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Autore: Tourniquet    02/02/2017    0 recensioni
Berlino, 27 gennaio 2017.
Sono tanti, sono neri come ombre, con i loro tentacoli avviluppano le strade, a macchia d’olio conquistano la città. Si sentono i battiti dei loro cuori, il respiro come fosse di uno solo. Sono gli unici rumori concessi, quelli più umani e inarrestabili. Silenziosi come spettri, anche i loro passi sono invisibili, e addirittura il vento tace.
[...] In occasione della Giornata della Memoria, oggi, a 72 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, centinaia di migliaia di persone si sono riunite qui, “per non dimenticare”. Questo è il motto del giorno, insieme al tweet #WieWindindenStraßen (in italiano: come vento nelle strade).
[...] Oggi risuona la voce di chi avrebbe voluto vivere ancora un giorno, ma non gli è stato concesso, la voce di chi ha subìto e assistito alla sistematica demolizione di un uomo, a cui è stato tolto tutto, tutto ciò che avesse di umano, persino il nome.
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[Nota: la manifestazione descritta è frutto di fantasia, un immaginario fatto di cronaca oggetto di un ipotetico articolo di giornale (si fa per dire) in memoria della Shoah, con riferimenti a testimonianze, opere di letteratura e cinema.]
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa "cosa" in primis NON è una storia ma è nata come articolo, ed è stata scritta un anno fa, su richiesta di una persona decisamente fuori dall'ordinario e che ricordo con molto affetto e stima. Ora facendo pulizia l'ho ritrovata e, dopo averla riveduta e corretta in favore della nuova destinazione, forse è il momento di farle prendere un po' d'aria lontano dalle muffe del computer.

Nota: la manifestazione descritta è frutto di fantasia, un immaginario fatto di cronaca oggetto di un ipotetico articolo di giornale (si fa per dire), in memoria della Shoah. Riferimenti a testimonianze e opere letterarie e di cinema: Storia di una ladra di libri di Markus Zusak; Se questo è un uomo di Primo Levi; La notte di Elie Wiesel; Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani; la Canzone del ghetto di Varsavia di Reuven Lifshutz; Auschwitz (Canzone del bambino nel vento) di Francesco Guccini; i film Train de vie e Canone inverso.

 

 

#Wie Wind in den Straßen

 


Berlino, 27 gennaio 2017.

Sono tanti, sono neri come ombre, con i loro tentacoli avviluppano le strade, a macchia d’olio conquistano la città. Attraversano il Tiergarten, riempiono Potsdamer Platz, si riversano in Alexander Platz, ai piedi del Reichstag, sotto la Porta di Brandeburgo, come un abbraccio circondano i resti del Muro.

Si sentono i battiti dei loro cuori, il respiro come fosse di uno solo. Sono gli unici rumori concessi, quelli più umani e inarrestabili. Silenziosi come spettri, anche i loro passi sono invisibili, e addirittura il vento tace.

L’intero centro storico di Berlino è stato chiuso al traffico. Soltanto poche ore, ma abbastanza per fermare lo scorrere frenetico delle loro vite.

Sono tanti, uomini e donne, vecchi e giovani, gli sguardi disillusi di chi ha visto troppo e avrebbe preferito essere cieco a quell’orrore, quelli idealisti e forti di vita, quelli che riflettono la rabbia e l’ardore che ancora divampa nei loro cuori, e quelli che vorrebbero dimenticare, ma la memoria di un passato indelebile è stata incisa a ferro e fuoco dentro di loro.

In occasione della Giornata della Memoria, oggi, a 72 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, centinaia di migliaia di persone si sono riunite qui, “per non dimenticare”. Questo è il motto del giorno, insieme al tweet #WieWindindenStraßen (in italiano: come vento nelle strade), partito stamattina e già condiviso da mezza Europa, che ora spicca tra la folla, stampato sulle magliette, impresso sui cartelloni, un urlo a bocca chiusa che si propaga inarrestabile e il cui eco risuona tra le pagine del web.

“Anniversario” in francese significa compleanno, qualcosa di gioioso e allegro da festeggiare con la famiglia e gli amici. Ma oggi non c’è niente di bello da festeggiare, non è un sorriso di gioia quello disegnato sui volti presenti. Oggi parlano le voci di chi ormai non può più farlo, soffocate in un tempo troppo lontano e troppo vicino da un odio talmente profondo, profondo come l’abisso nero, quanto inspiegabile. Oggi siamo solo dei tramiti, attraverso cui queste voci riprendono vita, perché non siamo ancora pronti a lasciarle volare via, e non dobbiamo esserlo.

Oggi migliaia di persone si sono riunite qui per partecipare a questa manifestazione: ogni maggior punto d’interesse della città diventa luogo di raccolta, dove ognuno è libero di rappresentare come preferisce un’opera, o una parte di essa, in memoria della strage perpetrata dai Nazisti. Per le piazze e le strade di Berlino oggi risuonano le voci inumane, appartenenti a un tempo passato, riportate in vita dal bisogno di non restare indifferenti, di ricordare all’uomo la propria umanità.

Oggi risuona la voce di una bambina che rubava i libri dai roghi delle manifestazioni naziste, che per tenersi ancorata alla vita raccontava di un bambino dai capelli color limone che inseguiva un libro nel fiume, di una donna vestita di tuoni e di un uomo dal cuore a fisarmonica che in una via chiamata Paradiso aspettavano la figlia. E dentro le sue parole trovava spazio anche un ragazzo che viveva sotto le loro case come un gufo solitario e senza ali, un ragazzo che le aveva insegnato a parlare la lingua degli occhi, se questi potessero parlare.

Oggi risuona la voce di chi avrebbe voluto vivere ancora un giorno, ma non gli è stato concesso, la voce di chi ha subìto e assistito alla sistematica demolizione di un uomo, a cui è stato tolto tutto, tutto ciò che avesse di umano: gli abiti, le scarpe, anche i capelli, perfino il nome, e se avesse voluto conservarlo, nel buio del proprio cuore, avrebbe dovuto trovare lui stesso la forza di farlo, di far sì che con esso rimanesse ancora qualcosa di suo, di lui quale era “prima”.

Oggi risuona il crepitio delle fiamme che consumarono per sempre la Fede e la Speranza, se ancora esistenti, e rimbomba quel silenzio notturno che ha rubato il desiderio di vita, assassinato Dio e anime e sogni, che presero il volto del deserto.

È la voce di uomini che non sarebbero stati ascoltati, se avessero parlato, e anche se avessero parlato, non sarebbero stati capiti, perché avrebbero parlato la lingua degli occhi e del cuore. E dietro a tutto quell’orrore nero, dietro a coloro sui quali si richiudeva la porta buia da cui si poteva solo entrare, doveva esserci per forza la morte. Era quasi normale. Nessuno avrebbe reagito. Perché nessuno potesse, mai, recarne testimonianza.

Oggi corre per queste strade la musica dell’organetto, come quello suonato anni fa per alleviare le loro pene, perché piuttosto che andare nel campo era meglio cadere in battaglia.

Oggi risuona la voce di una donna a cui, del suo futuro democratico e sociale, non gliene importava più nulla, che il futuro in sé la aborriva, ad esso preferendo di gran lunga “l’oggi vergine, vivace e bello”, e il passato, ancor di più, il caro, dolce, “pio” passato. Non sono che parole, le solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedire di proferire. Ed è proprio di queste che qui è suggellato quel poco che il cuore ha saputo ricordare: parole fatte d’aria, ma che corrono veloci e come mille frecce acuminate colpiscono i cuori, senza margine d’errore.

Oggi risuona il fischio di un treno allestito ad arte, un ultimo disperato tentativo di fuga, la mascherata del condannato, un’illusione di dolcissima libertà, che forse avrebbe potuto essere, ma non è stata. Ciononostante, quando ogni altra speranza o fiducia nel futuro è naufragata nella terra del non ritorno, non c’è nulla di male a cercare conforto in un sogno meravigliosamente impossibile.

Oggi si alza dalle strade un suono morbidissimo, carezza di velluto dritta sul cuore, di un violino suonato ad arte, e poco importa se lo strumento è immaginario, perché non serve materia per sentire la musica del proprio cuore, e chi ne è in grado ascolti.

Oggi risuona un grido collettivo di dolore, di rassegnazione, di speranza destinata a morire, di terrore puro, di una vita giunta prematuramente al capolinea. È l’urlo di una madre a cui viene strappato il figlio dalle braccia, di un uomo che scopre il corpo - pallido, troppo pallido, freddo, troppo freddo - della moglie, e non ha più forza per urlare, se non dentro di sé. Perché non esiste più nulla, solo l’attesa di una morte che sembra l’unica via di fuga dall’inferno terreno.

Oggi si alza un coro di urla silenziose, che possono trovare voce soltanto nelle opere qui rappresentate: letture ad alta voce, quadri viventi, pezzi di teatro, brani musicali, estratti di film. Corre veloce, attraversa le strade, i muri, le piazze di Berlino, e come un vento senza inizio né fine, inarrestabile, la voce raggiunge il cuore dei pellegrini qui riuniti, un cuore che batte all’unisono, che ci ricorda che siamo umani, troppo umani, e che siamo ancora vivi e, in quanto tali, testimoni di ciò che è stato, e non dovrà mai più essere.

È nostro dovere non dimenticare, e dar voce a coloro che son morti ch’eran bambini, son morti con altri cento, passati per un camino, e ora corrono nel vento, perché la bestia umana non è ancora sazia, non è ancora contenta.

Questo canto senza fine risuonerà, finché un uomo non imparerà a vivere senza ammazzare. Solo allora il vento si poserà.

  
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