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Autore: usotsuki_pierrot    30/01/2017    1 recensioni
Tutto parte da una piccola parola. Una parola di partenza. Uno spunto per creare una mini storia che potrà coinvolgere un singolo pg, coppie comuni e non, due o più pg non legati da una ship.
Ecco la sfida in cui ho deciso di lanciarmi con la creazione di questo nuovo account, per lasciarmi alle spalle quello vecchio (_Colous_ of the _Music_) e ributtarmi di getto su questo sito.
(Sono presenti anche oc miei e non).
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- Rana (Midorima x Takao)
- Panino (Hitomi e Kiyoshi)
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
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PANINO - Hitomi e Kiyoshi.
(Hitomi è l'oc di una mia cara amica, OTP con Kuroko e BROTP con Kiyoshi).

Non capita molto spesso che un’amicizia nasca in un’età compresa tra la nascita e i dieci anni e continui anche fino all’adolescenza e oltre. Insomma, non capita molto spesso di avere un’amicizia come quella tra Hitomi e Kiyoshi.

Tra i due le cose andarono bene fino da quando erano molto piccoli; si conobbero grazie al fatto che abitavano vicini, si approcciarono con entusiasmo al basket insieme in tenera età e continuarono ad amarlo anche quando cominciarono a crescere.
Hitomi non avrebbe mai potuto dimenticare i momenti spensierati in cui uscivano a giocare insieme, lasciando all’immaginazione il compito di creare passatempi sempre nuovi e divertenti.

“Teppei!!”.
“Mh? Hitomi-chan! Hai finito presto di fare i compiti oggi!”.
“Mh! Esatto, non vedevo l’ora di giocare~”.
Hitomi era un vero e proprio maschiaccio. Nonostante i genitori facessero di tutto per farle indossare vestiti più femminili, gonne, calze alte, capelli sciolti, anche in vista delle divise scolastiche che avrebbe dovuto mettersi in futuro, la bambina proprio non ne voleva sapere. Teneva sempre i capelli legati, vestiva con le magliette semplici (a maniche corte la maggior parte del tempo), i pantaloncini e le scarpe da ginnastica. Il lato positivo, pensava la madre, era che almeno avrebbe evitato di sporcare abiti più eleganti.
Kiyoshi era stato praticamente cresciuto dai nonni, che venivano invitati dai genitori della bambina a pranzo e/o a cena innumerevoli volte, ma non passava un giorno senza che le due coppie parlassero dei bambini. Di quanto fossero felici insieme, di quanto andassero d’accordo, di quanto fosse bravo Kiyoshi a sistemare i continui danni di Hitomi, che ne combinava sempre una per colore. Tutti ricordavano il giorno in cui la bambina si era messa in testa che voleva imparare già a quella tenera età a cucinare. “Voglio diventare una cuoca famosa!” continuava a ripetere. Cominciò a usare ogni cosa come strumento da cucina, come ingrediente immaginario.
E nessuno si sarebbe potuto dimenticare del giorno in cui la coppia più giovane li aveva portati in un piccolo parco giochi, in cui riposava, in un angolo, un quadrato di terra riempito di sabbia, con cui i bambini avrebbero potuto giocare. Hitomi era entrata, aveva costruito un minuscolo “panino” con la sabbia, o così lo aveva definito lei più volte, e l’aveva fatto mangiare con la forza al povero Kiyoshi che, non in grado di dire di no, si limitò a trattenerlo per un po’ in bocca per poi, ovviamente, sputarlo a terra. I genitori si accorsero subito dell’accaduto, e Hitomi venne rimproverata duramente, ma nella testa della bambina vagava ancora il desiderio di diventare brava a cucinare.
“Ti preparerò un panino così buono che ne vorrai cento!”, aveva urlato a Kiyoshi in segno di sfida, mentre quest’ultimo la guardava divertito.
“Certo, certo! Non vedo l’ora!”.

Da quando poi i due avevano cominciato a giocare a basket, per divertimento, per semplice svago, per passare il tempo, la bambina cominciò ad ammalarsi; erano piccole influenze che svanivano di norma in pochi giorni, ma iniziarono a colpirla fin troppo spesso.
I dottori dissero che era di salute cagionevole. Che il minimo sforzo l’avrebbe resa scoperta a qualsiasi tipo di infezioni e malattie. Che non avrebbe dovuto esporsi più per molto tempo alla luce del sole.
Fu un duro colpo per i genitori, che non sapevano come convincere la loro figlia, ancora troppo giovane per quel tipo di problemi, a smettere di giocare. Tutto fu pressoché inutile; Hitomi non diede ascolto nemmeno a Kiyoshi, che provò incessantemente a farle capire quanto la situazione fosse grave.
“Teppei, io non smetterò! Anzi, giocherò nella squadra di basket alle medie!!”.
“Cos- Hitomi, sei impazzita?! Hai sentito cosa ti hanno detto i dottori, no? Non devi fare il minimo sforz-”.
La bambina si voltò verso il ragazzo e alzò lo sguardo per far incrociare gli occhi con i suoi. Era sempre stato più alto di lei, e nonostante la cosa non le andasse giù per niente, era consapevole che sarebbe cresciuto ancora e che doveva approfittare finché possibile dell’ancora piccola differenza di altezza.
“Teppei, non mi importa di quello che dicono. Io giocherò, diventerò più forte, così nessuna malattia potrà prendermi! Mi allenerò tanto da essere così forte che l’influenza avrà addirittura paura di avvicinarsi!”.
Quella volta, Kiyoshi si limitò a guardarla in quegli occhi color del ghiaccio e a sospirare dopo qualche istante. Sapeva benissimo che una volta presa una decisione, la bambina era irremovibile. Non sarebbe bastato di certo avvertirla sulle sue condizioni per poter farle cambiare idea. E il bambino era consapevole che la sua non era semplicemente testardaggine dettata dal fatto che, essendo ancora troppo piccoli, non avrebbe potuto sapere fino in fondo cosa le sarebbe capitato di così brutto; il suo era un puro e semplice desiderio di poter sconfiggere quella sua condizione nel modo che più la divertiva: giocare. Giocare a basket insieme a lui.
E così fece, continuò a seguire la sua strada, la sua decisione, a testa alta nonostante la debolezza che sentiva ogniqualvolta esagerava fosse evidente anche a lei.

“Hitomi-chan, come ti sembrano le medie?”.
“Mmh, niente di che”.
“Beh, è ovvio, sei ancora ai primi giorni!”.
“Stai cercando di farmi notare quanto tu sia bravo e grande solo perché sei in seconda e io in prima, Teppei?”.
“… Assolutamente no, cosa te lo fa pensare? E comunque stai benissimo con quella gonna, sai?”.
Quella piccola pausa prima di rispondere, quel tono scherzoso, quel sorriso fin troppo innocente di Kiyoshi fecero capire subito alla ragazza quanto la stesse prendendo in giro. Mise il broncio. Il ragazzo era un libro aperto per lei, ma ancora non riusciva a sopportarlo quando cominciava a fare battutine e ad evidenziare l’anno d’età di differenza che avevano.
“Hitomi, davvero sei entrata nella squadra di basket?”.
“Ovvio che sì, non ho cambiato idea. Tu più di tutti sai quanto io sia ostinata, Teppei”.
Il ragazzo la guardò. Hitomi incrociò il suo sguardo, e non poté non notare la visibile preoccupazione che albergava in quegli occhi. Ma si limitò a posare i suoi altrove, non sarebbe bastato quello per impedirle di continuare a seguire la sua passione.
Non importava quanto le facesse male, quanto stesse soffrendo fisicamente; non le importava il fatto che la maggior parte dei giorni l’allenamento la mettesse quasi completamente fuori gioco. Poteva sentire il suo corpo diventare pian piano più forte, era convinta che dovesse continuare così cercando di non badare a nient’altro se non a fare del suo meglio.

“KIYOSHI!!”. Un urlo si levò dagli spalti, quel giorno. Il ragazzo era a terra, in mezzo al campo, lo sguardo perso sul pavimento lucido della palestra, su cui ormai non correva più nessuno. La partita era terminata. Si voltò, solo per ritrovarsi davanti agli occhi il gigante dai capelli viola della Teiko, la squadra che stavano affrontando prima che finisse tutto. Non aveva il coraggio di posare lo sguardo, pesante come non mai in quel momento, sul cartellone su cui erano fissati i numeri digitali che indicavano il punteggio raggiunto.
Il corpo gli faceva male, non riusciva ad alzarsi, sentiva un peso incredibile sulle spalle, sulla schiena, sulle gambe. Non riusciva a smettere di tremare, gli occhi lucidi iniziavano a pizzicare, sentiva un dolore lancinante al ginocchio.
La ragazza strinse le mani alla ringhiera che delimitava lo spazio dedicato agli spalti, e si voltò cominciando a correre.
“E’ stato messo fuori gioco, eh..? Non poteva essere altrimenti...”.
Hitomi posò per qualche secondo lo sguardo su quella ragazza dagli occhi spenti che li stava guardando esattamente come lei. Dove l’aveva già vista? Scosse la testa e riprese a focalizzarsi sulla corsa verso l’uscita.
Quando venne portato in ospedale, la ragazza dai capelli viola lo seguì a ruota, così come i suoi genitori e i nonni di lui. Fu la prima ad entrare nella sua stanza. Era incredibilmente spoglia, provvista solo dei materiali utili alla cura dei pazienti, era bianca, senza vita, in contrasto con lo scopo della struttura. I macchinari che riempivano un lato del letto erano grigi, emettevano rumori quasi robotici, semplici e brevi suoni che indicavano lo stato di salute del paziente, che mai la ragazza avrebbe desiderato fosse proprio Kiyoshi.
Quest’ultimo, d’altro canto, era steso sul lettino che non aveva l’aria di poter essere definito comodo, la testa sul cuscino, i capelli corti scompigliati per via del trambusto, gli occhi stanchi ma il sorriso onnipresente sulle labbra. Si voltò a guardare Hitomi, che si era seduta sulla sedia accanto a lui e gli aveva preso la mano, guardandolo negli occhi con un’espressione decisamente preoccupata e carica di agitazione, come mai il ragazzo le aveva visto su quel dolce volto.
“Hitomi-chan, sto bene… Non ti devi preoccupare...”, disse lui, la voce a malapena udibile. Hitomi l’aveva capito, che stava soffrendo come non mai.
“Kiyoshi, non mentirmi, come stai? Ti fa molto male? Dove senti il dolore di preciso?”.
Il ragazzo la guardò negli occhi. I suoi erano pieni di sofferenza, e il lieve sorriso che aveva dipinto sul volto non era altro che una maschera. La giocatrice l’aveva intravisto fin da quando era entrata in quella stanza. Le prese entrambe le mani con le sue, nonostante facesse un’enorme fatica a muoversi. Il sottile tubo della flebo seguiva i suoi movimenti, minaccioso.
“Hitomi-chan… Da quant’è che hai smesso di chiamarmi Teppei..?”.
Un colpo al cuore. Ecco come descrivere la sensazione che provò la ragazza a quella domanda insolita ma lecita. Ciò che feriva maggiormente quello che aveva iniziato a chiamare “gigante buono” non era tanto il ginocchio, nonostante dire che fosse in pessime condizioni sarebbe stato un eufemismo. Ciò che sembrava ferirlo di più in quel momento erano il suo tono e il suo atteggiamento.
Ma come avrebbe potuto agire come se nulla fosse successo, se in quell’istante poteva chiaramente vedere con i suoi occhi il suo migliore amico ridotto in quel modo, con una gamba che non l’avrebbe fatto camminare bene per chissà quanto tempo, quello sguardo carico di dolore, quelle mani che stringevano sempre di più le sue in preda alla paura, alla paura di non poter più essere come prima, di non poter più giocare?
Poteva percepire la tristezza nel suo tono di voce come se volesse entrare nelle sue orecchie per imprimersi nel suo cervello, quella stessa tristezza che il ragazzo stava tentando invano di nascondere da ore, da quando era caduto a terra, ferito in tutti i sensi, e aveva osservato il punteggio sul cartellone che dichiarava la loro pesante e clamorosa sconfitta.
Hitomi sentì gli occhi pizzicare, cominciava a far fatica a distinguere chiaramente le forme degli oggetti che aveva davanti a causa delle lacrime che minacciavano di scendere sulle sue guance da un momento all’altro.
Qualche tempo dopo, Hitomi uscì dalla stanza del ragazzo, chiuse la porta, si appoggiò al muro quasi come se fosse stata privata di tutte le sue forze, si portò le mani al viso e si lasciò andare ad un pianto liberatorio ma silenzioso. Avrebbe mantenuto la sua promessa ad ogni costo.


Teppei…”, gli strinse ancora di più le mani cercando di avvolgerle quanto più possibile con le sue, più piccole. Lo guardò negli occhi, la voce che le tremava, la vista sempre più appannata, le mani che tentavano in tutti i modi di stringere le sue quasi per proteggerlo.
Giuro, lo giuro, che ti preparerò il miglior panino che tu abbia mai mangiato, e te lo porterò qui..! Guarirai in un istante!!”.
Kiyoshi la guardò sorpreso per qualche secondo, dopodiché sorrise intenerito, e annuì.
Non vedo l’ora, Hitomi-chan...”.


ANGOLO DELL'AUTRICE
Che velocità! Mi stupisco da sola! Bene bene, grazie come sempre per essere arrivati fin qui, spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo ;;
Come vi ho scritto in cima, sotto al titolo, Hitomi è l'oc di una delle mie più care amiche, Melissa. Si è da poco appassionata a Kuroko no Basuke e in questo breve lasso di tempo ha già creato un suo pg che a mio parere è meraviglioso. Dato che è bravissima a disegnare, non ha perso tempo e si è subito messa all'opera. Si è affezionata fin da subito a Kuroko, tanto che ha deciso di farlo fidanzare con Hitomi, mentre con Kiyoshi è più una Brotp, bellissima anch'essa.
Se volete dare un'occhiata alla sua pagina facebook, e conoscere Hitomi (ultimamente si sta cimentando molto spesso nel disegnarli), il link è questo: clicca qui per passare a "Heartspowl's Art".
La ringrazio ancora una volta per avermi concesso di inserire il capitolo nella fanfic, e soprattutto per pubblicare le mie storie riguardanti i suoi oc insieme ai suoi disegni. Grazie infinite!
Alla prossima :3

(*) Il pg che compare per pochissimo e che parla poco prima che Hitomi corra via è il mio oc, Yuki, di cui spero di scrivere qualcosa presto!

   
 
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