Anime & Manga > No. 6
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Autore: lucysal    31/01/2017    2 recensioni
È possibile ritornare sui propri passi, è possibile ritornare indietro, sempre se non sia troppo tardi
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Inukashi, Nezumi, Shion
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Shion osservava la neve posarsi placida sulle ultime macerie del West Block.
Erano mesi che non vi metteva piede, mesi in cui il mondo non era divenuto altro che una scia indistinta di rumori ed immagini tra le quali si muoveva come a rallentatore. Da più di un anno non aveva notizie di Nezumi, da quel maledetto giorno in cui si erano detti addio, tra le macerie del Penitenziario della Città Santa. Il giovane dai capelli candidi si guardò intorno, alla ricerca di una speranza, un brandello di luce a cui aggrapparsi, ma non vide altro che distruzione. La desolazione del luogo che un tempo aveva chiamato casa gli attagliò le viscere in una morsa, mentre una lacrima isolata gli rigò il volto stanco.
“Dove sei?” pensò mentre nascondeva la testa nelle ginocchia strette al petto.
“Dove sei, Nezumi?” mormorò, nella speranza di ricevere una risposta. Un’invocazione, ripetuta ogni ora di ogni singolo maledetto giorno, ma che cadeva puntualmente nel silenzio e allora la consapevolezza dell’abbandono tornava a soffocarlo più forte che mai, fino a togliergli il fiato.
Ogni giorno annaspava per sopravvivere. Non si era mai sforzato tanto, neanche quando era un fuggiasco alle prime armi, neanche durante i giorni successivi alla Pulizia. In quei momenti aveva un obiettivo a cui aggrapparsi e qualcuno accanto a sorreggerlo. Ora quel qualcuno gli aveva voltato le spalle, l’ultima immagine che aveva del ragazzo era una schiena che si stagliava contro un tramonto infuocato. Un’uscita di scena degna di un grande attore, pensò trattenendo una risata amara. La facilità con cui l’aveva lasciato lì era disarmante. Un bacio d’addio e nulla più. Improvvisamente si era ritrovato solo, carico di responsabilità in una realtà vuota e priva di qualsiasi significato.  La realtà gli appariva monotona e vuota nonostante gli impegni interminabili che affollavano le sue giornate.
Dopo la distruzione del muro, infatti, No. 6 gli era sembrata pronta a rinascere dalle sue ceneri, una piccola speranza sembrava essersi accesa nel cuore di tutti, alla ricerca di una vita migliore, priva di oppressioni, priva d’ipocrisia, eppure il sogno utopistico che aveva cercato di condividere con Nezumi non era così semplice da realizzare. Al contrario, ogni giorno si rendeva conto della vacuità dei suoi sforzi. Ogni suo seme idealistico trovava una terra arida in cui moriva, senza la speranza di vedere la luce del sole. “Avevi ragione, sei contento? Finalmente l’ho capito, non vi è nulla di buono in questa maledetta città o nei suoi cittadini. Sei soddisfatto? Avevi ragione, ancora una volta. Come sempre.” Mormorò alle macerie, afflitto, mentre le lacrime cominciarono a bagnargli il volto.
 Il muro era crollato, si poteva ricominciare, eppure tra i cittadini privilegiati della città santa serpeggiava il disprezzo verso i residenti del West Block. L’integrazione era un passo traguardo quasi impossibile da raggiungere. Continui scontri e risse che finivano nel sangue erano oramai all’ordine del giorno e la pace sperata non era altro che un altro misero traguardo fin troppo irrealistico per le sue capacità. Forse aveva ragione Inukashi quando affermava che i cittadini di No.6 non li consideravano come esseri umani loro pari. Forse tutti i suoi sogni non erano altro che idee infantili che non potevano realizzarsi a causa di individui troppo reticenti a modificare ed ampliare  la propria visione egoistica del mondo. In questi frangenti pessimistici, sempre più frequenti, ogni sua azione gli appariva vuota e priva di significato e si domandava perché continuare a lottare per un mondo che non aveva nessuna voglia di cambiare e di migliorarsi. Perché sprecare energie se tutto andava in fumo una volta posta la prima pietra? “Sono stanco, stanco di tutto. Cosa dovrei fare?” chiese a se stesso, ma neanche questa domanda trovò una risposta..
Accanto alla necessità di convincere la popolazione che i diritti che possedevano sarebbero rimasti tali, vi era la necessità di dover riorganizzare le strutture di emergenza per poter dare la possibilità a tutti di usufruirne. Il pensiero del giovane volò immediatamente a Karan e Rico. Erano settimane che non li vedeva, chissà cosa stavano combinando quei due birbanti. Chissà se avevano trovato un posto accogliente dove vivere. Avendo contribuito a stabilire un patto di pace con Eluryas era stato nominato membro onorario del Consiglio per la Ricostruzione e l’Integrazione, molte di queste responsabilità ricadevano sul suo capo. In un primo momento quei compiti, le decisioni da prendere, riuscire a mediare tra le parti, la necessità di agire velocemente e per il bene di tutti, gli avevano permesso di dimenticare il dolore, rilegandolo in una parte della sua mente, ma il dolore così sopito ritornava prepotentemente nei suoi incubi, svegliandolo di soprassalto nel cuore della notte impedendogli di riprendere sonno e allora la mente si perdeva nella valle di ricordi cercando di assaporarne ogni dolce frammento, e così ogni carezza si trasformava in una pugnalata, ogni sguardo gli stringeva il cuore in una morsa d’acciaio e quel bacio d’addio gli toglieva il fiato fino a soffocarlo. E così giungeva un nuovo giorno, una nuova alba carica di doveri di cui risultava sempre più difficile sopportarne il peso.
Da qualche settimana però, neanche gli impegni incombenti riuscivano a distrarlo. La sofferenza accompagnava ogni suo gesto, ogni suo falso sorriso di rassicurazione, ogni sua parola carica di una speranza che andava sempre più sbiadendo dal suo cuore. “Potrei fare concorrenza al tuo Amleto, saresti fiero di me.”
Si stava lasciando andare, non voleva, ma era stanco di lottare contro coloro che si opponevano all’integrazione, contro la paura di un futuro incerto per tutti, contro una città che nonostante tutte le sue vicissitudini e un passato di sangue e sofferenza non mancava di mostrare il proprio marciume, di cui sembrava andare così fiera ed orgogliosa, ma soprattutto era stanco di lottare se stesso, contro i ricordi che ogni notte ritornavano vividi a tormentarlo, ricordandogli un passato che non vi era più.
Shion si alzò a fatica, indolenzito dal freddo pungente che gli aveva intorpidito mani e piedi. Lanciò un ultimo sguardo verso l’orizzonte e si avviò a testa bassa verso casa. La testa incassata nelle spalle, camminava lento, sospirando ripensando a quante volte aveva sognato di poter tornare a casa con lui, di poter ricostruire una nuova vita insieme, felice, libera da qualsiasi preoccupazione e invece quel dannato ratto aveva scelto la via della fuga. Una soluzione rapida e definitiva che aveva contribuito alla lenta distruzione del suo mondo interiore, eppure Shion non riusciva ad odiarlo. Non lo colpevolizzava per quella sua scelta, nonostante, egoisticamente parlando avrebbe voluto averlo accanto, per sempre e, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe ripetuto ogni singola azione, ogni singolo gesto che lo aveva gettato in quel nero abisso, non ripudiava nulla. Era questo il prezzo da pagare per ogni singolo attimo di felicità che aveva vissuto accanto a lui e Shion lo stava scontando consapevolmente e senza rimpianti, sebbene ogni giorno fosse più difficile da affrontare del precedente.
Il ragazzo era oramai al confine tra il centro della città e Lost Town quando delle urla catturarono la sua attenzione, riportandolo momentaneamente alla realtà. Vide una figura indistinta a lui familiare, vide quattro cani a zanne scoperte che si avventavano su un uomo, quest’ultimo cadde a terra e poi uno sparo. Uno dei pastori tedeschi di Inukashi cadde a terra ferito, sentì il ragazzo imprecare contro l’uomo che lottava ancora per proteggersi, in mano la pistola, pronta a colpire nuovamente ma un nuovo sparo partì all’improvviso. Shion non ebbe il tempo di capire cosa stesse accadendo quando un dolore lancinante gli morse il petto. In un attimo si ritrovò a terra, la vista che lentamente gli si offuscava, contemplava il cielo mentre il suo ultimo pensiero volò a Nezumi.  
Tutto accadde a rallentatore, sotto gli occhi sgranati del giovane Inukashi. Richiamò i cani, lasciando l’uomo a terra, sanguinante, correndo verso il corpo dell’amico che cadeva a terra, lentamente, come una foglia staccatasi dall’albero in autunno. In un attimo fu al suo fianco. Cercò di tamponargli la ferita mentre urlava a qualcuno di chiamare aiuto.
“Shion…Shion, dannazione resta sveglio. Guardami, dannazione! Guardami! Shion!”
Ma Shion non lo sentiva, al suo posto vi era un canto. Qualcuno stava cantando per lui, era una voce che assomigliava al suono del vento, era una voce che amava più di ogni altra e lo stava accompagnando, placando il suo dolore. Ora era sereno. Quasi felice, di poter riascoltare ancora una volta la voce amata.
“Ne…zu…mi” mormorò prima di spegnersi tra le braccia del ragazzo.
 
Erano passati tre anni da quando aveva lasciato No.6, aveva vagabondato in giro senza una fissa dimora, senza un vero tetto sopra la testa e come unici compagni i suoi topolini. In questi tre anni aveva riscoperto la solitudine, riabituarsi era stato pressoché impossibile mentre nel petto gli si muovevano emozioni mai provate prima. Ogni giorno si domandava se avesse fatto la scelta giusta, se il suo non fosse altro che pure egoismo mosso dalla paura di non poter affrontare una vita diversa che non aveva idea di come gestire. Non era fatto per la staticità, questo lo aveva imparato da tempo, eppure il dolore della separazione, nell’ultimo anno si era fatto sempre più opprimente. Lo svegliava la notte, mentre il volto di Shion sfumava nella nebbia dei ricordi che aveva cercato di cancellare dal suo cuore. Nei primi tempi era stato facile, molto più facile di quanto si aspettasse, in realtà. Aveva ritrovato la sua glacialità emotiva, rinchiudendo tutto in un cassetto della sua memoria gettando la chiave. Sembrava che tutto stesse andando bene, poi qualcosa, senza nessun preavviso, era scattato in lui e negli ultimi mesi il dolore lo aveva accompagnato in ogni sogno, lasciandolo ad un risveglio amaro. Anche il suo vagabondaggio solitario aveva assunto una nuova, tetra, sfaccettatura. Ogni passo era una sofferenza e anche una semplice parola sussurrata dal vento gli riportava alla mente il sorriso di quell’idiota troppo ingenuo. Nezumi aveva iniziato a chiedersi se non fosse stato uno sbaglio enorme, il suo. Lasciarlo con un obiettivo arduo da raggiungere e un abbandono che sapeva lo avrebbe distrutto.
“È colpa sua, lo avevo avvertito di non affezionarsi…” continuava a ripetersi questa frase come un mantra, sperando che la sua forza in qualche modo fosse in grado di proteggerli entrambi, ma oramai non ci credeva più neanche lui. Quelle parole gli risuonavano false e meschine alle sue stesse orecchie. Anche lui si era affezionato, si era lasciato trasportare e alla fine i sentimenti avevano prevalso, questo lo aveva terrorizzato, si ritrovò ad ammettere a malincuore. Lo avevano atterrito ed era fuggito da essi, ma più continuava a scappare e più questi ritornavano prepotenti, distruggendo tutte le sue sicurezze, un pezzo alla volta. Si era innamorato, si sforzò di ammettere con un sorriso amaro e non aveva idea di come gestire la cosa, aveva avuto paura ed era fuggito. Nezumi si alzò dal letto nel quale stava riposando quella notte, andò nel bagno e si sciacquò la faccia tirata. I suoi occhi grigi, riflessi nello specchio, lo fissavano adirati. Sei un idiota. Il più grande idiota di questa terra. La sua immagine riflessa lo derideva, squadrandolo con l’aria saccente di cui solo lui stesso era capace. In quella frazione di secondo prese una decisione. Si passò una mano tra i capelli scuri mentre una risata incontrollata gli scuoteva l’animo. Mentre recuperava i suoi pochi averi in uno zaino oramai ridotto in brandelli, si diede per l’idiota per la milionesima volta. Era stato stupido, come mai prima di allora e ne aveva pagato le conseguenze, eppure tutto quel dolore lo aveva scosso, risvegliandolo dalla trans profonda in cui si era volontariamente rinchiuso, vi aveva impiegato settimane per capire cosa realmente fosse quel sentimento che mai prima d’allora aveva provato e ammetterlo era stata per lui come una liberazione, doveva ritornare sui suoi passi, si sarebbe scusato, ma Shion lo avrebbe accolto? Lo avrebbe guardato con quei suoi due occhi viola pieni di gioia per le piccole cose o lo avrebbe rispedito a calci da dove era venuto? Quell’ultima possibilità lo terrorizzò, ghiacciandogli il sangue nelle vene. Non era disposto a considerarla possibile, eppure nulla vi dava la certezza che il ragazzo sarebbe stato disposto a riaccettarlo nella sua vita cancellando gli ultimi tre anni di separazione, ma doveva provare. Doveva riuscirci ad ogni costo e se fosse stato rispedito indietro, se ne sarebbe fatto una ragione, anzi, sarebbe stata la giusti punizione per la sua infinita codardia. Prima di uscire lasciò un sacchettino contente un paio di monete d’argento per l’affitto della baracca e si avviò verso No.6. Mille dubbi gli straziavano l’animo, eppure aveva deciso e su tale decisione sarebbe stato irremovibile.
 
Inukashi era appena rientrato, i suoi cani era puliti e profumati, stava salendo le scale del suo albergo quando un odore diverso lo colpì alle narici. Il pastore belga, dal lucido pelo nero, iniziò ad annusare l’aria e a ringhiare, colpito anche lui dall’odore non familiare. Il ragazzo gli fece cenno di tacere e si avviò lentamente verso il pianerottolo, pronto a difendersi in caso di necessità. Raggiunse la porta della sua stanza e si mise in attesa.
“È così che accogli i vecchi amici, stupido cagnaccio randagio?” lo apostrofò una voce al di là dell’uscio. Inukashi spalancò la porta. Nezumi era comodamente stravaccato sul suo divano. Ai suoi piedi uno zaino scuro ridotto in brandelli, al collo, la sua mantella in superfibra avvolta come se fosse una sciarpa.
“Stupido sorcio, togli i tuoi luridi scarponi dal mio divano” lo rimproverò lanciandosi addosso al ragazzo pronto a colpirlo. Aveva voglia di fargli male, tanto. Come osava quell’attore di terza categoria ripresentarsi dopo quasi quattro anni in casa sua senza essere invitato. Nezumi si alzò di scatto con un colpo di reni, immobilizzò il braccio di Inukashi e lo stese a terra. Seduto a cavalcioni su di lui, gli chiese “Non le hai ancora imparate le buone maniere?” 
“Cosa diamine ci fai qui?” chiese a sua volta ignorando la retorica della domanda dell’altro.
Nezumi si alzò, lasciandolo andare, e riprendendo posto sul divano. Il volto affranto del giovane sconvolse Inukashi che non era abituato a vedere quel topo di fogna preda delle sue emozioni. Quel briciolo di debolezza durò un attimo, in un secondo si era già ricomposto mettendo su la più bella espressione neutrale di cui era capace “Volevo vedere come ve la stavate cavando senza di me.” Disse con un sorriso malizioso.
“Sei un vero bastardo” mormorò Inukashi distogliendo lo sguardo dal volto dell’amico. “Sei un grandissimo bastardo” ripeté, mentre le lacrime gli rigavano il volto.
“Che fai, piangi? Ti sei rammollito per caso? Sei diventato una femminuccia, nel frattempo?” lo prese in giro il moro non nascondendo un sorriso.
“Fanculo Nezumi. Non sai niente. Te ne sei andato, sparito nel nulla e ora vieni qui, pretendendo di riprendere il tuo posto tra noi come se niente fosse?! Fanculo, tu e il tuo egoismo, sei solo un attore da quattro soldi. Non te lo meritavi il suo amore. Bastardo”
Quell’ultima frase fu come una coltellata, c’era qualcosa che non andava, Nezumi sapeva che la grammatica del ragazzo non era delle migliori ma una singola parola era stato in grado di distruggere tutte le sue certezze.
“Inukashi, lo chiamò piano, Inukashi, ripeté, notando che l’altro non voleva alzare lo sguardo verso di lui, di cosa diavolo stai parlando?”
Il giovane non rispose. Si asciugò le lacrime con la manica della felpa ed uscì.
Il pastore belga, che fino ad allora era rimasto al fianco del suo padrone, guaì in direzione di Nezumi, incitandolo a seguirlo.
L’ansia e la paura che qualcosa di grave fosse accaduto iniziarono ad annebbiargli la mente “Dove stiamo andando?” chiese quando si furono inoltrati nelle viuzze della Lost Town, ma neanche allora ottenne risposta ad eccezione di un altro “Bastardo” mormorato. Nezumi si spazientì, in una falcata raggiunse il giovane, lo afferrò per un braccio costringendolo a voltarsi. “Rispondimi” gli ordinò glaciale.
“Non ti devo niente, dovrei ignorarti e rispedirti a calci da dove sei venuto” lo sfidò con uno sguardo che il moro non gli aveva mai visto prima. Conosceva Inukashi da una vita, avevano concluso molti affari insieme e grazie a Shion una sorta di amicizia, seppur molto flebile si era iniziata a creare tra loro. Negli anni lo aveva attaccato, minacciato di morte, cercato di prenderlo a pugni, insultato, ma mai gli aveva visto uno sguardo ed un’espressione così carica d’odio e di risentimento. Lo lasciò andare senza replicare, in fondo aveva ragione, non aveva il diritto di ripiombare nelle loro vite e pretendere che tutto ritornasse com’era una volta. Era stato un ingenuo a crederlo. Il giovane si fermò all’improvviso dinanzi ad un cancello dall’aria, armeggiò un attimo con la serratura e lo spalancò con un calcio poco aggraziato.
“Entriamo” ordinò senza neanche voltarsi.
Iniziarono a camminare tra le ombre e un gelo improvviso avvolse il cuore di Nezumi, un dolore ancestrale gli strinse la gola, a mano a mano che la consapevolezza di ciò che stava accadendo gli si materializzava davanti. Inukashi si fermò poco più avanti, in un lato appartato del cimitero, una lapide semplice, in pietra grigia riportava una scritta che non aveva il coraggio di leggere.
“Sai, ha mormorato il tuo nome, prima di morire, nonostante tutto il dolore che sei riuscito ad infliggergli, nonostante i suoi sogni fossero tormentati dalla tua maledetta figura, nonostante ogni singolo respiro gli costasse uno sforzo immane, nell’ultimo dannato istante ha pensato a te e l’ingenuo stava sorridendo. Ha sussurrato il tuo dannato nome ed era felice. Non te lo meritavi, non te lo meritavi affatto, il suo amore. Spero tu ora sia soddisfatto, sei diventato il protagonista di una grande tragedia” Inukashi sputò quella frase come fosse veleno, voleva fargli male, voleva farlo soffrire come aveva visto Shion soffrire in tutti quegli anni a causa sua. Si inchinò all’attore e se ne andò senza degnarlo di uno sguardo.
 
Shion
2001-2021
 
Quando finalmente ebbe il coraggio di mettere a fuoco, la realtà lo colpì come una pugnalata al cuore, si avvicinò, sentiva le gambe deboli, un solo passo e si lasciò cadere al suolo.
Era arrivato tardi. Era arrivato tardi. Se fosse stato al suo fianco, se fosse stato lì per proteggerlo, magari tutto ciò non sarebbe accaduto. Aveva distrutto la felicità di entrambi, per egoismo e per paura. Perché non poteva accettare di condividere il suo spazio con qualcuno, non poteva accettare che qualcun altro avesse fatto breccia nella barriera che proteggeva il suo cuore. E invece era accaduto e ora si trovava sulla gelida tomba dell’unica persona che avesse mai amato in vita sua. L’unico che era stato in grado di salvarlo da se stesso e nella sua infinita cecità era stato in grado di distruggere ogni cosa. Accarezzò il nome sulla tomba, lentamente, assaporando il dolore che quella pietra gli infliggeva al petto come se fosse una medicina. Inukashi questa volta aveva ragione, Shion aveva combattuto per loro, aveva lottato, esprimendo i suoi sentimenti candidamente e lui li aveva rigettati, voltandogli le spalle e sparire nel nulla, non era degno dei sentimenti così puri di quel ragazzo.  Per la prima volta in quella che definiva la sua nuova vita, Nezumi pianse. Pianse fino a prosciugarsi, fino a non avere più lacrime, mentre il ricordo del viso sorridente di Shion gli ritornava alla mente. Pianse, incurante che qualcuno potesse vederlo debole, non gli importava più nulla, il suo dannato orgoglio l’aveva portato a questo punto e non era possibile tornare indietro. Ci aveva creduto, alla fine, aveva creduto di poter ricostruire tutto, di poter riallacciare il loro legame, ma era arrivato troppo tardi. Non vi era più modo di tornare indietro. L’aveva perso. Questa volta per sempre. 
  
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