fosse stato un urlo.
Libera la bestia, parole che rimbalzavano senza sosta in tutti gli angoli della sua testa producendo un'eco tale da stordirla, era come avere milioni di persone che gridavano nella sua mente.
Un brivido le corse giù per la schiena perchè si, anche se si rifiutava di ammetterlo, era quello che più desiderava e quel maledetto lo sapeva e se ne compiaceva, ma non aveva intenzione di dargliela vinta, non a lui.
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ATTENZIONE:
- Revisionata e con alcune modifiche rispetto ad "Alfa&Omega".
- Il reating potrebbe cambiare in corso d'opera.
Genere: Avventura, Azione, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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23 Aprile 2014
Cagliari, Sardegna
Piazza Matteotti


L’otto, l’autobus cittadino, si fermò frenando di colpo di fianco all’isola pedonale in piazza Matteotti. Al suo solito posto.
Adriana Atzori scese tranquilla e s’incamminò sull’isola pedonale, giù, verso la stazione degli autobus, lontano dalle strisce pedonali. Scese dall’isola, si voltò a destra e attese che due macchine le passassero davanti, poi attraversò velocemente insieme ad un gruppo di persone con valige e borsoni tutti diretti alla stazione ferroviaria.
Come sempre una folata di vento avvolse la ragazza subito dopo aver messo piede nella stazione. I capelli, lunghi e mossi, mulinarono sotto l’effetto del vento e le ciocche che componevano il ciuffo laterale le finirono negli occhi, li tolse con non curanza e sorrise. Le era sempre piaciuta la sensazione del vento tra i capelli, specie se lunghi.
Adriana alzò lo sguardo verso l’orologio appeso: l’una e venti, era in perfetto orario.
Attraversò l’arco rilassata e senza rallentare il passo guardò il grande schermo con tutti gli orari e i binari dei treni in partenza. Il suo occhio allenato trovò facilmente il treno che le interessava e proseguì.
La voce registrata gracchiò dagli altoparlanti che un treno diretto chissà dove era in partenza da chissà quale binario, ad Adriana non importava, ma ad un gruppo di ragazzi con gli zaini in spalla che la superarono di corsa si. Era bello arrivare in anticipo, camminare tranquillamente verso il proprio binario mentre la gente ti superava correndo rischiando l’osso del collo. Sorrise a questo piacere malsano dettato dal fatto che una volta tanto non era lei a rischiare l’osso del collo per prendere un treno.
Al binario 5 il treno attendeva immobile i passeggeri.
La ragazza salì alla prima porta, entrò nello scompartimento di sinistra, superò i primi tre posti di fianco alla porta e prese posto nei quattro successivi. A parte due uomini seduti l’uno di fronte all’altro, qualche posto più avanti, lo scompartimento era vuoto. Mise borsa, busta e giubbotto nel sedile che dava sul corridoio e prese posto in quello vicino al finestrino abbandonandosi contro lo schienale.
Dopo aver osservato fuori dal finestrino per almeno cinque minuti il controllore attirò la sua attenzione chiedendole di mostrare il biglietto per poi riconoscerla come un’abbonata e dicendole che non importava. La ragazza sorrise mentre lo osservava uscire dalla parte opposta alla quale era entrato, sicuramente diretto nel suo ufficio. Tornò a guardare fuori nel vano tentativo di rimandare il più possibile l’inevitabile, ma alla fine si arrese e tornò a voltarsi per tirar fuori il quaderno degli appunti della penultima lezione che le aveva passato Ilaria, quella che aveva dovuto saltare per un appuntamento improrogabile dal medico. Lo sfogliò distrattamente, non aveva alcuna voglia di sistemare quegli appunti, peccato che non aveva nient’altro da fare visto che si era dimenticata il suo appassionante thriller a casa … e poi, in ogni caso, avrebbe comunque dovuto metter mano agli appunti, prima o poi, e dato che doveva occupare il tempo era meglio prima. Con un sospiro di pura rassegnazione frugò nella borsa recuperando il suo quaderno e la penna. Adorava il proprio quaderno a spirale con copertina rigida perché poteva piegarlo e scrivere comodamente praticamente dovunque come se fosse aperto per esteso su una superficie rigida. Sorridendo ne lisciò per bene la copertina come fosse un tesoro di inestimabile valore, osservò la maestosa una tigre bianca che vi era raffigurata e si accomodò meglio sul sedile registrando a malapena la figura elegante che prese posto sul sedile diagonalmente opposto al suo.
Mentre era immersa nella lettura preliminare il treno iniziò a muoversi, ma lei non vi badò come non prestava attenzione a ciò che le accadeva intorno. Non si accorse che quello scompartimento era occupato da sole quattro persone: lei, l’uomo che aveva davanti e i due uomini che aveva intravisto appena entrata. Non si accorse che questi ultimi avevano silenziosamente preso posto ai due lati del corridoio e presidiavano le porte dirottando chiunque volesse entrare e perfino confinando il povero controllore nel suo ufficio nella coda del treno. Non si accorse neanche che l’uomo che le stava di fronte la stava studiando attentamente al di sopra del giornale che avrebbe, in realtà, dovuto leggere.
L’uomo era lievemente sorpreso: quando gli avevano affidato quell’incarico gli avevano detto che non era un tipo molto comune certo, ma non aveva pensato alla possibilità di trovarla tanto interessante. Osservava assorto il suo delicato viso dai tratti comuni intenta a leggere mentre, con la penna, si arricciava una ciocca castana con riflessi dorati che gli ricordavano il miele, come stressava il labbro inferiore mentre scriveva e non poteva fare a meno di ammirare le gambe toniche accavallate avvolte nell’attillato jeans nero sul quale poggiavano i quaderni; per non parlare degli occhi di un stupefacente azzurro brillante che ogni tanto alzava senza rendersene conto, un gesto del tutto spontaneo. Non aveva nulla di particolare, escludendo gli occhi, non possedeva la bellezza delle super modelle e di certo non così appariscente, non aveva neanche delle gambe chilometriche, ma nessuno avrebbe mai potuto negare che era carina. Non ne aveva viste molte di bellezze del genere o più probabilmente non si era mai soffermato a studiarle, d’altronde, con il suo lavoro, non aveva il tempo per occuparsi anche del gentil sesso.
Con una frenata leggera che produsse un discreto contraccolpo il treno si fermò per la terza volta.
Adriana si riscosse e guardò fuori dal finestrino, Decimomannu gridava il cartello a lettere maiuscole.
L’uomo vide dipingersi un’espressione di leggera incredulità su quel volto da bambina, dal canto suo, lei non si capacitava del fatto che fossero ancora a Decimo. Le sembrava fosse passata un’eternità da quando si era messa a sistemare quei dannatissimi appunti che avrebbero dovuto essere il suo passatempo fino alla fine del viaggio. Non avrebbe dovuto iniziare prima della partenza del treno, si disse per poi sospirare. Ad ogni modo adesso non poteva farci niente, così, lentamente, rimise tutto al proprio posto per poi voltarsi a guardare la stazione al di là del vetro. Il suono acuto delle porte che si chiudevano e il treno riprese a muoversi.
La stazione rimase alle loro spalle dove, la ragazza lo sapeva bene ormai, l’avrebbe ritrovata il mattino seguente a darle il buon giorno.
Per la prima volta da quando aveva sepolto il naso negli appunti Adriana si guardò intorno e vide l’uomo che le stava davanti leggere il giornale che teneva tra le grandi mani. Lo osservò per qualche istante: ad occhio e croce doveva avere una trentina d’anni al massimo e l’eleganza del completo blu elettrico denotavano un notevole buon gusto e i capelli biondi stretti in un codino non gli stavano tanto male. Sorrise inconsciamente a quel pensiero abbassando lo sguardo sulle mani che aveva posato sul grembo, non erano certo affari suoi le acconciature degli altri. Subito dopo notò che lo scompartimento era molto tranquillo.
Troppo tranquillo trillò una fastidiosa voce emersa da chissà quale recesso della sua mente.
Smettila di fare la paranoica guardi troppi telefilm la rimproverò tornando a rivolgere la sua attenzione al paesaggio che scorreva fuori. L’unico passatempo che le era rimasto.
Guardò l’orologio. Miracolosamente il treno era in orario e se avesse continuato così avrebbe fatto in tempo a prendere il pulmino per rientrare in paese senza rompere le scatole a casa.
Il treno si fermò e riprese la sua corsa varie volte, non le aveva contate.
- Miss … scusi? – il tono incerto dell’uomo attirò l’attenzione di Adriana riscuotendola dalle sue considerazioni.
Si voltò e occhi color del cielo ne incontrarono un paio che parevano due pozzi neri.
- Ha sentito parlare degli omicidi? – chiese più sicuro adesso che aveva l’attenzione della ragazza.
Adriana registrò che la voce calma dell’uomo aveva l’accento inglese.
- Quali omicidi? – chiese lei presa alla sprovvista, non era una domanda che si sarebbe mai aspettata da uno sconosciuto che voleva attaccare bottone e dato che era da un po’ che viaggiava e per attaccare bottone ne aveva sentito di tutti i colori, ma quella proprio … le mancava ancora, ecco.
Per tutta risposta l’uomo voltò il giornale mettendo in mostra la prima pagina dove c’era l’immagine di una pineta che pullulava di carabinieri e poliziotti sovrastata dal titolo a lettere cubitali “Colpisce ancora. Ventunenne uccisa nel campidanese. Le autorità brancolano nel buio”.
Oh … quegli omicidi …
- Si. Gran brutta storia. – rispose lei non sapendo che altro si aspettasse di sentire l’uomo. D’altro canto lei non si era fatta un’opinione sulla faccenda, erano notizie che le sue orecchie captavano la mattina mentre usciva di corsa da casa e nulla più.
L’uomo inclinò un po’ la testa con un’espressione indecifrabile sul volto.
Certo che era un tipo strano!
- Cosa ne pensa? –
Adriana aveva la spiacevole sensazione di essere sotto esame, invece di essere una, per modo di dire,  semplice conversazione, pareva un velato interrogatorio. Nonostante ciò si costrinse a rispondere educatamente – Spero che tutto si sistemi in fretta. Mi pare sia la quarta o quinta vittima in poco tempo. –
- La sesta in effetti. –
- Bene, ulteriore conferma che il mondo sta andando a scatafascio. – constatò con un tono un po’ acido.
- Così sembrerebbe. – sorrise lievemente guardandola come se la stesse studiando.
Quell’individuo la metteva decisamente in soggezione e quella conversazione era durata anche troppo per i suoi gusti, quindi decise di tacere. L’altro parve capire l’antifona perché non tentò di rivolgerle ancora la parola.
Il treno si stava allontanando da Sanluri Stato e automaticamente Adriana iniziò a prepararsi a scendere. Era lieta di avere qualcosa da fare per distrarsi dallo sguardo dell’uomo che percepiva addosso e per ignorare uno strano senso d’inquietudine che sentiva salirgli dallo stomaco. Fortunatamente stava per andarsene.
Si mise il giubbotto e mentalmente contò i ponti che la separavano da San Gavino e quando il treno rallentò nuovamente prese borsa e busta e si alzò rivolgendo un sorriso di circostanza allo strano tipo che ricambiò ritirando le gambe per farla passare.
Oltrepassò i tre sedili vicini alla porta, uscì dallo scompartimento e trasse un respiro profondo; stava per scendere e dimenticare quello strano e quasi inquietante incontro. Crogiolandosi in questo pensiero afferrò la sbarra in metallo davanti alle porte senza accorgersi che l’occupante di uno dei tre posti al di là della porta l’aveva raggiunta e con un movimento fulmineo le mise una mano sulla bocca tirandola a sé. La busta le scivolò di mano per la sorpresa e prima di realizzare a pieno l’accaduto sentì una puntura alla base del collo, un allarmante pizzicore sotto la pelle e un istante dopo una strana e repentina debolezza impadronirsi del suo corpo.
Io l’avevo detto! la sgridò la famosa vocina Ti avevo avvisato, ma tu non mi hai dato retta!
Le gambe iniziarono a cederle prima che lei potesse anche solo rendersene conto. Si sentì sostenere dalle braccia forti dell’aggressore. La vista si stava annebbiando, una figura scura e sfocata avanzava verso di loro e poi più nulla.
Tutto nero.
  
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